Consiglio di Stato, Sez. VI ordinanza
istruttoria 5 agosto 2003 n. 4460
Pres. Giovannini – Rel. Garofoli
Antonimi ed altri (avv. Piero G. Relleva),
c. Ministero dei beni culturali e ambientali, (avv. Stato Fiorilli), Comune
di Oria (n.c.);
1 - Edilizia ed urbanistica
- sospensione lavori – per procedimento di dichiarazione di interesse
culturale – successivo annullamento - risarcimento danni – onere
probatorio – prova piena e completa – necessita’ – esclusione
- consulenza tecnica di ufficio – possibilita’.
2 – Giustizia amministrativa – risarcimento danni – quantificazione
del danno – onere probatorio – ampiezza – poteri del giudice
- consulenza tecnica di ufficio – possibilita’.
1 - Qualora l’interessato ottenga l’annullamento di un provvedimento impeditivo della prosecuzione dell’attivita’ edilizia (nella specie, per dichiarazione di particolare interesse da parte del Ministero dei beni culturali), la stima dei danni subiti puo’ essere demandata ad un consulente tecnico il quale valuti l’aumento dei costi di costruzione nel periodo durante il quale l’attivita’ edilizia e’ stata impedita e determini il danno derivante dalla mancata disponilbilita’, per il predetto tempo, delle unita’ abitative realizzate.
2 - L’art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998, che ha introdotto in capo al giudice il potere ordinario di fissare i criteri di liquidazione del danno da determinarsi tra le parti in ambito stragiudiziale, introduce un nuovo strumento a disposizione del giudice amministrativo e finisce inevitabilmente per incidere sulla dimensione dell’onere probatorio gravante su chi richiede il ristoro del danno. Senza aderire all’assunto secondo cui l’onere della prova è circoscritto alla sussistenza del pregiudizio subito, non estendendosi alla sua entità, può ritenersi assolto l’onere probatorio allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l’apporto tecnico di un consulente.
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La prova dei danni subiti in edilizia (aspettando
il Convegno di Varenna del settembre 2003).
La VI Sezione esprime un importantissimo principio in una ordinanza istruttoria,
cioe’ in una sede non strettamente decisoria. Approfittando di un caso
lineare, in cui l’amministrazione aveva illegittimamente imposto un vincolo
in base ad una raffigurazione della realta’ “se non distorta, quanto
meno trasfigurata” (cosi’ testualmente si legge nella decisione
in rassegna), il Consiglio amplia il meccanismo di determinazione del quantum
del risarcimento danni. Poco prima la stessa Sezione (e lo stesso Relatore,
nella decisione 15
aprile 2003 n. 1945
aveva espresso un orientamento piu’ rigido, in materia di danni ad attivita’
economica (sfruttamento cava). In quel caso si era richiesto che il privato,
il quale volesse ottenere una determinazione del danno in misura almeno forfetaria
(mediante l’applicazione dell’art. 345 della legge n. 2248 del 1865,
all. F e dell’art. 122 del D.P.R. n. 544 del 21.12.1999: determinazione
forfetaria del profitto normalmente conseguibile), dovesse fornire un principio
di prova in ordine a tale perdita di possibilità alternative. Oggi invece,
in caso di impedimento all’attivita’ edilizia, si utilizza un diverso
ragionamento, fortemente vantaggioso per il privato. Prendendo atto della natura
della parte litigante (un semplice privato, non imprenditore) e dell’ingiusta
sospensione lavori (adottata sulla base di una realta’ se non distorta,
quanto meno “trasfigurata”), si semplifica il meccanismo risarcitorio.
In particolare, si scavalca quel meccanismo di riparazione “per equivalente
consensuale” posto dall’art. 35 comma 2 della legge 1034/1971 (
introdotto dall’art. 7 della legge 205/2000), soprattutto per imprenditori
o per situazioni riparabili in modo diverso dal risarcimento danni. Il privato
che ha subito una sospensione lavori dal 1995 al 2001 (come nel caso esaminato
dalla VI Sezione), non ha interesse a forme di reintegrazione specifica diverse
dal risarcimento danni: per anni non ha potuto edificare e non ha interesse
ad ottenre un’altra area edificabile oppure un premio di volumetria. In
questo caso, il privato formula una richiesta “pura” di risarcimento
danni: quella, per intendersi, che i pubblici funzionari temono maggiormente
per le conseguenze sulla propria responsabilita’.
Fino ad oggi il meccanismo probatorio, come nota la decisone 4406/2003 in rassegna,
opprimeva la parte. Da oggi in poi non sara’ piu’ cosi’: il
privato danneggiato da un provvedimento dell’amministrazione che “trasfiguri”
la realta’ dei fatti potra’ ottenere ottenere il risarcimento danni
senza dimostrare in modo dettagliato l’avvenuto decremento economico.
Ad esempio, non sara’ piu’ necessario che il privato dimostri che
l’impresa incaricata di eseguire i lavori ha rincarato i prezzi, ne’
che sono andate perdute interessanti offerte di acquisto delle unita’
immobiliari la cui consegna era prevista anni addietro. Sara’ infatti
il Giudice a percepire (mediante un consulente tecnico) sulla base di parametri
aventi base normativa (quali appunto il lievitare del costo di realizzazione
delle opere edili o la dinamica dei prezzi medi di compravenda delle case) qual’e’
il danno subito dal privato. In precedenza, vi erano stati articolati casi di
consulenza tecnica in materia urbanistica (Consiglio
di Stato, IV sezione, 26.6.2000 n. 3600, su cui vedi Trizzino, R. , La consulenza
tecnica;
ad esempio per verificare la logicita’ di una scelta di destinazione a
verde pubblico invece che a completamento residenziale: ma con la ordinanza
istruttoria 4460/2003 della VI Sezione si aprono nuovi ampi scenari al risarcimento
nei confronti dei cittadini. Questi ultimi infatti, non potendo vantare una
situazione imprenditoriale e la presunzione di remunerativita’ delle loro
iniziative, erano danneggiati proprio nel momento finale della lite, quando
cioe’, dopo aver ottenuto che il giudice riconoscesse l’assoluta
illegittimita’ di un comportamento, occorreva quantificare il danno subito.
Non e’ un caso che nell’ipotesi esaminata dal Consiglio di Stato
vi siano state piu’ consulenze: la prima diannzi al TAR, come si ricava
dal testo della ordinanza 4460/2003, aveva accertato la “trasfigurazione”
della realta’ operata dall’amministrazione con i provvedimenti impugnati
(ed annullati); la seconda, oggi, con la quantificazione del risarcimento danni
in modo semplificato quanto all’onere probatorio. Cio’ significa
che i mezzi processuali di tutela progrediscono di pari passo con l’ampliarsi
della tutela sostanziale. Questo sara’ uno degli argomenti su cui si dibattera’
nel prossimo Convegno di Studi amministrativi organizzato in Varenna (Lecco)
dal 18 al 21 settembre, ed in quella sede emergera’ il concreto apporto
della legge 205 e della sentenza 500/1999 alla giustizia degli amministrati.(Poli53)
FATTO
Con il ricorso proposto in primo grado gli
appellanti hanno impugnato l’ordinanza sindacale di sospensione dei lavori
assentiti con concessione edilizia n. 140 del 22.12.1995, nonché il presupposto
decreto del Ministero dei beni culturali e ambientali del 6.10.1996, con il
quale i beni di proprietà degli stessi appellanti sono stati dichiarati
di notevole interesse pubblico. Hanno, inoltre, formulato con motivi aggiunti
domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti per la sospensione dei
lavori, oltre che per il prospettato aumento dei costi di realizzazione dell’opera
imputabile al differimento temporale dei lavori di costruzione.
Con la sentenza gravata, il Giudice di primo grado, riconosciuta l’illegittimità
del provvedimento impositivo del vincolo, assunto sulla base di una raffigurazione
della realtà considerata (all’esito della disposta consulenza tecnica)
“se non distorta, quantomeno trasfigurata”, ha invece respinto la
domanda risarcitoria reputata sfornita nel necessario supporto probatorio.
Nel dettaglio, quanto al danno emergente, dai ricorrenti identificato nei maggiori
costi di costruzione, presumibilmente lievitati rispetto alla data di sospensione
dei lavori, il primo Giudice ha escluso la possibilità di procedere ad
una loro quantificazione per il tramite di consulente tecnico, in assenza di
un’iniziativa probatoria dei ricorrenti.
Quanto, invece, al lucro cessante il Giudice di prime cure ha rimarcato la mancata
dimostrazione dell’esistenza di precise proposte di acquisto o locazione
o comunque la mancata allegazione di attendibili indagini di mercato circa il
fabbisogno abitativo del territorio: elementi, quelli indicati, ritenuti necessari
per provare la concreta verificazione di un danno quale conseguenza della mancata
disponibilità dell’immobile da rivendere o locare.
Avverso la sentenza ricorre l’appellante sostenendo di aver provato, ancorché
con modalità valutabili dal Giudice, tanto il danno emergente costituito
dalla differenza in aumento del costo di realizzazione delle opere originariamente
assentite, quanto il lucro cessante consistente nella mancata disponibilità
degli immobili destinati alla vendita e, pertanto, nella mancata realizzazione
del beneficio economico.
All’udienza del 1 aprile la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Impregiudicata ogni altra questione, ritiene
il Collegio di dover procedere alla nomina di consulente tecnico cui affidare
l’incarico di stimare i danni subiti dagli appellanti a seguito dei provvedimenti
annullati in primo grado.
Giova, al riguardo, osservare che a tale determinazione il Collegio ritiene
di pervenire senza mettere in discussione la operatività nel giudizio
risarcitorio del principio dispositivo, valido anche allorché si tratti
di procedere alla quantificazione del danno ristorabile.
In coerenza con l’orientamento maggioritario già manifestatosi
in giurisprudenza, va posta infatti a carico dell’interessato la prova
del danno subito, posto che di regola gli elementi probatori del pregiudizio
sofferto sono nella esclusiva disponibilità del ricorrente: nel giudizio
risarcitorio, pertanto, non può valere il criterio del principio di prova,
essendo necessaria invece una prova piena e completa.
Ciò posto, è tuttavia necessario interrogarsi in merito all’ampiezza
del rimarcato onere probatorio.
Non si condivide, al riguardo, l’indirizzo secondo cui la domanda risarcitoria
può essere accolta solo se sorretta da una congrua dimostrazione del
danno conseguente agli effetti propri dell’atto annullato e da una sua
puntuale quantificazione.
Tale soluzione, oltre a caricare eccessivamente di contenuto l’onus probandi
sussistente in capo al ricorrente, pare difficilmente coniugabile con la previsione
di cui all’art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998, che ha introdotto
in capo al giudice il potere ordinario di fissare i criteri di liquidazione
del danno da determinarsi tra le parti in ambito stragiudiziale.
Si tratta di disposizione che, oltre ad introdurre un nuovo strumento a disposizione
del giudice amministrativo, finisce inevitabilmente per incidere sulla dimensione
dell’onere probatorio gravante su chi richiede il ristoro del danno, trattandosi
di un istituto al quale il giudice può ricorrere al fine di addivenire
alla determinazione della somma che l’amministrazione è tenuta
a pagare.
Senza con ciò aderire all’assunto secondo cui l’onere della
prova è circoscritto alla sussistenza del pregiudizio subito, non estendendosi
alla sua entità, si intende sostenere che può ritenersi assolto
l’onere probatorio allorché il ricorrente indichi, a fronte di
un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello
stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso
l’apporto tecnico del consulente.
E’ quanto, ad avviso del Collegio, si è registrato nella presente
vicenda processuale.
Posto, infatti, che l’illegittima sospensione e il conseguente differimento
dei lavori ha determinato un danno agli appellanti, in termini di aumento dei
costi di costruzione e di ritardata disponibilità delle unità
abitative da collocare sul mercato, gli appellanti hanno offerto taluni criteri
di quantificazione delle indicate voci di pregiudizio.
Nel dettaglio hanno evidenziato, quanto ai costi di costruzione, che si tratta
di dati quantificabili sulla scorta di parametri aventi base normativa, così
come hanno offerto un criterio presuntivo di ragguaglio dell’utile di
impresa non conseguito.
A fronte di tali elementi il Collegio ritiene, dunque, di nominare un consulente
tecnico attesa l’implicazione, in punto di liquidazione, di questioni
tecniche non risolvibili dall’autorità giudiziaria.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sez. VI) così provvede:
- dispone ai sensi dell’art. 44 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, come
integrato dall’art. 16 della legge 21 luglio 2000 n. 215, consulenza tecnica
d’ufficio allo scopo di quantificare:
1. l’aumento nei costi di costruzione intervenuto nel periodo compreso
tra la data di adozione del provvedimento di sospensione e quella di pubblicazione
della sentenza di primo grado;
2. il danno derivante dalla mancata disponibilità, per il lasso di tempo
suindicato, delle unità abitative realizzate, tenendo conto del fabbisogno
abitativo nel mercato territoriale di riferimento, oltre che dei prezzi medi
di compravendita delle stesse;
- nomina, a tal fine, consulente tecnico d’ufficio il Preside della Facoltà
di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma
o Professore dallo stesso indicato, che provvederà agli accertamenti
sopra descritti;
- assegna all’uopo al consulente tecnico d’ufficio un termine di
giorni 60 (sessanta), decorrenti dalla data del giuramento, per l’effettuazione
delle operazioni di consulenza e per il deposito, presso la segreteria della
Sezione, di una apposita relazione sulle operazioni poste in essere e sulle
risultanze delle medesime;
- fissa per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio, da effettuarsi
nell’aula di udienza della VI Sezione del Consiglio di Stato, in Roma,
Piazza Capo di Ferro n. 13, la data del 20 ottobre 2003 alle ore 15:00;
- delega il Cons. Roberto Garofoli a raccogliere, alla presenza delle parti,
e con l’assistenza del Segretario, il giuramento del consulente tecnico
d’ufficio;
- fissa in Euro 1.200 l’anticipo per le spese di consulenza, da corrispondere
immediatamente al Consulente tecnico d’ufficio ai fini delle relative
operazioni, che pone provvisoriamente, avuto riguardo alla natura della controversia,
a carico del Ministero dell’Amministrazione costituita;
- autorizza le parti a nominare propri consulenti tecnici, mediante deposito
del relativo atto nella Segreteria della Sezione, fino alla data di inizio delle
operazioni di consulenza;
- assegna alle parti il termine di giorni venti dalla scadenza del termine per
il deposito della relazione di consulenza d’ufficio per depositare osservazioni
scritte alla predetta relazione;
- delega altresì il Cons. Roberto Garofoli ad adottare tutti gli atti
necessari ai fini della conclusione dell’istruttoria, ivi compresi quelli
eventualmente concernenti, ove strettamente necessari, la concessione di proroghe
al consulente tecnico d’ufficio;
- fissa per il proseguo l’udienza del 24.2.2004;
dispone che copia della presente ordinanza sia comunicata, a cura della Segreteria,
oltre che alle parti, al consulente tecnico d’ufficio;
Ordina che il presente provvedimento giurisdizionale sia eseguito dall’Autorità
Amministrativa