TAR VENETO, SEZ I - Sentenza 5 aprile 2001 n. 898 - Pres. Stevanato, Est. Gabbricci - Dal Cin (Avv. S. Gussoni) c. Regione Veneto (Avv.ra Stato) e Comune di Cordignano (n.c.).
1. Giustizia amministrativa - Esecuzione del giudicato - Limiti soggettivi del giudicato - Individuazione.
2. Giustizia amministrativa - Esecuzione del giudicato - Sentenza di annullamento della destinazione prevista da un P.R.G. - Ha effetti meramente demolitori e non costitutivi - Reviviscenza del vecchio strumento urbanistico - Impossibilità.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - A seguito di lesione di interessi legittimi - Applicabilità della disciplina prevista dall’art. 278 c.p.c. - Domanda concernente il solo riconoscimento dell’an - Possibilità - Condizioni - Indicazioni di mezzi probatori per la determinazione del quantum - Necessità.
4. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - A seguito di lesione di interessi legittimi - Presupposti per il riconoscimento - Individuazione.
5. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - A seguito di lesione di interessi legittimi - Nel caso di annullamento di previsione di P.R.G. che imprimeva all’area una destinazione meno favorevole - Dimostrazione concreta del concreto vantaggio economico che da un determinato classamento sarebbe derivato ai proprietari - Necessità - Sussiste.
6. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - A seguito di lesione di interessi legittimi - Nel caso di annullamento di previsione di P.R.G. che imprimeva all’area una destinazione meno favorevole - Determinazione del danno in relazione a tutti i maggiori costi che i proprietari dovranno affrontare - Corresponsione entro sei mesi dal completamento delle opere.
7. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - A seguito di lesione di interessi legittimi - Nel caso di annullamento di previsione di P.R.G. che imprimeva all’area una destinazione meno favorevole - Dies a quo e dies ad quem per la determinazione del danno - Individuazione - Fattispecie.
1. Una volta che sia passata in giudicato, la sentenza emessa dal Giudice amministrativo incontra i comuni limiti soggettivi del giudicato ex art. 2909 c.c. (1); l’accertamento in essa contenuto fa quindi stato soltanto tra le parti del giudizio e non può produrre effetti giuridici nei confronti dei soggetti terzi, i quali non sono tenuti ad osservarla, sicché non si può, per essi, neppure astrattamente ipotizzare una violazione del giudicato, difettando la sentenza di efficacia cogente nei loro confronti.
2. La sentenza con la quale si annulla una previsione contenuta in un P.R.G. ha un effetto demolitorio della previsione di piano, ma certamente non realizza l’effetto costitutivo – per quanto puntuali siano le sue statuizioni – di introdurre una nuova disciplina urbanistica per l’area interessata; né, peraltro, tale sentenza può ripristinare l’assetto urbanistico antecedente all’approvazione dello strumento urbanistico generale, nel caso in cui il nuovo P.R.G. abbia comunque definitivamente rimosso il precedente Programma di fabbricazione (2).
3. Anche al giudizio amministrativo è da ritenere applicabile la disciplina prevista nel processo civile, secondo cui l’attore può anzitutto domandare un’unica pronuncia definitiva sul suo diritto al risarcimento, e, insieme, sulla sua misura, anche in forma specifica; ma può anche chiedere, giusta art. 278 c.p.c., che il giudice si pronunci soltanto sulla sussistenza di tale diritto, disponendo la prosecuzione del processo per l’accertamento della quantità della prestazione dovuta; l’attore, tuttavia, anche quando richieda una pronuncia non definitiva ex art. 278 c.p.c., è comunque tenuto, ai sensi degli artt. 187 e 189 c.p.c., a formulare integralmente le proprie conclusioni ed a indicare i mezzi di prova dei quali intenda avvalersi per la determinazione del quantum, con la conseguenza che in difetto di tali deduzioni probatorie la suddetta istanza non vale ad escludere il potere-dovere del giudice di rigettare la domanda (3).
Anche nel processo amministrativo, pertanto, la domanda, quando la causa viene assegnata a sentenza, deve essere in ogni caso definita nel petitum, ed integrata dalle richieste istruttorie ritenute necessarie, sì da permettere al Collegio una piena conoscenza della materia del contendere, e le più appropriate conseguenti determinazioni, anche tenuto conto delle esigenze di celerità e concentrazione proprie del processo amministrativo. Non è dunque consentito che, in tale giudizio di danno, l’attore si riservi di quantificare, dopo la sentenza non definitiva di condanna generica, la propria pretesa e di indicare, sempre in tale fase, gli elementi di fatto che possano permettere di stabilire l’ammontare del risarcimento, ed i mezzi di prova necessari a dimostrarlo.
4. Per accogliere una domanda di risarcimento danni per lesione di interessi legittimi, si deve anzitutto stabilire se, nella fattispecie concreta, sussistano i presupposti per l’emissione di una pronuncia di condanna e, per questo, il giudice deve dapprima accertare la sussistenza di un evento dannoso; deve quindi procedere a stabilire se il danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; accertare, inoltre, sotto il profilo causale, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta dell’Amministrazione convenuta; infine, stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della stessa Amministrazione (4).
5. L’inclusione di un’area in una determinata zona urbanistica, piuttosto che in un’altra, non basta a realizzare un danno economico apprezzabile dal giudice, poiché questo va piuttosto correlato all’effettiva utilizzazione, o cessione, dell’area. È infatti evidente che, ad esempio, ben diverse sono le possibilità edificatorie d’un terreno a destinazione agricola o industriale, ma dall’uno o dall’altro classamento nessun danno giudizialmente apprezzabile appare derivare – fino a prova contraria - al proprietario che non possa, o non voglia, né vendere né utilizzare il fondo: dunque, chi ne abbia la disponibilità deve specificare – e dimostrare - quale sia il concreto vantaggio economico che da un determinato classamento, non ancora attuato, gli deriverebbe, ovvero la perdita positivamente subita per effetto della sua mancata attribuzione.
6. Nel caso in cui, a causa di una illegittima destinazione impressa mediante P.R.G., i proprietari di un terreno edificabile non abbiano potuto costruire su tale terreno per un certo periodo, il risarcimento per equivalente del danno deve essere determinato in relazione a tutti i maggiori costi causati da quel ritardo nella realizzazione delle costruzioni, fermo restando che tale risarcimento andrà corrisposto, solo una volta completate le opere concesse – atteso che è proprio in funzione a tale risultato che lo stesso risarcimento è da ritenere concedibile – ed entro sei mesi da quel momento.
7. Il dies a quo, per la determinazione sia del danno emergente che del lucro cessante derivante a seguito di annullamento di una previsione di un P.R.G., è da rinvenire nel momento in cui la volontà di esercitare lo jus aedificandi si è adeguatamente concretizzata ed è stata resa inattuabile dai vincoli urbanistici esistenti (alla stregua del principio nella specie tale termine iniziale è stato rinvenuto nella data in cui i ricorrenti presentarono per la prima volta una domanda di concessione edilizia per l’edificazione diretta dell’area; è stato conseguentemente escluso fondamento a qualsiasi domanda risarcitoria per il periodo precedente); il termine conclusivo, deve rinvenirsi nel momento in cui in cui la limitazione all’edificazione è cessata (alla stregua del principio il TAR ha ritenuto che nella specie non era possibile definire un termine finale, poiché i terreni di proprietà dei ricorrenti non avevano ancora, al momento della decisione, la destinazione urbanistica C1, che doveva essere ad essi attribuita dal Comune, mediante una variante in forma semplificata).
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(1) V., per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 20 maggio 1999, n. 854.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1 febbraio 1995, n. 163.
(3) Cass., 28 maggio 1999, n. 5193; conf. id. , 20 novembre 1996, n. 10220.
(4) Cfr. Cass. Sez. Unite, 22 luglio 1999, n. 500.
FATTO
Loris, Michele e Nicolina Dal Cin sono proprietari di un terreno, con un’estensione di 5600 mq. circa, sito in Comune di Cordignano (Treviso): in passato classificato come agricolo dal previgente piano di fabbricazione, fu destinato a z.t.o. C2 (zona residenziale d’espansione) dal piano regolatore generale, adottato dal locale consiglio comunale con deliberazione 9 novembre 1992, n. 64.
La Regione, tuttavia, approvando il piano, con d.g.r. 27 luglio 1994, n. 3496, ripristinò, per l’area, l’originaria destinazione agricola: ed i Dal Cin impugnarono allora, in parte qua, innanzi a questo Tribunale, sia tale ultimo provvedimento, sia la delibera di adozione, ritenendo che l’area in questione, per le sue specifiche caratteristiche, avrebbe meritato il classamento come C1 (zona residenziale di completamento).
Questa Sezione, con la sentenza parziale 19 maggio 1997, n. 904, accolse il ricorso, per la parte riferita alla deliberazione regionale di approvazione; quindi, disposta ed espletata attività istruttoria, con la nuova decisione 21 marzo 1998, n. 321, accolse anche l’altra domanda, ritenendo illogica la classificazione stabilita dal Comune, in relazione alla situazione accertata, e, in particolare alla presenza di opere di urbanizzazione adeguate a permettere l’inclusione dell’area in zona residenziale di completamento.
Il Comune di Cordignano, in asserita esecuzione della decisione del Tribunale, adottò, con deliberazione consiliare 11 giugno 1999, n. 42, una variante, la quale prevedeva la destinazione C1.2 per l’area, come zona residenziale di completamento estensivo; e, pur esprimendo incertezza tra l’applicazione del procedimento ordinario d’approvazione, con la partecipazione regionale, e quello semplificato, di cui all’art. 50 l.r. 27 luglio 1985, n. 61, e limitato allo stesso Comune, trasmise comunque la deliberazione alla Regione; la quale, con la d.g.r. 1 febbraio 2000, n. 228, approvò la variante, ma modificò in C2 la destinazione dell’area, per asserita violazione dell’art. 24 della stessa l. 61/85.
I consorti Dal Cin presentarono allora un ricorso in ottemperanza, rubricato al n. 1157/00, ritenendo che la Regione avesse così eluso il giudicato e chiesero che il Tribunale dichiarasse nulla la d.g.r. 228/00, e disponesse, inoltre, la nomina di un commissario ad acta affinché emanasse tutti gli atti necessari all’esecuzione delle sentenze 904/97 e 321/98; nel contempo, notificarono altresì un ricorso ordinario (n. 1414/00) avverso lo stesso provvedimento, impugnando insieme anche l’atto comunale di formazione della variante e chiedendo il risarcimento del danno sofferto.
La Regione Veneto si è costituita in ambedue i giudizi: in particolare, ha sostenuto che sarebbe "procedibile" il giudizio di merito e non quello di ottemperanza, poiché, testualmente, «la decisione del TAR adottate nella presente controversia sono autoesecutivi nei limiti in cui non si sostituiscano nell’attività di programmazione urbanistica agli enti a ciò competenti»; il Comune di Cordignano, seppure ritualmente intimato, è rimasto estraneo ad entrambi i processi.
Ritenuta opportuno l’esame congiunto dei due ricorsi, nell’udienza camerale fissata si è disposta la trattazione in pubblica udienza anche per il ricorso in ottemperanza: entrambi sono stati così assegnati a sentenza all’udienza del 1 febbraio 2001.
DIRITTO
1.1. Disposta la riunione dei ricorsi in esame, per l’evidente connessione oggettiva e soggettiva, vale anzitutto rimarcare che il ricorso 3847/94, su cui il T.A.R. si è pronunciato con le due decisioni, di cui si afferma l’inottemperanza, aveva un duplice distinto oggetto: da un canto, infatti, esso censurava la deliberazione regionale d’approvazione del piano regolatore generale, perché aveva qualificato come agricola l’area di proprietà Dal Cin, stralciando la destinazione C2, stabilita dal Comune con lo strumento adottato; dall’altro, criticava anche quest’ultimo provvedimento, perché non aveva classificato il terreno come C1.
Si tratta, evidentemente, di due domande diverse, connesse ma non compiutamente coincidenti, rispetto alle quali le due Amministrazione avevano distinti titoli di legittimazione passiva: entrambe, infatti, erano destinatarie della richiesta d’annullamento del piano approvato, quale atto complesso, riferibile, nella sua definitiva volontà unitaria, ai due Enti; solo il Comune, invece, era parte resistente rispetto al provvedimento d’adozione.
Il Tribunale, con la prima sentenza 904/97, accolse la domanda di annullamento della d.g.r. 3496/94, nella parte d’interesse, sostanzialmente affermando che non vi erano sufficienti ragioni per qualificare l’area come agricola: e né la Regione, né il Comune hanno violato tale pronuncia, poiché nessuno dei due ha riclassificato, con atti successivi, l’area come agricola.
La sentenza 321/98, poi, ha annullato anche la deliberazione d’adozione del piano, limitatamente però alla previsione d’interesse per i ricorrenti, producendo così i suoi effetti demolitori, ripristinatori e conformativi, esclusivamente tra le parti e, dunque, nei confronti del soggetto che era, rispetto alla relativa domanda giudiziale, il solo ad essere legittimato passivamente e, dunque, parte resistente.
Pertanto, una volta passata in giudicato, la sentenza 321/98 incontra i comuni limiti soggettivi del giudicato ex art. 2909 c.c. (v., per tutte, C.d.S., IV, 20 maggio 1999, n. 854): l’accertamento in essa contenuto fa stato soltanto tra le parti del giudizio, e non può produrre effetti giuridici nei confronti dei soggetti terzi; i quali non sono tenuti ad osservarla, sicché non si può, per essi, neppure astrattamente ipotizzare una violazione del giudicato, difettando la sentenza di efficacia cogente nei loro confronti.
Tale è, nella fattispecie, la posizione della Regione, che, sebbene parte nel giudizio introdotto con il ricorso 3847/94, non era passivamente legittimata rispetto alla domanda per l’annullamento d’un provvedimento che essa non aveva emesso, ed alla cui conservazione non aveva, peraltro, alcun interesse diretto ed attuale.
Va dunque escluso che la Regione abbia eluso o violato il giudicato in questione, e ciò per la sufficiente ragione che essa non era tenuta ad osservarlo; mentre il Comune, che tale obbligo aveva, con la variante ha certamente assunto una determinazione che non contrasta con la pronuncia del giudice amministrativo.
1.2. Resta ancora da stabilire, se, come sostengono i ricorrenti, la sentenza 321/98 fosse autoapplicativa, idonea ad attribuire all’area la destinazione C1, e, per tale, sufficiente a realizzare l’interesse dei ricorrenti: ciò che, tuttavia, va escluso.
Invero, la sentenza in esame ha un effetto demolitorio della previsione di piano, ma certamente non realizza l’effetto costitutivo – per quanto puntuali siano le sue statuizioni - di introdurre una nuova disciplina urbanistica per l’area interessata; né, peraltro, la sentenza ripristina l’assetto urbanistico antecedente all’approvazione dello strumento urbanistico generale, il quale ha comunque definitivamente rimosso il piano di fabbricazione (cfr. C.d.S., V, 1 febbraio 1995, n. 163).
Così, dopo la sentenza 321/98, l’area in questione è rimasta priva d’una particolare destinazione (cd. area "bianca"); una situazione cui l’Amministrazione era tenuta a porre celermente rimedio, con una modificazione della disciplina urbanistica dell’Ente interessato, la quale, per tale, può essere effettuata soltanto con una variante, provvedimento tipicamente destinato a tale scopo.
1.3. In conclusione, pertanto, la lamentata violazione del giudicato, recato dalle sentenze 904/97 e 321/98 del T.A.R. Veneto, I sezione, non sussiste, e il ricorso per ottemperanza deve essere respinto.
2.1. Si può dunque ora esaminare il secondo ricorso, proposto, principalmente, avverso la d.g.r. 1 febbraio 2000, n. 228, che, riscontrando una violazione dell’art. 24 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61, ha modificato in C2 la destinazione C1.2. dell’area (zona residenziale di completamento estensivo), attribuita dal Comune di Cordignano con la variante adottata mediante deliberazione consiliare 11 giugno 1999, n. 42.
2.2. Nel primo motivo di ricorso (violazione del giudicato; violazione dell’art. 50 della l.r. 61/85 ed eccesso di potere sotto il profilo della perplessità) i ricorrenti, anzitutto, riconfermano la loro tesi, per cui le due sentenze in questione sarebbero autoesecutive: l’annullamento dello stralcio operato dalla Regione, coordinato con il riconoscimento del carattere di zona residenziale di completamento della proprietà Dal Cin, avrebbe comportato l’automatica variazione del P.R.G., con trasformazione della destinazione a zona residenziale C1, senza necessità di ulteriori provvedimenti o prese d’atto da parte del Comune o della Regione.
Il Comune avrebbe dunque errato, avviando il procedimento di variante, del tutto superfluo; e nuovamente avrebbe sbagliato a non scegliere, per realizzare la variante, il procedimento abbreviato di cui al vigente art. 50, IX comma, lett. a), n. 3, il quale consente "ampliamenti finalizzati esclusivamente al completamento delle zone territoriali omogenee esistenti a destinazione residenziale … corrispondenti ad un numero di abitanti teorici … non superiore al tre per cento per i comuni con popolazione compresa tra i 5.001 e i 10.000 abitanti".
All’errore del Comune si sarebbe poi aggiunto quello della Regione, la quale, oltre a non avvedersi che la variante in questione era superflua - dato l’inequivocabile tenore del giudicato – ha ritenuto d’approvarne una che era invece soggetta alla procedura semplificata, ed avrebbe infine violato il giudicato, reiterando gli stessi errori già rilevati dal Tribunale.
3.1. Si è già in precedenza chiarito come l’attuazione delle precedenti decisioni richiedesse comunque una nuova determinazione amministrativa: ciò che va ora accertato è se questa potesse assumere la forma della variante semplificata.
Orbene, per dare adeguata soluzione al quesito è intanto opportuno premettere che l’inclusione dell’area in z.t.o. C2 avrebbe, tra l’altro, subordinato l’attività edilizia alla preventiva approvazione di un piano attuativo (cfr. art. 29, u.c., l.r. 61/85), diversamente da quanto prescritto per zone C1; ed è presumibilmente anche per questo che i Dal Cin, il giorno 8 febbraio 1999, presentarono una domanda di concessione edilizia per l’area, affermandone la destinazione C1, per effetto delle decisioni del T.A.R. Veneto, e chiedendo di essere autorizzati a costruirvi tre edifici - due abitazioni unifamiliari, ed una scuola di danza - come da progetto allegato.
Il Comune replicò con la nota sindacale 22 marzo 1999, n. 4092, sostanzialmente soprassessoria: sicché, con atto notificato il successivo 9 aprile, i Dal Cin diffidarono l’Amministrazione comunale a dare esecuzione alla sentenza, «attraverso una presa da atto da parte degli organi competenti della destinazione ad zona residenziale C1 della proprietà dei deducenti»; ovvero, in subordine, a procedere all’adozione di una variante urbanistica, così da riconoscere all’area di proprietà Dal Cin la destinazione C1.
L’Ente rispose allora con nota 27 aprile 1999, la quale concludeva assicurando l’impegno dell’Amministrazione ad avviare le procedure di variante con la massima speditezza possibile: e, in effetti, il successivo 11 giugno, il consiglio comunale, con deliberazione n. 42, adottò la variante n. 8/99, con la quale l’area in questione fu riclassificata come zona territoriale omogenea, di completamento estensivo, di tipo C1.2.
Dal preambolo del provvedimento emerge chiaramente come il Comune avesse attentamente considerato la possibilità di approvare la variante in forma semplificata: ciò risulta ancor più evidente dal dispositivo, ove, adottata al punto 1 la variante, al punto 2 si affida al tecnico comunale di effettuarne il deposito e la pubblicazione, giusta art. 42 l.r. 61/85, purché non intervenga dalla Regione – che era stata già sollecitata - una diversa interpretazione circa l’applicazione, in specie, delle analoghe procedure di deposito e pubblicazione previste dall’art. 50 l.r. 61/85 per le varianti semplificate.
Quest’ultima eventualità, tuttavia, non si presentò, ed il Comune si pronunciò nuovamente sulla variante, con la deliberazione 56/99 del 10 settembre successivo, formalmente per prendere atto dell’assenza d’osservazioni.
Il provvedimento, tuttavia, riconsidera, nel perdurante silenzio della Regione, anche la questione della procedura da seguire per l’approvazione: e nel dispositivo, dopo aver preso atto, sub 1, dell’invio alla Regione della variante, al punto seguente il Consiglio afferma di considerare, in subordine, la variante come riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 50, IX comma, e demanda di trasmetterla nuovamente alla Regione, ma al dirigente responsabile della struttura regionale, secondo quanto stabilito dall’art. 50, XI e XII comma.
La Regione non considerò affatto le incertezze del Comune; sulla base del parere favorevole della Commissione tecnica regionale, con l’impugnata deliberazione 1 febbraio 2000, n. 228, approvò con modifiche d’ufficio la variante, riqualificando l’area come C.2: errando, come di seguito si dirà.
3.2. Invero, l’art. 50, IX comma, della l. 61/85 stabilisce che i Comune dotati di strumento urbanistico generale adottano ed approvano, con la procedura prevista ai seguenti commi X, XI, XII e XIII, determinate tipologie di varianti parziali, di seguito elencate: in particolare, sub a), quelle che prevedono ampliamenti finalizzati esclusivamente al completamento delle zone territoriali omogenee esistenti a destinazione residenziale, corrispondenti ad un numero di abitanti teorici, calcolati sui residenti insediati e rilevati alla data di adozione dello strumento urbanistico generale, non superiore, in particolare, al tre per cento per i comuni con popolazione compresa tra i 5.001 e i 10.000 abitanti;
Tali varianti, secondo i commi X e seguenti, sono adottate dal consiglio comunale, e, quindi, pubblicate con la procedura prevista dal VI comma; lo stesso organo, entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni, si pronuncia sulla variante, confermandola o apportando le modifiche conseguenti all’accoglimento delle osservazioni pertinenti e, senza necessità di procedere alla ripubblicazione degli atti, trasmette la variante in Regione, per l’acquisizione del parere del dirigente responsabile della struttura regionale competente, il quale, entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento della variante e accertata la sussistenza dei requisiti di cui al IX comma, esprime un parere sulla conformità del procedimento; trascorso detto termine, senza che il dirigente si sia espresso, il consiglio comunale procede all’approvazione della variante prescindendo dal parere.
3.3. Orbene, il Collegio ritiene che, nella specie, sussistessero i presupposti per l’applicazione del procedimento testé compendiato.
Infatti, risulta intanto che la variante de qua prevede un ampliamento corrispondente a 38 abitanti teorici: assai inferiore, dunque, a quello stabilito dalla norma prima richiamata.
Ancora, la stessa variante chiarisce che l’area in questione, sebbene completamente inedificata, è dotata delle principali opere d’urbanizzazione primaria, e dista poche centinaia di metri dalle opere d’urbanizzazione secondaria e dai servizi commerciali primari; dalle planimetrie in atti risulta anche la sua prossimità ad altre aree residenziali (seppure separate da vie di comunicazione), sicché la sua riclassificazione in zona territoriale C1 può senz’altro essere considerata un ampliamento di quelle aree, destinato al loro completamento: e tanto in relazione alle caratteristiche dei luoghi, siccome apprezzate dalla sentenza 321/98 della Sezione, il cui giudicato vincola insieme l’Amministrazione e questo Collegio.
Si può dunque agevolmente concludere che la variante in questione andava adottata nella forma semplificata: la giunta regionale non aveva alcuna competenza ad approvarla, con la conseguenza che la d.g.r. 228/00, sotto questo specifico profilo, è illegittima per incompetenza.
Resta invece assorbita ogni ulteriore questione, compresa quella – certo non insignificante – se la nuova destinazione C1 sia compatibile con l’art. 24, II comma, della l.r. n. 61/85 («nella sottozona di tipo C1 il limite della superficie coperta dagli edifici esistenti non deve essere inferiore al 7,5% della superficie fondiaria della zona e la densità territoriale non deve essere inferiore a 0,50 mc/mq; si ha la sottozona di tipo C2 quando tali limiti non vengono raggiunti»), disposizione che potrebbe anche essere riferita alle caratteristiche urbanistiche preesistenti nell’area delimitata, oggetto di riclassamento, e non ad un più vasto ambito, dai confini indeterminati; né, va soggiunto, della questione potrà farsi carico, attuando la sentenza, il Comune di Cordignano, giacché esso, come più volte ripetuto, resta vincolato alla precedente pronuncia della Sezione, la quale, evidentemente, non ha ritenuto applicabile alla fattispecie tale disposizione.
La riconduzione della variante a quelle soggette ad approvazione semplificata comporta, quale ulteriore effetto, che devono egualmente ritenersi illegittimi i provvedimenti comunali di adozione (deliberazione 42/99) e di presa d’atto delle osservazioni (deliberazione 56/99) per la parte in cui – sebbene ambiguamente – danno corso alla procedura ordinaria di approvazione, per cui il Comune di Cordignano dovrà, in prosieguo, procedere all’integrazione degli atti del procedimento, nella parte necessaria per completare l’iter procedimentale di cui all’art. 50 commi X e seguenti, compresa la trasmissione al competente dirigente regionale, il quale, per sua parte, sarà egualmente tenuto all’osservanza della presente decisione.
4.1. Resta così da esaminare la domanda risarcitoria, proposta dai ricorrenti nel ricorso 1414/00 nei confronti del Comune e della Regione: il danno consisterebbe, anzitutto, nell’impossibilità per i Dal Cin «di edificare sul lotto di loro proprietà, protrattosi per i cinque anni di durata del precedente giudizio, e nella impossibilità di edificare con intervento edilizio diretto a seguito del giudicato»; anche l’aggravamento del procedimento, derivato dall’imposizione regionale di subordinare l’edificazione a strumento attuativo (v. supra, sub 3.1.), sarebbe fonte di pregiudizio, non solo per il maggior tempo richiesto, ma anche per il danno economico derivante dall’illegittima imposizione di cessione di aree insita nell’obbligo di procedere mediante strumento attuativo.
Su tale fondamento i ricorrenti invocano il disposto dell’art. 278 c.p.c., e chiedono al Tribunale di emettere sentenza non definitiva di annullamento dei provvedimenti impugnati, con condanna generica al risarcimento dei danni, da liquidare in prosieguo di giudizio, e ciò perché essi «desiderano ottenere una sollecita pronuncia di annullamento e di condanna generica, per non subire ulteriori danni per il tempo necessario all’istruzione della causa sull’entità del danno».
Infatti, sempre secondo i ricorrenti, giusta art. 35 d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, il giudice amministrativo "può" e non "deve" «stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine»: sicché non sarebbe esclusa «la facoltà del ricorrente di invocare l’applicazione della norma del codice di rito che consente lo sdoppiamento del giudizio in due fasi (sull’an e sul quantum)».
In subordine, comunque, gli stessi ricorrenti chiedono altresì che il Tribunale voglia fissare i criteri di cui al ripetuto art. 35.
4.2.1. La decisione sulla domanda proposta, per le questioni processuali, che suscita con la sua formulazione, richiede alcune brevi riflessioni di carattere generale.
Orbene, non è anzitutto dubbio che la stessa appartenga alla giurisdizione di questo Tribunale, per il combinato disposto degli artt. 34 e 35 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80.
Il primo, invero, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie riguardanti gli atti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia; il secondo stabilisce, al I comma, che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.
Lo stesso art. 35, poi, al II comma, soggiunge che, nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, prevedendo altresì che, qualora le parti non giungano ad un accordo, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta nelle forme del giudizio d’ottemperanza.
4.2.2. Va ora rammentato come, nel processo civile, l’attore può anzitutto domandare un’unica pronuncia definitiva sul suo diritto al risarcimento, e, insieme, sulla sua misura, anche in forma specifica; ma può anche chiedere, giusta art. 278 c.p.c., che il giudice si pronunci soltanto sulla sussistenza di tale diritto, disponendo la prosecuzione del processo per l’accertamento della quantità della prestazione dovuta.
L’attore, tuttavia, anche quando richieda una pronuncia non definitiva ex art. 278 c.p.c., è comunque tenuto, giusta artt. 187 e 189 c.p.c., a formulare integralmente le proprie conclusioni ed a indicare i mezzi di prova dei quali intenda avvalersi per la determinazione del quantum, «con la conseguenza che in difetto di tali deduzioni probatorie la suddetta istanza non vale ad escludere il potere-dovere del giudice di rigettare la domanda» (Cass., 28 maggio 1999, n. 5193; conf. id. , 20 novembre 1996, n. 10220).
4.2.3. Orbene, non vede il Collegio, nelle disposizioni speciali di cui al citato art. 35, o in altre norme, ostacolo alcuno a che la regola testé enunciata si applichi anche al giudizio amministrativo in cui venga, comunque, direttamente richiesto, oltre all’accertamento della responsabilità in capo all’Amministrazione per un fatto ingiusto, anche la quantificazione del danno, per equivalente o in forma specifica.
Anche in questo processo, pertanto, la domanda, quando la causa viene assegnata a sentenza, deve essere in ogni caso definita nel petitum, ed integrata dalle richieste istruttorie ritenute necessarie, sì da permettere al Collegio una piena conoscenza della materia del contendere, e le più appropriate conseguenti determinazioni, anche tenuto conto delle esigenze di celerità e concentrazione (così l’art. 35 cit., III comma) proprie del processo amministrativo.
Non pare dunque consentito che, in tale giudizio di danno, l’attore si riservi di quantificare, dopo la sentenza non definitiva di condanna generica, la propria pretesa; e di indicare, sempre in tale fase, gli elementi di fatto che possano permettere di stabilire l’ammontare del risarcimento, ed i mezzi di prova necessari a dimostrarlo.
La domanda principale presentata dai ricorrenti, che non reca alcuno di tali elementi essenziali, è dunque senz’altro inammissibile.
4.3.1. Resta così da valutare l’ammissibilità e la fondatezza della domanda subordinata, con cui i Dal Cin chiedono che il Tribunale voglia fissare, ex art. 35, II comma, i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma.
Orbene, è evidente che, per accogliere tale domanda, si deve anzitutto stabilire se, nella fattispecie concreta, sussistano i presupposti per l’emissione di una pronuncia di condanna e, per questo, il giudice deve dapprima accertare la sussistenza di un evento dannoso; procedere quindi a stabilire se il danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; accertare, quindi, sotto il profilo causale, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta dell’Amministrazione convenuta; infine, stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della stessa Amministrazione (cfr. Cass. s.u., 22 luglio 1999, n. 500).
4.3.2. È subito da rilevare come, per tale, l’inclusione di un’area in una determinata zona urbanistica, piuttosto che in un’altra, non basta a realizzare un danno economico apprezzabile dal giudice, poiché questo va piuttosto correlato all’effettiva utilizzazione, o cessione, dell’area.
È infatti evidente che, ad esempio, ben diverse sono le possibilità edificatorie d’un terreno a destinazione agricola o industriale, ma dall’uno o dall’altro classamento nessun danno giudizialmente apprezzabile appare derivare – fino a prova contraria, che qui manca - al proprietario che non possa, o non voglia, né vendere né utilizzare il fondo: dunque, chi ne abbia la disponibilità deve specificare – e dimostrare - quale sia il concreto vantaggio economico che da un determinato classamento, non ancora attuato, gli deriverebbe, ovvero la perdita positivamente subita per effetto della sua mancata attribuzione.
Nel caso, per i Dal Cin – secondo quanto essi stessi espongono - il danno lamentato sarebbe rappresentato da una perdurante compressione del loro ius aedificandi, conseguente ad un’illegittima inclusione delle aree di proprietà, dapprima in zona agricola, e, successivamente, in zona C2, subordinante l’edificazione ad uno strumento attuativo; quanto poi al danno economico insito nell’imposizione di cessione di aree, cui parimenti il ricorso fa riferimento, lo stesso si può sin d’ora considerare inesistente, visto che, di fatto, tale cessione non è sicuramente mai avvenuta.
Orbene, sembra al Collegio indiscutibile che da ingiuste limitazioni al diritto di costruire possano derivare dei pregiudizi: e che, nel caso, tale restrizione sia indebita si desume delle precedenti decisioni emesse da questa stessa Sezione e, segnatamente, della sentenza 321/98.
E’ poi certo che, per determinare sia il danno emergente che il lucro cessante, sarà, per quanto si è detto, anzitutto necessario stabilire un dies a quo, in cui la volontà di esercitare tale diritto si è adeguatamente concretizzata ed è stata resa inattuabile dai vincoli urbanistici esistenti; e parimenti un termine conclusivo, in cui tale limitazione è cessata.
Nella fattispecie, pare al Collegio che tale termine iniziale possa essere senz’altro fissato soltanto al giorno 8 febbraio 1999, quando i ricorrenti presentarono per la prima volta, per quanto risulta, una domanda di concessione edilizia per l’edificazione diretta dell’area, escludendo così fondamento a qualsiasi domanda risarcitoria per il periodo precedente.
Non è invece possibile definire, allo stato, un termine finale, poiché i terreni di proprietà dei ricorrenti non hanno tuttora la destinazione urbanistica C1, che doveva essere ad essi attribuita dal Comune di Cordignano, mediante una variante in forma semplificata, secondo quanto precedentemente esposto.
4.3.4. È poi vero, secondo quanto si è prima rilevato, che la sentenza 321/98 non era autoesecutiva, come erroneamente affermato dai ricorrenti; ma è tuttavia altrettanto certo che la stessa era stata pubblicata sin dal 21 marzo 1998, ed era, come ogni altra decisione del giudice amministrativo, esecutiva ancor prima del suo passaggio in giudicato (avvenuto in epoca ignota): sicché, pur concedendo al Comune un ragionevole spatium deliberandi, sembra al Collegio che, nel febbraio dell’anno seguente, l’Ente, senza profondere uno straordinario impegno, poteva già aver completato il procedimento di variante, che invece non era stato neppure iniziato.
Né, d’altro canto, il ritardo può trovare giustificazione – come traspare negli atti del Comune – nell’attesa di un parere regionale sulla procedura da seguire: proprio perché tale parere era affatto facoltativo, l’inerzia della Regione non può certamente liberare il Comune dai suoi obblighi.
4.3.5. Le ultime osservazioni, invero, consentono altresì di risolvere, in ordine alla responsabilità del Comune, anche la questione dell’elemento soggettivo.
Infatti, per quanto si è detto, non pare revocabile in dubbio che il Comune, nel ritardare l’attuazione alla ripetuta sentenza 321/98, abbia operato in violazione del principio di buona amministrazione: è in particolare evidente che lo stesso Ente era pienamente consapevole dell’applicabilità alla fattispecie della procedura d’approvazione semplificata della variante e non l’abbia seguita soltanto per negligenza ed imperizia.
Ma, va subito precisato, non si può negare una concorrente responsabilità della Regione, la cui condotta ha concorso ad impedire che la procedura di riclassamento dell’area fosse portata a compimento, almeno dopo che il Comune aveva infine provveduto a formare la variante.
Non si vuole così fare riferimento al contenuto del provvedimento regionale impugnato, che, come già detto, non si presenta così palesemente errato, quanto, piuttosto, alla decisione di emetterlo, senza neppure valutare adeguatamente – come sarebbe stato invece doveroso – se la variante in questione, per il suo contenuto, non rientrasse tra quelle da sottoporsi ad approvazione semplificata: e non è dubbio che va in questo riconosciuta una specifica negligenza che ha condotto la Regione ad emettere un provvedimento, il quale ha senza dubbio concorso a ritardare ulteriormente la variazione della destinazione urbanistica per l’area di proprietà dei ricorrenti.
4.4.1. È dunque possibile concludere che sussistono, nella fattispecie, le condizioni per disporre la condanna al risarcimento del danno arrecato, di cui sono solidalmente responsabili, ex art. 2055 c.c., il Comune di Cordignano e la Regione Veneto; devono quindi essere ora definiti – in conformità alla domanda subordinata - i criteri in base ai quali le due Amministrazioni interessate devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma a titolo risarcitorio: precisando sin d’ora che, in relazione alla gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate, per ciascuno dei due Enti responsabili, il risarcimento va posto, quanto ai loro rapporti interni, per i due terzi a carico del Comune e per il residuo della Regione Veneto.
4.4.2. Orbene, come si è visto, i ricorrenti hanno, anche in relazione alla richiesta risarcitoria, espresso la loro volontà di utilizzare a scopo edificatorio l’area de qua, e identificano il loro pregiudizio con il ritardo che devono sopportare nel realizzare le costruzioni progettate: ed i criteri, di seguito esposti, devono necessariamente procedere da tale presupposto.
Andrà dunque anzitutto stimato quando la concessione edilizia avrebbe potuto essere rilasciata, tenendo presenti i termini procedimentali di cui all’art. 4, VI comma, del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, come novellato dall'art. 2, LX comma, l. 23 dicembre 1996, n. 662: si terrà ferma, a tal fine, quale atto d’avvio del procedimento, come già detto, la domanda di concessione presentata nel febbraio del 1999, presupponendo che, in quel momento, l’area avesse già destinazione compatibile con l’edificazione; e si considereranno, inoltre, i tempi necessari, secondo esperienza, per consentire agli interessati eventuali integrazioni progettuali.
Compiuta tale stima, l’intervallo, corrente con il momento in cui la concessione sarà stata effettivamente rilasciata – dedotte le interruzioni nel procedimento di effettivo rilascio imputabili ai richiedenti – costituirà il periodo sul quale andrà determinato il risarcimento per equivalente del danno, rappresentato da tutti i maggiori costi causati da quel ritardo nella realizzazione delle costruzioni, fermo restando che tale risarcimento andrà corrisposto, solo una volta completate le opere concesse - atteso che è proprio in funzione a tale risultato che lo stesso risarcimento è stato ritenuto concedibile – ed entro sei mesi da quel momento.
5. Le spese tra le parti nei due giudizi, attesa la parziale reciproca soccombenza, nonché la relativa novità delle questioni trattate, possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, I sezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa riunione:
a) rigetta il ricorso 1157/00;
b) accoglie il ricorso 1414/00;
c) accoglie la domanda risarcitoria subordinata proposta con il ricorso sub b), accertando il diritto dei ricorrenti, nei confronti del Comune di Cordignano e della Regione Veneto in solido, al risarcimento per equivalente dei danni derivanti dal ritardo nel rilascio della concessione edilizia, da liquidarsi secondo i criteri e nei termini fissati in motivazione.
Compensa le spese di causa tra le parti, tanto con riguardo agli atti compiuti nella fase cautelare, quanto a quelli relativi al giudizio principale.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Il Presidente f.f. l’Estensore
Depositata il 5 aprile 2001