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n. 11-2002 - © copyright.

TAR VENETO, SEZ. II - Sentenza 25 ottobre 2002 n. 6106 - Pres. Trivellato, Est. Antonelli - Corradini (Avv.ti Vinello e Veronese) c. Comune di Venezia (Avv.ti Gidoni e Morino) e Casinò Municipale di Venezia (Avv.Sartori) (dichiara il ricorso inammissibile).               

 Atto amministrativo - Diritto di accesso - Concessionario di pubblici servizi - Casinò Municipale di Venezia s.p.a. - Non è tale - Diritto di accesso - Esclusione.

E’ inammissibile un ricorso per l'accertamento del diritto all’accesso ai verbali del Consiglio d’Amministrazione del Casinò Municipale di Venezia S.p.a., atteso che il Casinò Municipale di Venezia non può ritenersi soggetto gestore di un servizio pubblico, essendo l’attività svolta dal Casinò Municipale riconducibile all’attività di impresa, non rientrante nell’ambito dei pubblici servizi (1).

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(1) Cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 29 novembre 2000, n. 2346; ha aggiunto inoltre il T.A.R. Veneto con la sentenza in rassegna che la circostanza che la società Casinò di Venezia gestisca risorse di matrice e provenienza pubblica ovvero le riserve legislativamente poste in ordine alla attività di gestione del gioco d’azzardo non possono comunque indurre a ritenere che la società stessa agisca per la realizzazione, oltre che dell’interesse proprio e di interessi di carattere eminentemente economico del Comune azionista, di interessi di carattere collettivo (v. in precedenza sul punto T.A.R. Veneto, Sez. I, 18 agosto 1999, n. 1399).

Commento di

OTTAVIO CARPARELLI

Casinò Municipale di Venezia s.p.a.: vietato l’"accesso”... ai non addetti

1. Il fatto.

Il T.A.R. del Veneto, con la sentenza in rassegna, ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione passiva della s.p.a. intimata, il ricorso proposto dall’amministratore delegato della stessa società - revocato da tale incarico - per l’accertamento del diritto di accesso, ex artt. 22 e segg. l.n.241/1990, ai documenti del Casinò Municipale di Venezia s.p.a.

Per una più agevole lettura della vicenda, appare utile precisare, in breve, che, con deliberazione assembleare del 13 maggio 2002, l’assemblea dei soci del Casinò Municipale di Venezia s.p.a., ha stabilito di revocare, nei confronti del ricorrente, l’incarico di amministratore delegato.

A seguito dell’adozione di tale deliberato collegiale, l’ex amministratore delegato ha inoltrato alla menzionata società, ex artt. 22 e segg. l.n.241/1990, domanda di accesso agli atti, al fine di analizzare il provvedimento assunto dall’assemblea, per intraprendere, eventualmente, azione giudiziaria a tutela della propria situazione e/o posizione giuridica soggettiva.

Nell’inerzia della prefata s.p.a., l’ex amministratore è insorto per sentir accertare il suo diritto all’accesso, ex artt.22 e segg. della legge n.241/1990, ai verbali del Consiglio di Amministrazione.

2. La decisione del T.A.R. per il Veneto.

I Giudici amministrativi veneti, richiamando il proprio orientamento espresso in precedenza (1), (2), hanno attribuito alla natura dell’attività svolta dal Casinò Municipale di Venezia s.p.a., precipua valenza di spartiacque, in ordine alla legittima possibilità di esercitare ovvero, al contrario, all’impossibilità di esercitare il diritto di accesso, ex artt.22 e segg. della legge n.241/1990, agli atti della predetta s.p.a.

 In merito, hanno preso le mosse da un imprescindibile presupposto, ed hanno implicitamente e sostanzialmente affermato:

 - la proponibilità della richiesta di ostensione, e quindi, dell’ ”actio ad exibendum”, esclusivamente con riguardo ad atti afferenti attività amministrativa avente natura e/o svolta nell’ambito di un pubblico servizio ovvero, in relazione ad atti adottati nell’ambito di attività amministrativa che, pur di diritto privato, sia volta alla concreta cura di interessi della collettività;

- di contro, e consequenzialmente, l’impossibilità di proporre la domanda di accesso, e, quindi, l’inammissibilità dell’ “actio ad exibendum”, in ipotesi di attività prevalentemente imprenditoriale.

 Al riguardo, hanno osservato e chiarito, infatti, che l’attività esercitata dalla s.p.a. Casinò Municipale di Venezia, pur gestita con risorse finanziarie di matrice e provenienza pubblica, ha prevalentemente e sostanzialmente natura di attività d’impresa, mirata al perseguimento di interessi propri ed eminentemente economici dell’ente locale azionista, e non di carattere collettivo; detta attività, pertanto, non è collocabile nell’ambito dei pubblici servizi.

 Sicché:

- non potendo considerare la prefata s.p.a. soggetto gestore di un servizio pubblico, ex art.23. l.n.241/1990;

- valutando, verosimilmente, che la carenza di legittimazione passiva sussiste in tutti i casi in cui il soggetto destinatario dell’azione giurisdizionale, non risulti essere il soggetto nei cui confronti la stessa azione può essere utilmente esercitata secondo le disposizioni normative che regolano il rapporto oggetto di causa, hanno ritenuto, evidentemente, che l’effettiva titolarità passiva del rapporto controverso dedotto in giudizio non poteva essere validamente individuata in capo a s.p.a. Casinò Municipale di Venezia e, di conseguenza, hanno concluso per l’inammissibilità del gravame, alla stregua del difetto di legittimazione passiva della società intimata.

 L’Organo giurisdizionale, in particolare, ha rilevato la pregnanza delle finalità marcatamente privatistico-economiche dell’attività di s.p.a. Casinò Municipale di Venezia, rispetto al perseguimento di interessi di carattere collettivo, ed ha escluso il configurasi della gestione di un pubblico servizio.

 E così, ha fatto implicita e sostanziale applicazione del principio affermato dal Massimo Organo di Giustizia Amministrativa, (3), (4), (5), (6), secondo cui le controversie in materia di accesso vanno decise tenendo conto, vuoi della natura sostanziale delle varie posizioni coinvolte, e, vuoi dell’esito di un giudizio comparativo di prevalenza, avuto riguardo alla verifica e/o all’accertamento della sussistenza di un collegamento diretto tra attività destinataria della richiesta di accesso, e cura e/o perseguimento in concreto, nella medesima attività, dell’interesse pubblico ovvero collettivo.

 La soluzione seguita dal T.A.R. Veneto, è, pertanto, da ritenere condivisibile.

E ciò sul rilievo che da un lato, conferma il noto orientamento secondo cui l’accesso è consentito anche agli atti posti in essere dall’Amministrazione o dal soggetto gestore di un pubblico servizio (art.23, l.n.241/1990), disciplinati dal diritto privato, ma, in ogni caso, vincolati all’interesse collettivo, non sussistendo, rispetto all’accesso a tali atti c.d. “zone franche”; dall’altro, afferma che, nella specie, è necessario muovere dal fondamentale presupposto secondo cui, al fine di considerare ammissibile o meno l’accesso ai documenti, non può prescindersi dall’analisi del contenuto delle disposizioni negoziali previste nel contratto tra ente locale e società gestrice della casa da gioco. Con l’obiettivo di individuare se i caratteri e le effettive finalità dell’attività svolta, siano coincidenti con il perseguimento e/o la tutela di interessi pubblicistici, collettivi e generali, ovvero squisitamente privatistici-imprenditoriali.

                Senza incamminarsi sulla strada della così densa e vasta problematica connessa alla questione della definizione della nozione oggettiva di servizio di pubblico - per altro già abbondantemente percorsa da ben più autorevoli utenti - e, in disparte le non secondarie difficoltà in tal senso incontrate sino ad oggi da dottrina e giurisprudenza, si ritiene utile, al riguardo, effettuare le seguenti tre brevi e generali annotazioni, reputando che le stesse possano militare a favore dell’esattezza della pronuncia in commento, e quindi, per l’inaccessibilità agli atti richiesti dal ricorrente.

A) Non può omettersi il riferimento all’art.112, comma 1°, d.lgs. n.267/2002: “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”. (7)

Dal contenuto della richiamata disposizione normativa si evince, incontrovertibilmente, che il servizio pubblico, ha come specifico oggetto la produzione di beni ed attività.

Pertanto, diversamente da quanto disposto dall’art.2082 cod. civ. - che contiene la definizione di imprenditore - la citata norma del d.lgs. n.267/2002, non accenna ad attività economica organizzata allo scopo di produrre beni, esercitata professionalmente dall’ente locale.

Ne consegue che l’attività non può intendersi fondata sull’intento di lucro - questo sì elemento essenziale della nozione di impresa (8), bensì sulla produzione di beni e servizi per la cura e/o la tutela di interessi pubblicistici e collettivi (si pensi, in materia di servizi, alla mensa scolastica, al trasporto pubblico, ecc.).

In altri termini, la definizione di cui all’art.112, d.lgs. n.267/2002, appare più ristretta al cospetto di quella contenuta nell’art.2082 cod. civ., sul rilievo che la stessa esclude dal novero dei servizi pubblici tutte quelle attività che non siano precipuamente finalizzate a scopi prettamente sociali, e di sviluppo economico della comunità;

B) anche richiamando la nozione di derivazione comunitaria di pubblico servizio, da un lato, non pare che l’attività di gestione di una casa da gioco, in disparte la veste formale pubblica o privata del gestore, sia rispondente ovvero si curi di tutelare interessi generali, e, dall’altro, non pare nemmeno che la stessa, pur connessa ad attività della P.A. di natura privatistico-contrattuale, possa considerarsi come caratterizzata dall’imposizione al gestore di una serie di obblighi (ad es. di esercizio e tariffari), tali da assicurare che il relativo svolgimento sia costantemente informato a criteri di regolarità, continuità, trasparenza ed imparzialità;

C) d’altronde, francamente, non sembra che l’attività di gestione di una casa da gioco, ancorché controllata dall’ente locale, possa ritenersi idonea a soddisfare direttamente esigenze proprie di una c.d. platea indifferenziata di utenti; e ciò anche e soprattutto in considerazione del fatto che la connotazione “pubblica” di un servizio e/o di una specifica attività amministrativa, è stata per lo più intesa come oggettivamente prossima ad interessi e/o a bisogni stringenti, primari e particolarmente estesi della collettività, connessi a diritti fondamentali del cittadino, costituzionalmente garantiti.

Anzi, se si deve dire proprio tutto, non sembra che l’attività di gestione di una casa da gioco, a prescindere dalla veste formale pubblica o privata o mista del soggetto gestore, possa considerarsi rivolta alla produzione di beni e servizi, e meno che mai, che tale produzione possa valutarsi come volta a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale limitanti, di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.)

                Si è dell’avviso che, in ogni caso, nella considerazione complessiva dei vagliati confliggenti interessi, non può sottovalutarsi che il ricorrente, nella fattispecie esaminata, ha sicuramente agito per la tutela di una situazione e/o posizione soggettiva giuridicamente rilevante, di cui aveva titolarità. Va osservato, sul punto, che, da un lato, non può revocarsi in dubbio il fondamento costituzionale e la significativa dignità sostanziale della situazione giuridica soggettiva sussistente in capo al soggetto che formula l’istanza di accesso, e che, dall’altro, spesso, detta posizione, anche meramente potenziale, è direttamente tutelabile ex art.24 Cost.

Mette conto evidenziare, a tal proposito, che il diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa, sancito dall’art. 24 Cost., cui l’accesso, nel caso in commento, è apparso preordinato, oltre ad essere qualificabile come diritto inviolabile dell’uomo, a norma dell’art.2 della Carta fondamentale, è da ascrivere, nel suo nucleo più ristretto ed essenziale, fra i principi supremi dell’ordinamento italiano.

                Quanto innanzi affermato potrebbe assumere maggiore valenza se, da ultimo, non si oblitera che, in disparte il contenuto negoziale del singolo contratto stipulato tra Comune e soggetto gestore della casa da gioco comunale, sulla questione della possibilità di assimilare detta gestione alla concessione di pubblico servizio, e, quindi sull’accessibilità dei relativi atti, la giurisprudenza, civile, amministrativa e penale (9), (10), (11), (12), (13), (14), non sempre è stata marcatamente schierata a favore dell’una o dell’altra tesi; e ciò, verosimilmente, anche a causa della notoria massima disorganicità della situazione normativa concernente i casinò e/o le case da gioco e, segnatamente, l’utilizzo dei relativi proventi (15).

                Si evidenzia, infine, l’attualità delle problematiche connesse alla materia dei casinò e delle case da gioco in Italia - oggetto di un recentissimo ed apposito convegno tenutosi a Spoleto - all’attenzione dell’attuale Governo, per la definizione di un disegno di legge ad hoc sull’istituzione in tutto il territorio nazionale di venti casinò, considerati strumenti di completamento dell’offerta turistica.

 

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NOTE

1) “L’attività svolta dai casinò municipali è riconducibile nel novero delle attività d’impresa, non rientranti nell’ambito di pubblici servizi e, quindi, da esercitare in forma rigorosamente separata dalle funzioni istituzionali” (T.A.R. Veneto, Sez. II, 28 novembre 2000, n.2346; in T.A.R. 2001, I, 195);

2) “Non è configurabile il diritto di accesso ai documenti serbati dalla Società Casinò di Venezia, non assumendo la qualificazione di concessionario di pubblico servizio poiché la circostanza che essa gestisca risorse di matrice e provenienza pubblica non consente di ritenere che la Società medesima agisca per la realizzazione, oltre che di un interesse proprio e di interessi di carattere eminentemente economico del Comune azionista, anche di interessi di carattere collettivo” (T.A.R. Veneto, Sez. I, 18 agosto 1999, n.1399; in T.A.R. 1999, I, 3926);

3) “Premesso che l’istituto dell’accesso trova applicazione nei confronti di ogni tipologia di attività della p.a., compresi gli atti di diritto privato, gli atti posti in essere dal soggetto gestore di pubblico servizio (nella specie, gli atti della Società Ferrovie dello Stato), nel procedimento di natura comparativa con criteri precostituiti per la selezione del personale più meritevole e per organizzare con efficacia il servizio, hanno rilievo pubblicistico prevalente rispetto a quello imprenditoriale”.

“Anche l’attività degli Enti pubblici economici e dei gestori di pubblici servizi, quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra nell’ambito di applicazione dell’art.97 Cost., essendo svolta, pur se sottoposta di regola al diritto comune, oltre che nell’interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettività; pertanto, i relativi atti sono soggetti all’accesso ai sensi dell’art.23, L. 7 agosto 1990, n.241 (Cons.Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999, n.4; in Cons. Stato, 1999, I, 557; cfr, in argomento, anche Cons. Stato, Sez.V, 20 dicembre 1996, n.1577; in Cons.Stato, 1996, I, 1956);

4) “L’accertamento dell’interesse all’esibizione degli atti amministrativi riguardanti il soggetto che richiede l’accesso ai sensi dell’art.22 l. 7 agosto 1990, n.241 va effettuato con riferimento alle finalità che egli dichiara di perseguire, non potendosi operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda o della censura che sia stata proposta o che si intenda proporre, la cui valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere” (Cons.Stato, Ad. Plen., 28 aprile 1999, n.6; in Cons. Stato, 1999, I, 565);

5) “La legge 7 agosto 1990, n.241, nel disciplinare i rapporti tra cittadino e p.a., delinea un ordinamento ispirato, per un senso, all’esigenza di un’azione amministrativa celere ed efficiente (art.1), e, per altro verso, ai principi di partecipazione dell’amministrato e di conoscibilità del concreto svolgimento della funzione pubblica; ciò al fine di assicurare, attraverso la salvaguardia del valore della trasparenza, l’efficienza dell’amministrazione e, al contempo, la garanzia del privato e la legalità dell’ordinamento nel suo insieme (Cons.Stato, Ad.Plen., 4 febbraio 1997, n.5; in Foro Amm., 1997, 423);

6) “Il riconoscimento del diritto di accesso non può essere ridotto ai soli casi in cui il soggetto agisce con poteri amministrativi di diritto pubblico, dovendosi estendere a tutte le ipotesi di connessione dell’attività con finalità di ordine generale e quindi anche ai casi di attività di diritto privato, almeno laddove questa costituisca cura concreta degli interessi della collettività” (T.A.R. Lazio, Sez.II, 13 ottobre 1999, n.1904; in T.A.R.,1999, I, 4226);

7) Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.

8) Cass.Civ., Sez.I, 18 ottobre 1985, n.5136; in CED Cass., rv 442456, e in Foro It., 1986, I, 716;

 9)Il Comune può costituire soggetti di diritto analoghi alle aziende speciali previste dall’art.2 R.D. n.2578 del 1925 anche per l’esercizio di attività imprenditoriali che, come la gestione di una casa da gioco, non rientrano fra i pubblici servizi, giacché se la “ratio” della disciplina dettata per le aziende speciali risiede nella natura di pubblico servizio delle attività da questa esercitate, la “ratio” del riconoscimento della soggettività a tali centri di imputazione di situazioni giuridiche, ancorché sforniti di personalità, è da ricercarsi nell’opportunità che attività economiche di natura imprenditoriale siano svolte dall’ente territoriale separatamente da quelle istituzionali ed in condizioni analoghe a quelle delle imprese private. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in controversia instaurata contro il comune di Sanremo da un dipendente del Casinò Municipale di quella città per richiedere differenze retributive, aveva ritenuto che legittimato passivo non poteva ritenersi il Comune di Sanremo, bensì l’ente Casinò Municipale che, benché sfornito di personalità giuridica, era da considerarsi autonomo soggetto di diritto, titolare di rapporti sostanziali e processuali, inclusi i rapporti di lavoro con i propri dipendenti)” (Cass. Civ., Sez.L, 2 luglio 1999, n.6842; in CED Cass., rv 528227);

10)Il contratto con il quale un Comune (nella specie, di Campione d’Italia) abbia attribuito la gestione della casa da gioco municipale ad un privato integra gli estremi della concessione di pubblico servizio, con conseguente devoluzione delle relative controversie giudiziarie alla cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, giusta disposto dell’art.5 legge 1034/71” (Cass.Civ., sez.un., 1° aprile 1999, n.202; in CED Cass., 524792);

11)L’ordinamento vigente riserva al Comune di Campione d’Italia la gestione della casa da gioco all’esclusivo fine di soddisfare interessi pubblici specificamente espressi, ovvero per il riassestamento del bilancio comunale e l’esecuzione di opere pubbliche, in relazione alle particolari condizioni geo-politiche ed alle esigenze di sviluppo dell’Ente; pertanto, la gestione della detta casa da gioco deve essere ricondotta nella figura del servizio pubblico. Il rapporto tra il Comune di Campione d’Italia e la società concessionaria della gestione del Casinò municipale deve essere ricondotto al modello della concessione di pubblico servizio; pertanto, esso risulta caratterizzato da una fase chiaramente pubblicista attraverso la quale l’Amministrazione si determina alla scelta del concessionario e che si conclude con un provvedimento amministrativo, cui segue la fase privatistica di formulazione del disciplinare attraverso l’incontro della volontà delle parti ovvero attraverso l’accordo nello schema contrattuale per l’ulteriore disciplina del rapporto. Non è invalida la delibera adottata, con la presenza di un consigliere versante in situazione di incompatibilità qualora nella votazione si sarebbe giunti allo stesso risultato pur con la sua astensione”. (T.A.R. Lombardia, Sez.I, Milano, 2 settembre 1998, n.2041; in T.A.R., 1998, I, 3989);

12) “L’esercizio di una casa da gioco, consentito (in virtù di legge dello Stato e, in genere, attraverso l’attribuzione al ministro dell’Interno del relativo potere di autorizzazione) in deroga alle norme penali in materia di giochi d’azzardo, costituisce un’attività che, pur non corrispondendo ad un pubblico servizio o ad un servizio di pubblica necessità, è svolta in regime di monopolio, direttamente dal Comune, nel cui territorio è autorizzata l’apertura del casinò, o dall’imprenditore che da tale ente abbia ricevuto la relativa concessione amministrativa. Ne deriva che, in ipotesi di revoca di quest’ultima e di temporanea gestione dell’attività da parte del comune in attesa dell’affidamento ad un nuovo concessionario, non è configurabile cessione o trasferimento di azienda, né è quindi applicabile l’art.2112 cod.civ. quanto ai rapporto di lavori del cessato concessionario, ancorché parte del complesso aziendale del medesimo sia stata utilizzata da comune, restando altresì escluso che la delibera del commissario prefettizio di tale ente, relativa all’assunzione, con contratto a termine da stipulare, degli ex dipendenti del precedente concessionario, sia idonea – in quanto atto meramente interno e privo della necessaria specificità – ad integrare una proposta contrattuale suscettibile di accettazione da parte degli interessati e, tanto meno, a costituire i relativi rapporti di lavoro” (Cass. Civ., Sez.L, 22 maggio 1991, n.5745; in CED Cass., rv 472296);

13) in relazione alla gestione del Casinò municipale della città di Sanremo: “L’affidamento di un pubblico servizio non può avvenire in base a condizioni economiche non determinate preventivamente e rimesse ad un capitolato ancora da approntarsi, mancando in tal modo ogni criterio obiettivo attuale e verificabile in merito, quanto meno, alla rispondenza dello stesso a trasparenti criteri di economicità e imparzialità delle scelte amministrative, di convenienza e di sufficienza della copertura contabile” (Cons, di Stato, Sez. V, 9 ottobre 2000, n. 5371; in Cons. di Stato, 2000, I, 2178);

14) “Nella gestione di una casa da gioco da parte di un Comune non è ravvisabile né l’esercizio di una pubblica funzione né la prestazione di un pubblico servizio; infatti non può ritenersi che l’esercizio del giuoco d’azzardo, per il solo fatto di svolgersi in una casa da gioco gestita dal Comune, risponda alla esigenza di realizzare un interesse della collettività o che, in riferimento ad esso, si renda applicabile il criterio della pubblicità potenziale di un interesse avente rilevanza sociale eminente; la gestione da parte del comune di una casa da gioco dà luogo ad un’ipotesi di impresa esercitata da un ente pubblico non economico, inquadrabile nella previsione dell’art. 2093, 2° comma, c.c.” (Cass. Penale, 23 novembre 1985; in Cass. Pen., 1986, 226).

15) Cfr., testualmente, Corte Costituzionale, 25 luglio 2001, n. 291, in questa Rivista n. 7/8 - 2001. In materia di case da gioco v. da ult. anche Corte Costituzionale, 7 novembre 2002 n. 438, in questo numero della Rivista.
 

 

FATTO

                Il ricorrente premette in fatto di aver ricoperto la carica di Amministratore Delegato del Casinò Municipale di Venezia S.p.A. dal 12 gennaio 1998 al 13 maggio 2002, data in cui allo stesso è stato revocato l’incarico, con provvedimento assunto dall’assemblea dei soci del Casinò Municipale di Venezia S.p.A. 13.5.2002.

                Il ricorrente ha formulato l’istanza di accesso agli atti con intento di analizzare la delibera assembleare, onde trovare supporti per poter iniziare un’azione in sede giurisdizionale avverso il Casinò Municipale di Venezia S.p.A..

                A fronte dell’istanza d’accesso agli atti, ricevuta dal Casinò Municipale di Venezia S.p.A. in data 13.6.2002, nessun riscontro è stato dato da quest’ultima.

                Quanto sopra premesso, il ricorrente deduce i seguenti motivi:

1 ) Violazione di legge, con riferimento agli articoli 22, 23, 24 e 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241.

                A parere del ricorrente, la società Casinò Municipale di Venezia S.p.A. è soggettivamente inquadrabile quale gestore di un pubblico servizio, atteso che lo stesso atto costitutivo della società resistente in tal senso si esprime.

                Inoltre i rapporti tra il Comune di Venezia (azionista di riferimento) e la società Casinò Municipale di Venezia S.p.A. sono retti da un’apposita convenzione, approvata con deliberazione del Consiglio Comunale di Venezia 26/27 febbraio 2001 n. 34.

                In forza di tale convenzione emerge con evidenza il ruolo di controllo che il Comune di Venezia esercita sulla società Casinò Municipale di Venezia S.p.A., sulla base del fatto che come afferma l’art. 1, comma 1, della convenzione, “l’esercizio della Casa da Gioco spetta per legge al Comune di Venezia”.

                Infine l’attività della società Casinò Municipale di Venezia S.p.A. si pone come strumentale rispetto ai pubblici interessi tutelati dal Comune di Venezia, il quale è “l’unico titolare delle entrate derivanti dalla Casa da Gioco”.

                Pertanto lo scopo ultimo della società Casinò Municipale di Venezia S.p.A. è quello di gestire il servizio pubblico del gioco, attraverso il quale garantire entrate di natura tributaria in capo all’Amministrazione comunale di Venezia.

                Si è costituita in giudizio l’intimata società eccependo formalmente l’inammissibilità del ricorso e comunque deducendone l’infondatezza.

                Alla camera di consiglio del 18.9.2002 la causa veniva trattenuta per la decisione.

DIRITTO

                Il ricorso è inammissibile.

                Ed invero questa sezione ha già avuto occasione di affermare che l’attività svolta dal Casinò Municipale è riconducibile all’attività di impresa e non rientra nell’ambito dei pubblici servizi (TAR Veneto Sezione Seconda 29 novembre 2000 n. 2346).

                E’ stato altresì precisato da questo Tribunale che “né la circostanza che la società Casinò di Venezia gestisca risorse di matrice e provenienza pubblica né le riserve legislativamente poste in ordine alla attività di gestione del gioco d’azzardo inducono a ritenere che la società predetta agisca per la realizzazione, oltre che dell’interesse proprio e di interessi di carattere eminentemente economico del Comune azionista, di interessi di carattere collettivo” (cfr. T.A.R. Veneto Sez. I 18.8.1999 n. 1399).

                Alla luce di tali pronunce (che il Collegio condivide) il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione passiva della società intimata e più precisamente perché il Casinò Municipale di Venezia non può ritenersi soggetto gestore di un servizio pubblico.

                Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

                Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo dichiara inammissibile.

                Condanna il ricorrente al pagamento delle spese e degli oneri del giudizio che liquida in € 1.500,00 (millecinquecento/00) a favore del Comune e € 1.500, 00 (millecinquecento/00) a favore del Casinò.

                Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

                Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 18.9.2002.

Il Presidente   L'Estensore

Depositata in Segreteria il 25 ottobre 2002.

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