TAR VENETO, SEZ. I – Sentenza 22 agosto 2002 n. 4514 – Pres. ff. ed Est. De Zotti - Coletto (Avv.ti Riponti e Casellati) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Brunetti) – (respinge).
1. Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Nei confronti di dipendente cessato dal servizio – Per valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare - Possibilità.
2. Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Nei confronti di dipendente cessato dal servizio – Presupposti - Individuazione - Finalità di ristabilire il prestigio ed il decoro dell’Amministrazione - Sufficienza - Fattispecie.
1. All'Amministrazione va riconosciuto il potere di attivare un procedimento disciplinare anche nei riguardi dei dipendenti sospesi dal servizio, dimessisi e collocati in quiescenza, anche allo scopo di valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare (1).
2. Deve ammettersi in via generale l'esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio, nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell'impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto in servizio dal dipendente (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto sufficiente per promuovere un procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente collocato in quiescenza a seguito di dimissioni dal servizio, l'interesse di ristabilire il prestigio ed il decoro dell’Amministrazione, a seguito della definizione del processo penale
) (2).-------------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, dec. 24 maggio 1995 n. 360, in Foro amm. 1995, 880, secondo cui spetta alla pubblica amministrazione la facoltà di attivare il procedimento disciplinare anche nei riguardi dei dipendenti sospesi dal servizio, dimessisi e collocati in quiescenza, allo scopo di valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare; v. anche, nello stesso senso Cons. Stato, Sez. III , par. 3 ottobre 1989 n. 1064.
(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., dec. 6 marzo 1997, n. 8, in Foro amm. 1997, 739, in Foro it. 1997, II, 249 ed in Giur. it. 1997, III, 1, 514, secondo cui, "all'esito del giudicato penale di condanna, l'amministrazione deve valutare se iniziare o meno il procedimento disciplinare a carico del dipendente già sospeso in via cautelare, e può iniziarlo ancorchè il dipendente sia cessato dal servizio anteriormente al giudicato penale, e ciò al fine di regolare gli effetti della sospensione cautelare, che è titolo per sua natura provvisorio".
Alla stregua del principio è stato ritenuto nella specie che l’amministrazione disponeva del potere di avviare il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente cessato dal servizio; potere che aveva legittimamente esercitato, motivandolo con l’interesse a sanzionare un comportamento che aveva avuto un notevole eco all’esterno e che aveva prodotto un grave danno al prestigio ed al decoro dell’amministrazione stessa.
Da notare che, mentre secondo le pronunce dell’Ad. Plen. e della Sez. IV, richiamate in precedenza, la possibilità di iniziare un procedimento disciplinare è ammessa "al fine di regolare gli effetti della sospensione cautelare", secondo la pronuncia in rassegna tale possibilità sussiste anche se non si ravvisi quest’ultima esigenza, ma al fine di ristabilire il prestigio ed il decoro dell’amministrazione.
In realtà, ha aggiunto il T.A.R. Veneto, non c’è nulla di irragionevole nel sanzionare un ex dipendente se i fatti che hanno leso il prestigio ed il decoro dell’amministrazione sono oggettivamente tali ed hanno avuto risalto presso gli organi di stampa, giacché il danno non deriva solo dalla possibilità che il dipendente, ove permanga in servizio, possa commettere altri illeciti (ciò che è escluso per un dipendente cessato) ma anche dal fatto di lasciare impunito ciò che deve essere doverosamente sanzionato in base alle norme di disciplina; condotta questa che, intuitivamente, aggraverebbe il danno d’immagine già subìto dall’Amministrazione inducendo la convinzione, all’esterno ed all’interno dell’Amministrazione stessa, dell’inanità del potere disciplinare ovvero della facilità della sua elusione.
per l'annullamento
del provvedimento n. 672 in data 18 settembre 1996 del direttore regionale del Veneto del Dipartimento delle entrate presso il Ministero delle Finanze.
(omissis)
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il signor Luigi Coletto, già dipendente dell’Ufficio del registro di Conegliano, impugna il provvedimento con il quale, a seguito di procedimento disciplinare, gli è stata applicata la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso con effetto dal 30 maggio 1994, data dalla quale ebbe inizio la sospensione obbligatoria dal servizio dello stesso Coletto, a seguito della misura degli arresti domiciliari disposta a suo carico dal giudice per il tribunale di Treviso nell’ambito del procedimento penale per la contestata violazione dell’art. 323 c.p. : processo poi conclusosi con sentenza patteggiata di condanna a sette mesi e venticinque giorni di reclusione.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) violazione degli artt. 124 e 125 del D.P.R. n. 3/1957.
Sostiene il ricorrente che all'amministrazione non è consentito promuovere l’azione disciplinare dopo che il rapporto d’impiego è cessato, salvo che non fosse iniziato prima; che, pertanto, nella specie, il procedimento disciplinare non poteva essere instaurato nei confronti del ricorrente in quanto, all’atto del suo avvio, il dipendente era già cessato dal servizio per dimissioni, accettate dall’amministrazione, e godeva del trattamento pensionistico.
2) eccesso di potere per incongruenza e contraddittorietà della motivazione.
Si sostiene che la motivazione del provvedimento è incongrua e contraddittoria in quanto nel momento in cui venne emessa la sentenza di applicazione della pena il Coletto non faceva più parte dell’amministrazione e dunque la notizia, anche se riportata dalla stampa non poteva creare all’amministrazione alcun disagio.
L’amministrazione intimata contesta i motivi di ricorso e ne chiede la reiezione con vittoria di spese.
All’udienza pubblica del 28 marzo 2002 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente, licenziato a seguito di procedimento disciplinare avviato dopo le sue dimissioni, si duole della violazione degli artt. 124 e 125 del D.P.R. n. 3/1957.
Sostiene, infatti, che al momento dell'emanazione, da parte del Tribunale di Treviso, della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emessa in data 22 gennaio 1996 (ed anzi ancor prima, cioè al momento del decreto di rinvio a giudizio emesso dal giudice presso il predetto tribunale in data 23 marzo 1995) egli si trovava già in quiescenza in forza del decreto n. 4590 del 23 dicembre 1994 con il quale erano state accettate le sue dimissioni a far data dal giorno 24 dicembre 1994.
Pertanto, non essendo stato avviato alcun procedimento disciplinare prima dell'accettazione della sua domanda di dimissioni dall'ufficio, (circostanza che il ricorrente reputa essenziale ai fini di una eventuale destituzione dell'impiego, con retrodatazione degli effetti giuridici ed economici da data anteriore alla cessazione del rapporto di lavoro) non sarebbe stato possibile avviarlo successivamente: ciò in quanto, al momento dell'emanazione della sentenza patteggiata, avvenuta il 22 gennaio 1996, il rapporto d’impiego si era già estinto.
Il motivo è infondato.
In merito alla possibilità per l’amministrazione di promuovere il procedimento disciplinare anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro si è pronunciata l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con decisione ampiamente motivata (6 marzo 1997, n. 8) dai cui contenuti non vi è ragione di discostarsi.
In quell’occasione è stato ribadito che la prevalente giurisprudenza ammette l'esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell'impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto in servizio dal dipendente.
Si è affermato, in particolare, che spetta all'Amministrazione il potere di attivare il procedimento disciplinare anche nei riguardi dei dipendenti sospesi dal servizio, dimessisi e collocati in quiescenza, anche allo scopo di valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare (IV Sez. 24 maggio 1995 n. 360; III Sez. par. 3 ottobre 1989 n. 1064).
E’ stato anche sottolineato, nella citata decisione dell’AP, che ai sensi dell'art. 96 del testo unico n. 3 del 1957, esiste uno stretto collegamento tra sanzione disciplinare e sospensione cautelare: dalla natura interinale della sospensione medesima si evince il principio che la sospensione cautelare per sua natura produce effetti solo fino a quando non intervenga un provvedimento definitivo che sia idoneo a sorreggere stabilmente il rapporto tra Amministrazione e impiegato.
E tale provvedimento non può che essere quello disciplinare, al cui esito è strettamente correlata la sorte del periodo di sospensione cautelare.
Riassumendo, dal delineato contesto di diritto derivano, secondo la decisione dell’AP, le seguenti conseguenze:
a) l'ordinamento richiede, nell'interesse al definitivo assetto dei rapporti giuridici, e attesa la durata interinale degli effetti del provvedimento di sospensione cautelare, che, all'esito del procedimento penale, il provvedimento di sospensione cautelare sia sostituito da un diverso titolo giuridico che disponga degli effetti prodotti dalla sospensione;
b) la sorte del provvedimento di sospensione e degli effetti dallo stesso prodotti non può che essere rimessa all'iniziativa dell'Amministrazione al cui comportamento soltanto la legge collega effetti tipici;
c) a questa, infatti, va riconosciuto, pur essendo intervenuta la cessazione del rapporto, il potere di valutare il comportamento dell'impiegato anche al fine di regolare in maniera definitiva l'assetto degli interessi provvisoriamente determinato dal provvedimento di sospensione cautelare;
e) tale valutazione non può che costituire estrinsecazione del potere disciplinare, non rinvenendosi nell'ordinamento altro procedimento amministrativo a ciò preordinato;
f) attesa la natura disciplinare, il procedimento non può che essere assoggettato alle modalità per lo stesso previste, in particolare ai termini per l'inizio del procedimento posti dalla legge.
Nella specie, quindi, si deve concludere che l’amministrazione disponeva del potere di avviare il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente cessato dal servizio; potere che ha esercitato motivandolo con l’interesse a sanzionare un comportamento che aveva avuto un notevole eco all’esterno e che aveva prodotto un grave danno al prestigio ed al decoro dell’amministrazione stessa.
Tale considerazione anticipa ed assorbe anche la seconda censura, con la quale il ricorrente contesta, da quanto è dato comprendere, la ragionevolezza della motivazione del provvedimento in base al rilievo che "nel momento in cui venne emessa la sentenza il Coletto non faceva più parte dell’amministrazione" e che la notizia, anche se riportata dalla stampa non poteva crearle alcun disagio: in realtà non c’è nulla di irragionevole nel sanzionare un ex dipendente se i fatti che hanno leso il prestigio ed il decoro dell’amministrazione sono oggettivamente tali ed hanno avuto risalto, giacché il danno non deriva solo dalla possibilità che il dipendente, ove permanga in servizio, possa commettere altri illeciti (ciò che è escluso per un dipendente cessato) ma anche dal fatto di lasciare impunito ciò che deve essere doverosamente sanzionato in base alle norme di disciplina; condotta, questa, che intuitivamente aggraverebbe il danno d’immagine già subìto dall’amministrazione inducendo la convinzione, all’esterno ed all’interno dell’amministrazione stessa, dell’inanità del potere disciplinare ovvero della facilità della sua elusione.
Il ricorso va quindi respinto.
Le spese e le competenze di giudizio possono essere nondimeno compensate per ragioni di equità.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese e competenze di causa compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, addì 28 marzo 2002.
Il Presidente f.f. estensore
Depositata in cancelleria in data 22 agosto 2002.