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Giurisprudenza
n. 3-2003 - © copyright.

TAR PUGLIA - BARI, SEZ. II - Sentenza 21 marzo 2003 n. 1359 - Pres. Perrelli, Est. Abbruzzese - Guglielmi (Avv. Guantario) c. Comune di Andria (Avv.ti Di Bari e Matera) - (accoglie il ricorso e condanna l’ente locale al risarcimento dei danni).

Espropriazione per pubblica utilità - Dichiarazione per p.u. - Annullamento in s.g. - Radicale ed irreversibile trasformazione del fondo - Occupazione appropriativa e/o acquisitiva - Non si realizza - Illecito permanente - Si realizza - Risarcimento del danno - Criteri per la liquidazione - Individuazione.

Nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità, ove sia venuta meno la dichiarazione di p.u., a seguito dell’annullamento in s.g. della relativa deliberazione, ed il fondo risulti radicalmente e irreversibilmente trasformato, non si verifica il fenomeno dell’occupazione appropriativa, ma un illecito permanente generatore di danno; la liquidazione di tale danno (ove il privato, optando per la tutela risarcitoria, rinunci implicitamente al diritto dominicale), non avviene utilizzando il criterio previsto dall’art. 5 bis comma 7 bis l. 8 agosto 1992, n. 359, ma nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5 bis (1).

In tale ipotesi, pertanto, l’Amministrazione espropriante deve essere condannata al risarcimento del danno in misura pari al valore (da quantificarsi sulla base dei valori dichiarati in atti di compravendita o similari, ai fini dell’imposta di registro, relativi a suoli delle medesime caratteristiche ed ubicazioni o similari) della porzione occupata dei fondi, alla data di ultimazione dei lavori (a titolo di risarcimento del danno derivante dall’occupazione di tale porzione a titolo definitivo). Vanno altresì corrisposti gli accessori di legge ed in particolare gli interessi legali sulla somma pari al valore venale della porzione di fondo occupato, calcolati dalla data di immissione in possesso fino alla data di ultimazione dei lavori; trattandosi di debito di valore, le somme sopra descritte debbono essere rivalutate, secondo gli indici Istat, dalla data di ultimazione dei lavori fino al deposito della sentenza.

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(1) Cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. I, 18 febbraio 2000, n.1814, in CED Cass., rv 534012; Cass. Civ., Sez.I, 30 gennaio 2001, n.1266; Cons. di Stato, Sez. IV, n.3177 del 2000.

Ha osservato, in particolare il T.A.R. Puglia – Bari, che "…il risarcimento del danno non è conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge, a garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie; in particolare, oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il "danno ingiusto"), nella specie accertata, è indispensabile che sia del pari accertata la colpa (o il dolo) dell’amministrazione, che sia accertata l’esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un messo causale tra l’illecito ed il danno subito.

Quanto al requisito dell’elemento soggettivo, pur prendendo atto di quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, con la citata sentenza n.500/99, in ordine alla necessità di una penetrante indagine estesa alla valutazione della colpa non già del funzionario agente ma della P.A. intesa come apparato, non può tuttavia non tenersi conto dei più recenti orientamenti emersi sul punto della giurisprudenza amministrativa, che ha piuttosto preferito una nozione oggettiva di colpa che tenesse conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento; in particolare, se la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all’indirizzo dell’amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa potrà dirsi sussistente.

Nel caso di specie, la colpa è positivamente accertata, perché l’Amministrazione ha violato due norme di ordine generale, l’una presidio essenziale delle garanzie partecipative, l’altra di una corretta impostazione dello stesso procedimento espropriativo, il cui rispetto richiede all’Amministrazione uno sforzo minimo; entrambe le violazioni sono state tempestivamente dedotte dalla ricorrente, e ciononostante l’Amministrazione non ha arrestato il procedimento nè lo ha rinnovato, preferendo viceversa procedere fino alla compiuta esecuzione dell’opera.

Il danno cagionato al privato è certamente ingiusto, incidendo le illegittimità ravvisate in ambito procedimentale sull’interesse legittimo sostanziale, rectius sul bene della vita ad esso sotteso, consistente, in ultima analisi, nello stesso diritto di proprietà, compresso in assenza delle condizioni giustificative del suo sacrificio e concretantisi nel rispetto delle leggi a tutela dello stesso; invero, si è proceduto in definitiva ad un esproprio in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità viziata e dunque illegittima, che detto esproprio non poteva fondare; la persistenza dell’attività a monte illegittima, quale comportamento materiale ulteriore rispetto ai provvedimenti emanati ed annullati ha infine trasformato irreversibilmente il suolo della ricorrente, compromesso nella sua orginaria integrità. In sostanza il mero annullamento degli atti illegittimi impugnati non esaurisce la portata reintegratoria dell’interesse leso, essendo necessario, ai fini di piena tutela, la soddisfazione risarcitoria a completamento della tutela costitutiva".

 

 

omissis

per l’annullamento

previa sospensiva, del decreto di occupazione temporanea e di urgenza n.377 Reg. del 21.11.1997 emesso dal Sindaco del Comune di Andria per l’occupazione di suolo in proprietà della ricorrente riportato in catasto terreni alla partita 60317 al Fg.13 particella 423 per la superficie di mq.20.587,86, come indicata nell’allegato piano particellare, in uno all’annullamento del piano particellare approvato, all’avviso e verbale di immissione in possesso e stato di consistenza redatto in data 29.12.1997; nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso e/ o conseguenziale, con particolare riferimento:

a) alla delibera di C.C. del Comune di Andria n.116 del 24.9.1997 e relativa delibera di modifica di C.C.n.176 del 16.10.1997 recante approvazione "progetto preliminare di variazione ubicazionale del Nuovo Macello Comunale"; nonché, ove occorra, con riferimento anche alla delibera di C.C.367 del 20.7.1989 di approvazione del progetto originario del medesimo macello comunale;

b) alla delibera di G.M.n.387 del 20.10.1997 recante dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità delle opere.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Andria;

Visti i motivi aggiunti notificati in data 24/29 maggio 2001 per proposizione di azione di restituzione immobile conseguente a presunta occupazione illecita c.d. usurpativa;

Vista la propria Ordinanza 21 giugno 2001, n.693;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 28 novembre 2002, il I Ref. Maria Abbruzzese;

Uditi gli avv.A.Guantario e O.Matera;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con atto notificato e depositato rispettivamente il 29 dicembre 1997 ed il 7 gennaio 1998 la signora Guglielmi Carmela propone il ricorso di cui in epigrafe con le conclusioni sopra richiamate.

Espone in fatto che con delibera di C.C. n.367 del 20.7.1989 il Comune di Andria aveva approvato il progetto per la costruzione del nuovo macello comunale; che detto progetto non veniva tuttavia realizzato tanto che nel 1995 veniva dato incarico all’ing.Michele Capogna di redigere nuovo progetto che prevedesse una variante ubicazionale con adeguamenti alle nuove normative in materia di macellazione; con delibera di C.C. n.116 del 24.9.1997 e relativa modifica adottata con delibera di C.C.n.176 del 16.10.1997 il Comune di Andria approvava la variante suddetta allocando il nuovo macello comunale in zona che il P.R.G. tipizza come F8; con delibera di G.M. n.387 del 20.10.1997 il Comune di Andria dichiarava la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità delle opere ai sensi dell’art.1. della L. n.1 del 1978 e dell’art.37 della L.R. n.27 del 16.5.1985, senza tuttavia indicare i termini di inizio ed ultimazione die lavori e delle espropriazioni; in base a tali atti il Sindaco del Comune di Andria decretava l’occupazione di urgenza dei suoli interessati dall’opera pubblica, tra cui quelli in proprietà della ricorrente.

Da qui il ricorso, che deduce in diritto:

A) quanto al decreto di occupazione d’urgenza:

1) Incompetenza del Sindaco di Andria per violazione dell’art.106, comma 3° del d.p.r. n.616 del 1977 e dell’art.40 l.r.Puglia n.27/85: il Sindaco ha esorbitato dai limiti di sua competenza, trattandosi di atto riservato alla competenza residuale della Giunta Municipale, posto che l’art.106, comma 3°, d.p.r.616/1977, attribuendo ai Comuni le funzioni amministrative concernenti le occupazioni temporanee e d’urgenza ed i relativi atti preparatori, ed in mancanza di ogni indicazione sull’organo comunque competente, riserva appunto alla competenza generale della Giunta l’emanazione dei relativi atti; né può contrariamente ritenersi sulla scorta di quanto disposto dall’art.40 l.r.n.27/85, che attribuisce al Sindaco la competenza all’emanazione degli atti ablatori concernenti opere pubbliche da eseguirsi da soggetti diversi dal Comune, delegate, queste, appunto ai Comuni e per essi ai Sindaci;

2) Violazione e malgoverno dell’art.37 e 38 della l.r.Puglia n.27/85. Eccesso di potere per difetto dei presupposti necessari, per omessa e difettosa istruttoria. Incompetenza: il decreto sindacale di occupazione di urgenza è illegittimo in quanto emesso in difetto del presupposto necessario di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere previste, posto che nelle delibere impugnate mancano i termini di inizio e di ultimazione dei lavori e delle espropriazioni; peraltro detto termine non poteva essere fissato dal Sindaco nel decreto di occupazione (in cinque anni dall’effettiva occupazione per il completamento della procedura espropriativa), trattandosi di elemento che geneticamente fa parte della dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza di competenza della Giunta Municipale e/o Consiglio Comunale, non sanabile con atti successivi emessi da organo peraltro incompetente;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt.10 e 11 L.n.865/1971 nonché degli artt. 7 e 8 della L.n.241/90 per omessa comunicazione dell’inizio del procedimento: non sono state espletate le formalità preliminari di cui alle disposizioni epigrafate, essendo mancate le notifiche ai proprietari dell’avvenuto deposito del progetto nella Segreteria comunale ai fini delle osservazioni, adempimenti da osservare prima dell’adozione del decreto di occupazione in ossequio ai principi di cui alla L.n.241/1990;

4) Invalidità derivata: il decreto di occupazione è inoltre inficiato da tutti i vizi che attingono gli atti presupposti;

B) quanto agli atti di approvazione del progetto di opera pubblica:

5) Violazione e falsa applicazione dell’art.37, comma 3° l.r.Puglia n.27/85 in relazione alla violazione dell’art.13 L.n.2359/1865: le delibere di approvazione del progetto di opera pubblica non contengono la necessaria indicazione dei termini per l’inizio e l’ultimazione sia dei lavori che delle espropriazioni, come prescritto dalle norme epigrafate;

6) Violazione e malgoverno dell’art.34, comma 4°, della l.r.Puglia n.27/85 per omessa acquisizione di parere obbligatorio dell’U.T.C.: non risulta acquisito il parere preventivo ed obbligatorio dell’Ufficio tecnico Comunale.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso.

Si costituiva il Comune di Andria che chiedeva il rigetto del ricorso deducendone l’infondatezza atteso che: 1) la competenza del Sindaco ad emettere il decreto di occupazione d’urgenza poteva ritenersi in base ai principio secondo cui gli Enti territoriali sono rappresentati dai rispettivi Capi delle Amministrazioni, espresso, quanto alle Regioni, dall’art.4 del D.L.2.5.1974 n.115; in ogni caso la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in questione è contenuta nella deliberazione di G.C. n.387 del 20.10.1997, che ha altresì approvato il progetto esecutivo, bando di gara e contratto per l’aggiudicazione dei lavori mediante pubblico incanto, sicché il decreto sindacale è provvedimento meramente esecutivo rispetto ad essa; 2) quanto alla mancata indicazione dei termini, trattandosi di dichiarazione implicita di pubblica utilità, il primo atto del procedimento espropriativo doveva individuarsi nella determinazione dell’indennità provvisoria; 3) quanto al terzo motivo, l’area in oggetto era già stata individuata nel P.R.G. per la realizzazione dell’opera in questione e da qui la non necessarietà dell’espletamento delle formalità preliminari di cui agli artt.10 e 11 L.n.85/1971; 4) quanto ai vizi di invalidità derivata, oltre a quanto già osservato, si rilevava che l’U.T.C. si era addirittura reso proponente del progetto in questione.

Con atto notificato in data 24/29 maggio 2001 e depositato in data 4 giugno 2001, la ricorrente proponeva motivi aggiunti al ricorso evidenziando che il decreto di occupazione già impugnato aveva perso efficacia non essendo stato eseguito nei tre mesi successivi all’emanazione del decreto di occupazione di urgenza; essendo i lavori nondimeno stati appaltati ed in corso di esecuzione, la ricorrente aveva subito la perdita del possesso del suolo in assenza dei necessari presupposti di legge ed in particolare di una valida e/o efficace dichiarazione di pubblica utilità, con realizzazione di opera pubblica integrante radicale ed irreversibile trasformazione riconducibile alla fattispecie normativo-giurisprudenziale della cosiddetta occupazione "usurpativa"; proponeva pertanto azione restitutoria con richiesta di condanna del Comune di Andria alla restituzione del suolo illecitamente occupato, trasformato ed usurpato; in via cautelare chiedeva il sequestro giudiziario del bene.

Il Comune di Andria si opponeva alla richiesta cautelare, in ogni caso contestando la fondatezza della nuova domanda proposta.

Con Ordinanza 21 giugno 2001, n.693, il TAR adito respingeva la proposta istanza cautelare.

All’esito dell’udienza di discussione del 28 novembre 2002, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.

DIRITTO

I. Il ricorso ha ad oggetto l’impugnativa degli atti relativi all’espropriazione di un suolo di proprietà della ricorrente in Andria impiegato per la realizzazione del nuovo macello comunale.

Sull’originaria azione impugnatoria di atti, la ricorrente ha successivamente innestato un’azione restitutoria, in sede di giurisdizione esclusiva, sul presupposto della illegittimità/inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità e, dunque, della carenza di destinazione pubblica dell’opera realizzata, dalla quale ben potrebbe conseguire il diritto alla restituzione del suolo, non conformato, nonostante la intervenuta realizzazione dell’opera, alle pubbliche esigenze, proprio per effetto della dedotta invalidità della dichiarazione di pubblica utilità.

Detta azione restitutoria, inquadrabile nella richiesta di reintegrazione in forma specifica conseguente all’illecita attività della P.A., è stata poi, in sede di discussione, ridotta ad azione risarcitoria per equivalente, modifica della domanda, come tale, ammissibile, posto che la reintegrazione in forma specifica altro non è se non una forma, ovvero un possibile contenuto, peraltro non sempre esaustivo, del risarcimento, come può argomentarsi dallo stesso testo dell’art.35 D.Lvon.80/98 (cfr., in termini, Cons. di Stato, sez.IV, 14 giugno 2001, n.3169).

II. Così inquadrata l’azione proposta, deve, in ordine logico, esaminarsi anzitutto il fondamento dell’originaria azione impugnatoria, dal cui accoglimento discenderebbe, secondo la prospettazione di parte ricorrente, l’accoglimento della domanda risarcitoria.

Il ricorso è, sotto tale profilo, fondato.

III. Merita anzitutto accoglimento la censura sollevata con riferimento agli atti dichiarativi della pubblica utilità dell’opera (motivi sub 4 del ricorso originario), riproposti in via derivata con riguardo al decreto di occupazione (motivo sub 2 in ricorso), di omessa indicazione dei termini di inizio e compimento delle espropriazioni e dei lavori.

L’atto di approvazione del progetto, invero, pacificamente non contiene detti termini, mentre, trattandosi di dichiarazione cosiddetta implicita di pubblica utilità, ed essendo l’approvazione il primo atto della procedura espropriativa, è appunto questa che deve contenere i termini predetti.

III.1) Sulla questione in esame, invero, la giurisprudenza ha chiarito che il principio della previa fissazione dei termini per il completamento della procedura espropriativa e per l’esecuzione dei lavori, contenuti nella dichiarazione di pubblica utilità, principio desumibile dall’art.13 L.25 giugno 165, n.2359, risponde all’esigenza di rilievo costituzionale (art.42, comma terzo Costituzione) di limitare il potere discrezionale della P.A. di mantenere in stato di soggezione i beni espropriabili a tempo indeterminato, nonché di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l’interesse generale per evidenti ragioni di serietà dell’azione amministrativa (cfr. Corte Costituzionale, 30.3.1992, n.141 e Cons. di Stato, sez.IV, 19.1.2000, n.248).

Proprio per la sottesa esigenza garantistica è richiesto (come sancito in via generale, come detto, dall’art.13 L.n.2359/1865) che i termini stessi siano contenuti nel primo atto della procedura espropriativa che è, normalmente, la dichiarazione di pubblica utilità; ove questa, tuttavia, discenda dalla legge, è il primo atto della procedura espropriativa che deve contenere i termini e questo normalmente è integrato dall’atto con il quale viene approvato il progetto dell’opera che richiede le espropriazioni, che ha appunto ex lege valore di pubblica utilità (cfr. Cons. di Stato, sez.IV, 12.7.2001, n.3880); in ogni caso i termini devono essere contenuti nel primo atto con il quale l’Amministrazione manifesta in concreto la sua intenzione di esercitare il potere espropriativo, escludendosi che l’onere di fissazione dei termini possa essere assolto mediante atti successivi (cfr. Cons. di Stato, sez.IV, 22.5.2000, n.2936; Trib,. Sup.AA.PP., 13.7.2000, n.100; Cons. di Stato, sez.IV, 55.7.2000, n.3733; Cons. di Stato, sez.IV, 21.11.2001, n.5904).

III.2) Passando al caso di specie, è pacifico che nessun termine è stato fissato nel primo atto della procedura espropriativa, individuabile, come sopra detto, nell’approvazione del progetto, mentre i termini stessi risultano fissati solo nell’atto sindacale, pure impugnato, con il quale si autorizzava l’occupazione d’urgenza.

E’ però del tutto evidente che l’occupazione d’urgenza non è affatto il primo atto della procedura espropriativa e che dunque è del tutto inidoneo, ove fissi , come nel caso, i termini, a garantire le finalità volute dalla legge a tutela dei privato e a garanzia della serietà dell’azione amministrativa.

III.3) Né può sostenersi, come tenta di fare la difesa comunale, che l’onere di fissazione dei termini sia stato in sostanza rispettato sul rilievo che i termini predetti risultano contenuti (o piuttosto "evincibili") dai bandi di gara e dal capitolato speciale d’appalto, approvati contestualmente al progetto e parte integrante di esso, "nei quali molto chiaramente erano individuati i termini finali per il completamento delle opere" (testualmente pag.3 della memoria difensiva del Comune di Andria depositata in data 20 giugno 2001).

Ed invero, mentre non è possibile assimilare i richiamati termini finali per il completamento delle opere, evidentemente contenuti nel contratto di appalto, con i termini di inizio e termine dei lavori e delle espropriazioni richiesti dalla disciplina in materia, non può neppure sottacersi che i termini per il completamento delle opere rilevano, nei citati bando e capitolato, nei rapporti interni tra Amministrazione e appaltatore, senza alcuna influenza sul rapporto espropriativo tra diversi soggetti intercorrente.

III.5) E’ dunque fondata la censura, posto che l’Amministrazione avrebbe dovuto fissare i termini di inizio e fine dei lavori e delle espropriazioni nel primo atto della procedura espropriativa, non potendosi qualificare tale il decreto sindacale di occupazione.

IV, Del pari fondato è il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla mancanza di adempimenti procedimentali di tipo partecipativo prima dell’emanazione del decreto di occupazione di urgenza.

IV.1) In proposito la difesa comunale ha sostenuto l’irrilevanza di detti incombenti, posto che l’area di proprietà della ricorrente era già stata oggetto di localizzazione in sede di P.R.G., onde nessuna utilità sarebbe derivata dalla previa comunicazione dell’incombente procedura espropriativa.

IV.2) Il motivo è, ad avviso del Collegio, fondato, alla stregua di quanto ritenuto dal Supremo consesso di giustizia amministrativa con Decisione 15 settembre 1999, n.14, indirizzo costituente oramai ius receptum.

Detta decisione distingueva tra procedimenti di pianificazione, per i quali è esclusa la partecipazione, e procedimenti ablatori, cui l’esclusione di cui all’art.13 L.n.241/990 non può essere riferita, in quest’ultimo caso ritenendo necessario il contraddittorio con gli interessati che "può apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della proporzionalità e del buon andamento dell’azione amministrativa, specialmente ove esistano situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non ineluttabile compressione del diritto di proprietà può implicare un sacrificio sproporzionato all’interesse pubblico"; il Supremo Consesso concludeva per la necessità del rispetto dei principi del giusto procedimento nell’ambito del procedimento per la dichiarazione di pubblica utilità, che risulta invece ultroneo nella successiva fase, meramente esecutiva, dell’occupazione d’urgenza.

IV.3) E’ del tutto evidente che, nel caso di specie, nessuna formalità partecipativa è stata attivata, nè nella fase della dichiarazione di pubblica utilità né nella successiva fase di occupazione d’urgenza, non avendo i privati destinatari avuto mai alcuna comunicazione dell’inizio della procedura espropriativa in loro danno.

Neppure può sostenersi, alla luce di quanto statuito dalla citata giurisprudenza, la sostanziale inutilità dell’intervento procedimentale dei privati, che non può ricavarsi ex post e neppure automaticamente dalla particolare situazione urbanistica e di fatto degli immobili de quibus.

V. Il ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi sollevati in punto di legittimità degli atti impugnati, è pertanto fondato e ne consegue il suo accoglimento con l’annullamento degli atti impugnati, e, in particolare, per quel che rileverà nel prosieguo, della dichiarazione di pubblica utilità.

VI. Con i proposti motivi aggiunti, come sopra detto, la ricorrente ha esteso l’originaria domanda di annullamento, innestandovi una domanda di risarcimento dei danni, rientrante nella giurisdizione del giudice adito sia a termini dell’art.34 D.L.vo 80/98 (che com’è noto devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, intesa come materia comprendente "tutti gli aspetti dell’uso del territorio"), sia a termini dell’art.7, comma 3, L.n.1034/1971, nel testo modificato dalla L.205/2000, che assegna alla cognizione del giudice amministrativo i diritti patrimoniali conseguenziali in tutte le controversie devolute alla sua giurisdizione.

E di diritto patrimoniale conseguenziale può senz’altro parlarsi a proposito del danno patrimoniale conseguente alla lesione, giudizialmente accertata, di una situazione protetta dall’ordinamento come interesse legittimo oppositivo (cfr. Cass., sezz.Un., 22 luglio 1999, n.500).

VII. Indiscussa l’ammissibilità della domanda, resta da verificarne la fondatezza, posto che, com’è noto, il risarcimento del danno non è conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge, a garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie; in particolare, oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il "danno ingiusto"), nella specie accertata, è indispensabile che sia del pari accertata la colpa (o il dolo) dell’amministrazione, che sia accertata l’esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un messo causale tra l’illecito ed il danno subito.

VII.1) Quanto al requisito dell’elemento soggettivo, pur prendendo atto di quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, con la citata sentenza n.500/99, in ordine alla necessità di una penetrante indagine estesa alla valutazione della colpa non già del funzionario agente ma della P.A. intesa come apparato, non può tuttavia non tenersi conto dei più recenti orientamenti emersi sul punto della giurisprudenza amministrativa, che ha piuttosto preferito una nozione oggettiva di colpa che tenesse conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento; in particolare, se la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all’indirizzo dell’amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa potrà dirsi sussistente.

VII.2) Nel caso di specie, la colpa è positivamente accertata, perché l’Amministrazione ha violato due norme di ordine generale, l’una presidio essenziale delle garanzie partecipative, l’altra di una corretta impostazione dello stesso procedimento espropriativo, il cui rispetto richiede all’Amministrazione uno sforzo minimo; entrambe le violazioni sono state tempestivamente dedotte dalla ricorrente, e ciononostante l’Amministrazione non ha arrestato il procedimento nè lo ha rinnovato, preferendo viceversa procedere fino alla compiuta esecuzione dell’opera.

VII.3) Il danno cagionato al privato è certamente ingiusto, incidendo le illegittimità ravvisate in ambito procedimentale sull’interesse legittimo sostanziale, rectius sul bene della vita ad esso sotteso, consistente, in ultima analisi, nello stesso diritto di proprietà, compresso in assenza delle condizioni giustificative del suo sacrificio e concretantisi nel rispetto delle leggi a tutela dello stesso; invero, si è proceduto in definitiva ad un esproprio in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità viziata e dunque illegittima, che detto esproprio non poteva fondare; la persistenza dell’attività a monte illegittima, quale comportamento materiale ulteriore rispetto ai provvedimenti emanati ed annullati ha infine trasformato irreversibilmente il suolo della ricorrente, compromesso nella sua originaria integrità.

In sostanza il mero annullamento degli atti illegittimi impugnati non esaurisce la portata reintegratoria dell’interesse leso, essendo necessario, ai fini di piena tutela, la soddisfazione risarcitoria a completamento della tutela costitutiva.

VII.4) Va inoltre precisato che il caso di specie non può ricondursi nell’ambito della cosiddetta "occupazione acquisitiva" che presuppone, a termini della giurisprudenza della Corte di Cassazione, una valida dichiarazione di pubblica utilità che consenta di identificare l’opera come pubblica assoggettando il quantum del risarcimento spettante al privato irritualmente espropriato alla riduzione prevista dall’art. 5 bis comma 7 bis del d.l.n.333 del 1992; ciò nella costanza, come si è detto, di una valida dichiarazione di pubblica utilità a monte che identifichi l’opus come pubblico e il diritto del privato bilanciabile con l’interesse pubblico individuato con la corrispettiva riduzione dell’indennizzo spettante.

Quando invece, per effetto dell’annullamento, come nel caso, sia venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità, non è più apprezzabile il collegamento teleologico tra l’opera costruita ed il pubblico interesse e non si configura più il fenomeno dell’occupazione appropriativa., essendo invece individuabile un illecito permanente che genera un danno che deve essere liquidato, qualora il privato opti per la tutela risarcitoria, nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5 bis (cfr., ex plurimis, Cass., sez.I, 18 febbraio 2000, n.1814; Cass., sez.I, 30 gennaio 2001, n.1266; Cons. di Stato, sez.IV, n.3177 del 2000).

VIII. Deve ora procedersi all’accertamento del danno per il quale è dovuto il risarcimento per equivalente, considerata, come sopra detto, la scelta processuale della ricorrente di rinunciare alla tutela reintegratoria specifica.

VIII.1) Anzitutto il danno sofferto è ravvisabile nella temporanea indisponibilità del terreno occupato sine titulo; la circostanza della intervenuta ultimazione dell’opera, nonostante l’instaurazione del giudizio (cfr. Ordinanza TAR Puglia 21 giugno 2001, n.693, in atti, che evidenziava a quella data l’ultimazione a rustico dell’opera), comporta peraltro che il danno da risarcire è commisurato all’intero valore del terreno occupato.

Va per completezza aggiunto che, una volta ultimata l’opera, sarebbe in ogni caso esclusa ogni possibilità per l’amministrazione di sanare i vizi procedimentali nella specie ravvisati, perché un procedimento espropriativo che fosse avviato per l’esecuzione di un’opera pubblica che già esiste e che non può essere rimossa sarebbe sostanzialmente privo di oggetto ed impossibile; il che conferma l’irreversibilità del danno e la commisurazione del risarcimento, come detto, proprio al valore del fondo occupato, come conseguenza del comportamento negligente dell’amministrazione che, anziché rinnovare in tempo utile la procedura, ha invece ultimato l’opera.

Alla ricorrente proprietaria è perciò dovuto il risarcimento dell’integrale danno sofferto, senza i limiti posti dall’art.5 bis del d.l.n.333 del 1992, non ricorrendo, come sopra detto, neppure i presupposti per configurare la cosiddetta occupazione acquisitiva.

VIII.2) Ai fini della liquidazione del danno non è necessario nominare un consulente tecnico di ufficio, potendosi più agevolmente utilizzare lo strumento previsto dall’art.35, comma 2, del d.lgs. n.80 del 1998, che consente al giudice amministrativo, tenuto conto dell’obiettiva complessità delle operazioni di liquidazione del danno in questa materia e, comunque, nel rispetto delle perseguite finalità di accelerazione e di economia processuale, in sintonia con l’impianto descritto dalla legge n.205 del 2000, di stabilire "i criteri in base ai quali l’amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine;.

Solo se permane il disaccordo, le parti si rivolgeranno nuovamente al giudice per la determinazione della somma nelle forme del giudizio di ottemperanza, salva ovviamente la facoltà del collegio, in caso di prosecuzione, di regolare la sorte delle spese processuali per l’ulteriore fase.

Si dispone pertanto che il Comune di Andria, avvalendosi degli uffici ed apparati di cui dispone, ovvero, a sua discrezione, rivolgendosi ad organi terzi, proceda alla liquidazione del danno secondo i criteri più sotto indicati, e proponga, all’esito e nei termini pure sotto indicati, in favore della ricorrente, il pagamento della somma risultante.

In particolare, il risarcimento dovrà esser pagato entro il termine massimo di 90 giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza e dovrà computarsi nel modo seguente:

una somma pari al valore (da quantificarsi sulla base dei valori dichiarati in atti di compravendita o similari, ai fini dell’imposta di registro, relativi a suoli delle medesime caratteristiche ed ubicazioni o similari) della porzione del fondo occupato, alla data di ultimazione dei lavori, per il risarcimento del danno derivante dall’occupazione di tale porzione a titolo definitivo;

una somma corrispondente agli interessi legali calcolati su una somma pari al valore venale della porzione di fondo occupata alla data di ultimazione dei lavori; interessi al tasso legale via via vigente e decorrenti dalla data di immissione in possesso del fondo e fino alla data di ultimazione dei lavori, per il risarcimento del danno derivante dall’occupazione illegittima del fondo durante il tempo necessario per eseguire l’opera pubblica;

sulle somme liquidate ai sensi delle lettere a) e b), che riguardano tutte il risarcimento del danno e consistono perciò in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione secondo indici Istat, a partire dalla data di ultimazione dei lavori e fino alla data di deposito della presente sentenza; costituendo tale ultima data il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore di trasforma in debito di valuta;

sulle somme progressivamente e via via rivalutate, di cui alla precedente lettera c), sono altresì dovuti gli interessi legali (secondo il tasso all’epoca vigente) a decorrere dalla data dell’ultimazione dei lavori e sino alla data di deposito della presente sentenza; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno;

su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza e fino al soddisfo.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo fissato in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione II, pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto:

annulla i provvedimenti impugnati;

condanna il Comune di Andria al risarcimento dei danni subito dalla ricorrente per l’occupazione del suolo di sua proprietà secondo i criteri indicati in motivazione;

condanna il Comune di Andria al pagamento in favore della ricorrente della spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.000 (euro tremila)

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 28 novembre 2002, con l’intervento dei Magistrati:

Michele PERRELLI - Presidente

Pietro MOREA - Componente

Maria ABBRUZZESE - Componente est.

Depositata in Segreteria in data 21 marzo 2003.

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