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n. 3-2003 - © copyright.

TAR UMBRIA - Sentenza 21 marzo 2003 n. 192 - Pres. Lignani, Est. Cardoni - Lorusso (Avv. Rampini) c. Università degli Studi di Perugia (Avv.ra Stato) - (rigetta il ricorso).

Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante da lesione di interessi legittimi - Provvedimento di soppressione di istituto universitario e di omessa assegnazione a struttura dipartimentale - Non sottoposto a gravame e divenuto inoppugnabile - Danno prodotto da tale provvedimento - Non è da ritenere ingiusto ex art. 2043 c.c. - Ragioni - Fattispecie.

La disattivazione di un istituto diretto da un professore universitario e l’omessa assegnazione dello stesso ad un’altra struttura dipartimentale, non possono essere ritenuti, rispettivamente, provvedimento e comportamento amministrativi idonei, ex se, a determinare un danno ingiusto, ex art. 2043 c.c., nei confronti dello stesso professore universitario, nel caso in cui, il provvedimento si sia consolidato per essere divenuto inoppugnabile, e, in relazione al comportamento omissivo, non vi sia stata impugnazione vittoriosa del silenzio rifiuto serbato dalla P.A. (alla stregua del principio non è stata accolta la domanda di risarcimento del danno avanzata in via diretta del provvedimento amministrativo con cui l’Università degli studi di Perugia, da un lato, aveva disattivato un istituto universitario, e dall’altro, aveva omesso di provvedere ad assegnare ad altro dipartimento il professore universitario direttore della struttura dipartimentale disattivata) (1).

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(1) Cass. civ, SS.UU., 22 maggio 2002, n. 7470, in CED Cass., rv 554613; Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2002, n. 3728, in CED Cass., rv 553039.

Ha aggiunto il T.A.R. Umbria che, nel caso vagliato, la domanda risarcitoria non poteva essere accolta anche in considerazione del fatto che il ricorrente non aveva fornito elementi probatori in ordine alla natura del danno esattamente subìto, né indicato i parametri cui doveva essere correlato il suo risarcimento. E ciò, soprattutto nella fattispecie sindacata, ove il pregiudizio dedotto si delineava, essenzialmente, come un danno morale, risarcibile, come è noto, solo se conseguente a reato, in forza del combinato disposto degli artt. 2059 C.C. e 185 C.P. (ex pluribus: Cass. Sez. Unite, 22 maggio 2002 n. 7470; Cass. Civ. Sez. III 14 marzo 2002 n. 3728).

Breve nota dell’Avv. OTTAVIO CARPARELLI

Con la sentenza in rassegna, il T.A.R. Umbria affronta nuovamente la vexata quaestio della c.d. pregiudiziale amministrativa.

I Giudici perugini, in particolare, nell’affrontare l’eccezione sollevata dalla resistente, affermano subito che, nella fattispecie esaminata, l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c., proposta dal ricorrente in via diretta, è stata utilmente e legittimamente proposta, sul rilievo che, per un verso, la stessa è finalizzata a conseguire il ristoro del danno asseritamente cagionato ad una situazione giuridica soggettiva rientrante nella giurisdizione esclusiva del G.A., e che, per l’altro, proprio per tale ragione, detto giudice ha cognizione diretta, ex art. 35, comma primo, d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, del profilo risarcitorio della questione, in disparte l’impugnazione o meno degli atti e/o comportamenti amministrativi dannosi.

L’Organo giurisdizionale - in linea, tra l’altro, con quanto affermato, pressoché all’unisono, dal Presidente del Consiglio di Stato, nella relazione sulla Giustizia Amministrativa tenutasi a Palazzo Spada il 21 marzo 2003 (1) - nel ritenere ammissibile l’azione risarcitoria così come proposta, ha puntualizzato, altresì, che, ai fini della risarcibilità, non ha più rilevanza operare una distinzione tra pregiudizio arrecato a posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in virtù del disposto normativo di cui al terzo comma dell’art.7, della legge 6 dicembre 1971, n.1034, nel testo introdotto dall’articolo 7 della legge n.205/2000.

Ha chiarito, tuttavia, che, nel caso conosciuto, l’ammissibilità dell’azione risarcitoria non coincide con la fondatezza della stessa, atteso che, avendo il ricorrente agito in sede "aquiliana", il presupposto di tale responsabilità rimane sempre l’ingiustizia dell’evento dannoso.

Con la conseguenza che, identificandosi nella fattispecie, l’evento dannoso con un provvedimento amministrativo, rimasto inoppugnato, e, quindi, assistito da presunzione di legittimità, deve escludersi la sussistenza dell’ingiustizia del danno e la relativa risarcibilità, non essendo più possibile fornire prova del contrario di tale legittimità presuntiva.

Il provvedimento giurisdizionale che si annota lascia qualche perplessità, se si considera, da una parte, che il Collegio, pur affermando l’ammissibilità, tout court, nella materie di giurisdizione esclusiva del G.A., dell’azione risarcitoria diretta, implicitamente, afferma, ai fini della delibazione sulla fondatezza di detta azione, la necessità di impugnare il provvedimento amministrativo e/o il comportamento omissivo della P.A. se non altro per superare la presunzione di legittimità; dall’altra, come noto, così come non è sempre vero che, solo perché un provvedimento amministrativo illegittimo è stato posto nel nulla in sede giurisdizionale, sorga automaticamente, in capo a chi, da tale provvedimento, abbia subìto una lesione nella propria sfera giuridica di interessi, il diritto ad una pretesa risarcitoria, così non è sempre vero che, non soltanto perché un provvedimento amministrativo illegittimo è rimasto non impugnato, scompaiono automaticamente i relativi eventuali effetti dannosi.

Appare, per vero, quanto mai opportuno che l’A.P. affronti nuovamente, definitivamente e manifestamente la questione della c.d. pregiudiziale amministrativa.

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(1) Cfr. pag. 4, paragrafo 11, della Relazione sulla Giustizia Amministrativa del Presidente del Consiglio di Stato, Alberto de Roberto, pubblicata in questo numero della Rivista.

 

 

(omissis)

per la condanna

dell’Università al risarcinento del danno derivante dalla mancata assegnazione del ricorrente ad una struttura dipartimentale a decorrere dall’1 gennaio 1999.

(omissis)

FATTO E DIRITTO

1- Il ricorrente, Professore Associato presso la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Perugia, chiede il risarcimento del danno che ritiene di aver subito a causa dell'omessa assegnazione ad una struttura dipartimentale, a decorrere dal primo gennaio 1999, ed alla asserita emarginazione da egli patita.

Non ha impugnato, tuttavia, l'atto di disattivazione dell'istituto da lui precedentemente diretto, né ha attivato la procedura per l'impugnazione del silenzio rifiuto in ordine alla mancata assegnazione ad un dipartimento.

2- Nel ricorso e nelle successive memorie si svolgono puntuali argomentazioni.

L’Amministrazione si è costituita controdeducendo.

In particolare, obietta che la mancata impugnazione del provvedimento o del silenzio sopra menzionati inibirebbe l’azione risarcitoria.

3- Al riguardo, il Collegio ritiene invece che l'azione sia ritualmente proposta giacché volta al risarcimento del danno causato ad una posizione giuridica soggettiva rientrante nell'ambito della giurisdizione esclusiva di questo Tribunale.

Questo, quindi, ai sensi del primo comma dell'articolo 35 D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, può conoscere direttamente della questione risarcitoria, indipendentemente dall'impugnazione o meno degli atti dannosi.

Ciò, prescindendo dalla circostanza, è bene puntualizzarlo, che il pregiudizio sia recato a posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo, giacché la distinzione, ai fini della risarcibilità, non ha più rilievo, (è dato pacifico), in virtù del terzo comma dell'articolo 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, nel testo introdotto dall'articolo 7 della legge 205/ 2000.

4- Con questo, si intende dire che l'azione proposta è ammissibile, ma ciò non significa che essa sia fondata.

Infatti, può darsi per pacifico che si agisca qui in sede aquiliana (art. 2043 C.C.) ed è noto che il presupposto di tale responsabilità è costituito dall'ingiustizia dell'evento dannoso.

Orbene, nel caso di specie, detto evento si identifica con un provvedimento (quello di disattivazione dell'istituto già diretto da ricorrente) non impugnato.

Ne deriva che la presunzione di legittimità che assiste l'atto amministrativo, una volta che questo sia consolidato per essere divenuto inoppugnabile, non ammette più prova contraria.

Di qui ulteriormente discende l’insussistenza dell’ingiustizia del provvedimento e, quindi, la non risarcibilità degli eventuali danni ad esso conseguenti.

5- Lo stesso è a dirsi ove si consideri fonte del danno, come pure si prospetta, una condotta omissiva dell'amministrazione (la mancata assegnazione ad un dipartimento) giacché l’illegittimità dell’omissione, dalla quale deriva la sua ingiustizia, deve accertarsi, come non si nasconde nemmeno la parte ricorrente (memoria del 30 gennaio 2003 pag. 4, 3°cpv.), attraverso la costituzione e l'impugnazione vittoriosa del silenzio rifiuto.

6- Da ultimo, si rileva come il ricorrente non abbia provato quale sia esattamente il danno subito, nè a quali parametri debba essere correlato il suo risarcimento.

Ciò, soprattutto, ove si consideri che il pregiudizio dedotto si profila essenzialmente come un danno morale risarcibile, come è noto, solo se conseguente a reato, in forza del combinato disposto degli artt. 2059 C.C. e 185 C.P. (e pluribus: Cass. Sez. Unite, 22 maggio 2002 n. 7470; Cass. Civ. Sez. III 14 marzo 2002 n. 3728).

7- Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso non può essere accolto.

Tuttavia, considerando la novità delle questioni trattate, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo dell'Umbria, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese fra le parti.

Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del giorno 12 febbraio 2003 con l’intervento dei signori:

Avv. Pier Giorgio Lignani Presidente

Avv. Annibale Ferrari Consigliere

Dott. Carlo Luigi Cardoni Consigliere, estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata in Segreteria il 21 marzo 2003.

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