Giust.it

Giurisprudenza
n. 7-1999 - © copyright.

TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I - Sentenza 27 luglio 1999 n. 991 - Pres. Ferrari, Est. Grasso - Casa di cura D'Amore s.r.l. c. Regione Puglia

Giustizia amministrativa - Sentenza di primo grado - Immediata esecutività - Sentenza avente ad oggetto diritti soggettivi - Applicabilità dell'art. 382 c.p.c. - Sentenza avente ad oggetto interessi legittimi pretensivi - Possibilità per il ricorrente di adire nuovamente il giudice amministrativo.

Nel caso di giudizio avente ad oggetto posizioni di diritto soggettivo, la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado - prevista dall'articolo 33 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 - sostanzialmente coincide con la provvisoria esecutività di cui all'art. 282 c.p.c. e l'Amministrazione ha il preciso obbligo (nel caso di mancata proposizione o comunque di reiezione della istanza di sospensione avanzata in sede di appello) di dare piena ed incondizionata attuazione alla sentenza del giudice, salva, beninteso, la provvisorietà degli effetti nelle more prodottisi sul piano dei rapporti materiali per l'ipotesi di riforma, nelle adite seconde cure, della sentenza eseguita.

Nel caso invece di giudizio su interessi di matrice pretensiva, il ricorrente insoddisfatto ha la possibilità di iniziare un nuovo giudizio (peraltro di cognizione e non di esecuzione), all'interno del quale potrà far valere - se del caso mercé il ricorso allo strumento della tutela cautelare incidentale - il proprio (nuovo ed autonomo) interesse pretensivo alla definizione dei litigiosi assetti incisi dalla azionata sentenza.

 

 

FATTO

1. Con il ricorso in epigrafe, la Casa di cura D'Amore s.r.l. premetteva che, con propria sentenza n. 477/98, l'intestato giudicante aveva statuito il diritto di essa ricorrente, nei confronti della intimata Amministrazione, ad ottenere il pagamento delle prestazioni sanitarie effettuate per il periodo 1/1/1995 - 5/9/1995, secondo quanto previsto dal decreto del Ministero della Sanità in data 14 dicembre 1994.

Precisava che, proposto appello avverso l'indicata decisione una ad istanza accessoria intesa alla sospensione della provvisoria esecutività della medesima, il Consiglio di Stato aveva, con propria ordinanza in data 19/1/99, disatteso l'invocata inibitoria.

Assumendo, conseguentemente, la sussistenza dell'obbligo dell'Amministrazione di dare immediata e piena esecuzione al giudicato in virtù nella non elisa esecutività della gravata statuizione e che - conformemente all'orientamento interpretativo da ultimo recepito in giurisprudenza ed in quanto tale ritenuto meritevole di approvazione - l'inerzia del debitore fosse sanzionabile non mercé il ricorso allo strumento processuale del giudizio di ottemperanza (subordinato alla formazione del giudicato sostanziale), sebbene per il tramite della ordinaria azione di cognizione, la ricorrente concludeva perché, ritenuta l'ammissibilità della spiegata azione, fosse ingiunto alla Regione Puglia di dare esecuzione alla sentenza epigrafata e, per l'effetto, emanata condanna al pagamento della complessiva somma di L. 373.515.660, oltre interessi dalla maturazione fino all'effettivo soddisfo, una a vittoria di spese e competenze di lite.

2. Nella mancata costituzione della Regione Puglia, all'udienza fissata per la discussione, sulle reiterate conclusioni di parte attrice, la causa veniva introitata a sentenza.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va accolto, nei limiti delle precisazioni che seguono.

1.1 Incontroversi e pienamente documentati i fatti di causa, la questione essenzialmente sottoposta all'attenzione del Collegio verte, in sintesi, intorno alla corretta interpretazione della norma di cui all'art. 33 L. TAR, nella parte in cui scolpisce il precetto della immediata (e provvisoria) esecutività della statuizione giudiziale di prime cure resa dal giudice amministrativo.

In verità, la lettura della disposizione in parola è notoriamente assai controversa, così in dottrina come in giurisprudenza, avendo dato luogo ad orientamenti assai contrastanti e tutt'affatto consolidati, che hanno da ultimo fornito anche materia per proposte di esplicita modifica de lege ferenda.

In ogni caso, opina il Collegio che la soluzione allo stato preferibile vada ricostruita nei termini che seguono.

I contrasti interpretativi muovono da un dato normativo indubbiamente equivoco:

da un lato, la richiamata disposizione prevede che «le sentenze dei Tribunali Amministrativi sono esecutive» (1° comma) e che, per di più, la proposizione di appello «non ne sospende l'esecuzione» ( 2° comma);

dall'altro, l'unico strumento processuale idoneo ad imporre in via autoritativa l'eluso adempimento del giudicato è il processo di ottemperanza di cui all'art. 27 n. 4 T.U. Cons. Stato, che peraltro presuppone la formazione della cosa giudicata in senso formale.

Di fronte alla apparente antinomia del sistema (che rinviene all'evidenza non implausibili spiegazioni sul piano della formazione storicamente disarticolata delle norme relative al procedimento amministrativo, onde non si è, per esempio, mancato di osservare da parte dei più attenti studiosi della materia come la sancita esecutività delle sentenze dei neoistituiti giudici di prime cure si raccordi geneticamente alla analoga, ma ben diversa, previsione riferita alle decisioni delle giunte provinciali amministrative), varie sono state le soluzioni proposte al fine di fornire alla materia coerenza di sistema.

1.2  Come è noto, risulta oggi correttamente abbandonata la strada - in origine non senza esitazioni percorsa - di raccordare il giudizio di ottemperanza non tanto al giudicato in senso stretto, ma alla efficacia (appunto esecutiva) di sentenza della decisione giurisdizionale: soluzione, per verità, noti solo stridente con il non equivoco dato normativo, ma - quel che più conta - contrastante con i presupposti, le finalità e le modalità procedimentali (miste di cognizione ed esecuzione) proprie del giudizio di ottemperanza,

Invero, deve riconoscersi, pur senza trarne tutte le conseguenze che parte autorevole della dottrina processualistica ha voluto più complessivamente indurne, che non solo (sul piano formale), l'efficacia di sentenza è di certo ben diversa dall'autorità di giudicato, ma soprattutto (sul piano sostanziale) che l'efficacia della sentenza di primo grado non appare di per sé idonea a sostanziare tutti gli effetti del giudicato amministrativo.

In particolare, se l'efficacia esecutiva concreta senza dubbio - come si è finito per riconoscere con lucidità di impostazione - l'effetto caducatorio del provvedimento amministrativo impugnato; se certo appare idonea a sorreggere l'ulteriore effetto preclusivo, inteso quale specifico vincolo a carico della soccombente Amministrazione di non reiterare puramente e semplicemente il provvedimento annullato; se ciò e vero, discorso ben diverso vale per l'effetto conformativo.

In relazione a tale profilo - che appare decisivo ai fini di una meno sommaria ricostruzione del problema in esame - va infatti precisato che la particolarità del giudizio amministrativo (e che radicalmente lo differenzia, a dispetto di ogni tentativo di più o meno forzata assimilazione, dal giudizio civile) sta nella circostanza che il giudicato si presenta quale precetto in larga misura elastico, condizionato ed incompleto. invero, a differenza di quanto si verifica nel caso della cosa giudicata civile - la quale, nei confronti delle parti, dei loro eredi ed aventi causa, sostanzia de futuro la precisa e univoca regola concreta che la mediazione giurisdizionale sostituisce al precetto generale ed astratto - la perdurante (e necessaria) sussistenza del potere amministrativo, che al giudicato sopravvive pur essendone beninteso soggetto, ne rende l'attuazione assai meno unidirezionale, dovendo la stessa coordinarsi, nella mediazione del corretto ed adeguato riesercizio del potere mal esercitato, alla delibazione ponderativa degli interessi pubblici, privati e collettivi, anche sopravvenuti, commessi alla funzione amininistrativa.

Di qui - secondo percorsi sistematici da tempo adeguatamente indagati - la particolarità del giudizio di ottemperanza e soprattutto dei poteri (misti di cognizione ed esecuzione) estesi al merito affidati al giudice amministrativo in subiecta materia; di qui ancora - per quel che segnatamente interessa la presente fattispecie - la conseguente impossibilità di disporre l'ottemperanza in assenza del giudicato, difettando la certezza sull'effetto conformativo in assenza del quale la descritta efficacia della sentenza di prime cure fonda un vincolo solo semipieno alla azione amministrativa,

Come è altresì noto, proprio gli sviluppi pretori del giudizio di ottemperanza hanno posto all'attenzione degli interpreti la questione della natura e dei limiti del vincolo nascenti dalla sentenza del giudice amministrativo, discutendosi se l'effetto lato sensu novativo dei rapporti inter partes concreti la nascita di una situazione di specifico interesse legittimo o addirittura di diritto soggettivo pieno. 1 descritti limiti della efficacia esecutiva rispetto alla piena autorità dei giudicato consentono forse - sul piano dogmatico - di accedere all'idea che la seconda si coordini ad un pieno diritto soggettivo (la cui violazione od elusione non sarebbe invero soggetta ai limiti di decadenza dell'interesse legittimo e potrebbe coordinarsi alla proponibilità senza limiti di tempo, o al più nei termini della prescrizione, dell'actio iudicati), laddove la prima - pur certo autoritativamente imponendosi alla Amministrazione soccombente per non riuscire mera declamazione di principio sottratta ai costituzionali precetti di effettività della tutela giurisdizionale - sostanzi un mero interesse legittimo (della specie dell'interesse pretensivo) all'attuazione della decisione "meramente" esecutiva.

La soluzione - finemente argomentata in dottrina, tenendo anche debito conto della possibile differenza dell'interesse giudizialmente azionato - sarebbe cioè riassumibile nei termini che seguono:

a) se l'interesse azionato e un interesse legittimo oppositivo, l'efficacia esecutiva della sentenza di prime cure (ove non rimossa dal favorevole accoglimento della istanza di inibitoria dinanzi al giudice di seconde cure) si riassumerebbe nei termini in ogni senso satisfattori dell'effetto caducatorio e dell'effetto preclusivo;

b) se l'interesse azionato è, invece, un interesse legittimo pretensivo, l'efficacia della sentenza di accoglimento di primo grado sarebbe idonea a paralizzare gli effetti del provvedimento caducato, ad impedire che lo stesso venga assunto a presupposto dell'ulteriore azione amministrativa, a precludere l'immediata riproponibilità del gravato provvedimento nei termini già ritenuti contra ius, laddove il giudicato varrebbe altresì a disegnare il futuro percorso della Pubblica Amministrazione nei suoi rapporti con la parte ricorrente, mercé l'effetto conformativo: la prima situazione sarebbe idonea a fondare novativamente una posizione di interesse legittimo pretensivo in capo al ricorrente vittorioso; la seconda un diritto soggettivo pieno all'attuazione del precetto giurisdizionale.

La soluzione, indubbiamente suggestiva, consentirebbe, più di altre pur autorevolmente proposte, di conferire un senso ai contrastanti dati normativi più volte richiamati in premessa: la sentenza di prime cure impone all'Amministrazione di "proseguire" l'azione amministrativa tenendo conto, tra gli interessi soggetti alla propria valutazione discrezionale, (quello alla corretta "esecuzione" della sentenza); il giudicato impone la precisa attuazione della stessa, pur nei limiti della descritta elasticità.

Il primo interesse troverebbe tutela, di conserva, nella ordinaria azione generale di cognizione (più ancora che in una speciale actio iudicandi di primo grado esemplata quale ideale prosecuzione del giudizio innanzi al giudice che abbia reso la statuizione inattuata, ad instar, di quanto pretoriamente ritenuto per l'attuazione delle misure cautelari), il secondo nello speciale giudizio di ottemperanza: soluzione, per vero, se non avallata, certo resta plausibile dal recente intervento in subiecta materia del giudice delle leggi, con la sentenza n. 406/98.

Con più concreto riferimento alle conseguenze della prospettata soluzione, va puntualizzato che, in pratica, ove l'Amministrazione non abbia inteso dare esecuzione alla sentenza di primo grado, il ricorrente insoddisfatto avrebbe la possibilità di iniziare un nuovo giudizio (peraltro di cognizione e non di esecuzione, come pure talora implausibilmente ritenuto), all'interno del quale potrà far valere - se del caso mercé il ricorso allo strumento della tutela cautelare incidentale, al preordinato fine di non pregiudicare l'aspettativa nascente dalla sentenza di provvisorio accoglimento - il proprio (nuovo ed autonomo) interesse pretensivo alla definizione dei litigiosi assetti incisi dalla azionata sentenza; né sembra arbitrario arguire - per sostanziare di effettività il così ipotizzato ricorso ad un nuovo giudizio di primo grado e movendo dalla rettamente intesa ratio del giudizio di ottemperanza, assunto nel suo valore di modello pur normativamente limitato alla fase di esecuzione del giudicato - che il giudice abbia in tale nuova fase accesso a poteri di valutazione nel merito dell'azione amministrativa, di guisa che possa sindacare anche le regioni di mera opportunità che di volta in volta giustifichino o meno il comportamento della Amministrazione successivo alla sentenza ed antecedente al giudicato.

2. Ciò premesso, va nondimeno aggiunto che non mette di indagare o approfondire ulteriormente le possibili (e del resto tutt'affatto pacifiche) conseguenze della prospettata impostazione: quel che giova invece sottolineare è, da un lato, la astratta possibilità di una tutela giurisdizionale erogabile pur in pendenza dì un giudizio di secondo grado (in assenza di che, l'odierno ricorso andrebbe invero fulminato di inammissibilità), e, dall'altro, l'impossibilità di estendere la tesi riassunta ai giudizi vertenti su situazioni di diritto soggettivo pieno (nei casi di giurisdizione esclusiva o piena).

Quest'ultimo aspetto induce, invero a ritenere del tutto improponibile l'idea che, azionata una violata posizione di diritto soggettivo, la sentenza favorevolmente resa sullo stesso (e per legge esecutiva) novi detto diritto in un mero interesse legittimo pretensivo: anche a voler prescindere dalla valorizzazione in complessiva chiave sistematica della generale tendenza legislativa alla anticipazione di tutti o in parte degli effetti del giudicato alla decisione di primo grado (che trova puntuale riscontro nell'ambito del processo civile ordinario, assunto a modello del processo su diritti sulla scorta della generale previsione di sistema di cui all'art. 1 c.p.c.), giova invero - sotto un rilevante profilo sostanziale - puntualizzare che nella descritta ipotesi appare fuori luogo il riferimento all'effetto conformativo, assunto nella sua argomentata estraneità alla mera efficacia di sentenza, per essere lo stesso esclusivo dei rapporti tradizionalmente mediati dalla situazione soggettiva dell'interesse legittimo.

Né avrebbe alcun senso opinare nel sopra prospettato senso della proponibilità di un nuovo giudizio di cognizione ordinaria estesa alla (inutile o comunque impossibile) cognizione dei merito.

Con più concreto discorso, non pare che la situazione del soggetto vittorioso in un giudizio su diritti instaurato dinanzi al giudice ordinario possa essere diversa, ai fini per cui è discorso, da quella di chi analogo giudizio abbia instaurato davanti al giudice amministrativo: il che appare nell'attualità ancor più palese ove si rigetta sulla portata indubbiamente sistematica del nuovo regime di riparto della giurisdizione normativamente scolpito a seguito della entrata in vigore degli artt. 33 ss. del d.lgs. 80/98 e successive modificazioni.

In tale diversa eventualità (in cui tipicamente il giudice amministrativo, di là dei limiti di cui all'art. 26 L. TAR, dispone di poteri di condemnatio pecuniaria a carico della Amministrazione debitrice), l'art. 33 deve essere interpretato nel senso (indubbiamente assai diverso da quello sopra prospettato) che l'Amministrazione abbia il preciso obbligo (in caso di mancata proposizione o comunque di reiezione della proposta istanza di sospensione) di dare piena ed incondizionata attuazione alla sentenza del giudice, salva, beninteso, la provvisorietà degli effetti nelle more prodottisi sul piano dei rapporti materiali per l'ipotesi di riforma, nelle adite seconde cure, della sentenza eseguita.

Si conferma che, per tale argomentata via, la norma di cui all'art. 33 è norma polisemica (né la circostanza suona inconsueta agli operatori del giudizio amministrativo): nel caso di processo su diritti, la sancita esecutività sostanzialmente coincide con la provvisoria esecutività di cui all'art. 282 c.p.c.; in caso di giudizio su interessi (specie, per quanto si è precisato, di matrice pretensiva), la portata delle due norme va ricostruita diversamente, nei sensi sopra lumeggiati.

3. Da quanto sin qui precisato, discende che - attenendo la pretesa azionata dall'odierno ricorrente a situazione di diritto soggettivo pieno, sub specie di diritto di credito alla erogazione di prestazioni pecuniarie - la mancata attuazione della favorevole sentenza ad opera della intimata Amministrazione si appalesa ingiustificata, pur nella pendenza del secondo grado di giudizio.

In disparte di ogni riflessione - evidentemente estranea ai limiti della presente lite - in ordine alla verisimile attitudine della dedotta sentenza a costituire civilistico titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c., sta di fatto che - ritenuta l'ammissibilità del ricorso - l'Amministrazione va condannata alla puntuale esecuzione - sia pur a titolo provvisorio e ferma la reversibilità degli effetti - della sancita condanna.

4. Considerata peraltro la laboriosità degli adempimenti connessi all'esecuzione della sentenza e la difficoltà in cui potrebbe trovarsi l'Amministrazione nel reperire - con immediatezza - i fondi di copertura della relativa spesa, stimasi equo assegnare all'Amministrazione debitrice il termine di giorni 90 (novanta) - decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza - per adempiere a quanto deciso.

Sussistono, sotto distinto profilo, adeguate ragioni -attesa l'incertezza delle questioni di ordine processuale affrontate dal Collegio in parte motiva - per disporre l'integrale compensazione inter partes delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto condanna l'Amministrazione a dare immediata e puntuale esecuzione alla sentenza epigrafata, nel termine di grazie di cui in motivazione.

Copertina