TAR VENETO, SEZ. I – Sentenza 14 febbraio 2002 n. 639 – Pres. Baccarini, Est. Gabbricci – Franceschin (Avv.ti Dalla Valle e Pellicani) c. Amministrazione della Giustizia (Avv. Stato Gerardis) – (dichiara inammissibile un ricorso per l’esecuzione della sentenza T.A.R. Veneto, I Sezione, 7 settembre 2001, n. 2520).
Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – Applicabilità di tutte le norme ed i principi in materia di giudizio di ottemperanza – Necessità – Ricorso non preceduto da previo atto di diffida – Nel caso in cui la P.A. non abbia manifestato la intenzione di non eseguire la sentenza – Inammissibilità – Va dichiarata.
L’art. 33 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo novellato dall’art. 10 della L. 21 luglio 2000, n. 205 (secondo cui, in particolare, «per l’esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato il tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni»), va applicato nel senso che il procedimento di esecuzione delle sentenze di primo grado è disciplinato dalle stesse norme che regolano il giudizio di ottemperanza e che sono contenute negli artt. 90 e 91 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, nella loro comune interpretazione.
Deve pertanto ritenersi inammissibile un ricorso per l’esecuzione della sentenza di primo grado senza la previa e rituale notifica di un atto di diffida e messa in mora dell’Amministrazione, ove quest’ultima non abbia manifestato in modo univoco la volontà di non dare esecuzione alla sentenza (1).
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(1) Come ricordato nella motivazione della sentenza, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, dall’atto di messa in mora nel caso di giudizio di ottemperanza si può prescindere solo nel caso in cui l’Amministrazione «abbia manifestato l’intenzione di non eseguirlo o, comunque, abbia posto in essere un atto solo formalmente inteso ad eseguirlo ma in concreto non satisfattiva» (così C.d.S., V, 24 gennaio 1994, n. 49; conf. VI, 3 giugno 1996, n. 780).
Il TAR Veneto, constatato che nella specie non vi era nessun atto dell’Amministrazione dal quale si poteva dedurre la volontà di non eseguire la sentenza e ritenuto che allo speciale procedimento previsto dell’art. 10 della l. 21 luglio 2000, n. 205 sono pienamente applicabili tutte le norme previste per il giudizio di ottemperanza, ha dichiarato inammissibile il ricorso, che non era stato preceduto da un atto di diffida giudizialmente notificato con un termine minimo di 30 giorni.
Sul ricorso previsto dall’art. 10 della l. 21 luglio 2000, n. 205, v. in questa rivista: C. ADAMO, Giudizio di ottemperanza delle sentenze non passate in giudicato, pag. http://www.giustamm.it/articoli/adamo_ottemperanza.htm.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe, estesa in forma semplificata, questa Sezione ha accolto il ricorso, proposto da Gianmaria Franceschin avverso il provvedimento della Commissione per gli esami di avvocato, costituita presso la Corte d’Appello di Venezia per la sessione 2000, con cui, attribuito il voto complessivo di punti 82 alle sue prove scritte, non lo aveva ammesso alla successiva prova orale.
In forza dell’effetto conformativo della suddetta pronuncia – anche per i richiami in quella contenuti ad analoghi precedenti della Sezione - la commissione di esame, sotto la diretta responsabilità del suo presidente, in composizione diversa da quella che aveva giudicato le prove del Franceschin, era – ed è – tenuta a riesaminarne gli elaborati, procedendo quindi ad una nuova motivata determinazione sull’ammissione dello stesso alla fase orale dell’esame.
Con nota pervenuta il 27 settembre 2001, il difensore del ricorrente trasmetteva al presidente della commissione copia della rammentata sentenza, e restava «in attesa di conoscere le modalità con cui la Commissione intende dare esecuzione alla stessa».
Veniva quindi proposto il ricorso per esecuzione in esame.
In questo, dopo aver affermato che l’istante non aveva ricevuto alcuna risposta alla sua richiesta, venivano svolte le seguenti considerazioni:
a) le sentenze formulate dai TAR sono immediatamente esecutive ai sensi dell’art. 33 l. 1034/1971;
b) può ritenersi pacifica la volontà della P.A. di non eseguire detta sentenza;
c) l’utilità effettiva del rimedio giurisdizionale esperito con successo resterebbe lettera morta in mancanza di una pronta esecuzione della pronuncia giudiziale;
d) l’art 33 comma 5 della legge 1034/1971, così come novellato dalla legge 205/2000, consente al ricorrente vincitore in primo grado di esperire rimedio giurisdizionale per l’esecuzione delle sentenze di primo grado, attribuendo al TAR i medesimi poteri relativi al giudizio di ottemperanza.
Su tale fondamento il Franceschin ha chiesto che il Tribunale disponga l’esecuzione della sentenza n. 2520/2001, mediante la nomina di una commissione ad acta per la correzione delle sue prove scritte già negativamente giudicate e per l’eventuale conseguente fase orale.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione della Giustizia, la quale ha prodotto la nota 29 ottobre 2001 del presidente della commissione, in cui si comunica che questa «ha dato corso alla procedura per il riesame delle prove scritte» dei sei candidati il cui ricorso era stato accolto, tra cui il Franceschin, precisando peraltro che le operazioni di nuova correzione «saranno compiute con la dovuta tempestività, tenendo peraltro conto del contestuale impegno della commissione relativo all’espletamento delle prove orali, tuttora in corso».
Dalla discussione, svolta nel corso dell’ udienza camerale del 28 novembre, emergeva che, a quella data, le prove del Franceschin non erano state ancora corrette, né era stabilita una data precisa a tal fine, né, d’altro canto, la decisione 2520/01 era stata ancora appellata né tanto meno sospesa dal giudice d’appello.
DIRITTO
L’ art. 33 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo novellato dall’ art. 10 della l. 21 luglio 2000, n. 205, stabilisce che «le sentenze dei tribunali amministrativi regionali sono esecutive» (I comma) e che «il ricorso in appello al Consiglio di Stato non sospende l’esecuzione della sentenza impugnata» (II comma), ma il giudice d’appello, «su istanza di parte, qualora dall’esecuzione della sentenza possa derivare un danno grave e irreparabile, può disporre, con ordinanza motivata emessa in camera di consiglio, che la esecuzione sia sospesa» (III comma); e «per l’esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato il tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni».
Orbene, ritiene il Collegio che, stante il rinvio al giudizio di ottemperanza, ed in difetto di diverse disposizioni (diversamente da quanto avviene per l’esecuzione dei provvedimenti cautelari, ex art. 21, XV comma, l. 1034/71), il procedimento di esecuzione deve intendersi disciplinato dalle stesse norme che regolano il primo, e che sono contenute negli artt. 90 e 91 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, nella loro comune interpretazione.
L’art. 90, in particolare, dispone, al II comma, che il ricorso può essere proposto «non prima di trenta giorni da quello in cui l’autorità amministrativa sia stata messa in mora di provvedere»: ed è inammissibile il ricorso per l’ottemperanza ad un giudicato, senza la previa e rituale notifica di tale atto di diffida e messa in mora, «che non è soltanto un’intimazione ad adempiere - e non può essere surrogata da un atto di precetto e da una raccomandata - ma è un atto preparatorio dell’intera procedura di ottemperanza con la ulteriore e specifica funzione di informare l’amministrazione - alla quale deve essere notificata esclusivamente nel suo domicilio effettivo - del proposito del diffidante di proporre ricorso per l’ottemperanza e consentirle l’esecuzione spontanea» (così, da ultimo, C.d.S., IV, 27 novembre 2000, n. 6300; id. 10 febbraio 2000, n. 720; 11 marzo 1999, n. 264; 18 maggio 1998, n. 823); dall’ atto di diffida si può prescindere allorché l’Amministrazione «abbia manifestato l’intenzione di non eseguirlo o, comunque, abbia posto in essere un atto solo formalmente inteso ad eseguirlo ma in concreto non satisfattiva» (così C.d.S., V, 24 gennaio 1994, n. 49; conf. VI, 3 giugno 1996, n. 780).
Invero, nella fattispecie in esame, è certamente mancato un rituale atto di messa in mora dell’ Amministrazione; inoltre, non può neppure affermarsi che questa abbia manifestato in modo univoco la volontà di non dare esecuzione alla sentenza, secondo quanto si desume dalla comunicazione del suo presidente, sopra ricordata.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; ma le spese possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara inammissibile.
Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 28 novembre 2001.
Il Presidente l’Estensore
Depositata il 14 febbraio 2002.