TAR TOSCANA, SEZ. II – Sentenza 6 giugno 2001 n. 716
– Pres. Corasaniti, Est. Politi – Morello (Avv.ti G. Tilli e S. Ceni) c. Comune di Castiglione della Pescaia (Avv.ti D. Falagiani e P. Golini).1. Giustizia amministrativa – Risarcimento del danno – Derivante da lesione di interessi legittimi – Presupposti per il riconoscimento – Individuazione.
2. Giustizia amministrativa – Risarcimento del danno – Derivante da lesione di interessi legittimi – Presupposto della colpa grave o del dolo – Dimostrazione – Necessità.
3. Contratti della P.A. – Aggiudicazione – Annullamento in s.g. – Conseguenze – Nel caso di esecuzione dell'appalto limitata al periodo di residua validità temporale del rapporto – Risarcimento del danno relativo al periodo precedente – Va riconosciuto.
4. Giustizia amministrativa – Risarcimento del danno – Derivante da lesione di interessi legittimi – Determinazione del danno – Ricorso alle modalità previste dall’art. 35, 2 comma, D.L.vo n. 80 del 1998 – Presupposti.
5. Giustizia amministrativa – Risarcimento del danno – Derivante da lesione di interessi legittimi – Determinazione del danno – Ricorso a criteri di quantificazione forfetaria – Possibilità.
6. Contratti della P.A. – Aggiudicazione – Annullamento in s.g. – Conseguenze – Risarcimento del danno – Quantificazione – Ricorso al criterio di cui all’art. 345 della l. 20 marzo 1865 n. 2248, All. F (10% dell’importo dell’offerta presentata) – Possibilità.
1. Ai fini dell'ammissibilità dell'azione per risarcimento dei danni davanti al giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 34 e 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, l'accertamento dell'illegittimità dell'atto adottato dall'Amministrazione, da cui dipenda la lesione dell'interesse legittimo, è presupposto necessario, ma non sufficiente, per la configurazione di una responsabilità (soprattutto nei casi in cui sia accertata la presenza di un vizio di eccesso di potere che, rispetto a quelli di violazione di legge e di incompetenza, si atteggia in modo più accentuato a mero elemento sintomatico di un comportamento illecito), essendo altresì necessaria: a) la prova dell'esistenza di un danno, che deve essere fornita dall'interessato; b)
la verifica successiva della consistenza della protezione che l'ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del richiedente; c) l'accertamento del nesso di causalità diretta e immediata tra l'evento dannoso e l'atto o il comportamento ascrivibile all'Amministrazione a titolo di colpa o di dolo (1).2. Indipendentemente dalla qualificazione giuridica della posizione soggettiva fatta valere, la risarcibilità del danno a titolo di responsabilità precontrattuale – così come la tutela aquiliana delle posizioni soggettive riconosciute dall'ordinamento – richiede necessariamente la previa individuazione di una responsabilità, a titolo quanto meno colposo, in capo alla Pubblica Amministrazione (2), non sussistendo in materia ipotesi di "responsabilità oggettiva", che nell’ordinamento sono presenti esclusivamente sulla base di disposizioni di stretta interpretazione, insuscettibili di interpretazione analogica.
3. Nel caso in cui, a seguito dell’annullamento di una aggiudicazione, la posizione pretensiva dalla parte ricorrente vantata abbia trovato solo parziale soddisfacimento attraverso una forma di «reintegrazione in forma specifica» (esecuzione dell'appalto limitata al periodo di residua validità temporale del rapporto), l'entità del danno riconoscibile mediante liquidazione di una somma a titolo di equivalente monetario va delimitata con riferimento al pregiudizio economico cagionato dal ritardo nel conseguimento dell'appalto, avuto riguardo agli effetti eventualmente determinati nella misura degli utili conseguibili, nonché con riguardo alle eventuali maggiori spese di gestione cui la parte ricorrente sia andata incontro.
4. Le modalità di determinazione del danno previste dal II comma dell’art. 35 D.vo n. 80/1998 possono essere utilizzate nel caso in cui non emergano dagli atti di causa elementi ex se sufficienti a determinare il quantum del pregiudizio sofferto per effetto dell’azione della Pubblica Amministrazione, quantum che è suscettibile di precisazione (laddove dagli atti di causa non emergano univoci e convincenti elementi di giudizio) mediante il ricorso ad una consulenza tecnica d'ufficio, esplicitamente previsto dal III comma dell'art. 35 citato.
5. Il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio, ovvero l’immediata declaratoria dell'obbligo dell'Amministrazione di proporre all'impresa - entro un determinato termine - il pagamento di una somma di danaro (ai sensi del II comma dell’art. 35 del citato D.Lgs. 80/98), non impediscono in linea di principio al G.A. di far ricorso a criteri di determinazione presuntiva del quantum dovuto a titolo risarcitorio, atteso che il Giudice stesso ben può esercitare, laddove il danno si dimostri insuscettibile di precisazione nel suo preciso ammontare, i poteri di determinazione equitativa del pregiudizio ai sensi dell'art. 1226 c.c.
6. La quantificazione del danno derivante dalla mancata aggiudicazione di una procedura d'appalto può essere effettuata ai sensi dell'art. 345 della l. 20 marzo 1865 n. 2248, All. F, il quale prevede un criterio di "forfettizzazione" del danno stesso; a tal fine, applicando analogicamente quest’ultima norma, che è da ritenere espressiva del criterio generale di quantificazione del margine di profitto nei contratti con la Pubblica Amministrazione, l'utile economico che sarebbe derivato all'impresa dall'esecuzione dei lavori può essere determinato - in assenza di diversi riscontri fattuali - nella misura media del 10% dell'ammontare a base d'asta (come fissata dall'offerta presentata dall'appaltatore medesimo) (3).
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(1) Cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 23 novembre 1999 n. 2838.
(2) Cfr., in termini, T.A.R. Veneto, sez. II, 28 marzo 2000 n. 861; T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 14 aprile 2000 n. 3065.
(3) Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 4 aprile 2000 n. 1401; per analoghe conclusioni in merito alla commisurazione al 10% dell'"utile presunto, v. anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 dicembre 1999 n. 5049.
Nella motivazione della sentenza in rassegna si ricorda che, ancor prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 80 del 1998, le giurisprudenza civile (all'epoca investita della cognizione dei profili risarcitori rivenienti dall'esecuzione dei contratti della Pubblica Amministrazione), aveva ritenuto, in particolare, che l'art. 345 della citata l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, nello stabilire la percentuale del residuo corrispettivo dovuta all'impresa appaltatrice per il caso di esercizio da parte del committente della facoltà di recesso, avesse valenza regolatrice dei crediti pecuniari derivanti da detto atto legittimo dell'Amministrazione; nella diversa ipotesi della responsabilità risarcitoria dell'Amministrazione medesima per inadempimento, potendo essere - comunque - utilizzato quale parametro per la determinazione del lucro cessante dall'appaltatore, (pur non incidendo sulla natura di credito di valore del corrispondente diritto del danneggiato, implicante la computabilità, in sede di liquidazione, del sopravvenuto deprezzamento della moneta: cfr. Corte Cass., I sez. civ., 1° febbraio 1995 n. 1114).
FATTO
Espone preliminarmente il ricorrente di aver preso parte – in qualità di titolare e legale rappresentante della ditta individuale "La Netturbania" alla gara di appalto per l’affidamento dei servizi di nettezza urbana del Comune di Castiglione della Pescaia, conclusasi (come da deliberazione di Giunta comunale n. 972 del 19 agosto 1992) con aggiudicazione in favore della s.r.l. Rauton.
La deliberazione da ultimo citata veniva dall’odierno ricorrente impugnata dinanzi a questo Tribunale; il quale (pronunzia della I Sezione n. 512 del 23 gennaio 1996, passata poi in giudicato) annullava la determinazione onde trattasi in ragione della mancata esclusione dalla gara de qua dell’aggiudicataria Rauton.
In esecuzione della decisione anzidetta, l’Amministrazione comunale intimata provvedeva ad affidare il servizio – per il residuo periodo di validità - alla ditta della quale il ricorrente è rappresentante, graduatasi al secondo posto in esito allo svolgimento della gara di cui sopra.
Il Comune di Castiglione della Pescaia ometteva peraltro di risarcire alla parte ricorrente il pregiudizio dalla medesima risentito per effetto dell’esecuzione dell’atto deliberativo di cui sopra (e, conseguentemente, con riferimento alla mancata aggiudicazione alla Netturbania del servizio per l’intero periodo di validità).
In proposito, il danno asseritamente patito viene dalla parte quantificato – in ragione di un importo annuo per i lavori a base d’asta pari a lire 300.000.000 – in lire 570.684.258; mentre i maggiori oneri finanziari, al netto dell’interesse legale e della svalutazione monetaria, ammonterebbero a lire 28.534.212.
Viene pertanto chiesta – conclusivamente insistendosi per l’accoglimento del proposto gravame - la condanna della resistente Amministrazione comunale al pagamento – a titolo di risarcimento del danno - di una somma complessivamente ragguagliata a lire 599.218.470.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.
Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 10 aprile 2001.
DIRITTO
Il ricorso è nel merito fondato, anche se la domanda risarcitoria, per come proposta con il presente mezzo di tutela, non si rivela suscettibile di integrale accoglimento.
1. Giusta quanto illustrato in narrativa, questo Tribunale (cfr. sent. sez. I, 23 gennaio 1996 n. 512) ha già avuto modo di pronunziarsi sull'illegittimità dell'aggiudicazione disposta dall'intimata Amministrazione comunale di Castiglione della Pescaia relativamente alla gara per l'appalto dei servizi di nettezza urbana in varie zone del territorio comunale, per un periodo di anni cinque.
La stessa Amministrazione, successivamente all'adozione della citata pronunzia, ammetteva la parte ricorrente allo svolgimento - con decorrenza dal 25 ottobre 1996 e per il periodo residuo di operatività dell'arco temporale suddetto - del servizio dedotto in appalto.
Incontroverso il diritto all'aggiudicazione della procedura di selezione, invoca ora parte ricorrente il ristoro del pregiudizio risentito per effetto della mancata originaria aggiudicazione: sollecitando presso l'adito Giudice amministrativo (dopo aver ripetutamente, quanto inutilmente, sollecitato il resistente Comune) l'adozione di una pronunzia di condanna al risarcimento del danno per equivalente monetario in ragione dei mancati introiti conseguenti all'inesecuzione, nell'integrità dell'arco temporale di durata del servizio (e, quindi, per il periodo intercorrente fra l'11 ottobre 1992 ed il 25 ottobre 1996), dell'appalto onde trattasi.
2. Quanto sopra doverosamente precisato, è appena il caso di rammentare come con il Decreto Legislativo 31 marzo 1998 n. 80 sia stata attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo, nelle materie ivi contemplate, la cognizione delle controversie aventi ad oggetto la risarcibilità del danno cagionato dalla Pubblica Amministrazione (sia mediante ristoro per "equivalente" monetario dell'utilità perseguita, che a mezzo di "risarcimento in forma specifica").
2.1 Si tratta, in particolare, della disposizione contenuta nel I comma dell’art. 35, in base alla quale "il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto".
Nel dare atto del venir meno, ai fini risarcitori, della distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi e dell'unitaria concentrazione della cognizione giurisdizionale nelle materie analiticamente disciplinate dal D.Lgs. 80 (con le modifiche ad esso introdotte dalla sopravvenuta normativa di cui alla l. 21 luglio 2000 n. 205), non può essere pretermessa la doverosa considerazione che va in subiecta materia riservata ai principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota pronunzia 22 luglio 1999 n. 500.
Se con la decisione onde trattasi - attraverso un deciso revirement giurisprudenziale - è stato finalmente posto il fondamento per un deciso superamento del dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi (peraltro in precedenza costantemente teorizzato dalla stessa Corte), deve osservarsi come le Sezioni Unite abbiano fissato talune coordinate di riferimento, così puntualizzabili:
· in primo luogo, quanto all'ambito di applicazione della generale disciplina risarcitoria ex art. 2043 c.c., è stato affermato che "risulta netta la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia "ingiusto", mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all'imputabilità della responsabilità";
· conseguentemente sostenendosi la risarcibilità del "danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione … che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento".
Se per la Corte "quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori" (dovendosi piuttosto procedere ad una "selezione degli interessi giuridicamente rilevanti"), nondimeno "la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla".
Prosegue poi la pronunzia in rassegna esplicitando il principio secondo il quale:
· unitamente all'accertamento della sussistenza di un evento lesivo, alla verifica della qualificabilità come "danno ingiusto" dell'accertato pregiudizio, alla riferibilità di esso ad una condotta (positiva od omissiva) della P.A.,
· è rimessa al giudice competente anche la cognizione in ordine alla imputabilità dell'evento dannoso stesso "a dolo o colpa della P.A.": e ciò in quanto "la colpa (unitamente al dolo)" costituisce "componente essenziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c", non essendo invocabile "il principio secondo il quale la colpa sarebbe in re ipsa".
Se nell'ambito della predetta sentenza n. 500/99 viene sostenuto che "l'imputazione non potrà … avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il giudice … dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa … della P.A. intesa come apparato … che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione o l'esecuzione dell'atto illegittimo … sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi", l'indagine con il proposto gravame rimessa all'adito giudice amministrativo non potrà prescindere dalla concreta individuabilità, quanto alla dedotta fattispecie, del necessario profilo di responsabilità ascrivibile alla resistente Azienda ai fini della giuridica imputabilità del pregiudizio risentito dalla parte ricorrente per effetto dell'illegittimità dell'aggiudicazione della gara in esame.
Intende infatti il Collegio ribadire le linee-guida - precedentemente riportate - tracciate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (e riaffermate anche dalla giurisprudenza amministrativa: cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 23 novembre 1999 n. 2838), sottolineando come, ai fini dell'ammissibilità dell'azione per risarcimento dei danni davanti al giudice amministrativo (ai sensi degli artt. 34 e 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80), l'accertamento dell'illegittimità dell'atto adottato dall'Amministrazione, da cui dipenda la lesione dell'interesse legittimo, è presupposto necessario, ma non sufficiente, per la configurazione di una responsabilità (soprattutto nei casi in cui sia accertata la presenza di un vizio di eccesso di potere che, rispetto a quelli di violazione di legge e di incompetenza, si atteggia in modo più accentuato a mero elemento sintomatico di un comportamento illecito), costituendo ulteriori passaggi necessari e progressivi:
· la prova dell'esistenza di un danno, che deve essere fornita dall'interessato;
· la verifica successiva della consistenza della protezione che l'ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del richiedente;
· l'accertamento del nesso di causalità diretta e immediata tra l'evento dannoso e l'atto o il comportamento ascrivibile all'Amministrazione a titolo di colpa o di dolo.
Deve quindi conclusivamente – quanto sinteticamente – affermarsi che:
· indipendentemente dalla qualificazione giuridica della posizione soggettiva fatta valere, la risarcibilità del danno a titolo di responsabilità precontrattuale – così come la tutela aquiliana delle posizioni soggettive riconosciute dall'ordinamento – transita necessariamente attraverso la previa individuazione di una responsabilità, a titolo quanto meno colposo, in capo alla Pubblica Amministrazione (cfr., in termini, T.A.R. Veneto, sez. II, 28 marzo 2000 n. 861; T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 14 aprile 2000 n. 3065);
· non sussistendo margini per l’evocabilità di ipotesi di "responsabilità oggettiva", nell’ordinamento presenti esclusivamente sulla base di disposizioni di stretta interpretazione, insuscettibili di estensive operazioni ermenenutiche.
2.2 Nel caso di specie non sussistono, invero, dubbi in ordine al nesso di causalità tra fatto determinato dall'Amministrazione (illegittimità della mancata aggiudicazione della gara in favore della ricorrente) e verificarsi di una ragione di pregiudizio in capo alla ditta individuale odierna ricorrente.
Né sorgono perplessità in ordine al carattere di ingiustizia che qualifica il pregiudizio dalla parte risentito a causa del ritardo con cui quest'ultima ha visto riconosciuto il suo diritto all'aggiudicazione, nonché in ordine all'imputabilità del ritardo medesimo alla resistente Amministrazione comunale di Castiglione della Pescaia titolo di colpa.
Non può infatti ignorarsi, secondo pacifica giurisprudenza, che la responsabilità per colpa si rapporta alla volontà dell'agente in modo negativo, nel senso che egli risponde per non aver improntato la propria condotta all'uso di quelle cure e cautele che ciascuno è tenuto ad adottare negli ordinari rapporti della vita, anche senza la volontà di arrecare danno ad altri.
In presenza dei suddetti elementi, va quindi riconosciuta l'esistenza di un danno ingiusto che la ricorrente ha diritto a vedere risarcito; in proposito dovendosi rilevare che, in presenza (ed a seguito) dell'annullamento giudiziale dell'aggiudicazione dell'appalto di che trattasi, la posizione giuridica pretensiva dalla parte ricorrente vantata ha trovato solo parziale soddisfacimento attraverso una forma di «reintegrazione in forma specifica» (esecuzione dell'appalto limitata al periodo di residua validità temporale del rapporto, avente decorrenza, come precedentemente sottolineato, dal 25 ottobre 1996).
Per le esposte ragioni, l'entità del danno riconoscibile mediante liquidazione di una somma a titolo di equivalente monetario va delimitata con riferimento al pregiudizio economico cagionato dal ritardo nel conseguimento dell'appalto (e, quindi, limitatamente al periodo compreso fra la data dell'originaria aggiudicazione - 11 ottobre 1992 - ed il verbale di consegna dell'appalto nei confronti della ricorrente Netturbania, avente data 25 ottobre 1996), avuto riguardo agli effetti eventualmente determinati nella misura degli utili conseguibili, nonché con riguardo alle eventuali maggiori spese di gestione cui la parte ricorrente sia andata incontro.
3. Come sopra puntualizzati gli estremi di accoglibilità della formulata domanda risarcitoria, viene ora in considerazione la problematica relativa alla concreta commisurazione del pregiudizio dalla parte ricorrente risentito per effetto della mancata aggiudicazione, al fine di pervenire ad una compiuta quantificazione della somma riconoscibile alla Netturbania a titolo di risarcimento per equivalente monetario.
3.1 Giova premettere alla relativa indagine un breve riferimento all'estensione dei poteri cognitori al competente Giudice amministrativo in materia riconosciuti dalle pertinenti disposizioni di cui al D. Lgs. 80 del 1998.
Va innanzi tutto osservato come le disposizioni legislative introdotte dal richiamato D.Lgs. 80/98 abbiano significativamente diversificato il percorso che assiste la pronunzia che sancisca il (diritto al) risarcimento "in forma specifica" rispetto alla decisione (di condanna) con la quale venga, invece, disposta la conversione dell’utilità rimasta insoddisfatta in un "equivalente pecuniario".
Il II comma dell’art. 35 precedentemente citato ha infatti stabilito che, "nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine"; ulteriormente precisando che, "se le parti non giungono ad un accordo, col ricorso previsto dall'articolo 27, primo comma, n. 4, del testo unico approvato col regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta".
Se, quanto alla (pur) prevista reintegrabilità "in forma specifica" del sofferto pregiudizio non vengono normativamente dettagliate le modalità per giungere al dictum (che, quindi, potrebbe direttamente intervenire con la sentenza che chiude il processo di cognizione), al contrario la quantificazione del risarcimento del danno (per equivalente) potrebbe rivelarsi suscettibile di un percorso diversamente articolato.
In argomento, deve rilevarsi che le modalità procedimentali delineate dal II comma dell’art. 35, lungi dal rappresentare uno snodo indefettibile per giungere alla conclusiva pronunzia di condanna al risarcimento per equivalente, piuttosto integrano la presenza di un’opzionale percorso che l’adito giudice può intraprendere nel caso in cui non emergano dagli atti di causa elementi ex se sufficienti a determinare il quantum del pregiudizio sofferto per effetto dell’azione della Pubblica Amministrazione (e, quindi, l’utilità monetaria nella quale sia concretamente "convertibile" il danno ingiusto patito dal soggetto che ne lamenti, fondatamente, il venire ad esistenza in conseguenza dell’operare di un pubblico soggetto).
Ben è consapevole il Collegio come la concreta quantificazione del pregiudizio sofferto sia - in linea di principio - suscettibile di precisazione (laddove dagli atti di causa non emergano univoci e convincenti elementi di giudizio) mediante ricorso a consulenza tecnica d'ufficio, esplicitamente previsto dal III comma dell'art. 35 in precedenza citato.
E, d'altro canto, non può non rammentarsi come la giurisprudenza abbia - segnatamente per quanto concerne la commisurazione del pregiudizio riveniente dalla mancata aggiudicazione di una procedura d'appalto - ravvisato nella disposizione di cui all'art. 345 della l. 20 marzo 1865 n. 2248, All. F, un criterio di "forfettizzazione" del danno; ritenendosi che, ai fini del risarcimento per equivalente del danno subito dall'appaltatore di un'opera pubblica, l'utile economico che sarebbe derivato all'impresa dall'esecuzione dei lavori possa essere determinato - in assenza di diversi riscontri fattuali - nella misura media del 10% dell'ammontare a base d'asta (come fissata dall'offerta presentata dall'appaltatore medesimo), assumendosi come valore referenziale la disposizione da ultimo citata, comunemente recepita come espressiva del criterio generale di quantificazione del margine di profitto nei contratti con la Pubblica Amministrazione (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 4 aprile 2000 n. 1401; e, per analoghe conclusioni in merito alla commisurazione al 10% dell'"utile presunto, anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 dicembre 1999 n. 5049).
Siffatto orientamento, ancor prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 80 del 1998, era invero maturato anche nell'ambito della giurisprudenza civile (all'epoca investita della cognizione dei profili risarcitori rivenienti dall'esecuzione dei contratti della Pubblica Amministrazione): ritenendosi, in particolare, che l'art. 345 della citata l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, nello stabilire la percentuale del residuo corrispettivo dovuta all'impresa appaltatrice per il caso di esercizio da parte del committente della facoltà di recesso, avesse valenza regolatrice dei crediti pecuniari derivanti da detto atto legittimo dell'Amministrazione; nella diversa ipotesi della responsabilità risarcitoria dell'Amministrazione medesima per inadempimento, potendo essere - comunque - utilizzato quale parametro per la determinazione del lucro cessante dall'appaltatore, (pur non incidendo sulla natura di credito di valore del corrispondente diritto del danneggiato, implicante la computabilità, in sede di liquidazione, del sopravvenuto deprezzamento della moneta: cfr. Corte Cass., I sez. civ., 1° febbraio 1995 n. 1114).
Ritiene il Collegio che, quanto al caso di specie, possa venire appunto in considerazione l’applicazione del criterio sostanziato dal ricorso alla disposizione di cui al citato art. 345 della l. 2248/1865.
E' ben vero che siffatta norma concerne, specificamente, la "facoltà", riservata all'Amministrazione, di "risolvere in qualunque tempo il contratto, mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importare delle opere non eseguite".
Ma è altrettanto vero che il criterio del quale sopra è cenno ben può operare, come condivisibilmente sostenuto dai riportati orientamenti giurisprudenziali, quale elemento-guida al fine di determinare il pregiudizio - comunque - suscettibile di ristoro in relazione al mancato guadagno (lucrum cessans) risentito da un soggetto in relazione al precluso svolgimento di un servizio da prestare nei confronti di una Pubblica Amministrazione.
In tal senso, se lo strumentario offerto al Giudice amministrativo consente – ai fini di che trattasi - il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio, ovvero l’immediata declaratoria dell'obbligo dell'Amministrazione di proporre all'impresa - entro un determinato termine - il pagamento di una somma di danaro (cfr., quanto all’applicabilità in subiecta materia delle disposizioni di cui al II comma dell’art. 35 del citato D.Lgs. 80/98, T.A.R. Abruzzo, Pescara, 23 settembre 1999 n. 750), non è tuttavia esclusa in linea di principio la ricorribilità a criteri di determinazione presuntiva del quantum dovuto a titolo risarcitorio (atteso che il Giudice adito ben può esercitare, laddove il danno si dimostri insuscettibile di precisazione nel suo preciso ammontare, i poteri di determinazione equitativa del pregiudizio ai sensi dell'art. 1226 c.c.).
E, in tal senso, il criterio precedentemente illustrato – che trova fondamento, come osservato, nella disposizione di cui all’art. 345 della l. 2248/1865 – appare al Collegio idoneo a rappresentare, anche alla luce dell’illustrato principio di determinazione equitativa del pregiudizio, un valido fondamento determinativo della somma da riconoscere a titolo di risarcimento del danno.
3.2 La conclusione ora illustrata - che rappresenta, ad avviso del Collegio, la preferenziale linea di soluzione al fine di pervenire ad una soddisfacente precisazione del quantum dovuto alla ditta ricorrente a titolo di risarcimento per equivalente pecuniario - consegue anche alla rilevabile inadeguatezza della prospettazione di parte segnatamente per quanto concerne i criteri seguiti per la commisurazione del pregiudizio economico sofferto in conseguenza della mancata aggiudicazione.
Non si ha infatti modo di rilevare - né dal contesto dell'atto introduttivo del presente giudizio, né dalla prodotta perizia tecnico-estimativa (la quale, come è noto, ha valore di semplice allegazione defensionale di carattere tecnico, non integrante la presenza di un mezzo legale di prova: cfr., fra le numerose decisioni in tal senso, Corte Cass., 10 ottobre 1959 n. 2760 e 9 novembre 1960 n. 2980) - l'emersione di certi ed univoci elementi di rappresentazione del pregiudizio dalla parte ricorrente risentito in ragione della mancata (originaria) aggiudicazione dell'appalto de quo.
Risulta infatti dalla produzione di parte rappresentato un complessivo pregiudizio che, lungi dal risultare conseguente al mancato utile (lucrum cessans) dalla ditta a tale titolo risentito, eventualmente implementato dagli oneri inutilmente sostenuti (damnum emergens), piuttosto emerge da una determinazione della "mancata redditività" operata sulla base del prodotto dei "ricavi non conseguiti" (pari, per ciascun anno, al corrispettivo dalla normativa di gara fissato per lo svolgimento del servizio: lire 267.000.000) per la "funzione lineare della redditività marginale" (il cui risultato conduce la parte stessa a quantificare, per ciascun anno di mancato svolgimento dell'appalto, il danno del quale viene invocato il ristoro nella somma di lire 149.573.400).
L'opinabilità del criterio come sopra illustrato non consente al Collegio di apprezzarne l'univoca concludenza ai fini di che trattasi; per l'effetto ritenendosi di ribadire quanto precedentemente argomentato circa l'esigenza di pervenire ad una quantificazione del danno onde trattasi mediante determinazione della misura degli utili dalla Società ricorrente conseguibili in ragione dello svolgimento del servizio per l’intero periodo considerato dal bando di gara, la cui concreta commisurazione andrà operata con riferimento al 10% dell'importo dell’appalto stabilito a base d'asta.
Va, a tale riguardo, preliminarmente rammentato come l’arco temporale durante il quale la ricorrente Netturbania, in ragione dell’illegittima aggiudicazione dell’appalto, operata dall’Amministrazione nei confronti di altra azienda, non ha potuto svolgere il servizio di che trattasi risulta compreso fra la data dell'originaria aggiudicazione - 11 ottobre 1992 - ed il 24 ottobre 1996 (in data 25 ottobre 1996 essendo intervenuto il verbale di consegna dell'appalto nei confronti della ricorrente stessa).
Ed allora il computo dell’utile conseguibile nel periodo come sopra indicato – avuto riguardo all’indicazione in lire 267.000.000 dell’importo dell’appalto a base d’asta, come fissato dall'offerta presentata dalla ditta ricorrente -- si ragguaglierà:
per l’anno 1992 (82 giorni dall’11 ottobre al 31 dicembre): lire 5.998.356 (10% di 267.000.000 : 365 x 82)
per l’anno 1993 (intero esercizio): lire 26.700.000 (10% di lire 267.000.000)
per l’anno 1994 (intero esercizio): lire 26.700.000 (10% di lire 267.000.000)
per l’anno 1995 (intero esercizio): lire 26.700.000 (10% di lire 267.000.000)
per l’anno 1996 (298 giorni, dal 1° gennaio al 24 ottobre): lire 21.798.904 (10% di 267.000.000 : 365 x 298)
per un complessivo ammontare di lire 107.897.260.
4. Come sopra quantificata, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria proposta con il presente gravame dalla parte ricorrente, l’ammontare della somma alla medesima spettante a titolo di risarcimento del danno risentito per effetto della mancata aggiudicazione dell’appalto in questione, determina conclusivamente il Collegio di porre le spese di lite a carico della soccombente Amministrazione comunale di Castiglione della Pescaia, giusta la liquidazione di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana - Sezione II - accoglie, nei limiti di cui in motivazione e per quanto di ragione, il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, condanna la resistente Amministrazione comunale di Castiglione della Pescaia, nella persona del Sindaco p.t., al pagamento - a titolo di risarcimento del danno prodotto nei confronti del ricorrente Morello Vincenzo, in qualità di responsabile dell'impresa individuale "Netturbania", dal ritardo nell'affidamento dell'appalto per lo svolgimento dei servizi di nettezza urbana - della somma specificata in motivazione.
Condanna il Comune di Castiglione della Pescaia, nella persona del Sindaco p.t., al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente per complessive lire 2.000.000 (due milioni).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze, nella Camera di Consiglio del 10 aprile 2001, con l’intervento dei signori giudici
Dr. Saverio CORASANITI - Presidente
Dr.ssa Angela RADESI - Consigliere
Dr. Roberto POLITI - Consigliere, estensore
F.to Saverio Corasaniti
F.to Roberto Politi, estensore
F.to Silvana Nannucci - Collaboratore di Cancelleria
Depositata in Segreteria il 6 giugno 2001
Firenze, lì 6 giugno 2001