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Giurisprudenza
n. 4-2003 - © copyright.

TAR VENETO, SEZ. II – Sentenza 31 marzo 2003 n. 2166 - Pres. Trivellato, Est. Stevanato - Imperatore (Avv.ti Cacciavillani e Trovato) c. Comune di Borca di Cadore (Avv.ti Steccanella e Zambelli) - (respinge).

1. Giurisdizione e competenza - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - Controversie relative - A seguito della L. n. 205/2000 - Rientrano ornai nella giurisdizione amministrativa.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Verifica del nesso di causalità tra il provvedimento illegittimo e l’evento dannoso - Necessità.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Verifica del nesso di causalità tra il provvedimento illegittimo e l’evento dannoso - Modalità della verifica - Criteri.

4. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Verifica del nesso di causalità tra il provvedimento illegittimo e l’evento dannoso - Verifica della c.d. causalità materiale - Contemperamento del principio della causalità adeguata con quello dell’equivalenza delle cause - Necessità.

5. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Diniego - Onere di motivazione - Necessità - Onere di indicare le modifiche da apportare al progetto presentato per ricondurlo al rispetto delle norme urbanistiche - Non sussiste.

6. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - A seguito di annullamento in s.g. del diniego di concessione edilizia - Nel caso in cui a seguito dell’annullamento il progetto sia stato modificato - Non spetta - Ragioni.

1. La legge n. 205 del 2000 ha attribuito al giudice amministrativo la cognizione del risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi in tutti i giudizi, indipendentemente dal fatto che si tratti, o meno, di materia devoluta alla giurisdizione esclusiva.

2. Qualunque sia il modello di responsabilità cui si debba far riferimento nel caso di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi (contrattuale, per inadempimento da "contatto" procedimentale, come qualificato di recente dalla Corte di Cassazione, o extracontrattuale, o più probabilmente un modello caratterizzato da una fisionomia particolare) è comunque necessaria, per integrare la responsabilità dell’amministrazione, l’esistenza di un nesso eziologico tra il provvedimento illegittimo e l’evento dannoso. Non basta, infatti, che sia stato riconosciuto illegittimo ed annullato il provvedimento che lede l’interesse legittimo, ma occorre altresì che sia provata la sussistenza del nesso causale (oltre all’elemento psicologico).

3. Per l’accertamento del nesso di causalità del danno, deve effettuarsi, analogamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza civile (1), una duplice verifica: a) nell’accertare il collegamento materiale tra condotta ed evento può farsi riferimento alle disposizioni contenute negli artt. 40 e 41 del codice penale; b) nel verificare la sussistenza del collegamento giuridico tra il fatto illecito (valutato unitariamente come condotta ed evento) e l’entità del danno, possono applicarsi gli artt. 1223 e 1227, co. 2, del codice civile, richiamati espressamente dall’art. 2056, comma 1°.

4. Per la determinazione della causalità materiale del danno, si applica il principio della "condicio sine qua non" (detto anche della "equivalenza delle cause"), introdotto dall’art. 41 cod. pen., il quale qualifica come elemento causale ogni antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe verificato; tale principio va temperato con la teoria della "causalità adeguata", desumibile dal comma 2 dell'art. 41 cod. pen., in base alla quale, se un evento è riferibile a più azioni colpose, ma tra esse una sola, per la sua efficacia causale, risulta tale da rendere giuridicamente irrilevante le altre cause preesistenti, dell’evento dannoso risponde solo l’autore dell’azione sopravvenuta (2).

5. Il dovere di motivare il provvedimento di diniego della concessione edilizia (mediante l’indicazione delle specifiche ragioni di contrasto urbanistico) risponde all’esigenza che l’interessato sia posto in grado di tutelare le proprie ragioni impugnando efficacemente il provvedimento davanti agli organi di giustizia amministrativa o, in alternativa, di modificare il progetto per renderlo conforme alla normativa urbanistica; tuttavia, da tale onere non deriva anche l’obbligo per l’amministrazione di cooperare con l’interessato per la predisposizione di un progetto idoneo, indicando al privato le modifiche da apportare al progetto presentato per ricondurlo al rispetto delle norme urbanistiche.

6. Non spetta il risarcimento del danno da ritardo nel caso in cui sia stato annullato in s.g. un provvedimento di diniego di rilascio di concessione edilizia per difetto di motivazione e, a seguito di tale annullamento, il progetto sia stato modificato in modo tale da renderlo conforme alla normativa urbanistica; in tale ipotesi, infatti, il provvedimento di diniego della concessione edilizia annullato per difetto di motivazione non ha costituito causa sufficiente ed esclusiva del danno lamentato, tale da interrompere la serie causale iniziata con la presentazione del progetto difforme dalla normativa urbanistica (3).

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(1) Cfr. Cass.civile, sez. III, 10 maggio 2000, n. 5962; Cass. civile, sez. lav., 23 febbraio 2000, n. 2037; Cass. civile sez. I, 15 ottobre 1999, n. 11629.

(2) Cfr. Cass. civile, sez. II, 12 ottobre 2001, n. 12431.

(3) Ha osservato il T.A.R. Veneto che, nell’ipotesi considerata, il danno asseritamente ingiusto era in realtà derivato al ricorrente, non già dal ritardo nel rilascio della concessione edilizia, ma dal ritardo nella modifica al progetto edilizio, che era insuscettibile di approvazione nella sua originaria impostazione. E poiché l’amministrazione non era tenuta a cooperare col ricorrente indicandogli le modifiche da apportare, non era ad essa imputabile la causa di tale ritardo.

Non sussisteva, perciò, la conseguenzialità causale: il tardivo rilascio della concessione edilizia era stato causato dalla presentazione di un progetto inidoneo e non dall’immotivato provvedimento di diniego della concessione edilizia, che non può considerarsi nemmeno alla stregua di una concausa efficiente.

In ogni caso, il danno sarebbe stato integralmente evitato se il ricorrente, usando l’ordinaria diligenza ex art. 1227, comma 2, cod. civ., avesse presentato un progetto conforme alla normativa urbanistica. Vale a dire, se anche si ritenesse il danno da ritardo eziologicamente imputabile, come concausa efficiente, all’amministrazione, le conseguenze dannose del ritardo stesso sarebbero potute essere impedite dal comportamento diligente del ricorrente, mediante la presentazione di un progetto non difforme dalla normativa urbanistica, e si dovrebbe perciò applicare l’art. 1227, co. 2, del codice civile, rigettando la pretesa risarcitoria.

Diversa - ha precisato il T.A.R. Veneto - sarebbe stata la situazione se il progetto edilizio, immotivatamente respinto, fosse stato successivamente ritenuto meritevole di approvazione: in tale ipotesi la causa del ritardo sarebbe stata esclusivamente imputabile all’amministrazione.

Sul principio della causalità adeguata v. da ult. Cassazione, sez. III civ., sent. 3 dicembre 2002 n. 17152, in questa Rivista n. 12-2002.

 

 

(omissis)

per la condanna

dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno ingiusto causato al ricorrente dal provvedimento sindacale 13.9.1995 n. prot. 884 di diniego di concessione edilizia.

(omissis)

FATTO

Il ricorrente nel 1995 presentò al Comune di Borca di Cadore una domanda di concessione edilizia per l’edificazione di un fabbricato turistico-residenziale. L’istanza fu rigettata con provvedimento sindacale 13.9.1995 n. prot. 884.

Tale provvedimento fu impugnato davanti a questo Tribunale che, con sentenza della seconda sezione n. 591 dell’11.5.1999, accolse il ricorso ed annullò il provvedimento, per carenza di motivazione.

In seguito alla sentenza, passata in giudicato, l’amministrazione si pronunciò nuovamente sulla domanda del ricorrente emettendo un ulteriore provvedimento negativo in data 22.11.1999.

Il ricorrente, allora, in data 24.3.2000 presentò un nuovo progetto, successivamente rielaborato in data 12.9.2000, con cui si adeguava ai rilievi dell’amministrazione.

Su tale progetto, finalmente, è intervenuto l’assenso del Comune di Borca di Cadore.

Col presente ricorso è stata proposta un’azione di accertamento e di condanna al risarcimento del danno patrimoniale derivante al ricorrente dalla condotta, asseritamente omissiva ed ostruzionistica, serbata dall’Amministrazione che, per oltre quattro anni, avrebbe impedito all’interessato di conoscere le ragioni che ostavano all’approvazione del progetto edilizio, determinando un arresto procedimentale.

Il danno, asseritamente imputabile all’amministrazione, viene individuato nel maggior costo dell’attività costruttiva derivante dal ritardato rilascio della concessione edilizia (quantificato in lire 182.000.000) e nel mancato utile che sarebbe derivato dal tempestivo investimento finanziario (quantificato in lire 74.150.000).

L'Amministrazione intimata, costituita in giudizio, ha pregiudizialmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 45, co. 18, del d. lgs. 80/98, nel rilievo che il giudizio sul provvedimento lesivo era pendente alla data del 30.6.1998 e la giurisdizione spetterebbe, perciò, al giudice ordinario.

Nel merito, l’amministrazione ha contestato la fondatezza della pretesa azionata, osservando altresì che il ricorrente ha trasferito, con contratto di donazione, la proprietà del terreno prima che si procedesse all’attività costruttiva e, conseguentemente, non ha subito alcun danno.

DIRITTO

Col ricorso all’esame è stata proposta un’azione di condanna al risarcimento del danno derivante al ricorrente dal provvedimento del Sindaco di Borca di Cadore 13.9.1995 n. prot. 884 di diniego di concessione edilizia, annullato con sentenza di questa Sezione n. 591 dell’11.5.1999.

Pregiudizialmente, va esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune resistente.

Viene eccepito che, in base all’art. 45, co. 18, del d. lgs. 80/98, le controversie in materia di pubblici servizi, urbanistica ed edilizia, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998, mentre "resta ferma la giurisdizione prevista dalle norme attualmente in vigore per i giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998".

L’amministrazione rileva che il giudizio sul provvedimento di diniego della concessione edilizia, da cui sarebbe derivato il danno risarcibile, era ancora pendente alla data del 30 giugno 1998 e la giurisdizione spetterebbe, perciò, al giudice ordinario.

L’eccezione non è fondata.

Invero, l’azione per il risarcimento del danno ingiusto, proposta col presente ricorso, è basata sulla norma della legge n. 205 del 2000 che ha attribuito al giudice amministrativo la cognizione delle pretese risarcitorie derivanti dalla lesione di interessi legittimi (non diversamente può configurarsi la posizione del privato di fronte all’esercizio del potere di rilascio della concessione edilizia). Tale norma è contenuta nell’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, che ha sostituito il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 con la seguente disposizione: "Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali".

Come si ricorderà, l’art. 35 del d. lgs 31 marzo 1998 n. 80 attribuiva al giudice amministrativo la cognizione del risarcimento del danno ingiusto nelle materie di giurisdizione esclusiva, ma non forniva una soluzione esplicita al problema della risarcibilità degli interessi legittimi.

Tale soluzione è venuta solo dalla sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 22 luglio 1999 n. 500, cui in definitiva si è ispirato il legislatore nel novellare l’art. 7, co. 3, della legge 1034 del 1971, che ha esteso la cognizione delle domande risarcitorie all’intero ambito della giurisdizione del giudice amministrativo e non ai soli giudizi nelle materie di giurisdizione esclusiva.

E’ stato in tal modo superato il precedente limite costituito dai "diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di illegittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre", la cui cognizione era riservata al giudice ordinario con l’attribuzione al giudice amministrativo "nell’ambito della sua giurisdizione" (dunque, non solo esclusiva) di "tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali".

La legge n. 205 del 2000 ha, perciò, attribuito al giudice amministrativo la cognizione del risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi in tutti i giudizi, indipendentemente dal fatto che si tratti, o meno, di materia devoluta alla giurisdizione esclusiva.

La pronuncia del Consiglio di Stato (sez. V, 17.10.2002 n. 5677), citata dal Comune a sostegno dell’eccezione di difetto di giurisdizione, riguarda una fattispecie in cui la domanda giudiziale di risarcimento del danno era stata proposta prima dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 e, dunque, non si attaglia al caso all’esame.

Conclusivamente, la norma transitoria dell’art. 45, co. 18, del d. lgs. n. 80 del 1998 non rileva ai fini del presente giudizio, cosicché l’eccezione di difetto di giurisdizione va disattesa.

Nel merito, peraltro, il ricorso è infondato.

Va premesso che, secondo il ricorrente, il danno risarcibile deriverebbe dal ritardato rilascio della concessione edilizia per l’edificazione di un fabbricato turistico-residenziale.

In particolare, l’elemento causale del danno consisterebbe, secondo la prospettazione del ricorrente, nella lesione dell’interesse legittimo prodotta dal provvedimento sindacale 13.9.1995 n. prot. 884, con cui era stata negata la concessione edilizia richiesta dal ricorrente.

Tale provvedimento fu impugnato davanti a questo Tribunale che, con sentenza della seconda sezione n. 591 dell’11.5.1999, ne riconobbe l’illegittimità per insufficienza della motivazione.

Secondo il ricorrente, la riconosciuta illegittimità di tale provvedimento dimostrerebbe che, per oltre quattro anni, l’amministrazione gli ha impedito di conoscere le ragioni che ostavano all’approvazione del progetto edilizio.

Dopo la sentenza, infatti, l’amministrazione si pronunciò nuovamente in data 22.11.1999 sull’istanza di concessione edilizia emettendo un ulteriore provvedimento, ancora negativo ma motivato.

Il ricorrente, allora, in data 24.3.2000 presentò un nuovo progetto, successivamente rielaborato in data 12.9.2000, con cui poté adeguarsi ai rilievi dell’amministrazione ottenendo finalmente la concessione di costruzione.

Il danno da ritardo nell’approvazione del progetto edilizio viene individuato nel maggior costo dell’attività costruttiva (quantificato in lire 182.000.000) e nel mancato utile che sarebbe derivato dal tempestivo investimento finanziario (quantificato in lire 74.150.000).

Ciò premesso, il Collegio osserva che il ricorrente era titolare di una posizione di interesse legittimo di natura pretensiva, aveva cioè una pretesa qualificata, cioè tutelata (indirettamente) dall’ordinamento, a che l’Amministrazione si pronunciasse sulla domanda di concessione edilizia verificando la conformità del progetto presentato alle norme urbanistiche ed al piano regolatore generale.

Tale pretesa ha trovato riconoscimento nella citata sentenza di questa Sezione n. 591 dell’11.5.1999, che ha annullato, siccome illegittimo, il provvedimento sindacale 13.9.95 di diniego della concessione, ravvisandone l’illegittimità per carenza di motivazione.

La soddisfazione dell’interesse legittimo pretensivo del ricorrente si è tradotta nel riconoscimento di un vizio formale del provvedimento di diniego della concessione edilizia: l’amministrazione aveva il dovere di esternare con idonea motivazione le ragioni di contrasto urbanistico del progetto presentato.

L’annullamento del provvedimento per difetto di motivazione non è dipeso da rilievi sostanziali nei confronti dell’operato dell’amministrazione soccombente, nel senso cioè che dovesse essere necessariamente rilasciata la concessione richiesta: doveva solo essere riesaminata l’istanza con pronuncia adeguatamente motivata.

Ciò premesso, qualunque sia il modello di responsabilità cui si debba far riferimento nel caso di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi (contrattuale, per inadempimento da "contatto" procedimentale, come qualificato di recente dalla Corte di Cassazione, o extracontrattuale, o più probabilmente un modello caratterizzato da una fisionomia particolare) è comunque necessaria, per integrare la responsabilità dell’amministrazione, l’esistenza di un nesso eziologico tra il provvedimento illegittimo e l’evento dannoso.

Non basta, infatti, che sia stato riconosciuto illegittimo ed annullato il provvedimento che lede l’interesse legittimo, ma occorre altresì che sia provata la sussistenza del nesso causale (oltre all’elemento psicologico).

Per l’accertamento del nesso di causalità, la giurisprudenza civile compie una duplice verifica: a) nell’accertare il collegamento materiale tra condotta ed evento si ricorre alle disposizioni contenute negli artt. 40 e 41 del codice penale; b) nel verificare la sussistenza del collegamento giuridico tra il fatto illecito (valutato unitariamente come condotta ed evento) e l’entità del danno, si applicano gli artt. 1223 e 1227, co. 2, del codice civile, richiamati espressamente dall’art. 2056, co. 1 (cfr., ad es.: Cassazione civile, sez. III, 10 maggio 2000 n. 5962; Cassazione civile, sez. lav., 23 febbraio 2000 n. 2037; Cassazione civile sez. I, 15 ottobre 1999, n. 11629).

Queste due fasi sono distinte poiché l’individuazione del danno risarcibile (con le varie distinzioni tra danni prevedibili e danni imprevedibili e tra i danni diretti e danni indiretti) interviene in un secondo momento, quando sia già risolto il problema dell’imputazione dell’evento lesivo. Con riferimento alla seconda fase della verifica del nesso di causalità, il danno è valutato come conseguenza del fatto (condotta ed evento) e deve riscontrarsi la sua natura "immediata e diretta" (ex art. 1223 cod. civ.).

Circa la prima fase (causalità materiale), si applica il principio della "condicio sine qua non", introdotto dall’art. 41 cod. pen., temperato nell’interpretazione giurisprudenziale con la teoria della "causalità adeguata".

Il principio della "condicio sine qua non" (detto anche della "equivalenza delle cause") qualifica come elemento causale ogni antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe verificato. Ma la teoria della "causalità adeguata" opera una selezione tra i diversi antecedenti causali ed elimina le cause antecedenti dalla serie causale, in presenza di altri fatti sopravvenuti idonei da soli a determinare il verificarsi dell’evento, anche senza quelli antecedenti.

In altri termini, il principio dell’equivalenza delle cause, senza che sia possibile distinguere tra causa prossima e causa remota, causa diretta e causa indiretta, trova il suo necessario temperamento nell’altro principio della causalità efficiente o causalità giuridica, desumibile dal comma 2 dell'art. 41 cod. pen., in base al quale, se un evento è riferibile a più azioni colpose, ma tra esse una sola, per la sua efficacia causale, risulta tale da rendere giuridicamente irrilevante le altre cause preesistenti, dell’evento dannoso risponde solo l’autore dell’azione sopravvenuta (cfr., ad es.: Cassazione civile, sez. II, 12 ottobre 2001 n. 12431).

Ciò premesso, utilizzando questi principi nella problematica del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi ed applicandoli nel presente giudizio, il Collegio osserva quanto segue.

Nel caso all’esame, la presentazione successiva di due diversi progetti - implicanti due nuove e diverse istanze di concessione edilizia, di cui è stata accolta solo l’ultima (quella relativa al secondo progetto, ulteriormente rielaborato) - dimostra che la causa antecedente, efficiente e determinante, del danno lamentato dal ricorrente (ritardo nel rilascio della concessione edilizia) consiste nella presentazione da parte del ricorrente di un progetto inidoneo (contrastante con la normativa urbanistica).

Si potrebbe anche aggiungere che quel progetto è stato respinto una seconda volta, con provvedimento divenuto inoppugnabile e solo la presentazione di un nuovo progetto e la sua ulteriore rielaborazione hanno consentito all’interessato di ottenere il provvedimento favorevole richiesto.

Resta da vedere quale rilevanza debba attribuirsi, nella serie causale, al primo provvedimento di diniego della concessione edilizia, riconosciuto illegittimo per difetto di motivazione: cioè, se esso costituisca concausa del lamentato danno da ritardo.

Secondo la prospettazione del ricorrente, si dovrebbe addirittura riconoscere la sufficienza causale (cioè l’esclusiva rilevanza giuridica rispetto alla produzione dell’evento dannoso) dell’immotivato provvedimento di diniego della concessione edilizia, tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti (la presentazione del progetto inidoneo).

Ma una tale soluzione va senz’altro esclusa.

Occorre osservare, infatti, che il dovere di motivare il provvedimento di diniego della concessione edilizia (mediante l’indicazione delle specifiche ragioni di contrasto urbanistico) risponde all’esigenza che l’interessato sia posto in grado di tutelare le proprie ragioni impugnando efficacemente il provvedimento davanti agli organi di giustizia amministrativa o, in alternativa, di modificare il progetto per renderlo conforme alla normativa urbanistica.

Tuttavia, da ciò non deriva anche l’obbligo per l’amministrazione di cooperare con l’interessato per la predisposizione di un progetto idoneo. Quando il Comune nega una concessione, non è tenuto ad indicare al privato le modifiche da apportare al progetto presentato per ricondurlo al rispetto delle norme urbanistiche: l’interesse legittimo non ha una tale estensione in quanto l’anzidetto obbligo non è mai stato riconosciuto dall’ordinamento.

Perciò l’immotivato provvedimento di diniego della concessione edilizia non ha costituito causa sufficiente ed esclusiva del danno lamentato, tale da interrompere la serie causale iniziata con la presentazione del progetto difforme dalla normativa urbanistica.

Il Collegio ritiene, invece, che la causalità efficiente si sia esaurita con la presentazione del progetto inidoneo, ove si consideri che la produzione dell’evento dannoso è esclusivamente riferibile all’inidoneità di tale progetto.

Per quanto detto sopra, infatti, era onere dell’interessato (e, per lui, del professionista incaricato) verificare che il progetto predisposto fosse conforme alle norme ed agli strumenti urbanistici.

Infatti, il danno asseritamente ingiusto è in realtà derivato al ricorrente, non dal ritardo nel rilascio della concessione edilizia ma dal ritardo nella modifica al progetto edilizio, che era insuscettibile di approvazione nella sua originaria impostazione. E poiché, come si è detto innanzi, l’amministrazione non era tenuta a cooperare col ricorrente indicandogli le modifiche da apportare, non è ad essa imputabile la causa di tale ritardo.

Non sussiste, perciò, la conseguenzialità causale: il tardivo rilascio della concessione edilizia è stato causato dalla presentazione di un progetto inidoneo e non dall’immotivato provvedimento di diniego della concessione edilizia, che non può considerarsi nemmeno alla stregua di una concausa efficiente.

In ogni caso, come giustamente eccepito dalla difesa dell’amministrazione, che ha invocato l’art. 1227, co. 2, cod. civ., il danno sarebbe stato integralmente evitato se il ricorrente, usando l’ordinaria diligenza, avesse presentato un progetto conforme alla normativa urbanistica. Vale a dire, se anche si ritenesse il danno da ritardo eziologicamente imputabile, come concausa efficiente, all’amministrazione, le conseguenze dannose del ritardo stesso sarebbero potute essere impedite dal comportamento diligente del ricorrente, mediante la presentazione di un progetto non difforme dalla normativa urbanistica, e si dovrebbe perciò applicare l’art. 1227, co. 2, del codice civile, rigettando la pretesa risarcitoria.

Diversa, naturalmente, sarebbe stata la situazione se il progetto edilizio, immotivatamente respinto, fosse stato successivamente ritenuto meritevole di approvazione: in tale ipotesi la causa del ritardo sarebbe esclusivamente imputabile all’amministrazione.

Ma non è questo il caso.

Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio possono essere compensate, concorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, lo respinge.

Compensa le spese del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 20 febbraio 2003.

Il Presidente L'estensore

Depositata in Segreteria il 31 marzo 2003

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