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n. 10-2001 - © copyright.

TAR VENETO, SEZ. I – Sentenza 13 settembre 2001 n. 2538 - Pres. Baccarini, Est. Gabbricci - Maset (Avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Comune di Venezia (Avv.ti Mascarin e Gidoni).

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Istanza di condono - Ex art. 31 L. n. 47/1985 - Dimostrazione della data di ultimazione delle opere - Incombe sul richiedente.

Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Istanza di condono - Ex art. 31 L. n. 47/1985 - Rigetto - Facendo riferimento a documentazione dalla quale risulti che le opere sono state ultimate oltre la data del 1° ottobre 1993 - Legittimità.

Ai sensi dell’art. 31 l. 47/1985, possono, su loro richiesta, conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria i proprietari di costruzioni e di altre opere «che risultino essere state ultimate entro la data del 1 ottobre 1983» ed eseguite «senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse»; ai fini dell’applicazione della norma in questione, è il soggetto che chiede la concessione edilizia in sanatoria a dover provare che l’opera è stata ultimata entro tale data e non l’Amministrazione comunale a dover provare il contrario (1).

E’ legittimo il provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale respinge una domanda di concessione in sanatoria ex art. 31 l. 47/1985 sotto il profilo che le opere sono state realizzate almeno dopo la presentazione della domanda di concessione edilizia, e, quindi, dopo il settembre 1983, ove alla istanza di condono sia stata allegata una dichiarazione sostitutiva di notorietà, con cui il richiedente ha dichiarato solo di aver realizzato le opere all’inizio del 1983, mentre, di contro, agli atti del Comune vi siano elementi dai quali risulta che le opere stesse erano state ultimate un anno dopo (2).

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(1) Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 1996, n. 1275.

(2) Ha osservato in proposito il T.A.R. Veneto che, ai fini della determinazione della data di ultimazione delle opere, nella specie appariva prevalente quanto risultava dalla domanda di concessione edilizia per le stesse opere, presentata dalla ricorrente nell’ottobre 1984, cui era allegata una documentazione progettuale, la quale riproduceva uno stato di fatto incompatibile con le dichiarazioni rese poi con l’istanza di sanatoria.

E’ sembrato pertanto del tutto ragionevole che l’Amministrazione abbia dato maggior credito a quest’ultima istanza, resa in epoca non sospetta, meno favorevole all’interessata e confortata dagli elaborati d’un professionista il quale, nel caso del condono, non risulta aver attestato (né lo poteva) la data di completamento dei lavori; a sua volta, poi, la dichiarazione sostitutiva di notorietà, con cui la ricorrente aveva ribadito di aver realizzato le opere all’inizio del 1983, non aggiungeva evidentemente nulla alla domanda di condono.

Nè peraltro, ad avviso del T.A.R. Veneto, l’Amministrazione doveva disporre di ulteriori accertamenti o richiedere ulteriori documenti, giacché la fattispecie, nei termini illustrati, non presentava incertezze tali da imporre adempimenti istruttori, dovuti soltanto in quanto "necessari", ex art. 35, XIII comma, L. 47/85.

 

 

FATTO

Nel 1982, il Comune di Venezia consentì, con autorizzazione 9 settembre 1982, n. 1505/82, a Sergio Zanon, nella sua dichiarata qualità di proprietario, di effettuare, su di un immobile in Favaro Veneto, località Ca’ Noghera, via Triestina, censita a fg. 13, mapp. 200, opere di manutenzione consistenti in «1) ripassatura del manto di copertura con la sostituzione delle tegole rotte; 2) rifacimento delle malte interne ed esterne con loro dipintura; 3) consolidamento, con la sostituzione di alcune travi lignee, del tetto e del solaio; 4) consolidamento degli archi sul lato est ed ovest; 5) ripasso degli infissi e loro sostituzione dove lo necessiti».

Di fatto, tuttavia, dopo l’autorizzazione, sarebbero stati effettuati sull’immobile lavori di ben maggiore impegno, tra cui il taglio dei muri perimetrali, il rifacimento dei pavimenti a piano terra, la realizzazione degli impianti tecnici dei servizi igienico-sanitari e dei serramenti: tanto si sostiene nel ricorso in esame, che è stato proposto, peraltro, da Giuliana Maset, la quale si qualifica essa pure proprietaria - senza peraltro chiarire i rapporti con lo Zanon – e che, nell’ottobre del 1984, presentò al Comune un progetto di ristrutturazione e cambio di destinazione d’uso del fabbricato: ma, secondo quanto si sostiene ora in ricorso, «per poter proseguire ciò che in effetti era già stato realizzato».

La commissione edilizia, nel maggio del 1985, espresse motivato parere negativo sul progetto: e, nel successivo mese d’agosto, la Maset presentò domanda di sanatoria ex l. 28 febbraio 1985, n. 47, per le opere realizzate sui beni in sua proprietà in località Ca’ Noghera - via Triestina, sui mappali enumerati, tra cui quello in questione.

Nell’istanza (integrata da una successiva dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà) si affermava di aver realizzato, nei primi mesi del 1983, opere di ristrutturazione ex art. 31, lett. d), legge 457/78, compiute senza licenza o concessione, ovvero in difformità: e si desume dal ricorso che si tratterebbe degli stessi lavori di ristrutturazione per i quali era stata richiesta la concessione.

Compiuta l’istruttoria, l’amministrazione comunale, nonostante il parere favorevole espresso dalla commissione edilizia, con determinazione 18 luglio 1988, n. 8/52963/30153, respinse l’istanza, in quanto le opere abusive realizzate non risultano eseguite entro la data dell’1 ottobre 1983, come richiesto invece dall’art. 31 della l. 47/85, visto che agli atti risultava presentata dalla ditta, in data 5.10.1984, prot. n. 8/25069/1848/84, domanda di concessione edilizia per lavori di ristrutturazione e cambio di destinazione d’uso del fabbricato in questione, mai rilasciata, e corredata di elaborati grafici dello stato attuale, riportante lo stato originario del fabbricato prima dei lavori abusivi eseguiti.

Lo stesso provvedimento, nella parte conclusiva, specificava che la domanda di concessione edilizia presentata nel 1984 sarebbe stata considerata in sanatoria, ai sensi dell’art. 13 della legge 47/85, per tutte le opere eseguite in conformità della stessa.

Avverso tale determinazione, la Maset ha proposto il ricorso in esame; nel giudizio si è costituito il Comune di Venezia, concludendo per la reiezione.

In seguito, nel marzo 1995 - riaperti i termini del condono edilizio ex artt. 38 e 39 l. 23 dicembre 1994, n. 724 - la Maset presentò una nuova domanda di condono e di cambio di destinazione d’uso del fabbricato con le sue pertinenze (questa volta dichiarato come censito a foglio 13 mappali 324 e 349): ed il Comune accolse la nuova domanda di sanatoria.

L’oblazione ed il contributo di concessione richiesti per dare corso al beneficio ammontano, tuttavia, ad un importo superiore a quello già versato per il primo condono: pertanto, secondo la Maset, permarrebbe l’interesse alla decisione del ricorso originario.

DIRITTO

1. Il ricorso, come verrà successivamente esposto, è infondato: per cui appare irrilevante stabilire se la nuova concessione in sanatoria, e, con essa, la relativa domanda presentata, costituiscano o meno comportamenti incompatibili con la decisione nel merito della presente controversia.

2.1. Il primo motivo (violazione degli artt. 35 e 40 della legge 47/85; erroneità di presupposto; illogicità; contraddittorietà; carenza di istruttoria; violazione della procedura; carenza di motivazione) procede dal rilievo che l’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, indica i documenti e le attestazioni che devono accompagnare l’istanza di condono, al fine di consentirne l’accoglimento.

Al loro contenuto, secondo la ricorrente, l’Amministrazione deve ordinariamente uniformarsi, e solo in presenza di elementi, adeguatamente riscontrati, da cui si desuma l’infedeltà dell’istanza, questa può essere respinta: il legislatore, in presenza di dichiarazioni non appaganti, imporrebbe, infatti (cfr. art. 35, X comma), opportuni accertamenti, oppure la produzione, da parte dell’interessato, d’ulteriori documentazione.

Tanto comporterebbe, secondo la Maset, che, nel caso, il Comune avrebbe dovuto ritenere satisfattiva la dichiarazione della ricorrente, quanto alla data di esecuzione dei lavori interni.

Ove poi ne avesse dubitato, l’Ente avrebbe dovuto attribuire «un qualche peso alle ragioni - peraltro logiche - che portavano a ritenere eseguiti i maggiori interventi - in concomitanza di quelli a suo tempo già autorizzati dal Comune»; o, ancora, poteva sollecitare un’ulteriore produzione documentale, la quale chiarisse l’effettiva data di esecuzione dei lavori, o, infine, poteva disporre un’indagine istruttoria, essendo sicuramente accertabile la contestualità di tutti i lavori eseguiti: sarebbe invece illogico e contraddittorio privilegiare, come ha fatto il Comune, «una dichiarazione in luogo dell’altra, pur discendendo dal medesimo soggetto», e mancando elementi obiettivi che la coonestino.

2.2. La censura è infondata.

Invero, va anzitutto rammentato che, ex art. 31 l. 47/85, possono, su loro richiesta, conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria i proprietari di costruzioni e di altre opere «che risultino essere state ultimate entro la data del 1 ottobre 1983» ed eseguite «senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse»: ed è il soggetto che chiede la concessione edilizia in sanatoria a dover provare che l’opera è stata ultimata entro tale data «e non l’Amministrazione a dover provare il contrario» (C.d.S., V, 24 ottobre 1996, n. 1275).

Orbene, nella fattispecie nessun elemento conforta l’asserzione della Maset che le opere in questione era già state completate alla fine del settembre 1983; mentre l’opposta conclusione del Comune si fonda su elementi assai significativi.

In tal senso, invero, appare determinante la domanda di concessione edilizia per le stesse opere, presentata dalla ricorrente nell’ottobre 1984, cui era allegata una documentazione progettuale, la quale riproduceva uno stato di fatto incompatibile con le dichiarazioni rese poi con l’istanza di sanatoria: ed è del tutto ragionevole che l’Amministrazione abbia dato maggior credito a questa, resa in epoca non sospetta, meno favorevole all’interessata e confortata dagli elaborati d’un professionista – che la ricorrente vorrebbe oggi partecipe di una condotta potenzialmente fraudolenta (sul reato di cd. truffa edilizia cfr., da ultimo, Cass. pen., sez. II, 17 maggio 2000, n. 7259, Villani) - il quale, nel caso del condono, non risulta aver attestato (né lo poteva) la data di completamento dei lavori; a sua volta, poi, la dichiarazione sostitutiva di notorietà, in cui la Maset ribadisce di aver realizzato le opere all’inizio del 1983, non aggiunge evidentemente nulla alla domanda di condono.

Né, d’altronde, l’esistenza dell’autorizzazione 9 settembre 1982, n. 1505/82 comporta necessariamente, come sostiene la ricorrente, che le opere de quibus siano state eseguite in occasione del rilascio di quella.

Invero, è intanto da osservare come, in generale, seguendo la tesi della Maset, l’Amministrazione prima, ed il Tribunale poi, dovrebbero convenire che sia prassi la richiesta di un provvedimento autorizzativo per opere diverse e minori da quelle effettivamente previste; inoltre, non va dimenticato che l’autorizzazione de qua fu rilasciata ad altro proprietario, con riferimento a beni che, come si desume dalla precedente esposizione, non è certo corrispondano a quelli in questione, per la loro approssimativa identificazione: la tesi della Maset non è dunque sorretta da argomenti condivisibili e da lineari presupposti di fatto.

In conclusione, il Comune di Venezia ha giustificatamente ritenuto che le opere in questione fossero state realizzate almeno dopo la presentazione della domanda di concessione edilizia, e, quindi, dopo il settembre 1983, ed ha legittimamente ricusato il condono richiesto: né l’Amministrazione appare censurabile per non aver disposto accertamenti o richiesto ulteriori documenti, giacché la fattispecie, nei termini illustrati, non presentava incertezze tali da imporre adempimenti istruttori, dovuti soltanto in quanto "necessari", ex art. 35, XIII comma, l. 47/85.

2.3. Le precedenti considerazioni consentono di respingere de plano anche il quarto motivo (eccesso di potere per difetto di motivazione), nel quale si rileva come, avendo la commissione edilizia espresso parere favorevole al rilascio della concessione in sanatoria, il provvedimento reiettivo sarebbe immotivato.

Orbene, si è già rilevato come la determinazione impugnata si fondi espressamente sulla precedente domanda di concessione: e le considerazioni da ultimo esposte bastano a dimostrare la sufficienza della ragioni espresse dall’Amministrazione, tali da superare il parere favorevole – peraltro immotivato, per quanto consta – dell’organo tecnico.

3.1.1. Nel secondo motivo (violazione dell’art. 40 della legge 47/85; erroneità nell’interpretazione della legge; difetto di istruttoria) si rammenta, anzitutto, come, ex art. 40 della citata l. 47/85, si applichino le sanzioni di cui al capo I alle opere abusive, realizzate in totale difformità o assenza di licenza o concessione.

Il riferimento alla "licenza" ovvero alla "concessione", quali termini contrapposti a quello di autorizzazione, introdotto dagli artt. 31 e 48 della legge 457/78, comporterebbe, secondo la ricorrente, «che solo gli interventi, per i quali si sarebbe reso necessario il rilascio della concessione edilizia (o licenza) sono (in mancanza della domanda di sanatoria o della sua accoglibilità) sanzionabili».

Nella fattispecie, le opere eseguite sarebbero tutte «ascrivibili alla lett. b (o al massimo alla lett. c) dell’art. 31 della l. 1978/457 e, quindi, in quanto assoggettabili al rilascio della mera autorizzazione, neppure demolibili».

3.1.2. Nel terzo motivo (violazione ed erronea interpretazione dell’art. 40 l. 47/85) la ricorrente osserva come, anche ad ammettere che le opere de quibus siano state effettivamente realizzate dopo il termine previsto per poter beneficiare del condono, il Comune avrebbe dovuto «regolarizzare la situazione comminando la sanzione pecuniaria prevista dal I comma dell’art. 10 della l. 1985/47 ovvero 94 della l.r. 1985/61»: da ciò un ulteriore profilo d’illegittimità del provvedimento.

3.2. Orbene, i due motivi - ma quello sub 3.1.1. dovrebbe essere superato per effetto del successivo condono, intervenuto nel 1996 - muovono dal comune presupposto che, per le opere in questione, sarebbe stata sufficiente l’autorizzazione: infatti, tanto l’art. 10 della l. 47/85, quanto l’art. 94 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61, regolano gli effetti della carenza di tale provvedimento sulle opere realizzate che, per la loro tipologia, avrebbero richiesto un siffatto provvedimento ampliativo.

Tuttavia, da semplice esame delle opere effettuate si desume come, nel caso, sia stata realizzata una vera e propria ristrutturazione edilizia, con mutamento di destinazione d’uso e realizzazione di un organismo edilizio diverso dal precedente. Fattispecie, questa, regolata dall’art. 31, lett. d), della l. 457/78, e per la quale era, anche prima del 1985, richiesta la concessione onerosa (cfr. art. 48 l. 457/78 cit.): conferma, del resto, la correttezza della qualificazione giuridica che la Maset richiese, nel 1984, una concessione e non una semplice autorizzazione; inoltre, nella domanda di condono, riferì spontaneamente le opere abusive al ripetuto art. 31, lett. d).

In conclusione, le due censure appaiono per tale ragione entrambe infondate.

4.1. Infine, nel quinto motivo (eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e difetto d’istruttoria) la ricorrente osserva come l’Amministrazione consideri la domanda di concessione edilizia presentata nel 1984 come in sanatoria: e, pertanto, soggiunge, necessariamente posteriore alla realizzazione dei lavori in questione.

Tuttavia, su tali presupposti, non si comprenderebbe perché il Comune di Venezia abbia negato il condono, sostenendo che gli interventi da sanare erano posteriori e non già anteriori alla domanda di concessione del 1984 e, quindi, non riconducibili al 30 settembre 1983.

Inoltre, sottolineando «che solo le opere eseguite in conformità all’istanza del 1984 sono sanabili (a posteriori)», l’Ente riconoscerebbe «che sono stati effettuati più interventi», la cui portata, entità ed epoca di realizzazione avrebbero imposto «quell’indagine istruttoria che se effettuata avrebbe potuto indurre la P.A. a ritenere corretta la domanda di sanatoria in quanto anteriori i lavori effettuati dalla ricorrente alla data del 30 settembre 1983».

3.2. Orbene, va anzitutto rammentato come, giusta art. 13 cit., I comma, il responsabile dell’abuso può ottenere la concessione o l’autorizzazione in sanatoria, quando l’opera eseguita in assenza della concessione è conforme agli strumenti urbanistici, purché ne faccia domanda prima della scadenza del termine di cui all’art. 7, III comma, per i casi di opere eseguite in assenza di concessione, o di quelli stabiliti nell’ordinanza del sindaco di cui al I comma dell’art. 9: tali disposizioni, a loro volta, prevedono che il sindaco fissi un termine al trasgressore per la demolizione delle opere abusive, ovvero per la rimessione in pristino, trascorso inutilmente il quale l’Autorità assume i conseguenti provvedimenti ripristinatori e sanzionatori.

Ciò posto, l’intento dell’Amministrazione, quale espresso nella clausola in questione («La domanda di concessione edilizia prot. 8/25069/1848/84 verrà considerata in sanatoria, ai sensi dell’art. 13 della legge 47/85, per tutte le opere eseguite in conformità della stessa»), appare facilmente comprensibile: stabilito, da un canto, che, per le opere in questione, mancavano le condizioni per il condono, e, dall’altro, che le stesse, comunque, erano state ormai realizzate pur se abusivamente, l’Amministrazione riconosce alla domanda di concessione, a suo tempo presentata, la funzione di attivare la procedura di sanatoria ex art. 13.

Così operando, tuttavia, l’Ente – diversamente da quanto affermato in ricorso – non assume alcuna posizione circa l’epoca in cui i lavori sarebbero stati completati, ma soltanto determina l’attuale residua utilità della domanda, in sostanziale applicazione del principio di conservazione degli atti: in altre parole, poiché per le opere de quibus, nel momento in cui la domanda di condono era stata respinta, sussisteva ancora la possibilità di sanatoria, non essendo decorsi i termini di cui allo stesso art. 13, il Comune attribuisce volontariamente a quella domanda di concessione l’attuale funzione - e soltanto quella - di attivare la relativa procedura.

Tanto appare sufficiente a superare in radice i rilievi della ricorrente, fondati sul presupposto che, in tal modo, l’Amministrazione avrebbe ammesso che le opere sarebbero state eseguite prima della domanda di concessione: senza dire che, anche in tal modo, il Comune avrebbe considerato completati i lavori a distanza di un anno dal momento in cui il termine per il condono era ormai spirato, sicché non sarebbe nemmeno così rilevabile contraddizione nel suo agire.

4. Il ricorso va dunque integralmente respinto: le spese seguono la soccombenza e, in mancanza di apposita nota, sono liquidate d’ufficio come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di causa in favore del Comune di Venezia, liquidandole in L. 3.500.000, di cui L. 500.000 per spese e la parte residua per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 10 maggio 2001.

Il Presidente l’Estensore

Depositata il 13 settembre 2001.

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