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TAR VENETO, SEZ. III - Sentenza 7 marzo 2003 n. 1674 - Pres. Zuballi, Est. Franco - Sinigaglia (Avv.ti Bacci e Favaron) c. U.L.S.S. n.12 (Avv.Zimbelli) - (accoglie).

1. Giustizia amministrativa - Generalità - Ricorso giurisdizionale - Actio ad exibendum ex art. 25, l. n. 241/1990 - Natura di giudizio impugnatorio - Esclusione - Omessa notifica ai controinteressati - Aventi titolo alla riservatezza della documentazione amministrativa (tutela della privacy) - Inammissibilità del gravame - Non si configura - Ragioni.

2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - In materia sanitaria - Rapporto con la disciplina sulla riservatezza dei dati personali ex art. 16 D. Lg.s n. 135/99 - Prevalenza del diritto di accesso - Si realizza allorché l’interesse fatto valere sia, esso stesso, lato sensu sanitario, nonché rilevante, e l’accesso sia imprescindibile per la difesa dell’interesse medesimo.

3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - In materia sanitaria - Actio ad exibendum ex art. 25, l. n. 241/1990 - Nei confronti di cartella clinica relativa a parente stretto defunto - Per approntare terapie preventive a tutela e protezione della proprie salute - In relazione all’eventuale carattere ereditario della patologia della persona deceduta - Possibilità - Sussiste.

4. Atto amministrativo - Diritto di accesso - In materia sanitaria - Actio ad exibendum ex art. 25, l. n. 241/1990 - Nei confronti di cartella clinica relativa a parente stretto defunto - Disamina dell’istanza di ostensione - Individuazione del nesso specifico tra le ragioni a base dell’istanza e le finalità perseguite con la richiesta di accesso - Obbligo per la P.A. - Sussiste - Mancanza - Illegittimità - Fattispecie.

1. Nell’introdurre nell’ordinamento (con l’art. 25, l. n. 241/1990) un nuovo tipo di ricorso instaurabile davanti al G.A., la legge ha sicuramente dato luogo a una tipologia di azione e ad un rito che si muovono in una logica tutt’affatto diversa dagli stilemi tipici della tradizionale azione di annullamento e del giudizio impugnatorio, dal quale si differenzia nettamente. Ciò è testimoniato - tra l’altro - dal tipo di sentenza relativa a detto rito, la quale non è costitutiva (in quanto non pronuncia l’annullamento di un atto, se non in via eventuale e incidentale, nel caso di diniego), né di condanna in senso stretto, poiché si sostanzia nel riconoscimento del diritto di accesso ad atti e documenti, nonché nell’ordine di un facere specifico impartito all’amministrazione, sul presupposto - implicito o esplicito - del menzionato riconoscimento. La norma prevede che il giudice, una volta che abbia riconosciuto l’esistenza di un siffatto diritto in capo al ricorrente, ordini senz’altro alla P.A. il rilascio dei documenti e atti inutilmente richiesti all’Amministrazione. Con ciò non si vuol dire che non assumano rilievo processuale le posizioni giuridiche e gli interessi di altri soggetti di senso contrario a quello del ricorrente (conflitto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza di terzi, in ordine alla protezione di dati personali). Tuttavia, allorquando, ai fini della risoluzione della controversia relativa al diritto di accesso sottoposta al G.A., emerga l’esigenza di accertare la consistenza di siffatti interessi e di confrontarli con la posizione giuridica del ricorrente (sulla scorta, per lo più, della motivazione del diniego fornita dall’amministrazione), sarà il giudice a ordinare, eventualmente, l’integrazione del contraddittorio, ove alla notifica ai controinteressati non abbia provveduto il ricorrente, senza che l’omessa notifica assurga a elemento dirimente ai fini dell’ammissibilità del ricorso, non versandosi in ipotesi di giudizio impugnatorio.

2. In materia sanitaria, il giudizio di comparazione tra esigenze di accesso e tutela della riservatezza personale, ex art. ex art.16 D. Lg.s n.135/99, deve assumere, quali criteri di soluzione, la rilevanza giuridica e/o il "rango" del diritto posto a base dell’istanza di ostensione, rispetto al quale l’accesso documentale è soltanto strumentale, e la sua imprescindibile necessità per la difesa di quell’interesse. Detto interesse costituisce, altresì, il limite entro cui l’accesso può essere consentito, oltre che la condizione per la sua prevalenza sulla tutela della privacy. E ciò tanto più quando l’interesse fatto valere dall’accedente ha, esso stesso, substrato di carattere sanitario, funge da oggetto della pretesa, ed è diretto a proteggere la salute dell’istante (alla stregua del principio è stato ritenuto prevalente sulla riservatezza personale dell’erede controinteressato, il diritto di accesso alla cartella clinica avanzata dalla sorella della defunta a tutela e protezione della propria salute, in relazione all’eventuale carattere ereditario e, quindi, trasmissibile, della patologia da cui era affetta la medesima "parente stretta" deceduta).

3. Deve ritenersi accessibile, ex artt. 22 e segg. l. n. 241/1990, una cartella clinica relativa ai ricoveri di un parente stretto defunto, nel caso in cui l’accedente eserciti il diritto di ostensione a protezione della propria salute, e motivi la relativa istanza con l’esigenza di approntare terapie preventive o meno, in relazione all’eventuale trasmissibilità ereditaria della patologia esiziale da cui era affetto il parente deceduto.

4. In sede di accesso ai documenti, ex artt. 22 e segg. l.n.241/1990, la P.A. ha l’obbligo di esaminare l’istanza dell’accedente alla luce dei motivi specificati nella medesima, avendo riguardo al nesso fra le motivazioni poste a presidio della richiesta (id est natura della posizione giuridica del richiedente) e alle finalità addotte (alla stregua del principio, è stato dichiarato illegittimo il diniego opposto da un’Azienda Sanitaria Locale in ordine ad un’istanza di accesso a cartella clinica di un parente stretto defunto - sorella - motivato con l’assunto che la richiedente - non compresa nel testamento - non era erede legittimaria; laddove, invece, l’accedente, in disparte la qualità di erede legittimaria, aveva inoltrato domanda di ostensione ai documenti sanitari, al fine esclusivo di verificare il carattere eventualmente ereditario della patologia da cui era affetto la parente deceduta e, in caso positivo, di intraprendere iniziative di prevenzione terapeutica a protezione della propria salute).

Commento di

OTTAVIO CARPARELLI

Sull’ "… accesso …" alla salute

1. Il fatto.

Con istanza diretta all’A.S.L. n.12 di Venezia, la ricorrente chiedeva, ex artt. 22 e segg. l.n.241/1990, il rilascio di una copia della cartella clinica relativa ai ricoveri cui era stata sottoposta la sorella, poi deceduta per patologia tumorale. La domanda era diretta ad accertare - tramite la disamina dei documenti sanitari - l’eventuale carattere ereditario della patologia da cui era affetta la parente (anche la madre dell’istante era stata colpita da analoga malattia) e, quindi, in caso di esito positivo dell’accertamento, a valutare iniziative a protezione e/o a tutela della propria salute, consistenti nel seguire opportune terapie preventive.

Avverso tale istanza la P.A. sanitaria opponeva un primo diniego, ponendo a base dello stesso l’assunto secondo cui l’istante (non compresa nel testamento) non era erede legittimaria.

A seguito dell’intervento del Difensore civico regionale - dal tenore favorevole all’accoglimento dell’avanzata istanza di accesso (per la ritenuta sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi in capo all’accedente) - la U.S.L.L. n.12 del Veneto, evidenziando, tra l’altro, l’obbligo del segreto professionale, si determinava per una soluzione intermedia della questione, nel senso di consentire sì l’accesso, limitandolo, tuttavia alla forma della mera visione, e, per di piu’, condizionandone le modalità esecutive alla presenza di un medico di fiducia della medesima USLL.

L’accedente, ritenendosi non soddisfatta nella propria pretesa di ostensione, e considerando tale seconda decisione dell’amministrazione del tutto assimilabile ad un sostanziale diniego dell’accesso, impugnava tempestivamente detto successivo provvedimento finale innanzi al Giudice amministrativo competente.

2. La decisione del T.A.R. per il Veneto.

Il T.A.R. del Veneto, con la sentenza in rassegna, ha accolto il gravame proposto dalla ricorrente, ed ha ordinato l’esibizione ed il rilascio di copia della documentazione richiesta.

Il Giudice amministrativo, investito della questione, ha, innanzitutto, risolto la problematica dell’eccezione pregiudiziale o preliminare di inammissibilità del gravame, sollevata dalla U.L.S.S. resistente, per difetto di notifica del ricorso all’erede controinteressato (1), a tutela, nella qualità, del diritto alla riservatezza dei dati personali (sensibili), inerenti il pregresso stato di salute della defunta.

Sul punto, l’Organo giurisdizionale - pur dando lealmente atto della non facile risolvibilità della questione - si è distanziato dall’orientamento giurisprudenziale del Massimo Consesso di Giustizia Amministrativa, secondo cui, alla stregua della natura impugnatoria dell’actio ad exibendum disciplinata dall’art.25 l.n.241/1990, deve ritenersi comunque necessaria la notifica del ricorso anche ai controinteressati, a tutela del loro diritto alla riservatezza dei dati personali (nella specie sensibili, ex art.22 l.n.675/1996).

A tal proposito, ha manifestamente escluso la natura impugnatoria dello speciale rito accelerato innanzi menzionato, ed ha chiarito che l’actio ad exibendum, disciplinata dall’art.25 l.n.241/1990, si caratterizza per essere improntata ad una logica processuale del tutto differente dallo schema tipico del rito ordinario di annullamento dei provvedimenti amministrativi, e del giudizio tipicamente impugnatorio.

Per corroborare tale affermazione ha fatto riferimento ad un duplice ordine di ragioni:

a) il rito speciale previsto dall’art.25, l.n.241/1990, viene definito con una sentenza che non ha né natura costitutiva, né natura di condanna in senso stretto, atteso che, con tale provvedimento giurisdizionale, il Giudice amministrativo si limita a riconoscere, in favore dell’istante, il diritto di accesso agli atti e documenti, e, quindi, a ordinare, meramente, alla P.A. un "facere" specifico;

b) la sufficienza del riconoscimento dell’esistenza, in capo al ricorrente, del diritto di accesso, per impartire alla P.A. - in disparte la posizione giuridica di eventuali controinteressati - l’ordine di esibire e rilasciare all’accedente copia della documentazione richiesta.

Tuttavia, al riguardo, il Collegio non ha mancato di precisare, innovativamente, che, nel caso in cui l’istanza di accesso abbia ad oggetto atti e documenti in ordine ai quali possa delinearsi, innanzi all’Autorità Giurisdizionale adìta, una questione di conflitto con il diritto alla riservatezza dei terzi, sarà il giudice, ex officio, a ordinare, eventualmente, l’integrazione del contraddittorio, ove alla notifica ai controinteressati non abbia provveduto il ricorrente, senza che l’omessa notifica possa ritenersi elemento idoneo a configurare un’ipotesi d’ inammissibilità del ricorso, non versandosi in ipotesi di giudizio impugnatorio.

Nel merito, il T.A.R. Veneto, ha censurato, più nel dettaglio, il comportamento della P.A. resistente, sul rilievo che la stessa, in forza delle sollecitazioni del Difensore regionale civico, pur consentendo l’accesso nella forma piu’ "soft" della mera visione, aveva subordinato lo svolgimento delle relative modalità esecutive alla presenza di un medico di fiducia dell’amministrazione.

Al riguardo, nel criticare la resistente, ha posto in evidenza il carattere squisitamente personale del diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi, attivabile in via diretta, senza "filtri" di sorta, ed ha osservato, dunque, che una simile forma di accesso doveva reputarsi equivalente ad un sostanziale diniego dello stesso; tanto piu’ che alcuna disposizione della legge n.241/1990 prevede l’interposizione di un altro soggetto nel rapporto tra p.a. e cittadino, allorquando quest’ultimo avanzi istanza di ostensione ad atti e documenti stabilmente detenuti dalla medesima P.A.

Ha chiarito, altresì, che, contrariamente (e forse artatamente) a quanto affermato dalla parte pubblica, stando alla previsione di cui all’art. 5, comma 6°, D.P.R. 27.6.1992 n.352, è l’accedente che, semmai, può incaricare, in sua sostituzione, una persona di fiducia, per esercitare ed effettuare materialmente l’esame dei documenti della P.A. ed estrarne copia.

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L’Organo giurisdizionale, inoltre, nel richiamare un precedente della Sezione (T.A.R. Veneto,Sez. III, 6 luglio 2000 n. 1294) ha dato atto che il tema centrale della controversia era quello del conflitto tra due diritti (all’accesso, e alla riservatezza dei dati personali idonei a rivelare lo stato di salute di un terzo, contenuti in un documento amministrativo) entrambi fortemente tutelati dall’ordinamento, e che tale conflitto, non del tutto nuovo, deve considerarsi, in sostanza, come la conseguenza della convivenza nell’ordinamento giuridico di due leggi (n.241/1990 e 675/1996, come modificata dal D. Lgs. n.135/1999) non sempre perfettamente compatibili tra loro.

Ebbene, al fine di dirimere la "vexata quaestio", l’Organo giudicante, ha affermato quanto appresso.

In coerenza con le statuizioni contenute nel caso precedentemente deciso e richiamato, secondo cui la regola da seguire per migliorare il precario equilibrio tra la necessità di tutelare il diritto all’accesso, e quella di garantire la riservatezza di terzi, nel caso in cui, in conseguenza dell’accesso, possano essere trattati dati personali idonei a rivelare lo stato di salute di un soggetto terzo, è necessario avere riguardo al "rango" del diritto, che con l’istanza di ostensione, si intende far valere.

Movendo da tale presupposto i Giudici amministrativi veneti, hanno messo in risalto che la singolarità della fattispecie portata alla loro attenzione, risiedeva nel fatto, incontrovertibilmente accertato, che nel caso di specie, l’accesso alla documentazione sanitaria altrui occorreva all’accedente non per difendere, in generale, propri interessi in sede processuale o altrove, ma al precipuo scopo di proteggere la propria salute.

Pertanto, hanno conclusivamente soggiunto, che "… nessuno vorrà negare che l’interesse ad approntare eventuali terapie preventive a protezione del proprio stato di salute stia alla base di un diritto che certamente deve considerarsi primario e, di conseguenza - nel confronto con quello alla riservatezza di dati sanitari afferenti a un parente stretto defunto - di rango superiore rispetto a quest’ultimo, non fosse altro perché l’interessata non potrebbe in altro modo acquisire dati e informazioni rilevanti a tal fine".

L’Organo giurisdizionale, non trascurando di sottolineare il carattere "…piuttosto astratto…" della necessità di tutelare la riservatezza di dati afferenti persona deceduta, o dei dati inerenti la patologia che aveva determinato il decesso, ha posto, a base del decisum, la premessa del sentire collettivo o della coscienza comune, sottesa al diritto a tutelare il proprio stato di salute, tramite la conoscenza di dati personali di un terzo, utili in tal senso.

Ha quindi giustificato la propria determinazione, logicamente e giuridicamente, nell’ottica della razionalità cui deve essere informato l’intero impianto motivazionale di un provvedimento giurisdizionale, con la seguente doppia negazione, avente, evidentemente, valore di statuizione:

"…nessuno vorrà negare…" e, quindi, in senso opposto, con metodo deduttivo generale, tutti devono ammettere, la natura primaria e, quindi, prevalente, del diritto a proteggere la propria salute, rispetto alle esigenze di riservatezza del terzo i cui dati divengono ostensibili; e ciò a maggior ragione, allorché non sussista altra concreta possibilità, per l’accedente, di venire in possesso di dati e informazioni.

3. Brevi conclusioni.

I profili di novità emergenti nel procedimento amministrativo e nel ricorso giurisdizionale che, infine, ha dato vita alla decisione in rassegna, appaiono, sostanzialmente, tre:

l’intervento del difensore civico regionale in una questione afferente la sfera così strettamente personale della ricorrente che, in ogni, caso ha determinato, in prima battuta, da parte della P.A., cui era stata avanzata richiesta di accesso agli atti, una "rivisitazione" del primo diniego, e, quindi, con una forma atipica di autotutela, la positiva espressione del consenso all’accesso agli atti, sia pure nella forma mediata della mera visione, condizionata alla presenza di un medico di fiducia dell’amministrazione;

le motivazioni poste a base dell’istanza di ostensione, dirette a tutelare non una situazione giuridicamente rilevante connessa ad un interesse di natura patrimoniale, bensì una situazione giuridicamente rilevante connessa ad un interesse di natura sanitaria, finalizzato alla protezione della salute della medesima accedente;

c) l’esclusione, in aperto contrasto con l’orientamento del Massimo Organo di Giustizia Amministrativa, della natura impugnatoria del rito speciale accelerato di cui all’art. 25, l. n. 241/1990.

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Si è dell’avviso che, in ogni caso, nella considerazione complessiva degli interessi in conflitto (rectius: diritti), non può sottovalutarsi che la ricorrente, nella fattispecie esaminata, ha sicuramente agito per la tutela e/o cura di una situazione soggettiva giuridica particolarmente rilevante. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che l’accedente ha posto a base dell’istanza di ostensione ragioni di incolumità fisica e di salute proprie.

Va ricordato, al riguardo,da un lato, che il diritto alla salute, come noto, è costituzionalmente garantito e protetto, e, dall’altro, che, il legislatore, con l’art.3, comma 1°, l.n.205/2000, ha dedicato ad esso uno specifico riferimento, affermando che si tratta di diritto essenziale della persona.

D’altronde, va pure riferito che "stato di salute" è espressione di una certa ampiezza, che indica, in generale, la condizione sanitaria di un soggetto, intesa in senso dinamico (stati di salute, di malattia, ecc.), nel suo originarsi, evolversi e concludersi.

Nel caso di specie, quanto innanzi affermato assume maggiore e primaria valenza, se si considera che - stando alle motivazioni poste a base dell’istanza di ostensione - la stessa era risultata mirata a porre in essere eventuali comportamenti di terapia preventiva, a protezione del fondamentale diritto alla salute dell’accedente, e che, notoriamente, in medicina, la prevenzione tempestiva, spesso, è più efficace della cura.

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Sembra che il Collegio, nella fattispecie sindacata, al fine di risolvere il caso concreto - in disparte lo specifico richiamo al proprio precedente giurisprudenziale - nel pronunciare la decisione segnalata, abbia fatto leva non tanto sui canoni generali in materia di prevalenza del diritto alla riservatezza o all’accesso, e/o su valutazioni di carattere dogmatico costituzionale afferenti la pregnanza degli interessi in conflitto, bensì alla prevalenza oggettiva del diritto alla salute ex art.32 Cost., e, contestualmente, nonché, segnatamente, alle effettive esigenze di opportunità che connotavano l’istanza dell’accedente. E ciò ha fatto, evidentemente, in una logica marcatamente garantistica del diritto alla salute.

In particolare, appare utile porre in rilievo che la pronuncia adottata a definizione del caso esaminato dal T.A.R. Veneto, costituisce - ad avviso di chi scrive - un concreto esempio della versatilità oggi attribuita al giudice amministrativo nell’accedere al "fatto" ovvero al "problema" "amministrativo", improntata non alla rigidità delle forme, bensì caratterizzata da un approccio valutativo mirato a valorizzare i profili sostanziali dell’azione amministrativa, ed ai piu’ svariati risvolti che la stessa può assumere in sede giurisdizionale e/o processuale.

Significativa, al riguardo, è l’opzione ermeneutica fornita dal giudice amministrativo veneto, in ordine alla dichiarata infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del gravame – sollevata dalla difesa pubblica – perché non notificato ai controinteressati, e la connessa fluida soluzione individuata nell’integrazione, ex officio, del contraddittorio.

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Si evidenzia, ancora, che con la decisione in rassegna, il giudice amministrativo ha sindacato una questione implicante lo scrutinio ed il bilanciamento di diritti aventi, tutti, rango costituzionale. Tanto è vero che, lo si ribadisce, l’accedente ha posto a base dell’istanza di ostensione motivi attinenti all’incolumità fisica ed alla salute proprie.

Pertanto, in conclusione, senza tralasciare che, in casi simili a quello analizzato, potrebbe, comunque, ravvisarsi la necessità dell’autorizzazione preventiva del Garante, si osserva che l’Organo giurisdizionale, ha optato per una soluzione che, pur sostanzialmente favorevole alla prevalenza del diritto di accesso sulla riservatezza dei dati personali, appare in linea e coerente non solo con l’attuale assetto normativo in materia, ma anche con il piu’ generale principio secondo cui, in tali ipotesi, l’accesso deve essere assicurato - previa verifica del requisito di legittimazione dell’accedente - con opportune modalità, tali da non vulnerare in modo grave e significativo la riservatezza, e, quindi, da realizzare un equilibrato contemperamento dei valori in gioco.

Testimonia quanto affermato il fatto che il T.A.R. Veneto, nell’ordinare alla P.A. l’ostensione degli atti in favore dell’accedente, ha precisato, nell’ambito di discrezionalità connesso alla funzione e/o al sindacato giurisdizionale, che la stessa potrà avvenire, eventualmente, "… con la presenza di un medico o di altra persona di fiducia" ed anche "...limitatamente alle parti della cartelle cliniche oggetto di specifica richiesta".

 

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(1) Sull’interesse degli eredi di un controinteressato a partecipare al giudizio amministrativo, v. Cons. Stato, Sez. V, 19 settembre 1992, n. 841, in Foro amm., 1992, 1936, secondo cui: "Gli eredi di un controinteressato deceduto prima della notifica del ricorso, hanno interesse a prendere parte al giudizio promosso ex adverso, quanto meno sotto il profilo morale (nella specie, si è ritenuto che nella vertenza promossa al fine di annullare la nomina a primario di un sanitario nel frattempo deceduto, gli eredi vantassero non solo un interesse morale a partecipare al giudizio, ma anche patrimoniale, tenuto conto che dalla rimozione della nomina discendono effetti negativi sull’indennità di buonuscita e sul trattamento pensionistico di reversibilità, rapportati alla qualifica rivestita dal de cuius all’atto del decesso".

 

 

(omissis)

per l’accesso

ai documenti amministrativi costituiti dalle cartelle cliniche relative ai ricoveri della sorella Fiamma presso l’Ospedale di Venezia, con conseguente condanna al rilascio di copia dei documenti richiesti, nonché per l’annullamento del diniego opposto al riguardo.

(omissis)

FATTO

La sig.ra Sinigaglia Giuliana, sorella di Fiamma (non coniugata e senza figli), deceduta il 10.6.2002 per patologia tumorale, chiedeva, con istanza del 22.7.2002, alla ASL 12 copia della cartella clinica relativa ai ricoveri della sorella. Seguiva un diniego, con atto in data 13.9.2002, a firma del direttore del servizio di medicina legale, motivato con l’assunto che la richiedente (non compresa nel testamento), non era erede legittimaria. Interveniva il Difensore civico regionale, il quale, con nota del 7.11.2002, segnalava all’Amministrazione sanitaria la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per l’accesso ai documenti richiesti al fine di verificare la presenza di malattie ereditarie, in relazione alle patologie che avevano determinato il decesso della madre e della sorella (del resto sulla scorta dell’art. 21 del regolamento dell’ASL 12, ove si prevede il rilascio della cartella clinica ai "parenti stretti", in caso di decesso del paziente).

In pari data veniva inoltrata un’ulteriore richiesta della cartella clinica formulata dal marito, a nome della sig.ra Sinigaglia, con la precisazione che lo scopo era di verificare l’ereditarietà della patologia. Con nota del 19 novembre veniva riscontrata la richiesta, specificandosi, con riguardo alla motivazione testé evidenziata e alle relative ragioni, che le stesse "possono essere ritenute valide alla luce della trattatistica bioetica e tali da consentire di violare… le rigide norme del segreto professionale…", soggiungendosi che la richiedente avrebbe potuto indicare il nome di un "suo medico di fiducia che, con la collaborazione di un nostro medico, esaminerà la documentazione clinica in questione e, nell’ipotesi dell’esistenza di una, anche minima, possibilità di patologia ereditaria, trarrà da quella documentazione tutti i dati utili per ogni tipo di ulteriore valutazione clinica, diagnostica, prognostica e preventiva".

Contro tale provvedimento, e per l’accertamento del diritto all’accesso alle cartelle cliniche richieste, con conseguente rilascio di copia delle stesse, insorge con il ricorso in epigrafe l’interessata, ai sensi dell’art. 25 della legge 7.8.90 n. 241.

A sostegno del gravame la ricorrente richiama in primis il menzionato art. 21, ricordando di essere sorella e unica parente di Fiamma, deceduta per patologia analoga a quella della madre, e invocando la tutela del diritto alla salute, situazione soggettiva di rilievo costituzionale, che non può essere sacrificata rispetto alla pretesa esistenza del segreto professionale. Manifestamente illegittimo appare, invero, porre sullo stesso piano il diritto alla salute e il segreto professionale, destinato a recedere nei confronti del primo, come ha chiarito la giurisprudenza. Né potrebbe invocarsi il diritto alla riservatezza, perché, se è vero che la materia sanitaria è nell’insieme coperta dal diritto alla riservatezza, l’accesso non può essere negato allorquando proprio l’interesse sanitario costituisca l’oggetto della pretesa.

Né, infine, può ritenersi soddisfacente la soluzione intermedia prospettata dall’ASL, non potendo la mera visione degli atti configurare quella esibizione di cui parla l’art. 25 della legge n. 241/90.

Si è costituita la P.A. intimata, eccependo, con successiva memoria, in primis inammissibilità del ricorso per omessa notifica –da parte della ricorrente che non è erede- all’erede controinteressato, versandosi in ipotesi di attivazione di un interesse legittimo, e di ricorso impugnatorio. Inammissibile sarebbe il ricorso anche sotto il diverso profilo della omessa specificazione del titolo posto a base della richiesta di accesso: l’interesse attivato viene, infatti, specificato soltanto in sede giudiziale.

Nel merito eccepisce che non è stato affatto negato l’accesso alle cartelle cliniche, ma è stato disposto con garanzie consone alla natura dei dati trattati (i quali sono innegabilmente dati sensibili che, una volta divulgati, arrecherebbero danno irreversibile alla sfera giuridica dell’interessato). Invero, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 675/96, la comunicazione e la diffusione dei dati personali sono consentiti solo se una norma di legge o di regolamento lo preveda. La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che non già l’invocazione di un generico diritto di difesa possa prevalere sulla protezione di detti dati personali, ma che, nella necessaria comparazione, prevalga l’esigenza di difesa di un diritto di rango almeno pari a quello dell’interessato. Il diritto di accesso prevaleva, dunque, sul diritto alla riservatezza, mediante visione ma senza estrazione di copia. Detta soluzione è stata, poi, sancita con il D.Lgs. 11.5.99 n. 135, confermando che occorre un bilanciamento fra il diritto di accesso e quello alla riservatezza. Orbene, la soluzione individuata dalla P.A. resistente sembra conforme a detto assetto normativo, essendo sufficiente un consulto di un medico autorizzato per trarre dalla cartella tutti gli elementi che potrà offrire ai colleghi per meglio tutelare la salute dell’interessata. Da ciò il superamento dell’art. 21 del regolamento, che si chiede venga disapplicato per contrasto o mancato raccordo con il D.Lgs. n. 135/99.

All’udienza i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, chiedendo che la causa fosse spedita in decisione.

D I R I T T O

1- La risoluzione della controversia all’esame del Collegio postula la necessità di rispondere ad una serie di quaestiones juris di non scarso rilievo, tanto in rito quanto nel merito.

1.1- L’analisi di siffatte questioni non può che iniziare da quelle che rivestono carattere pregiudiziale o preliminare, la prima delle quali concerne l’eccepita inammissibilità del gravame, per non essere stato notificato il medesimo –a cura dell’odierna ricorrente (che non è erede, come chiarito nella narrativa in fatto)- "all’erede che risulta controinteressato".

In merito a detta eccezione, bisogna dire che la stessa poggia, al tempo stesso, su un presupposto in fatto –da cui si traggono conclusioni di ordine giuridico processuale- e sugli assunti di due sentenze del Consiglio di Stato, alquanto recenti, che hanno affermato la natura impugnatoria dell’actio ad exhibendum disciplinata dall’art. 25 della legge 7.8.90 n. 241, con la conseguente necessità di notificare il ricorso anche ai controinteressati.

Per dare una risposta corretta a tale eccezione –comunque di non facile apprezzamento- basterebbe, senza invischiarsi in considerazioni in ordine alla condivisibilità o meno dell’orientamento giurisprudenziale pur autorevolmente enunciato, osservare che il patrocinio che l’ha formulata presuppone, in maniera piuttosto ellittica (verosimilmente in ciò deviato dalla originaria risposta negativa data dalla P.A. resistente alla richiesta di accesso) che la qualità soggettiva di erede fornisca la legittimazione (una giustificazione e un titolo, cioè, alla relativa istanza) a chiedere la visione o il rilascio della cartella clinica di una persona defunta, e che tale titolo non possa, invece, riconoscersi al parente che erede non è.

Ma un siffatto iter argomentativo pare viziato in radice: ed invero, se –come è stato chiarito già nella sede amministrativa (cfr., al riguardo, quanto si aggiungerà fra breve)- oggetto della pretesa erano cartelle cliniche di una persona che deve considerarsi "parente stretto" (per usare l’espressione di cui al richiamato regolamento dell’ASL 16), quale certamente deve considerarsi la sorella del richiedente, e se l’interesse addotto a motivo della richiesta di accesso è lato sensu sanitario o connesso alla tutela della salute, non si vede come possa incidere sulla soddisfazione di un siffatto interesse la circostanza se il richiedente rivesta, o meno, la qualità di erede. Se si ammette, infatti (su ciò v. infra), che la domanda di accesso alle cartelle cliniche era animata dall’interesse ad appurare –a scopo di prevenzione terapeutica- se la patologia che aveva determinato il decesso della sorella (e anche della madre, in precedenza) potesse essere in qualche modo trasmissibile, non pare che la sussistenza della qualità di erede in capo al richiedente possa in alcun modo influire sul riconoscimento di tale diritto.

In effetti, il collegamento istituito dalla P.A. resistente fra qualità di erede (che, si potrebbe dire, è uno status che ricomprende rapporti pressoché esclusivamente a contenuto patrimoniale) e diritto di accesso al rilascio della cartella clinica deve considerarsi del tutto estemporaneo, e sfornito di una sia pur minima base giustificatrice di ordine giuridico, alla luce della disciplina del diritto di accesso e delle relative deroghe ed eccezioni di cui alla legge n. 241/90. Ed invero, deve ritenersi che la richiesta di accesso alla documentazione sanitaria costituita dalla cartella clinica relativa a persona deceduta, cui i relativi dati e informazioni facevano capo, avanzata da un parente del paziente defunto, debba essere esaminata alla luce dei motivi addotti a sostegno della medesima, avendo riguardo al nesso fra le motivazioni addotte a sostegno dell’istanza (idest natura della posizione giuridica del richiedente) e alle finalità addotte. Sotto questo profilo, pertanto, l’assunto del patrocinio resistente deve ritenersi privo di fondamento.

Chiarito quanto sopra, occorre dire della giurisprudenza invocata a sostegno della dedotta inammissibilità per omessa notifica al controinteressato. Orbene, nonostante l’autorevolezza del Collegio che ha emesso le due pronunce richiamate, si ritiene di non poterne condividere gli assunti, e ciò sulla scorta del dato normativo testuale. La legge, invero, nell’introdurre nell’ordinamento (con l’art. 25) questo nuovo tipo di ricorso instaurabile davanti al giudice amministrativo, ha sicuramente dato luogo a una tipologia di azione e ad un rito che si muovono in una logica tutt’affatto diversa dagli stilemi tipici della tradizionale azione di annullamento e del giudizio impugnatorio, dal quale si differenzia nettamente (come pure, del resto, dalla classica azione di accertamento di diritti attivabile all’interno del giudizio su rapporto ovvero della giurisdizione esclusiva del G.A.). Ciò è testimoniato –tra l’altro- dal tipo di sentenza relativa a detto rito, la quale non è costitutiva (in quanto non pronuncia l’annullamento di un atto, se non in via eventuale e incidentale, nel caso di diniego), né di condanna in senso stretto, poiché si sostanzia nel riconoscimento del diritto di accesso ad atti e documenti, nonché nell’ordine di un facere specifico impartito all’amministrazione, sul presupposto -implicito o esplicito- del menzionato riconoscimento.

Ed invero, a tacere del fatto che la norma qualifica espressamente la posizione giuridica fatta valere in giudizio come diritto di accesso, la norma prevede che il giudice, una volta che abbia riconosciuto l’esistenza di un siffatto diritto in capo al ricorrente, ordini senz’altro alla P.A. il rilascio dei documenti e atti inutilmente richiesti all’Amministrazione. La sentenza, cioè, al tempo stesso si configura come un accertamento e una condanna a un facere specifico a carico della P.A. che dovesse risultare soccombente in un simile giudizio. Con ciò non si vuol dire che non assumano rilievo processuale le posizioni giuridiche e gli interessi di altri soggetti di senso contrario a quello del ricorrente. Al contrario, certamente situazioni siffatte emergono in molteplici fattispecie, in particolare nelle ipotesi di conflitto con il diritto alla riservatezza, nelle varie e articolate previsioni regolate dall’art. 24 della L. n. 241/90, e successivamente dalla legge n. 675/96 in ordine alla protezione dei dati personali. Tuttavia, allorquando, ai fini della risoluzione della controversia relativa al diritto di accesso sottoposta al G.A., emerga l’esigenza di accertare la consistenza di siffatti interessi e di confrontarli con la posizione giuridica del ricorrente (sulla scorta, per lo più, della motivazione del diniego fornita dall’amministrazione), sarà il giudice a ordinare, eventualmente, l’integrazione del contraddittorio ove alla notifica ai controinteressati non abbia provveduto il ricorrente, senza che l’omessa notifica assurga a elemento dirimente ai fini dell’ammissibilità del ricorso, non versandosi in ipotesi di giudizio impugnatorio.

L’eccezione, per quanto fin qui detto, deve essere rigettata, siccome infondata.

1.2- Un secondo profilo di inammissibilità prospetta il patrocinio resistente, sul rilievo che l’odierna ricorrente non avrebbe specificato il titolo giustificativo della sua richiesta di accesso, e che la posizione giuridica alla base dela stessa sarebbe emerso soltanto nella sede giudiziale.

Al riguardo si osserva che, effettivamente, la richiesta rivolta originariamente alla P.A. resistente appariva alquanto generica, e sfornita di idoneo supporto motivazionale a sostegno dell’istanza (così come richiesto dalla legge n. 241/90 e dal regolamento approvato con D.P.R. n. 352/92). Senonché tale circostanza perde di rilievo alla luce delle vicende che hanno preceduto il diniego qui impugnato. Infatti, dopo l’intervento del difensore civico regionale del 7 novembre –ove si chiarivano e sostenevano diffusamente le reali motivazioni all’origine della richiesta di rilascio delle cartelle cliniche- l’odierna ricorrente, per il tramite del coniuge, rilasciava, in pari data, una dichiarazione a sostegno della richiesta della documentazione clinica de qua "per verificare l’ereditarietà della patologia, della quale era affetta anche la Sig.ra Cossato Annina, madre delle signore Fiamma e Giuliana Sinigaglia".

Quanto appena riportato mostra che anche l’eccezione in esame si rivela infondata.

2.1- Passando ad esaminare il merito della controversia, occorre chiarire preliminarmente due aspetti. Il primo riguarda la valutazione e gli effetti della risposta fornita all’interessata alla stregua del contenuto testuale della medesima. La seconda concerne la sovrapposizione, ed anzi l’incrocio fra due ordini motivazionali (l’uno presente nella menzionata risposta dell’ASL 12 e l’altra nelle difese svolte in giudizio), e i necessari chiarimenti.

Quanto alla prima questione, si pone il quesito se la risposta data alla ricorrente (e qui dalla medesima contestata) configuri un sostanziale diniego. In tal senso, in effetti, lo ha inteso l’interessata, e da ciò si è originato il ricorso. In realtà si tratta di un éscamotage individuato dalla P.A. resistente, come una sorta di soluzione intermedia, dal momento che non si denega tout-court l’accesso alla documentazione clinica richiesta, ma se ne consente la visione mediante un filtro, costituito da un medico di fiducia dell’interessata. Questi soltanto, in collaborazione con un medico dell’ASL, potrebbe compulsare detta documentazione, e, nell’ipotesi che riscontri dati ed elementi "di una, anche minima, possibilità di patologia ereditaria", trarne "tutti i dati utili per ogni tipo di ulteriore valutazione clinica, diagnostica, prognostica e preventiva".

Ora, affatto singolare (e nuova, per quanto ne risulta) appare l’interposizione di un altro soggetto, che dovrebbe fare da tramite fra l’ente pubblico e il cittadino nel rapporto che si instaura fra costoro allorquando il secondo intenda esercitare il diritto di accesso ad atti e documenti detenuti dalla P.A. Una siffatta intermediazione, in verità, qualunque sia la giustificazione che ne fornisca l’amministrazione cui si rivolta la richiesta, deve recisamente escludersi, dovendosi configurare come squisitamente personale il diritto di accesso, per questo attivabile in via diretta. Del resto, l’attribuzione a un simile intermediario di un potere di valutazione e di scelta dei dati desunti dai documenti visionati acuisce vieppiù la violazione del diritto di accesso nel caso di specie.

Vero è che il richiamato regolamento governativo (D.P.R. 27.6.92 n. 352, art. 5, comma 6°) consente che l’esame dei documenti possa essere effettuato, oltre che dal richiedente, anche da persona incaricata dal medesimo, con l’eventuale accompagnamento di altra persona. Ma, come ognun vede, nella prima ipotesi si tratta di persona espressamente incaricata autonomamente dal richiedente (evidentemente per ragioni che possono riguardare egli soltanto); per quanto concerne la seconda (la possibilità di accompagnamento di altra persona), palesemente si tratta di previsione normativa orientata ad agevolare la visione e la valutazione dei documenti. Entrambe le previsioni, insomma, suonano come affatto estranee all’ipotesi di una intermediazione nell’esercizio del diritto di accesso.

Per le ragioni testé esposte, l’atto conclusivo del procedimento di accesso ai documenti de quibus deve qualificarsi –al di là del suo contenuto, all’apparenza conciliativo e non impeditivo della visione della documentazione richiesta- come un sostanziale diniego, siccome fortemente ostativo alla realizzazione dei diritto di accesso vantato dalla ricorrente.

2.2- Il secondo chiarimento attiene alla constatazione che, mentre nel menzionato diniego si fa riferimento –quale ragione ispiratrice della forte limitazione all’esercizio di tale diritto, che si consente soltanto per il tramite del "filtro" poco addietro menzionato- al segreto professionale, sia –in parte- i motivi del ricorso all’esame, sia le nutrite eccezioni sollevate dal patrocinio resistente, si svolgono con riguardo al diritto alla riservatezza, ovvero alla protezione di dati personali "sensibili", coperti dalla tutela predisposta dalla legge n. 675/96.

Al riguardo va detto, preliminarmente, che, trattandosi di due tipi di diritti che "per natura" si contrappongono alla comunicazione ad altri o alla diffusione al pubblico del loro contenuto, in buona misura possono valere –ai fini del necessario raffronto e bilanciamento con il contrapposto diritto di accesso- considerazioni analoghe, salvo le necessarie specificazioni, cosicché non assume grande rilievo la rilevata discrasia.

3-Il merito in senso stretto della lite attiene alla vexata quaestio del conflitto fra due diritti, che entrambi ricevono tutela dall’ordinamento, e che entrano spesso, per così dire, "in rotta di collisione". Il problema –vero punto critico delle disciplina del diritto di accesso e di quella inerente alla protezione dei dati personali- non certo nuovo, ed è stato affrontato più volte dalla giurisprudenza (anche di questo Tribunale Amministrativo), che ha assunto un orientamento sufficientemente univoco e consolidato.

Si premette che il richiamo, fatto nel provvedimento impugnato, alla tutela del segreto professionale –del resto in maniera non molto convinta- pare del tutto fuori luogo. Data la maniera generica e apodittica dell’assunto, se si dovesse seguire il medesimo, se ne dovrebbe inferire che qualsiasi manifestazione di congnizioni specifiche inerenti all’esercizio di una professione (nella specie, quella medica) debba prevalere comunque sull’interesse a prendere visione del portato di dette manifestazioni il che palesemente sarebbe quanto meno eccessivo.

Nella fattispecie non si tratta, peraltro, di carpire, attraverso la visione della documentazione clinica, elementi e dati inerenti a un professionista determinato (data la completa assenza di riferimenti nominativi), né può ragionevolmente sostenersi che la conoscenza di una cartella clinica e dei suoi contenuti possa ledere in qualche modo tale segreto. Per maggiori indicazioni al riguardo, ove si volesse inquadrare il segreto professionale nell’ambito del diritto alla riservatezza, valgano, comunque, le osservazioni che seguono inerenti alla tutela di quest’ultimo.

Come accennato, la questione specifica del raffronto del diritto di accesso e il contrapposto diritto alla riservatezza è stata affrontata da questa Sezione con la sentenza 25.5 – 6.7.2000 n. 1294. Di tale pronuncia conviene riportare integralmente un passo:

"3 – Fatta questa breve premessa, appare evidente che si pongono problemi circa i rapporti e il delicato equilibrio fra tali due leggi orientate a finalità antitetiche, che qui debbono essere affrontati, anche concisamente, nonostante che la complessa tematica non traspaia in tutta la sua sostanza dagli scritti difensivi delle parti, ognuna delle quali sembra dare per scontato, nell’ottica delle rispettive tesi difensive, quod demonstrandum.

Al riguardo è bene subito chiarire che, mentre alcune delle regole da seguire per la risoluzione dei casi di conflitto (almeno apparente) fra le due leggi sono rinvenibili nelle stesse (art. 24.1 L. n. 241/90 e regolamento approvato con D.P.R. n. 352/92, cit; art. 22, 23, 29, 43.3 e 27.3 L. n. 675/96), occorre, a tal fine, tenere presenti anche il più recente D.Lgs 11.5.99 n. 135 ("disposizioni integrative della L. 31.12.96 n. 675 sul trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici"). In particolare, decisiva, - ai fini della risoluzione della controversia – appare, ad avviso del Collegio, la disposizione dell’art. 16, comma 2° di tale decreto.

In precedenza, rilevata la difficile conciliabilità delle contrapposte posizioni e pretese fra chi insta per ottenere documenti al fine di difendere un suo diritto o interesse nella sede giudiziale o anche amministrativa e chi, invece, mira a tenere riservati e non diffondere dati personali protetti dal diritto alla riservatezza, la giurisprudenza si era affidata al criterio di prevalenza nel bilanciamento fra i due contrapposti diritti, regola del resto già rinvenibile (come si è osservato retro) nell’art. 24 della L. n. 241/90, scritto, peraltro, prima che intervenisse la legge sulla protezione dei dati personali, e dunque quasi per forza di cose orientato nel senso della prevalenza del diritto di accesso.

Intervenuta la legge n. 675/96, la prospettiva era cambiata, inducendo la giurisprudenza successiva concernente il diritto di accesso ad orientarsi sempre più nel senso della prevalenza del diritto alla riservatezza, specie in tema di dati inerenti allo stato di salute delle persone.

Per quanto concerne le norme (anteriori al D.Lgs. n. 135/99 cit.), rilevante appariva il criterio indicato nell’art. 273 della L. n. 675/96, là dove si dice: "la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati... sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento". Per incidens si osserva che, a volere leggere in qualche misura unilateralmente o affrettatamente tale disposizione, si poteva interpretare la stessa nel senso che comunque fosse assicurato il diritto di accesso al fine di difendere un proprio interesse in giudizio o anche nelle sedi amministrative, secondo quanto disposto dall’art. 24.1, lett. d) della L. n. 241/90 (che è, appunto, una norma di legge). Deponeva nel senso di tale interpretazione, ad abundantiam, anche la disposizione "di salvaguardia" dell’art. 43 della L. n. 675/96 in forza della quale "restano ferme.... le vigenti norme in materia di accesso ai documenti amministrativi".

Tuttavia, stante la perplessità e l’incompletezza o quanto meno parziale contraddittorietà fra le disposizioni appena riportate, sembrava doveroso adottare linee ermeneutiche più caute circa la valutazione della prevalenza di uno dei due diritti in discorso sull’altro.

Quanto alla giurisprudenza, - dopo l’incertezza (o mancata presa di posizione circa la prevalenza di uno dei due diritti sull’altro) palesata da Cons. di Stato, Sez. V^ 2.12.98 n. 1725 – le più recenti pronunce (successive all’emanazione della L. n. 675/96) si andavano orientando nel senso della prevalenza del diritto alla riservatezza sul diritto (qualificato sempre più frequentemente interesse legittimo: cfr. sentenza appena citata Ad. Pl. 24.6.99 n. 16) di accesso. Al riguardo si veda, segnatamente Cons. di Stato Sez. VI^ 26.1.99 n. 59, ove si afferma che il diritto di accesso prevale sul diritto alla riservatezza soltanto in presenza di una norma che ciò espressamente preveda (in queste come in altre sentenze si giustifica tale prevalenza anche con l’argomento che, una volta rivelati i dati personali inerenti alla salute, il diritto alla riservatezza è irriversibilmente leso, né è configurabile una reintegrazione del medesimo (cfr. anche Cons. di Stato, Sez. IV^, 29.1.98 n. 15).

4 – Peraltro, a parte pronunce pressoché coeve di segno contrario (cfr., ad es., Cons. di Stato, Sez. VI^, 27.1.99 n. 65, ove la prevalenza è assegnata ad diritto di accesso), la soluzione nel senso della prevalenza della riservatezza sull’accesso non sembrava appagante, in fin dei conti sulla scorta dei dati normativi (retro richiamati) desunti dalla stessa L. n. 675/96.

Tuttavia sembra, ora che il dato normativo testuale apportato dall’art. 16 del D.Lgs. n. 135/99 fornisca, alfine, un criterio normativo decisivo, pur lasciando un margine di apprezzamento alla P.A. investita della domanda di accesso, e, a maggior ragione, al giudice chiamato a risolvere la controversia nata dal diniego di accesso.

Dice, infatti, il co. 1°: "Si considerano di rilevante interesse pubblico i trattamenti di dati: ... b) necessari per far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da parte di un terzo..."; il co. 2° poi soggiunge: "Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute..., il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere, di cui alla lettera b) del co. 1, è di rango almeno pari a quello dell’interessato".

Come si vede, la regola è fornita dal "rango" del diritto che si intende difendere attraverso la conoscenza degli atti cui si chiede l’accesso (per incidens si rileva la scelta legislativa, ancora una volta a favore del diritto di accesso, salva la parità, almeno, di rango). Qui, chiaramente, gioca quel margine di apprezzamento di cui si diceva poc’anzi."

Le considerazioni fatte in detta pronuncia giudiziale (sulla stessa scia, in buona sostanza, si collocano Cons. Stato, Sez. VI, 30.3.2001 n. 1882; TAR Milano, Sez. II, 23.6.2000 n. 4615; TAR Bologna, sez. I, 6.12.2001 n. 1207; TAR Bari, Sez. I, 14.11.2002 n. 4954) si attagliano al caso di specie, dove si tratta, appunto di porre a confronto due contrapposti interessi, peraltro con la differenza, rispetto al caso ivi deciso, che, a ben riflettere (e tralasciando il riferimento testuale al segreto professionale, per le ragioni poco addietro accennate), entrambi gli interessi in campo hanno in comune il substrato del carattere sanitario ovvero connesso alla protezione della salute. Anzi, più specificamente, nella specie si contrappongono un diritto di accesso a documentazione sanitaria altrui, motivato con l’esigenza di approntare terapie preventive, o meno (a seconda del contenuto della documentazione medesima), e un diritto a mantenere riservati dati inerenti allo stato di salute (per meglio dire, anzi, patologico) di un parente defunto.

In tute le fattispecie sottostanti alle sentenze menzionate (ivi compresa la sentenza Bighignoli), invece, si contrapponevano il diritto di accesso motivato con l’esigenza di difendere in giudizio propri interessi, e il diritto alla riservatezza di dati personali di carattere sanitario. Senonché, elemento comune anche al caso ora in esame è costituito dall’esigenza di sciogliere il nodo della prevalenza fra il diritto a prendere visione di documenti e dati concernenti persona diversa dal richiedente e quello inerente all a riservatezza di dati inerenti a persona deceduta (dunque piuttosto astratta). La particolarità del caso di specie è data dal fatto che l’accesso alla documentazione sanitaria altrui occorre al richiedente non per difendere propri interessi nella sede giudiziale o altrove, bensì a fini di protezione della sua salute.

Ma, se così è, pare non potere essere diversa la soluzione da quella seguita nelle proununce menzionate. Ed invero, nessuno vorrà negare che l’interesse ad approntare eventuali terapie preventive a protezione del proprio stato di salute stia alla base di un diritto che certamente deve considerarsi primario e, di conseguenza –nel confronto con quello alla riservatezza di dati sanitari afferenti a un parente stretto defunto- di rango superiore rispetto a quest’ultimo, non fosse altro perché l’interessata non potrebbe in altro modo acquisire dati e informazioni rilevanti a tal fine.

In conclusione, per le considerazioni su esposte, il ricorso deve ritenersi fondato e va accolto. Per l’effetto, previo annullamento del provvedimento impugnato, si ordina alla P.A. resistente di consentire alla ricorrente –eventualmente con la presenza da un medico o di altra persona di fiducia- di prendere visione delle cartelle cliniche richieste, e di rilasciargliene copia integrale, ovvero limitatamente alle parti oggetto di specifica richiesta, entro il termine di giorni 20 dalla comunicazione in via amministrativa – o dalla notificazione a cura di parte, se più tempestiva- della presente sentenza.

Le spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie. Per l’effetto: 1) annulla il provvedimento impugnato; 2) ordina alla ASL 12 di Venezia di consentire alla ricorrente la visione della documentazione richiesta e di rilasciargliene copia, nei sensi ed entro il termine specificati in motivazione.

Condanna la medesima A.S.L. 12 al pagamento delle spese e onorari di giudizio, che liquida forfetariamente in €. 2.500 (euro duemilacinquecento), oltre agli oneri di legge (IVA e CAP).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 30 gennaio 2003.

Il Presidente l'Estensore

Depositata in segreteria in data 7 marzo 2003.

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