TAR SICILIA-PALERMO, SEZ. I – Sentenza 4 novembre 2002 n. 3517 - Pres. Giallombardo, Est. Veneziano - Giannopolo e c.ti (Avv. Costa) c. Prefettura di Palermo ed altri (Avv. Stato Pollara) e Comune di Caltavuturo ed altri (n.c.) - (respinge).
1. Comune e Provincia - Consiglio comunale - Scioglimento - Per infiltrazioni mafiose o per condizionamenti della criminalità organizzata - Ex art. 143 del T.U. EE.LL. - Elementi indiziari da valutare - Individuazione.
2. Comune e Provincia - Consiglio comunale - Scioglimento - Per infiltrazioni mafiose o per condizionamenti della criminalità organizzata - Comporta l’esercizio di un potere latamente discrezionale - Sindacabilità in sede giurisdizionale - Limiti - Fattispecie relativa a comune nel quale erano state rilevate delle anomalie nel settore dei lavori pubblici.
1. Il potere di scioglimento dei Consigli comunali per infiltrazioni o comunque condizionamenti della criminalità organizzata, previsto dall’art. 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, comporta un apprezzamento discrezionale particolarmente ampio, che riguarda la valutazione degli "elementi su collegamenti diretti o indiretti . . . o su forme di condizionamento", con la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le frequentazioni, e ciò pur quando il valore indiziario dei dati raccolti non sia ancora sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (1).
2. Il provvedimento di scioglimento dei Consigli comunali per infiltrazioni della criminalità organizzata, previsto prima dall’art. 15 bis della legge n. 55 del 1990 ed ora dall’art. 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dalla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata, dall’altro, dalle precarie condizioni di funzionalità dell’Ente; tale provvedimento, comportando l’esercizio di una potestà discrezionale assai ampia, può essere sindacato in sede di legittimità soltanto in presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale (2).
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(1) Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585.
Dispone l’art. 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che il potere di scioglimento dei Consigli comunali è esercitato quando emergono elementi su collegamento diretti ed indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle Amministrazioni nonché il regolare funzionamento dei servizi ... ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
In proposito, il T.A.R. Sicilia ha fatto riferimento alla giurisprudenza amministrativa precedente (formatasi sull’analoga norma dell’art. 15 bis della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dall’art. 1 del D.L. 31 maggio 1991, convertito in legge 22 luglio 1991 n. 221), secondo cui il provvedimento di scioglimento, pur non potendosi qualificare "atto politico", non costituisce neppure misura a carattere sanzionatorio, tale da richiedere, anche ai fini di compatibilità col disegno costituzionale, il filtro dell’accertamento giurisdizionale, o comunque di una istruttoria amministrativa tipicizzata ex lege; ciò comporta, conseguentemente, il riconoscimento di un’ampia discrezionalità in ordine alla rilevazione e valutazione dei presupposti, anch’essi non tipicizzati ex lege con riferimento a specifici fatti o atti antigiuridici ma piuttosto espressi in termini di comportamenti complessivi e di situazioni oggettive tali da determinare il pericolo di gravi disfunzioni sia all'interno dell'Amministrazione locale, sia all’esterno, sul piano dell’ordine e della sicurezza (Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585 e 21 novembre 1994 n. 925).
Inoltre, la genericità del disposto normativo, che considera sufficiente la presenza di "elementi" non meglio specificati su "collegamenti" o "forme di condizionamento", indica che la norma considera sufficiente, per quanto attiene al "rapporto" fra gli amministratori e la criminalità organizzata, circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore di quelle che legittimano l’avvio dell’azione penale o l’adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli "indiziati" di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe (legge 3 maggio 1965 n. 575, e successive modificazioni).
Ne dà conferma il raffronto con l’art. 15 della stesa legge n. 55 del 1990, che, ricollegandosi invece ai modelli penalistici e di prevenzione, prevede la sospensione degli amministratori "sottoposti a procedimento penale per il delitto previsto dall’art. 416 bis del codice penale ovvero per i delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso" e degli amministratori nei cui confronti sia stata applicata "ancorchè con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all’art. 1 della legge 31 maggio 1965 n. 575" (C.S., Sez. V., 3 febbraio 2000 n. 585 e 23 giugno 1999 n. 713).
L’impiego di una terminologia più ampia e indeterminata ("elementi") rivela, appunto, l’intento del legislatore di riferirsi anche a situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo, ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percettibilità, in tempi brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità fra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare che l’Amministrazione dell’Ente locale sia permeabile all’influenza della criminalità organizzata.
(2) Alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto legittimo il provvedimento di scioglimento impugnato, dato che, come risultava dalle analitiche relazioni del Prefetto di Palermo e della Commissione di accesso, nonché dalle indagini svolte dagli organi investigativi, erano state rilevate delle anomalie nel delicato settore dei lavori pubblici e sussistevano elementi idonei a far ritenere che le aggiudicazioni disposte dall’amministrazione comunale potessero risultare condizionate da accordi tra imprenditori determinati nell’ambito delle attività di organizzazioni criminali di stampo mafioso.
PER L’ANNULLAMENTO
- del provvedimento del 31/8/2001 n.p. 2098/2001 /GAB/Sds, con il quale il Prefetto ha disposto nelle more dell’adozione da parte del Presidente della Repubblica del provvedimento di scioglimento degli organi comunali, la sospensione dei ricorrenti dalle rispettive funzioni di amministratori comunali;
- della proposta di scioglimento trasmessa al Ministro dell’Interno;
- della delibera del Consiglio dei Ministri conseguente;
- del decreto del Presidente della Repubblica dell’8/10/2001 con il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Caltavuturo per la durata di mesi 18 e la sua gestione affidata alla Commissione straordinaria composta dai sopra indicati controinteressati.
(omissis)
FATTO
Con ricorso notificato il 14.11.2001, e depositato il successivo 23.11., i ricorrenti – nelle qualità di Sindaco, componenti della Giunta, vice Presidente del Consiglio comunale e consiglieri comunali del Comune di Caltavuturo - hanno impugnato il decreto presidenziale ed i relativi atti sottostanti, con il quale sono stati prima sospesi e, quindi, sciolti per diciotto mesi gli organi comunali, sul presupposto dell’esistenza di forme di collegamento dirette ed indirette tra parte dei componenti del consiglio comunale e la criminalità organizzata, con conseguenti condizionamenti della libera determinazione degli amministratori.
Di tali provvedimenti i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione, e vinte le spese, per vizi di eccesso di potere, difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione di legge e dei principi generali, sul presupposto della mancanza di idonei ed univoci elementi che dimostrassero l’esistenza dei presupposti e delle situazioni di compromissione dell’amministrazione con ambienti mafiosi.
Acquisita copia della documentazione istruttoria in esecuzione dell’O.C.I. n. 430/2001, i ricorrenti hanno proposto ricorso per motivi aggiunti, con atto notificato il 12.02.2002, e depositato il successivo 21.02., con il quale hanno ulteriormente specificato le superiori censure con riferimento alla documentazione acquisita.
Per resistere alla impugnativa si è costituita in giudizio, per gli organi statali intimati, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, la quale con memoria nei termini ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.
Alla Camera di Consiglio del 6.02.2002 l’esame della domanda di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati è stato rinviato alla trattazione del "merito" dei ricorsi.
Con memoria depositata il 20.06.2002, i ricorrenti hanno ulteriormente insistito nei profili di censura dedotti.
Alla pubblica udienza del 5.07.2002, i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive domande, eccezioni e conclusioni, e chiesto porsi il ricorso in decisione.
D I R I T T O
Con il ricorso in esame viene impugnato –congiuntamente agli atti sottostanti- il D.P.R. dell’ 8.10.2001, con cui è stato disposto lo scioglimento, per la durata di diciotto mesi, degli organi ordinari del Comune di Caltavuturo, ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
Secondo la norma citata, il potere di scioglimento è esercitato quando emergono elementi su collegamento diretti ed indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle Amministrazioni nonché il regolare funzionamento dei servizi . . . ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
I ricorrenti, che agiscono nella veste di ex amministratori comunali, lamentano l’eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto dei presupposti ed erronea e generica prospettazione dei fatti, nella considerazione che i provvedimenti impugnati non solo non dimostrano in alcun modo con risultanze obiettive ed in concreto i rapporti degli amministratori con la criminalità organizzata, ma non dimostrano neppure l’ulteriore presupposto necessario del pregiudizio al buon andamento della cosa pubblica o alla sicurezza pubblica.
In proposito, è utile premettere che in ordine al decreto di scioglimento dei Consigli Comunali è stato osservato dalla giurisprudenza amministrativa (formatasi sull’analoga norma dell’art. 15 bis della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dall’art. 1 del D.L. 31 maggio 1991, convertito in legge 22 luglio 1991 n. 221), condivisa dal Collegio, che lo stesso, pur non potendosi qualificare "atto politico", non costituisce neppure misura a carattere sanzionatorio, tale da richiedere, anche ai fini di compatibilità col disegno costituzionale, il filtro dell’accertamento giurisdizionale, o comunque di una istruttoria amministrativa tipicizzata ex lege; ciò comporta, conseguentemente, il riconoscimento di un’ampia discrezionalità in ordine alla rilevazione e valutazione dei presupposti, anch’essi non tipicizzati ex lege con riferimento a specifici fatti o atti antigiuridici ma piuttosto espressi in termini di comportamenti complessivi e di situazioni oggettive tali da determinare il pericolo di gravi disfunzioni sia all'interno dell'Amministrazione locale, sia all’esterno, sul piano dell’ordine e della sicurezza (C.S., Sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585 e 21 novembre 1994 n. 925).
Inoltre, è stato rilevato che la genericità del disposto normativo, che considera sufficiente la presenza di "elementi" non meglio specificati su "collegamenti" o "forme di condizionamento", indica che la norma considera sufficiente, per quanto attiene al "rapporto" fra gli amministratori e la criminalità organizzata, circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore di quelle che legittimano l’avvio dell’azione penale o l’adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli "indiziati" di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe (legge 3 maggio 1965 n. 575, e successive modificazioni). Ne dà conferma il raffronto con l’art. 15 della stesa legge n. 55 del 1990, che, ricollegandosi invece ai modelli penalistici e di prevenzione, prevede la sospensione degli amministratori "sottoposti a procedimento penale per il delitto previsto dall’art. 416 bis del codice penale ovvero per i delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso" e degli amministratori nei cui confronti sia stata applicata "ancorchè con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all’art. 1 della legge 31 maggio 1965 n. 575" (C.S., Sez. V., 3 febbraio 2000 n. 585 e 23 giugno 1999 n. 713).
L’impiego di una terminologia più ampia e indeterminata ("elementi") rivela, appunto, l’intento del legislatore di riferirsi anche a situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo, ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percettibilità, in tempi brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità fra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare che l’Amministrazione dell’Ente locale sia permeabile all’influenza della criminalità organizzata.
Per queste ragioni lo scioglimento dell’organo elettivo rappresenta una "misura di carattere straordinario" per fronteggiare "una emergenza straordinaria", come ha sottolineato la Corte Costituzionale nell’escludere l’esistenza di profili incostituzionali nel citato art. 15 bis della legge n. 55/1990 (sent. 19 marzo 1993 n. 103).
Trovano, quindi, giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione nel valutare gli "elementi su collegamenti diretti o indiretti . . . o su forme di condizionamento", con la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le frequentazioni, e ciò, come già detto, pur quando il valore indiziario dei dati raccolti non sia ancora sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (C.S., Sez. V., 3 febbraio 2000 n. 585).
Egualmente ampio, secondo il modello legale posto dalla norma citata, risulta il margine per l’apprezzamento degli effetti derivanti dai "collegamenti" o dalle "forme di condizionamento" in termini di compromissione della "libera determinazione degli organi elettivi", del "buon andamento della Amministrazione " nonché del "regolare funzionamento dei servizi", ovvero in termini di "grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
Sotto questo profilo devono ritenersi idonee anche quelle situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l’avvio dell’azione penale o, almeno, per l’applicazione della misura di prevenzione a carico degli stessi amministratori, mentre la scelta del legislatore, giova ripeterlo, è stata quella di non subordinare lo scioglimento del Consiglio Comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità, differenziandosi la norma, sotto quest’ultimo profilo, dalla disciplina posta, in via ordinaria, dall’art. 39 della legge 8 giugno 1990 n. 142.
Inoltre, non va trascurato che lo scioglimento dell’organo elettivo ha natura anche di prevenzione e, al limite, pure di difesa degli stessi componenti, quando siano (o possano essere), loro malgrado, personalmente esposti a ricatti o condizionamenti, diretti e indiretti, da parte della criminalità mafiosa (T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, 13 gennaio 1999 n. 58).
Da quanto precede emerge, in conclusione, che lo scioglimento del Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 15 bis della legge n. 55 del 1990 rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dalla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata, dall’altro, dalle precarie condizioni di funzionalità dell’Ente.
Entro questi estremi, che offrono, una prima, se pure non esaustiva, indicazione della sussistenza dei presupposti giustificativi dell’intervento, la potestà discrezionale di cui dispone l’Amministrazione risulta assai ampia e l’atto nel quale trova concreta espressione può essere sindacato nel giudizio di legittimità, come è regola generale, soltanto in presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale.
Ciò premesso, la relazione del Ministro dell’Interno allegata al D.P.R. impugnato, che a sua volta si richiama alle analitiche relazioni del Prefetto di Palermo e della Commissione di accesso, nonché alle indagini svolte dagli organi investigativi (documenti prodotti nel fascicolo di causa), adduce a motivazione del provvedimento la esistenza di anomalie nel delicato settore dei lavori pubblici, per i quali sussistevano elementi idonei a far ritenere che le aggiudicazioni disposte dall’amministrazione comunale potessero risultare condizionate da accordi tra imprenditori determinati nell’ambito delle attività di organizzazioni criminali di stampo mafioso.
Tutto ciò emergerebbe, in particolare, dalla vicenda relativa all’affidamento dei lavori per la realizzazione della "rete idrica interna" del Comune, ma risulta in qualche modo confermato sia dai rapporti di alcuni amministratori con soggetti sospettati di far parte di organizzazioni ed ambienti mafiosi, sia dal riscontro di ulteriori irregolarità nello svolgimento di ulteriori lavori pubblici, di minore rilievo economico.
Dall’esame dei predetti atti emerge, quindi, che il procedimento logico seguito è in linea di principio conforme alla fattispecie normativa, essendosi posti in evidenza: a) il contesto ambientale permeato dalla presenza nell’area geografico madonita della criminalità organizzata; b) gli episodi che sono sintomatici di un interesse illecito verso i lavori pubblici realizzati dall’Ente; c) le carenze di carattere funzionale ai fini della prevenzione dei fenomeni riscontrati; d) gli "elementi" dai quali emergono i "collegamenti diretti o indiretti" di amministratori e dipendenti comunali con la criminalità organizzata.
Ora, in ordine alle dette circostanze i ricorrenti deducono ed illustrano le attività promosse e poste in essere - nell’ambito di una azione politico-amministrativa dichiaratamente improntata alla legalità ed alla lotta ai fenomeni mafiosi – senza, però, riuscire a dimostrare l’inesistenza, o l’inconsistenza, dei fenomeni riscontrati dagli organi ispettivi e d’indagine.
Egualmente, con il ricorso per motivi aggiunti, cercano di evidenziare elementi di pretesa contraddittorietà interna agli accertamenti istruttori posti in essere dall’amministrazione, al fine di inficiarne il giudizio complessivo.
Al contrario, ritiene il Collegio che – indipendentemente dall’attività e dall’impegno prestati dall’ex Sindaco in altra sede proprio per contrastare l’ingerenza mafiosa sugli appalti pubblici - gli elementi raccolti dall’Amministrazione siano sufficienti per fare ragionevolmente affermare l’esistenza, nella situazione locale, di quel complesso di relazioni e di influenze tra amministrazione ed ambienti imprenditoriali – mafiosi che i provvedimenti impugnati intendono spezzare.
In conclusione, deve ritenersi che le contestazioni dei ricorrenti non incidono né sulla attendibilità complessiva degli elementi che, a giudizio dell’Amministrazione, denotano l’esistenza di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata né sulla logicità dell’apprezzamento in ordine alle conseguenze negative che ne deriverebbero in termini sia di compromissione della libera determinazione dell’organo elettivo sia di pregiudizio del buon andamento dell’amministrazione e del funzionamento dei servizi.
Un esame più penetrante verrebbe ad investire il merito delle valutazioni sulle quali poggia l’impugnato decreto di scioglimento e, come tale, non è consentito nel giudizio di legittimità.
Né assume alcun rilievo decisivo la circostanza che uno dei componenti della Commissione ispettiva abbia ritenuto di differenziare la propria posizione da quella degli altri componenti, risultando fisiologica l’eventuale formazione di opinioni minoritarie, difformi, nell’ambito di un organo collegiale.
Per le suesposte considerazioni il ricorso è infondato e va, quindi, respinto.
Sussistono, tuttavia, sufficienti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione Prima, respinge il ricorso in epigrafe indicato.
Spese compensate.-
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Amministrazione.
Così deciso in Palermo, in Camera di Consiglio, addì, 5 luglio 2002, con l’intervento dei Sig. Magistrati:
- Giorgio Giallombardo, Presidente
- Salvatore Veneziano, Consigliere-est.
- Alessandro Tomassetti, Referendario.
Laura Malerba, Segretario.
Depositata in Segreteria il 4.11.2002.