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n. 7/8-2001 - © copyright.

TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I – Sentenza 25 luglio 2001 n. 4278Pres. Ravalli, Est. Ianigro – Di Gennaro ed altri (Avv. Pellegrino) c. Comune di Lecce (Avv. Garrisi), CODIR (Avv. Quinto).

Comune e Provincia - Consiglio comunale - Convocazione - Su richiesta di un quinto dei consiglieri - Entro il termine di 20 giorni - Ritardo - Conseguenze - Individuazione - Illegittimità della delibera eventualmente adottata - Esclusione - Intervento sostitutivo del Prefetto - Necessità.

Comune e Provincia - Consiglio comunale - Deliberazioni - Questioni pregiudiziali proposte dalla maggioranza - Approvazione - Limiti - Utilizzo strumentale delle questioni pregiudiziali per impedire la trattazione dell’argomento proposto dalla minoranza - Impossibilità.

La omessa convocazione del Consiglio comunale parte del Presidente, entro il termine di venti giorni prescritto dell'art. 39, comma 2, d.l.vo n. 267/2000, su richiesta di un quinto dei Consiglieri comunali, non si traduce in un vizio di legittimità "derivata" della delibera adottata nella seduta successivamente convocata, atteso che la omessa convocazione della seduta entro il termine previsto trova una precisa sanzione nella medesima norma richiamata che, al comma 5, prevede l'esercizio dei poteri sostitutivi del Prefetto, finalizzato alla convocazione del Consiglio (1).

Il potere della maggioranza di porre questioni pregiudiziali non può che essere inteso in senso congruente con il diritto di iniziativa che spetta alla minoranza mediante la richiesta di convocazione; debbono pertanto ritenersi ammissibili solo quelle questioni pregiudiziali che impediscono la discussione dell'argomento posto all'ordine del giorno per ragioni interne e proprie della specifica procedura, con esclusione di questioni strumentalmente dirette a porre nel nulla la funzione del diritto di iniziativa.

Deve conseguentemente ritenersi illegittima una delibera, allorchè risulti che la maggioranza, travisando la funzione della pregiudiziale, non si sia limitata a precludere la discussione di un argomento posto all'ordine del giorno della singola seduta, ma attraverso il suo contenuto propositivo, ne abbia inteso impedirne comunque la trattazione (2).

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(1) Il TAR Puglia ha avuto modo di precisare che il termine di venti giorni deve intendersi istituito quale termine minimo oltre il quale gli interessati possono attivarsi per provocare l'intervento sostitutivo del Prefetto. In tal modo, la legge riconosce piena tutela a tutte quelle situazioni in cui l'inerzia degli organi competenti integra inosservanza di un obbligo di legge e la modificazione dell'ordine delle competenze costituisce attuazione de principio di completezza ed effettività dell'ordinamento, anche quanto all'azione amministrativa ogni qual volta non si compiano "atti obbligatori per legge".

(2) Alla stregua del principio è stata ritenuta illegittima la delibera impugnata per violazione degli artt. 43 primo comma e 39 secondo D.Lgs. n. 267 del 2000 e per falsa applicazione dell'art. 48 del regolamento consiliare, atteso che tale delibera andava ben al di là di quanto consentito in presenza di esercizio del diritto di iniziativa della minoranza; con essa, infatti, la maggioranza, travisando la funzione della pregiudiziale, non si era limitata a precludere la discussione di un argomento posto all'ordine del giorno della singola seduta, ma attraverso il suo contenuto propositivo, ne aveva inteso impedirne comunque la trattazione.

Tale comportamento, a parere del TAR Puglia, costituisce sicuro indice di sviamento di potere, traducendosi in un evidente uso strumentale dell'istituto della pregiudiziale da parte della maggioranza dei consiglieri comunali, al solo fine di impedire il legittimo esercizio dei diritti e delle prerogative della minoranza di ottenere la trattazione della questione da essi posta all'ordine del giorno.

 

per l'annullamento

delle determinazioni assunte dal Consiglio comunale di Lecce e dal suo Presidente nella seduta del 22.02.2001 nella parte in cui ha approvato una c.d. "Questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 48 del Regolamento di Funzionamento del Consiglio Comunale", non ha consentito la trattazione di una delibera posta all'ordine del giorno, e non ha applicato la disciplina regolamentare relativa alle mozioni/ordini del giorno;

della implicita determinazione del Presidente del Consiglio Comunale di non convocare il Consiglio nei venti giorni dalla richiesta prese itala da oltre un quinto di consiglieri in data 30.01.2001;

di ogni ulteriore atto connesso, presupposto o consequenziale;

e per il risarcimento del danno;

Visto il ricorso ed il relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del Comune di Lecce;

Visto l'intervento ad opponendum della Soc. CODIR;

Viste le memorie presentate dalle parti;

Letti tutti gli atti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 26.06.2001, la dott.ssa Renata Emma Ianigro;

Uditi per il ricorrente l'Avv. Pellegrino, per l’Amministrazione costituita l'Avv. Angelilli A. in sost. Avv. Garrisi, nonché l'avv. P. Quinto per la società intervenuta;

Ritenuto in fatto

Con ricorso n. 817 del 2001, Di Gennaro Giuseppe, Frisullo Alessandro e Benincasa Carlo, quali componenti del Consiglio Comunale di Lecce, lamentando la violazione delle prerogative proprie di detta qualifica, denunciavano la inosservanza da parte del Presidente del Consiglio Comunale della previsione di cui all'art. 39 comma 2 d.l.vo 267/00 che impone la convocazione del Consiglio entro il termine di venti giorni dalla data della richiesta da parte di un quinto dei consiglieri comunali, e, nel corso della seduta svoltasi il 22.02.2001, la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 comma 1, 39 comm. 2 d.lvo cit., e degli artt. 23, 24 e 48 del regolamento relativo al funzionamento del Consiglio Comunale, nella parte in cui era stata inibita ad essi consiglieri di minoranza la trattazione della delibera posta all'ordine del giorno attraverso la approvazione da parte della maggioranza di una pregiudiziale ai sensi del citato art. 48 reg.

Chiedevano inoltre la condanna al risarcimento del danno morale ed all'immagine politica subito in occasione di detta pubblica seduta svoltasi attraverso la diretta televisiva.

Nel giudizio si è costituita l'Amministrazione Comunale intimata che ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito, in subordine, la carenza di legittimazione e di interesse dei consiglieri ricorrenti, ed infine l’infondatezza del ricorso sotto tutti i profili enunciati.

La società Codir, ha notificato in data 13.03.200 atto di intervento ad opponendum, in quanto interessata alla "riapprovazione" del progetto indicato nella delibera oggetto di impugnazione.

All'udienza pubblica del 26 giugno 2001 il ricorso è stato discusso e ritenuto per la decisione

Considerato in diritto

Va innanzitutto rigettata poiché infondata la eccezione: preliminare di difetto di giurisdizione, sollevata dalla Amministrazione intimata. Nel caso in esame si controverte in tema di vizi di legittimità di una delibera adottata dal Consiglio Comunale, e delle relative determinazioni adottate dal Presidente, e quindi, di provvedimenti amministrativi che si assumono lesivi delle prerogative proprie dei ricorrenti, quali componenti dell'organo deliberativo. Il ricorso, quindi, in quanto volto ad ottenere l'annullamento di una delibera adottata dal Consiglio Comunale appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Sussiste, inoltre, la legittimazione dei ricorrenti ad impugnare la delibera adottata il 22.02.2001 dal Consiglio Comunale di Lecce, in virtù della qualifica di consiglieri comunali da essi rivestita, per la tutela dei "munera" ad essa connessi, e poiché, quali consiglieri di minoranza, avendo manifestato espressamente il proprio dissenso rispetto alla approvazione della medesima, conservano la facoltà di impugnarla per farne valere eventuali vizi di legittimità dinanzi al giudice amministrativo.

E' da rilevarsi - inoltre - l'inammissibilità dell'intervento della Codir s.r.l. poiché l'interesse della medesima è estraneo al presente giudizio inerente la tutela delle prerogative e dei "munera" dei ricorrenti quali consiglieri "di minoranza", né tale società agisce - né lo potrebbe - come soggetto appartenente alla comunità locale, interessato al rispetto ex se delle regole di funzionamento degli organi comunali.

Nel merito il ricorso è fondato e merita accoglimento, entro i termini di seguito precisati.

Preliminarmente, con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 39 comma 2 d.l.vo n. 267/2000 da parte del Presidente del Consiglio Comunale, va rilevato che la omessa convocazione del Consiglio Comunale, entro il termine di venti giorni, ivi prescritto, su richiesta di un quinto dei Consiglieri Comunali, non si traduce in un vizio di legittimità "derivata" della delibera adottata nella seduta successivamente convocata. Ciò in quanto, la omessa convocazione della seduta entro il termine previsto, trova una precisa sanzione nella medesima norma richiamata che, al comma 5, prevede l'esercizio dei poteri sostitutivi del Prefetto, finalizzato alla convocazione del Consiglio.

In tal senso, il termine di venti giorni deve intendersi istituito quale termine minimo oltre il quale gli interessati possono attivarsi per provocare l'intervento sostitutivo del Prefetto. In tal modo, la legge riconosce piena tutela a tutte quelle situazioni in cui l'inerzia degli organi competenti integra inosservanza di un obbligo di legge e la modificazione dell'ordine delle competenze costituisce attuazione de principio di completezza ed effettività dell'ordinamento, anche quanto all'azione amministrativa ogni qual volta non si compiano "atti obbligatori per legge". Né su tale potere sostitutivo possono aversi dubbi di costituzionalità dopo Corte Cost. 28.2. 988 n. 177.

Nel caso in esame i ricorrenti, attraverso una richiesta formulata ai sensi dell’art. 39 comma 3 cit. il 30 gennaio 2001, hanno ottenuto la convocazione del Consiglio Comunale di Lecce da parte del vice Presidente (in assenza momentanea del Presidente), in data 22.02.2001, sicché hanno visto realizzato il loro diritto alla riunione del Consiglio, per la discussione di una determinata questione da essi chiesta ai sensi dell'art. 43 comma 1 d.l.vo 267/00.

In secondo luogo alcun rilievo può essere attribuito, ai fini del presente giudizio, alle asserzioni fatte dal Presidente in apertura di seduta, poiché estranee ai suoi poteri e prive di effetti e rilevanza giuridicamente apprezzabile. Trattasi, infatti, di asserzioni che, non avendo ad oggetto "fatti o circostanze che interessino il Consiglio", come evincibile dal verbale in atti, non possono assurgere nemmeno al rango di "comunicazioni" ai sensi di quanto previsto dall'art. 41 del regolamento consiliare.

Risultano invece fondate le ulteriori censure sollevate dai ricorrenti nei confronti della deliberazione approvata a seguito di "questione pregiudiziale" proposta dalla maggioranza.

Al riguardo occorre premettere che l'art. 43 del d.l.vo 267/00 riconosce a ciascun consigliere comunale o provinciale il "diritto di iniziativa" su ogni questione sottoposta alla deliberazione del Consiglio, oltre al diritto di chiedere la convocazione del Consiglio, secondo le modalità dettate dall'art. 39 comma 2, con l'inserimento all'ordine del giorno delle questioni richieste.

Nel caso in esame un quinto dei consiglieri del Comune di Lecce (precisamente quattordici), in data 30.01.2001, richiedeva al Presidente del Consiglio Comunale la convocazione dell'assemblea per la trattazione di una proposta di delibera contestualmente depositata.

Attraverso tale iniziativa, i consiglieri richiedenti intendevano sottoporre alla discussione ed alla deliberazione del Consiglio, la eventuale adozione di un atto determinato di autotutela, e cioè della deliberazione n. 231/00, recante "approvazione del piano particolare agiato zona D3 per interventi commerciali ed artigianali-comparto n. 59 del 1° p.p.a.".

Peraltro, riunitosi il Consiglio il 22.2.2001, la discussione sull'argomento per il quale ne era stata richiesta la convocazione ex art. 3 co. 2 cit., non è iniziata per effetto dell'approvazione da parte della maggioranza di una questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 48 reg. consiliare.

La norma regolamentare citata prescrive: "La questione pregiudiziale si ha quando viene richiesto che un argomento non sia discusso, precisandone i motivi. La questione pregiudiziale può essere proposta anche prima della votazione della deliberazione, proponendone il ritiro."

Nel caso in esame, dal verbale di trascrizione della seduta, allegato in atti, si ricava che, sul punto posto all'ordine del giorno dai quattordici consiglieri che avevano richiesto la convocazione del Consiglio, venticinque consiglieri hanno avanzato richiesta di approvazione di una questione pregiudiziale, motivata con il fatto che era intervenuto l'annullamento giudiziale proprio della delibera Comunale n. 231/2000 di cui si chiedeva il ritiro, ad opera delle sentenze nn. 402 e 403 di questo T.A.R. pubblicate il 13.2.2001.

Conviene il Collegio nel ritenere che, qualunque sia il sistema che conferisce il potere di convocazione di un'assemblea e di formazione del relativo ordine del giorno, appartiene ai poteri "sovrani" dell'assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell'ordine del giorno non debba essere discusso ("questione pregiudiziale"), ovvero se ne debba rinviare la discussione ("questione sospensiva").

E dovrebbe altresì ritenersi che tali poteri dell'assemblea siano dalla stessa sempre esercitagli, anche se non previsti in una fonte normativa, peraltro per lo più sussistente (es. art. 93 Regolamento del Senato 17.2.1971; art. 27 Decreto Consiglio Reg. Lazio 16.5.1973 n. 198; art. 48 cit. Reg. Cons. comunale di Lecce).

Che il potere di porre questioni pregiudiziali sia una prerogativa che trova fondamento nel carattere "sovrano" delle assemblee politiche e quindi tendenzialmente non limitato, lo dimostra che non è dato riscontrare alcuna definizione limitativa di "questione pregiudiziale", essendo descritto solo il suo effetto ("che un dato argomento non debba discutersi"), e che costituiscono eccezioni espressamente indicate dalle norme (eccezioni, peraltro, ben rare) i casi in cui le questioni pregiudiziali non sono ammesse (v. art. 93 n. 7 Reg. Senato).

Peraltro, per quanto riguarda l'ordinamento degli Enti locali, il potere del Consiglio Comunale di porre questioni pregiudiziali finalizza e a non avviare la discussione su un argomento posto all'ordine del giorno va necessariamente coordinato con il potere dei consiglieri ("della minoranza") di chieder la convocazione del Consiglio medesimo, riconosciuto e definito come "diritto" dal legislatore (artt. 43 e 39 secondo comma D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267).

Il Collegio ritiene di dover sottolineare che tale diritte di iniziativa è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell'ordine delle competenze mediante intervento sostitutorio del Prefetto in caso di mancata convocazione del consiglio comunale in un termine emblematicamente breve (venti giorni).

Il significato giuridicamente utile di tale procedura rafforzata di tutela va individuato nel fatto che l'ordinamento ritiene un valore essenziale del sistema democratico che alla minoranza sia assicurata effettività del diritto di iniziativa, e cioè del diritto di discussione in assemblea sull'argomento richiesto. Ove, così non fosse, grave ed evidente sarebbe la contraddizione fra tutela rafforzata del diritto di iniziativa e mancanza di limiti per la maggioranza di metterlo nel nulla con la proposizione di una qualunque questione pregiudiziale.

Piuttosto, a ben vedere, pare che l'ordinamento abbia voluto fare giusto bilanciamento fra due principi: da un lato, il principio maggioritario, a sua volta rafforzato nel sistema elettorale degli Enti locali, quanto al momento del decidere; dall'altro, il principio del valore della funzione della minoranza, espressa nel diritto di convocazione dell'assemblea per decidere su un argomento.

In tale quadro di principi, che necessariamente supera i contrasti contingenti, non assume rilevanza la accennata volontà di non dar spazio (o occasione di tribuna) per uso strumentale e politico della iniziativa della minoranza.

Ritiene, pertanto, il Collegio che il coordinamento fra diritto di iniziativa della minoranza e potere della maggioranza a porre questioni pregiudiziali, vada risolto nel senso che l'ordinamento dà prevalenza e garantisce comunque la effettività del primo, sia nel momento iniziale (convocazione del Consiglio), che nel suo ineliminabile aspetto funzionale (discussione).

Ne consegue, che ogni qual volta l'ordinamento precede e garantisce il diritto di iniziativa della minoranza mediante convocazione e all'assemblea, il potere della maggioranza di porre questioni pregiudiziali non può che essere inteso in senso congruente con il diritto di iniziativa. In tale situazione il Collegio ritiene che siano ammissibili solo quelle questioni pregiudiziali che impediscono la discussione dell'argomento posto all'ordine del giorno per ragioni interne e proprie della specifica procedura, con esclusione di questioni strumentalmente dirette a porre nel nulla la funzione del diritto di iniziativa.

Nella specie, all'esito della discussione e della successiva votazione, la pregiudiziale è stata approvata con 24 voti favorevoli, undici contrari e due astenuti, ed il Consiglio Comunale ha deliberato di non doversi procedere in relazione alla richiesta di ritiro della delibera n. 231/00, formulata dai consiglieri di minoranza, "invitando l'Amministrazione ad istruire una nuova delibera di approvazione definitiva in base ad atti il cui contenuto sia stato dichiarato certo ed incontrovertibile, da riportare in Consiglio Comunale".

Tale delibera, a parere del Collegio, va ben al di là di quanto consentito dall'art. 48 Reg. cit. in presenza di esercizio del diritto di iniziativa della minoranza, atteso che con essa la maggioranza, travisando la funzione della pregiudiziale, non si è limitata a precludere la discussione di un argomento posto all'ordine del giorno della singola seduta, ma attraverso il suo contenuto propositivo, ne ha inteso impedirne comunque la trattazione. In sostanza il Consiglio nell'invitare la Amministrazione ad istruire "una nuova delibera di riapprovazione del p.p." ha voluto nei fatti che venisse esclusa la possibilità di discussione, pure in una successiva seduta.

Tale comportamento, a parere del Collegio, costituisce sicuro indice di sviamento di potere, traducendosi in un evidente uso strumentale dell'istituto della pregiudiziale da parte della maggioranza dei consiglieri Comunali, al solo fine di impedire il legittimo esercizio dei diritti e delle prerogative della minoranza di ottenere la trattazione della questione da essi posta all'ordine del giorno. Il contenuto propositivo della delibera adottata rivela la pretestuosità delle ragioni poste a fondamento della pregiudiziale, in quanto, se la inibizione della discussione doveva essere effettivamente rapportata alla intervenuta pubblicazione delle sentenze di annullamento della delibera oggetto di discussione, la pregiudiziale avrebbe comportato semmai un differimento della trattazione dell'argomento, giustificato dalla esigenza di apprendere il contenuto delle pronunce giudiziali appena pubblicate.

Da ciò la illegittimità della deliberazione impugnata per violazione degli artt. 43 primo comma e 39 secondo D.Lgs. n. 267 del 2000 e per falsa applicazione dell'art. 48 Reg. Cons. cit.

Da ultimo va rigettata poiché infondate la richiesta di risarcimento del "danno morale" trattandosi di voce di danno noi patrimoniale risarcibile, ai sensi dell'art. 2059 c.c., nei soli casi previsti dalla leggi.

Quanto alle spese processuali, per la natura complessa delle questioni trattate, ricorrono giusti motivi per compensarle integralmente tra le parti processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Prima Sezione di Lecce, definitivamente decidendo sul ricorso emarginalo, accoglie il ricorso, per quanto di ragione, e per l'effetto annulla la delibera n. 13 adottata il 22.02.2001 dal Consiglio Comunale di Lecce; rigetta la domanda risarcitoria;

Dichiara inammissibile l'intervento della Co.di.r. s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t; ordina che la presente sentenza sia eseguita da l'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 26 giugno 2001.
Aldo Ravalli Presidente

Renata Emma Ianigro Estensore

Depositata il 25 luglio 2001.

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