Dottrina: WEBINAR – Dipartimento di Scienze Giuridiche e Politiche Università degli Studi di Roma “G. Marconi” – 13 maggio 2021 h. 16,00.Presentazione del libro di Francesco Gaspari – LA SUCCESSIONE A TITOLO PARTICOLARE NEL DIRITTO CONTROVERSO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO ESI Napoli 2020
Manca anche nel codice del processo amministrativo una disposizione che stabilisca cosa succeda nel processo, se uno dei soggetti litiganti non sia più titolare della situazione giuridica soggettiva che lo ha legittimato a stare in giudizio come ricorrente, resistente o controinteressato, per limitare il discorso alle parti che sono protagoniste del processo amministrativo.
Il tema è interessante perché il mutamento della titolarità delle situazioni giuridiche soggettive che si confrontano nel processo amministrativo non è una evenienza rara, dato il protrarsi nel tempo del giudizio.
Inoltre, l’argomento trattato affronta il rapporto tra il diritto sostanziale e quello processuale che informa di sé la stessa essenza del processo, a partire dall’azione.
È discusso in dottrina se l’azione sia autonoma dalla situazione giuridica soggettiva che si fa valere nel processo, se sia uno strumento a sé di natura giuridica sostanziale di cui si chieda tutela ovvero dipenda dalla situazione giuridica sostanziale che le dà corpo e concretezza.
Nella sostanza, qui si pone la stessa questione.
Una lite sorge tra due o più soggetti e uno di essi dismette la titolarità della situazione giuridica soggettiva che si dibatte nel processo perché viene passata ad altro soggetto.
Il trasferimento della situazione giuridica soggettiva non avviene nel processo e con l’utilizzo di strumenti processuali, ma fuori del processo e con strumenti disciplinati dal diritto sostanziale.
Il mutamento della titolarità potrebbe non essere conosciuto nel processo perché non noto alle altre parti e al giudice. A seguito della successione a titolo particolare che è intervenuta nei rapporti sostanziali, nel processo si discute di una questione per la quale una delle parti non ha più interesse o, comunque, non ha lo stesso interesse iniziale, non essendo più il titolare.
Ebbene, se l’azione (e l’opposizione ad essa) è autonoma dalla situazione giuridica soggettiva che si fa valere, il soggetto che non ha più la titolarità della situazione giuridica soggettiva sostanziale continua ad essere tra i protagonisti del processo ed il mutamento soggettivo è irrilevante; se l’azione (e l’opposizione ad essa) non è autonoma, ma è uno dei poteri che fa capo alla situazione giuridica soggettiva sostanziale ed è una sua espressione, il giudizio deve acquisire la giusta parte e non può continuare, ma deve fermarsi per instaurare il contraddittorio tra le parti titolari delle situazioni giuridiche soggettive in contesa, rendendo rilevante e determinante nel processo la situazione giuridica soggettiva sostanziale.
Si può evadere da questa problematica della rilevanza-irrilevanza che, come riferisce Francesco Gaspari nel suo libro, è stata la questione su cui si è molto discusso nella dottrina tedesca ed italiana, con il divieto di trasferire le situazioni giuridiche soggettive pendente la lite, come era previsto dall’ordinamento giuridico romano. Il rapporto processuale che era forma e sostanza allo stesso tempo era immodificabile e doveva coincidere con le situazioni giuridiche sostanziali dei contendenti che non potevano essere modificate ed erano, per così dire, cristallizzate al momento della introduzione della lite.
La soluzione del diritto romano troncava il rapporto tra diritto sostanziale e processuale e le interferenze del primo sul processo, impedendo, lite pendente, la modifica dei rapporti giuridici sostanziali.
Ciò è possibile, però, se la società sia poco dinamica nei rapporti socio-economici e il processo abbia una durata ragionevole, ma di fronte a rapporti e scambi economici e sociali frequenti e a processi che si svolgono in tempi non brevi, è una previsione ingessante e non accettabile.
Rileva, quindi, il rapporto tra diritto sostanziale e diritto processuale e la problematica relativa alla funzione del processo in relazione al diritto sostanziale e, in particolare, se è servente o autonomo rispetto a quest’ultimo.
È stato il diritto germanico nell’800 a trovare soluzioni che sono intervenute sul processo, lasciando libera la fluttuazione dei rapporti socio-economici disciplinati dal diritto sostanziale, e che hanno dovuto affrontare diverse questioni.
E così, quali ripercussioni ha il trasferimento della titolarità del diritto controverso in ordine:
1) alle parti del processo sotto diversi profili:
a) se il successore debba intervenire o possa intervenire nel processo;
b) in caso sia necessario o sia consentito intervenire, se il dante causa debba essere estromesso dal giudizio ovvero possa essere estromesso e, in tale ultima ipotesi, se sia necessario il consenso delle altre parti;
c) se il dante causa deve restare in giudizio, pur se interviene il successore, e quali siano i rispettivi ruoli e poteri nel processo e, per il successore, se vesta i panni dell’interventore adesivo oppure abbia una maggiore libertà nel processo;
d) se il successore possa essere chiamato in giudizio;
2) alla sentenza che conclude il giudizio per diversi aspetti tra cui:
a) se sia efficace ed eseguibile nei confronti del successore, anche se non è divenuto parte nel giudizio;
b) se sia impugnabile dal successore, pure se non sia stato parte nel giudizio.
La successione a titolo particolare nel processo rileva in quasi tutti i processi, anche per il processo penale ove, se la responsabilità dell’imputato è personale, la questione si pone per la parte civile che, agendo per le restituzioni e per il risarcimento del danno, può andare incontro a trasferimenti e modifiche della titolarità dei diritti fatti valere nel giudizio penale.
Per il processo civile, vi è una specifica disciplina dettata dall’art. 111 c.p.c. ed è l’ambito processuale nel quale la dottrina ha approfondito e discusso l’istituto e la giurisprudenza ha avuto modo di pronunziarsi molte volte.
Per il processo amministrativo, non vi sono disposizioni che regolino la successione nel diritto controverso, nonostante per esso si pongano, oltre a quelli già indicati, problemi particolari.
Innanzitutto, mancando una previsione espressa nel codice del processo amministrativo, bisogna individuare la normativa applicabile; di poi, la situazione giuridica soggettiva principe è l’interesse legittimo per il quale si discute della sua trasferibilità e se sia ipotizzabile un successore a titolo particolare del ricorrente; inoltre, la parte resistente è normalmente un ente pubblico per il quale la modifica soggettiva è stabilita a livello normativo, anche per l’attribuzione del potere e della competenza; ancora, la sentenza di annullamento di atti generali pone effetti che non sono circoscritti alle parti in causa e si parla di efficacia erga omnes e, comunque, potrebbero rilevare gli effetti c.d. riflessi della sentenza.2. Il contenuto della monografia.
Anzi, uno dei pregi del volume è di trattare problematicamente tutti i profili dell’istituto, fornendo una panoramica esaustiva delle questioni, ma nel contempo, stimola ad ulteriori considerazioni, fornendo gli strumenti necessari.
Si articola in sei capitoli e vi è una nutrita bibliografia.
Nella premessa, l’Autore evidenzia che il mutamento soggettivo di una delle parti è evento che si verifica perché il processo deve necessariamente svolgersi nel tempo, non potendo essere istantaneo, e che l’istituto si colloca nel crinale dei rapporti tra processo e diritto sostanziale, per cui le ricostruzioni sistematiche fanno perno prevalentemente sulla diatriba della rilevanza e della irrilevanza, a seconda che si consideri la successione intervenuta in corso di causa, ma fuori dal processo nei rapporti regolati dal diritto sostanziale, rilevante ovvero irrilevante per il processo pendente.
Gaspari ritiene necessaria per comprendere la vigente normativa una premessa storica che affonda le sue radici nel 1800 e nei Länder tedeschi prima dell’unificazione nel 1871 nel Reich.
Il primo capitolo è dedicato: alle disposizioni del Württenberg del 1868 che aveva dato una disciplina, passata poi nel 1877 nel Civilprozessordnung del Reich; al codice di procedura civile del 1865 che non disciplinava l’istituto, esponendo le soluzioni indicate dalla dottrina italiana e dalla giurisprudenza, e all’art. 111 del codice di procedura civile del 1940 e tutt’ora vigente.
L’art. 111 c.p.c. mostra evidenti i segni dell’influenza della dottrina e legislazione tedesche e l’Autore tiene a sottolineare la ratio delle disposizioni codicistiche, pacificamente individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e cioè la salvaguardia degli interessi della controparte del dante causa e dunque “nell’esigenza di un effettivo rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa della parte che non trasferisce nulla” (pag. 21).
Per comprendere gli sviluppi del lavoro di Francesco Gaspari è necessario richiamare le disposizioni dell’art. 111 c.p.c.
La rubrica dell’articolo reca: “Successione a titolo particolare nel diritto controverso” ed è composto di quattro commi: con il primo si stabilisce che “il processo prosegue tra le parti originarie“; con il secondo che se il trasferimento avviene “a causa di morte il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto“, con il terzo che “in ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può essere estromesso“; con il quarto comma, si disciplinano le conseguenze della sentenza che “spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui“.
Nel Capitolo II, si passa a trattare dell’istituto nel processo amministrativo ricostruendo il percorso svolto dalla giurisprudenza e dalla dottrina amministrativistica sulla base delle previsioni della L. n. 1034 del 1971 per l’interruzione e del Regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato n. 642/1907 sulla successione o il trasferimento di competenze tra enti pubblici, sottolineando che, per buona parte del XX secolo, stante il carattere oggettivo del processo amministrativo, è stata esclusa l’applicazione della tesi della sostituzione processuale, utilizzata nel processo civile.
Con il superamento della concezione oggettiva, la dottrina riteneva applicabile, anche nel processo amministrativo, la “sostituzione processuale“.
L’introduzione del codice del processo amministrativo e, soprattutto, l’art. 39 c.p.a., porta Gaspari a verificare se, attraverso il rinvio esterno al codice del processo civile, sia consentita l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 111 c.p.c. e giunge alla conclusione positiva, condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, perché la disciplina dell’art. 111 c.p.c. è da qualificare come principio generale che, da un lato, consente di colmare una lacuna normativa nel codice di rito amministrativo e, dall’altro lato, riduce il ruolo creativo della giurisprudenza .
Anche quando parte della giurisprudenza amministrativa afferma che l’art. 111 c.p.c. è applicabile perché non incompatibile con la struttura del processo amministrativo, giunge allo stesso risultato.
La diversa possibile impostazione che si collega alla previsione alternativa dell’art. 39 c.p.a. (“in quanto compatibili o espressione di principi generali“), induce l’Autore ad approfondire i rapporti tra il processo amministrativo ed il processo civile, alla luce dell’interpretazione dell’art. 39 del codice del processo amministrativo.
Per Gaspari, l’art. 39 c.p.a. non riduce il c.p.a. ad una mera appendice del c.p.c. e la mancata applicazione dell’art. 111 c.p.c. renderebbe critica la posizione processuale delle controparti e, quindi, realizza i principi del giusto processo e, in particolare, del principio di parità delle parti.
Nel capitolo terzo, si espongono la problematica approfondita dalla dottrina tedesca della Relevanz e Irrilevanz theorie e le origini della distinzione, per poi rilevare che l’alternativa tra le due teorie si traduce, in termini dommatici, nell’individuazione “dell’oggetto del giudizio proseguito ai sensi dell’art. 111 c.p.c.: in particolare se questo sia costituito dal diritto ancora in capo al dante causa (irrilevanza) ovvero trasferito al successore (rilevanza)” (pag. 56).
Vengono, quindi, chiarite le posizioni del dante causa e dell’avente causa, a seconda della rilevanza o meno del trasferimento nel processo, illustrando le ricostruzioni dottrinali che qualificano il dante causa “legittimato straordinario“, con il processo che prosegue nei suoi confronti sino alla sentenza che riguarda l’avente causa per la c.d. efficacia riflessa, e “sostituto processuale” perché continua il giudizio al posto del successore, con gli effetti della sentenza imputati direttamente al successore e non al dante causa.
L’Autore, avendo affermato l’applicazione nel processo amministrativo dell’art. 111 c.p.c., è costretto a fare i conti con la dottrina processualcivilistica e la giurisprudenza del giudice ordinario per cui la tessitura del libro si svolge in un doppio ordito: teorie espresse sul processo civile e quelle sul processo amministrativo. Questa impostazione attraversa tutta l’opera e vi è un continuo rimando dell’istituto alle posizioni dell’una e dell’altra disciplina giuridica, tanto da accostare la successione nel diritto di credito a quella nell’interesse legittimo perché entrambe le situazioni giuridiche soggettive sono soddisfatte con un comportamento altrui, quello del debitore nel rapporto privatistico, quello del titolare del potere nel rapporto con la pubblica amministrazione.
L’Autore, però, non equipara del tutto le due situazioni giuridiche soggettive per essere l’interesse legittimo a soddisfazione non garantita e tratta della possibilità di trasferimento di una tale situazione giuridica soggettiva, illustrando le diverse posizioni dottrinali e richiamando la casistica affrontata dal giudice amministrativo.
La teoria dell’irrilevanza calata nel processo amministrativo dà spazio alla sostituzione processuale dell’avente causa con il dante causa, anche se il successore ha il potere di utilizzare i mezzi di impugnazione avverso la sentenza, in ipotesi non favorevole, che porta la giurisprudenza amministrativa a distinguere due ipotesi per l’appello dell’avente causa: a) legittimazione generale per il 4° comma dell’art. 111 c.p.c. e b) legittimazione speciale o rinforzata, se l’avente causa è intervenuto nel giudizio di I grado.
Per l’Autore, sia la teoria della rilevanza che quella dell’irrilevanza sono astrattamente compatibili e la giurisprudenza amministrativa oscilla tra l’una e l’altra soluzione, con conseguenze giuridiche diverse e significative in ordine alla modifica del thema decidendum, al regime delle eccezioni spendibili nel corso del processo, alla posizione processuale e ai poteri delle parti, all’individuazione dei legittimati all’eventuale successivo giudizio di ottemperanza.
Da qui la necessità di approfondire, nel Capitolo IV, la giurisprudenza amministrativa che afferma la irrilevanza e quella che sposa la tesi della rilevanza.
Per la prima (irrilevanza) non si verifica successione di soggetti, né per il ricorrente, né per il resistente sia nel giudizio di cognizione che nell’ottemperanza per una sorta di perpetuatio legittimationis, ma gli effetti della sentenza si producono anche nei confronti dei successori.
Per la tesi della rilevanza, la giurisprudenza ritiene che il dante causa sia un sostituto dell’avente causa e l’intervento di questo ultimo nel processo non determina l’estromissione del dante causa, se non vi è esplicito concorde consenso di tutte le parti.
Gaspari dà il resoconto anche di decisioni del giudice amministrativo che hanno dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, quando l’avente causa non interviene nel processo e le critica perché si “disapplica” il primo comma dell’art. 111 c.p.c.
Nel Capitolo quinto, il volume considera il significato di “diritto controverso” per il quale si apre un’alternativa di fondo, esplorata dalla dottrina processualcivilistica: la dimensione sostanziale ovvero meramente processuale entro cui collocare il fenomeno successorio nel diritto controverso. La dottrina ha incontrato difficoltà nel considerare il trasferimento di una situazione giuridica soggettiva che è sub judice e, all’esito del processo, può addirittura risultare inesistente. Da qui la tesi di chi ritiene sia una successione nella lite, come un quid di natura processuale, una pretesa “a metà tra l’azione e il diritto soggettivo perfetto” (pag. 96) e di chi, rilevando che il diritto controverso è un oggetto immediato del giudizio, sostiene che l’oggetto del giudizio, in quanto tale, non può essere trasferito.
Questa impostazione, riflessa nel processo amministrativo, apre l’indagine all’oggetto del processo amministrativo che l’Autore individua nel rapporto amministrativo che si instaura tra l’amministrazione titolare del potere ed i governati, titolari dell’interesse legittimo, in senso non restrittivo rendendo la nozione utile per chiarire il significato di diritto controverso nel processo amministrativo.
Il rapporto giuridico amministrativo è molto più complesso, articolato e denso di contenuti di quello interprivato.
La successione nel diritto controverso va collocata su un piano sostanziale e non processuale che è conseguenza del trasferimento intervenuto fuori dal processo, come rilevato anche dalla giurisprudenza.
Ritorna, quindi, la questione della irrilevanza o rilevanza del trasferimento per la modifica nella struttura del processo amministrativo.
Per la tesi dell’irrilevanza, l’avente causa non è una parte formale del processo, ma gli viene riconosciuta una posizione giuridica qualificata; per quella dell’irrilevanza, l’avente causa diviene parte sostanziale, attraverso lo schermo della sostituzione processuale.
Siccome il successore può intervenire o essere chiamato nel processo e l’estromissione del dante causa è possibile solo con il consenso delle altre parti, l’intervento incide sulla struttura del processo che viene ampliata, indipendentemente dalla rilevanza o irrilevanza.
Questo intervento viene configurato dalla dottrina come “di parte”, distinguendolo da quello del terzo di cui all’art. 105 c.p.c..
I poteri del dante causa, non estromesso, sono limitati, non potendo porre in essere atti di disposizione del “diritto controverso“, come la rinunzia, la transazione, la rinunzia all’impugnazione, il deferimento del giuramento, la confessione; parte della dottrina processualcivilistica ritiene che il dante causa possa rinunziare agli atti del giudizio, ma non disporre del giuramento e della confessione.
Per la giurisprudenza amministrativa, l’avente causa, divenuto titolare della situazione giuridica soggettiva in contestazione, è un aspirante a succedere alla parte anche nel processo, ma non è né antagonista rispetto al suo dante causa, né adiuvante.
L’Autore, esaminando l’istituto della successione nel processo alla luce del principio del contraddittorio, rileva che tutti i soggetti nei confronti dei quali l’emananda sentenza è destinata a produrre effetti dovrebbero essere legittimi contraddittori, per cui l’art. 111 c.p.c. è una eccezione alla regola del litisconsorzio necessario. La giurisprudenza ha individuato la ratio della disciplina dettata dall’art. 111 c.p.c. nella conservazione dell’originaria configurazione del rapporto processuale, neutralizzandolo rispetto alle vicende traslative del “diritto controverso”.
In mancanza delle disposizioni di cui all’art. 111 c.p.c., si dovrebbero applicare le norme sull’integrazione del contraddittorio.
Il Capitolo sesto approfondisce l’istituto in relazione alla sentenza, prendendo in considerazione l’efficacia soggettiva, la sua estensione e gli effetti c.d. riflessi.
L’Autore ricorda le riflessioni di Rudolf Von Jhering sugli effetti riflessi definiti come le ripercussioni che un fatto giuridico estende su terzi al di là della sua propria sfera di efficacia e richiama la dottrina italiana che ha legato questi effetti alla cosa giudicata, anziché identificare un autonomo effetto della sentenza, per poi passare al versante processuale amministrativo quando parte della dottrina risalente affermava che il giudicato estendesse la sua efficacia, oltre che inter partes, erga omnes per la ritenuta natura oggettiva della giurisdizione amministrativa.
Superata la concezione oggettiva, l’efficacia ultra partes della sentenza amministrativa è confinata ai casi di indivisibilità della efficacia dell’atto annullato, per cui il giudicato è limitato alle parti e lo si ritiene non estensibile, salvo l’effetto riflesso della decisione.
Quindi, l’Autore espone la giurisprudenza civile e quella amministrativa sull’efficacia riflessa ed efficacia diretta del giudicato e critica la tesi della efficacia riflessa della sentenza perché in insanabile contrasto non solo con l’art. 2909 del c.c., ma anche con i principi del diritto di difesa del terzo e del contraddittorio di cui agli articoli 24 e 111 della Costituzione.
Non può parlarsi di efficacia “riflessa” per l’avente causa, come estensione dell’accertamento contenuto nella sentenza al di là del rapporto disciplinato dalla decisione, in virtù del nesso di pregiudizialità-dipendenza tra rapporti giuridici.
Per Gaspari, il vincolo previsto dal comma 4 dell’art. 111 c.p.c. è un’estensione degli effetti della sentenza nei confronti del terzo avente causa, prescinde dalla rilevanza o irrilevanza della successione nel processo e non viola le garanzie costituzionali perché si assicura allo “avente causa lite pendente la piena tutela del diritto di difesa” e una serie di presidi “tra cui, in primis, la facoltà di prendere parte al giudizio, e con pieni poteri processuali, per lo meno in fase di gravame” (pag. 137).
Nelle conclusioni, riepilogate le vicende storiche che hanno fornito la base per le disposizioni dell’art. 111 c.p.c. e le disposizioni previgenti sul processo amministrativo lacunose sull’istituto, si ribadisce che anche il c.p.a. non detta alcuna disciplina, per cui il riferimento, per il rinvio esterno previsto nell’art. 39 c.p.a., è l’art. 111 c.p.c. applicabile nel processo amministrativo.
Quindi, riassunti i punti salienti dell’istituto nel processo amministrativo, con particolare riferimento all’interesse legittimo, situazione giuridica soggettiva a soddisfazione non garantita e al rilievo che la successione nel processo “implica un fenomeno ben più ampio e articolato che non il mero trasferimento di una posizione giuridica sostanziale, riguardando& il rapporto giuridico amministrativo e procedimentale” (pag. 141), l’Autore sottolinea che il “diritto controverso riguarda tanto la posizione legittimante quanto lo interesse legittimo fatto valere in giudizio” (pag. 141) e include l’art. 111 c.p.c. tra le eccezioni alla regola del contraddittorio necessario.
Secondo l’Autore, l’istituto della successione a titolo particolare nel processo amministrativo soddisfa la ratio fondante della disciplina: “la necessità di assicurare alla parte estranea al fenomeno successorio una tutela giurisdizionale effettiva (art. 1 c.p.a.)” (pag. 141).3. Riflessioni.Francesco Gaspari si è cimentato in un campo pressoché inesplorato del processo amministrativo, lastricandolo di solide basi dottrinali, con riferimenti continui al dato giurisprudenziale ed esponendo la complessità delle questioni con una prosa chiara e scorrevole.
Come ogni buon pioniere, ha aperto la strada a futuri sviluppi con un libro stimolante che offre, nella completezza della trattazione e dei dati dottrinali e giurisprudenziali, tutti gli elementi per ulteriori ricerche sulla successione a titolo particolare nel diritto controverso nel processo amministrativo.
Segnalo, in proposito, alcuni spunti di riflessione.A) Come è chiaro – e Gaspari lo ha evidenziato – l’istituto riguarda le modifiche soggettive delle parti processuali per effetto di trasferimento delle situazioni giuridiche soggettive verificatesi nel diritto sostanziale, fuori del processo.
Se i mutamenti attengono alle parti, la dottrina che ha discusso sul “diritto controverso”, preoccupandosi di verificare se quest’ultimo sia sempre lo stesso o diventi un altro “diritto controverso”, ha posto una questione solo apparente, ma sostanzialmente inesistente, quanto meno per il processo amministrativo.
Come rileva Gaspari, l’alternativa tra Relevanz e Irrelevanztheorie, “si traduce, in termini dogmatici, nella questione relativa all’individuazione dell’oggetto del giudizio proseguito ai sensi dell’art. 111 c.p.c.: in particolare se questo sia costituito dal diritto ancora in capo al dante causa (irrilevanza) ovvero trasferito al successore (rilevanza)” (pag. 56), riportando la dottrina processualcivilistica.
Credo, però, che la dottrina ha mal posto la questione perché il diritto controverso è sempre lo stesso, quello che cambia è il soggetto titolare del “diritto controverso” e, allora, la rilevanza o irrilevanza va considerata non in base al diritto in contesa, ma se il cambio di titolarità imponga o meno che il successore sia parte necessaria del giudizio, se debba o possa sostituire il dante causa e tutte le altre questioni che attengono alle partinel processo.
L’oggetto della lite non può, per logica e per diritto, mutare al passaggio di titolarità delle situazioni giuridiche soggettive in contesa. Se cambiasse l’oggetto della lite, saremmo di fronte ad un’altra causa perché la successione è connotata dal soggetto, non dal diritto, dalla titolarità del diritto controverso, non da quest’ultimo che è sempre lo stesso.
Si pensi ad un giudizio innanzi al giudice amministrativo promosso dal richiedente un permesso di costruire, negato dal Comune. Se il ricorrente trasferisce ad un altro soggetto l’area su cui intende realizzare il manufatto si ha mutamento nella titolarità del diritto di proprietà e dell’interessato ad ottenere l’annullamento del diniego del permesso di costruire. A prescindere dall’intervento nel processo dell’avente causa o dell’estromissione del dante causa, il processo amministrativo riguarda pur sempre il diniego del permesso di costruire e dell’esame dei motivi addotti avverso di esso: nessuna influenza sul giudizio ha il cambio soggettivo dell’interessato al ricorso.
Stesso discorso vale se, continuando nell’esempio, muta il soggetto resistente perché il Comune è soppresso per incorporazione, il giudice amministrativo dovrà sempre valutare la legittimità del diniego alla luce dei motivi addotti dal ricorrente e che consentiranno l’esame del rapporto amministrativo tra l’amministrazione e il richiedente il permesso di costruire.
Se, ribaltando l’esempio in modo da considerare il controinteressato, vi è un ricorso contro un permesso di costruire, il beneficiario di tale permesso può cambiare per un atto negoziale intervenuto fuori dal processo che trasferisca la proprietà del bene su cui realizzare l’opera. Quale che siano le decisioni dell’avente causa circa l’intervento nel processo o l’eventuale estromissione del dante causa, il giudice amministrativo dovrà valutare la legittimità del permesso di costruire in relazione ai motivi adotti che possono riguardare ogni aspetto del rapporto amministrativo, senza che possa avere influenza il cambio di titolarità della situazione giuridica soggettiva valutata dal controinteressato.
Mi pare di poter affermare che la rilevanza o irrilevanza del mutamento del titolare della situazione giuridica soggettiva controversa in relazione all’oggetto del giudizio sia una questione solo apparente.
B) Altro profilo interessante, mi sembra il rapporto dell’art. 111 c.p.c. con il contraddittorio, trattato dalla dottrina procesualcivilistica come un’eccezione al rispetto del principio del contraddittorio.
Il ragionamento che si fa è il seguente: l’art. 111 c.p.c. consente l’intervento dell’avente causa, ma non impone l’integrazione del contraddittorio, per cui è derogatorio rispetto alle previsioni generali che, anche per il processo amministrativo, stabiliscono che il processo deve svolgersi nei confronti dei soggetti interessati e, si può aggiungere, effettivamente interessati (cfr. artt. 27, 28, 35, 49, 51 e 60 c.p.a.).
Vi sarebbe, dunque, la violazione del contraddittorio.
Si può dare, però, un’altra lettura del terzo comma dell’art. 111 c.p.c. per il quale “in ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo“.
Si tratta di un contraddittorio che viene assicurato e rimesso alla volontà del soggetto che ha diritto a contraddire e che, se non interviene, decide di non partecipare al giudizio.
Se si riflette, anche nel caso si disponga jussu judicis l’integrazione del contraddittorio o su iniziativa di una delle parti, previa autorizzazione del giudice o in altro modo, il soggetto pretermesso può non costituirsi e rimanere estraneo al processo. È rimesso pur sempre alla volontà di chi è chiamato in causa per integrare il contraddittorio, la partecipazione attiva al processo; se non lo fa è sua la scelta di non contraddire.
L’integrazione del contraddittorio si rende necessaria per portare a conoscenza dei terzi, che vi è una controversia nella quale sono in discussione anche suoi diritti o interessi, per cui può esercitare il diritto di difesa, costituendosi.
Nel trasferimento a titolo particolare, l’avente causa è a conoscenza che vi è un “diritto controverso”, per cui non vi è necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio, potendo costituirsi nel processo, intervenendo. Che poi lo faccia o non lo faccia è profilo irrilevante perché anche il soggetto nei cui confronti è integrato il contraddittorio può decidere o meno di costituirsi.
L’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’avente causa è un passaggio non necessario, è superfluo perché l’avente causa è a conoscenza della res litigiosa e può intervenire in giudizio.
Quindi, non vi è una sostanziale eccezione al principio del contraddittorio.
C) Altra riflessione: il quarto comma dell’art. 111 c.p.c. è una previsione effettivamente innovativa nel disporre l’estensione degli effetti del giudicato oppure è applicazione del principio generale di cui all’art. 2909 c.c.?
Il quarto comma dell’art. 111 c.p.c. stabilisce che la sentenza “spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare“. Forse che l’art. 2909 c.c. non prevede che la sentenza passata in giudicato “fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa“?
Mi sembra che le diatribe dottrinali sugli effetti riflessi o diretti della sentenza indotti dall’art. 111, comma quattro, c.p.c. non siano particolarmente pertinenti. È un problema che non è introdotto dall’art. 111 c.p.c.
L’estensione della sentenza agli aventi causa è un effetto previsto in via generale dalla normativa dettata dal codice civile.
D) Infine, ma lo pongo solo come interrogativo al quale non si può dare una compiuta risposta in questa sede: nel codice del processo amministrativo non vi sono disposizioni ad hoc sull’istituto in questione, per cui si ricorre all’art. 111 c.p.c. per il rinvio esterno previsto dall’art. 39 c.p.a.
È da chiedersi se la vera o presunta lacuna non possa essere colmata diversamente, applicando le disposizioni e/o i principi desumibili dal codice del processo amministrativo.
Gaspari ha, in un apposito paragrafo, il n. 2 del capitolo secondo, affrontato il tema richiamando la dottrina che ha fatto riferimento all’interruzione del processo e conseguente eventuale riassunzione nei confronti dell’avente causa o della dichiarazione giudiziale di difetto di legittimazione del dante causa e dell’instaurazione di un nuovo processo.
Si è sostenuto anche che il cambio di titolarità della s.g.s. si ripercuoterebbe sul merito, con il rigetto della domanda per difetto della effettiva titolarità della situazione sostanziale dedotta in giudizio.
Invero, le soluzioni all’interno del processo amministrativo andrebbero cercate distinguendo tra le diverse parti. Infatti, se il mutamento della titolarità della situazione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente, può portare alla improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, in mancanza di intervento nel processo dell’avente causa, la medesima soluzione non può essere praticata per il cambio di titolarità delle situazioni giuridiche soggettive del resistente e del controinteressato per le quali andrebbero percorse altre strade.
Il discorso diventerebbe troppo lungo ed è opportuno fermarsi.
In conclusione, voglio congratularmi con Francesco Gaspari per aver affrontato un tema poco arato nel processo amministrativo, esponendolo con chiarezza e completezza, attraverso indagini e riflessioni svolte sul processo civile e sul processo amministrativo, alla ricerca degli adattamenti necessari per far transitare l’art. 111 c.p.c. nel processo amministrativo allo scopo di “assicurare alla parte estranea al fenomeno successorio una tutela giurisdizionale effettiva” (pag. 141), senza le lungaggini conseguenti alla interruzione e ripresa del processo, per inseguire il soggetto che subentra nella titolarità di una delle situazioni giuridiche soggettive che si confrontano nel processo.