CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE VI – Sentenza
22 agosto 2003 n. 4765
Pres. Giovannini, Est. Salemi – Vagnola S.p.a. (avv.ti G.
Lavitola, M.E. Cavalli e L. Ghia) c. Ministero per i beni e le attività culturali
(Avv. Stato) e Comune di Roma (Avv. Com.). (conferma con diversa motivazione,
T.A.R. del Lazio, Sez. II, 4 gennaio 2000 n.6).
1. Ambiente – Vincolo paesaggistico – Nulla osta in relazione a domanda di concessione edilizia in sanatoria – Necessità in caso di vincolo sopravvenuto – Sussiste.
2. Ambiente – Vincolo paesaggistico – Nulla osta in relazione a domanda di concessione edilizia in sanatoria – Diniego della Soprintendenza in presenza di parere favorevole della Regione – Per motivi di ordine archeologico – Legittimità.
1. L’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo stesso, in quanto tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente. (1)
2. Il modello prescelto dal legislatore nazionale con la legge n. 431 del 1985, caratterizzato da un rapporto di concorrenza fra competenze statali e competenze regionali e improntato nel suo svolgimento al principio di leale collaborazione, trova applicazione anche in sede di attuazione della legge sul condono edilizio, essendo evidente che pure in tale ipotesi deve essere valutata la compatibilità della res abusiva con le esigenze di salvaguardia del vincolo. E’ pertanto legittimo il diniego di nulla osta da parte della Soprintendenza, pur a fronte di un parere favorevole della Regione, ove si tratti di un intervento realizzato in una zona notoriamente ricca di reperti archeologici (Parco dell’Appia Antica).
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(1) (2) Cfr. C.d.S., sez. V, 22 dicembre 1994, n. 1574, nonché le altre decisioni richiamate nel testo della decisione. (2) Cfr. C.d.S., Adunanza Plenaria, Sentenza 14 dicembre 2001 n. 9, in Giust.it (…)
V. anche CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE VI – Sentenza 22 agosto 2003 n. 4766 sui limiti di necessaria motivazione dell’annullamento di progetto in contrasto con un vincolo paesaggistico
FATTO
Con ricorso notificato l’11 novembre 1994, la
Madat s.r.l. adiva il Tribnale Amministrativo Regionale del Lazio, chiedendo
l’annullamento del provvedimento, prot. n. 9526, del 25 maggio 1993, con il
quale il Ministero dei Beni Cultura ed Ambientali aveva inteso negare il proprio
nulla-osta ai sensi degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 in relazione
ad una domanda di concessione edilizia in sanatoria e il successivo provvedimento,
prot. n. 7637/IU42, comunicato il 16 settembre 1994, con il quale, previo riesame
della situazione, veniva confermato il contenuto del primo.
La società ricorrente premetteva di avere ottenuto in data 22 settembre 1964
una licenza edilizia per la realizzazione di una villa secondo le disposizioni
urbanistiche allora vigenti ed identificabili nella disciplina detta dal Piano
Territoriale Paesistico dell’Appia Antica che faceva ricadere l’area nella zona
D con indice di edificabilità di 0,25 mc/mq su lotti minimo di mq 5.000.
Nel corso dei lavori l’area di ubicazione della costruzione fu variata e furono,
inoltre, realizzati una piscina con annessi spogliatoi ed altre opere e, in
relazione a ciò, la Madat presentò domanda di condono edilizio in data 10 marzo
1986, quando l’area stessa risultava destinata dal P.R.G. (approvata con D.P.R.
del 16 dicembre 1965) a zona N, verde pubblico. Poiché con D.M. 23 febbraio
1988 l’area in questione era stata sottoposta alle disposizioni della legge
n. 1089 del 1939, essendo compresa nel perimetro del Parco dell’Appia Antica,
durante l’istruttoria della pratica di condono il Comune di Roma invitò verbalmente
l’interessata a presentare domanda di nulla-osta al Ministero dei beni Culturali
ed Ambientali anche sotto il profilo archeologico.
L’Amministrazione negava il nulla-osta con i due summenzionati provvvedimenti.
Ciò posto, la ricorrente deduceva censure di violazione di legge e di eccesso
di potere sotto vari profili.
Con sentenza n. 6 del 4 gennaio 2000, la Sezione II del T.A.R. adito respingeva
il ricorso.
In relazione al terzo motivo di censura, il T.A.R. ne ravvisava l’infondatezza,
facendo proprio l’orientamento, espresso dall’Adunanza plenaria del Consiglio
di Stato nella sentenza n. 20 del 22 luglio 1999, secondo cui il rilascio del
condono edilizio era subordinato al parere dell’Autorità preposta alla tutela
del vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 anche quando la zona
in cui ricadevano le opere fosse stata vincolata successivamente alla loro esecuzione.
Quanto al secondo motivo di censura, lo stesso era disatteso, stante la ritenuta
sufficienza della motivazione contenuta nei provvedimenti impugnati, mentre
in relazione al terzo motivo, lo stesso non era esaminato in considerazione
della sostanziale rinuncia espressa al riguardo dalla difesa della ricorrente.
Con atto notificato il 9 febbraio 2001, la Vagnola S.p.A., divenuta nel frattempo
proprietaria del bene, a seguito dell’acquisizione del 100% del capitale della
società Madat, ha proposto, unitamente a quest’ultima società, per quanto possa
occorrere, appello per l’annullamento della summenzionata sentenza.
Resistono al ricorso le Amministrazioni statali appellate ed il Comune di Roma.
Alla pubblica udienza del 27 maggio 2003, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
D I R I T T O
1. Forma oggetto del ricorso in appello la sentenza n. 6 del 4 gennaio 2000 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, ha respinto il ricorso proposto dalla società Madat S.r.l. per l’annullamento del provvedimento, prot. n. 9526, del 25 maggio 1993 e di quello successivo, prot. n. 783/IU42, comunicato il 16 settembre 1994, con i quali il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, Soprintendenza Archeologica di Roma, ha negato il proprio nulla-osta, ai sensi degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985, in relazione ad una domanda di concessione edilizia in sanatoria.
2. Con il primo motivo di appello, si ripropone
la censura di violazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Ad avviso delle appellanti, non vi sarebbe bisogno del parere dell’autorità
preposta alla tutela del vincolo nel caso di sanatoria di immobile costruito
anteriormente all’imposizione del vincolo e, comunque, nell’ipotesi di intervento
della determinazione vincolistica in un torno di tempo successivo all’entrata
in vigore della legge sul condono.
La censura è infondata.
La questione ha provocato indirizzi interpretativi non uniformi.
Secondo una prima opzione ermeneutica l’acquisizione del parere sarebbe obbligatoria
anche in ipotesi di realizzazione delle opere di cui si chiede la sanatoria
in epoca anteriore all’apposizione del vincolo (C.d.S., Sez. 23 marzo 1991,
n. 326; 22 dicembre 1994, n. 1574; 3 maggio 1995, n. 696; Sez. VI, 9 ottobre
1997, n. 1461).
Ad avviso di un secondo orientamento il parere di cui si tratta non sarebbe
necessario qualora il vincolo intervenga dopo l’esecuzione dell’opera (Sez.
VI, 30 settembre 1995, n. 1030; 5 marzo 1997, n. 356).
Un terzo ordine di idee, espresso in sede consultiva (Cons. Stato, Sez. II,
20 maggio 1998, n. 403/98), attribuisce rilevanza alla data ultima concessa
dalla legge per la presentazione della domanda di sanatoria, di tal che il parere
dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo si renderebbe obbligatorio
ogni volta che quest’ultimo, prescindere dall’ultimazione dell’abuso, sia stato
imposto prima della indicata data.
Il T.A.R. ha seguito la prima delle tesi esposte, in conformità alle indicazioni
fornite nel corso del giudizio dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(22 luglio 1999, n. 20), alla stregua dei principi generali in materia amministrativa,
tenuto conto della valenza attribuita dall’ordinamento agli interessi coinvolti
nell’applicazione della norma di cui si tratta.
A siffatte indicazioni, fatte proprie dal giudice di prime cure, la difesa delle
appellanti ha rivolto una serrata critica che, peraltro, non è meritevole di
condivisione, secondo quanto già esposto da questa Sezione in controversie di
contenuto analogo (cfr., in particolare, le sentenze 21 settembre 1999, n. 1243
e 22 gennaio 2001, n. 181).
Sotto il profilo della lettera della norma non pare, invero, decisivo, a favore
della tesi della irrilevanza dei vincoli sopravvenuti alla realizzazione dell’opera
abusiva, l’uso, nel tessuto dell’art. 22, dell’espressione “aree sottoposte
a vincolo” di cui all’art. 32, sintomatica, secondo i fautori della seconda
delle tre tesi passate in rassegna, del riferimento ad un fatto accaduto, vale
a dire alla già avvenuta sottoposizione a vincolo, con correlativa volontà del
legislatore di significare che solo a partire da questo momento la qualità dell’area
espressa dal vincolo assume rilevanza ai fini della sanatoria delle opere che
su di essa siano state realizzate.
Al riguardo l’Adunanza plenaria ha rilevato che il ricorso ai partecipi passati
“eseguite” e “sottoposte”, nell’espressione “opere eseguite su aree sottoposte
a vincolo” utilizzata dal legislatore nel 1° comma dell’articolo, “non rappresenta
sicuro riferimento alla sola ipotesi di opera abusivamente costruita su area
già gravata da vincolo nel momento della sua realizzazione.
Non è infrequente, nella lingua italiana, l’uso del participio passato con funzione
semplicemente aggettivante; uso che, nella specie, non necessariamente esprime
l’esistenza di una relazione temporale tra le due qualità, rispettivamente,
dell’opera e dell’area. La circostanza, poi, che, quando ha inteso considerare
anche il vincolo sopravvenuto al compimento dell’opera, il legislatore lo ha
fatto esplicitamente, come nell’art. 32, 4° comma, non depone per una lettura
in senso opposto della norma che tale specificazione sia priva. Il silenzio
mantenuto in proposito, invece, ben può essere significativo proprio dell’intento
di non attribuire alcuna rilevanza al momento in cui il vincolo risulti imposto.
Non pare, inoltre, decisiva, a favore della irrilevanza delle sopravvenienze
vincolistiche, neanche la considerazione sistematica basata sul raffronto con
l’art. 33, 1° comma, l. 47/85, che prevede l’insanabilità degli abusi commessi
in spregio di un vincolo di inedificabilità assoluta già vigente al momento
dell’attività edificatoria.
Sul punto, l’Adunanza plenaria ha puntualizzato che “la disposizione non può
essere caricata di un significato che non ha: è difficile, infatti, considerare
del tutto inesistente un vincolo d’inedificabilità totale per il solo fatto
che sia sopravvenuto all’edificazione e ritenere, pertanto, che l’abuso commesso
sia senz’altro sanabile. Un giusto raccordo tra gli articoli in esame comporta
che la fattispecie, siccome non specificamente disciplinata dall’art. 33, ricada
nella previsione di carattere generale contenuta nel 1° comma dell’art. 32.
Viene meno, quindi, l’ipotizzata incongruenza nella disciplina delle due situazioni,
per altro tra loro sostanzialmente diverse, sulla quale l’argomento considerato
si fonda”.
Quanto all’orientamento intermedio secondo cui acquisirebbe valore decisivo
l’entrata in vigore della legge attributiva di un diritto a condono ovvero la
data di presentazione della relativa domanda, si deve subito opporre che la
salvezza delle opere abusive decretata dalla normativa clemenziale, lungi dal
basarsi in via automatica sul referente temporale, può essere ricavata solo
dall’espressa volontà incarnata dal diritto positivo. Non va, infatti, dimenticato
che la specialità della normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura
derogatoria ed eccezionale, ne impone una lettura di stretta interpretazione.
Aggiungasi che lo stesso art. 32, 4° comma, detta una disciplina specifica,
più generosa sotto il profilo della sanabilità, in relazione ai vincoli di cui
al 1à comma (paesaggistico-ambientali, storico-artistici, ecc.) evidentemente
annettendo una cogenza assoluta a questi ultimi anche se intervenuti nelle more
della definizione del procedimento.
Le considerazioni che precedono convincono che, in assenza di deroga da parte
dell’art. 32, debba applicarsi il principio generale secondo cui l’azione amministrativa
deve sincronizzarsi con la normativa vigente al tempo in cui la funzione si
esplica (tempus regit actum).
In definitiva “l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela
del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo in cui deve essere
valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del
vincolo stesso. E appare, altresì, evidente che tale valutazione corrisponde
alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti
realizzati abusivamente (C.d.S., sez. V, 22 dicembre 1994, n. 1574, cit.).
Quanto alla preoccupazione che siffatta soluzione esporrebbe il singolo caso,
in violazione del principio di certezza del diritto e di non disparità di trattamento,
alla variabile alea dei tempi di decisione sull’istanza, l’Adunanza plenaria
ha osservato “per un verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento
ermeneutico e, per altro verso, che, ad ogni modo, l’ordinamento appresta idonei
strumenti di sollecitazione e, del caso, di sostituzione dell’amministrazione
inerte”.
Alla stregua delle considerazioni che precedono deve ritenersi manifestamente
infondata la questione di legittimità dell’art. 32 della l. n. 47/1985 in relazione
agli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Parimenti infondata è l’ulteriore questione di legittimità che è stata proposta
in relazione all’art. 25, comma 2, della Costituzione, non costituendo il ripetuto
art. 32 fattispecie costitutiva di illecito penale.
3. Va, altresì, disatteso il secondo motivo
di appello.
Nel primo provvedimento impugnato, la Soprintendenza aveva affermato che “Dal
punto di vista archeologico non si è in grado allo stato attuale di determinare
gli eventuali danni arrecati al patrimonio antico all’epoca in cui furono realizzati
gli sbancamenti”.
Le appellanti ripropongono la censura secondo cui tale affermazione starebbe
a dimostrare l’assoluta insussistenza di qualsivoglia ragione ostativa al rilascio
della nulla osta e contestano il giudizio del T.A.R. secondo cui l’affermazione
stessa introdurrebbe il dubbio che gli sbancamenti abbiano provocato danni al
patrimonio archeologico.
Il rilievo critico delle appellanti non può essere condiviso, essendo incontestato
che la zona è posta nell’ambito del parco dell’Appia Antica, ossia in una zona
che è notoriamente ricca di reperti archeologici.
4. E', infine, infondato il terzo motivo di
appello con cui si ribadisce che in materia di vincolo paesaggistico la competenza
è stata attribuita alle Regioni e, quindi, sottratta al Ministero dei Beni culturali.
Giova, in proposito, osservare che la Sezione con decisione n. 241 del 1987
ha avuto modo di occuparsi della natura del “parere” previsto dalla L. n. 47/1985
sul condono edilizio (l’art. 32 di detta legge subordina la concessione o l’autorizzazione
in sanatoria, per opere eseguite su aree sottoposto a vincoli “al parere favorevole
delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”), chiarendo che
esso, al di là dell’imprecisata terminologia usata, è un atto vincolante, il
quale esprime il consenso o il dissenso di autorità diverse da quelle operanti
in materia urbanistica, la cui individuazione va operata alla stregua delle
disposizioni che, nelle varie materie, indicano l’organo competente al rilascio
di nulla-osta o autorizzazioni.
In tale occasione si è avuto modo di precisare che – dovendo per le aree soggette
a vincolo paesistico trovare applicazione la disciplina dettata dalla L. 8 agosto
1985 n. 431, la quale, modificando l’art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616,
conferma la delega alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative
statali per la protezione delle bellezze naturali “per quanto attiene alla loro
individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni” l’autorizzazione
ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 rientra nel potere delle Regioni. Si
è, però sottolineato che restano salve le misure di sostituzione in caso di
inerzia e di annullamento in caso di autorizzazione illegittima) la cui adozione
è riservata al Ministro per i beni culturali ed ambientali.
A tale conclusione si è pervenuti nella considerazione che tali misure sono
astrattamente compatibili con la disciplina particolare del “parere” vincolante
inserito nel procedimento di sanatoria degli abusi edilizi, anche se la norma
attribuisce al silenzio protrattosi per più di 180 giorni dalla domanda il significato
di parere negativo. Ciò in quanto l’intervento del Ministro in via sostitutiva
o repressiva, infatti, può avvenire in concreto prima di 189 giorni dalla domanda,
posto che il termine dato alla regione per provvedere è di soli sessanta giorni.
In sostanza, il modello prescelto dal legislatore nazionale con la legge n.
431 del 1985, caratterizzato da un rapporto di concorrenza fra competenze statali
e competenze regionali e improntato nel suo svolgimento al principio di leale
collaborazione, trova applicazione anche in sede di attuazione della legge sul
condono edilizio, essendo evidente che pure in tale ipotesi deve essere valutata
la compatibilità della res abusiva con le esigenze di salvaguardia del vincolo.
Né potrebbe opporsi che, nella fattispecie in esame, la Regione aveva espresso
parere favorevole, non modificato, nei termini assegnatigli, dal Ministero dei
Beni culturali, perché ciò non impedisce che il Ministero stesso, ove invitato
dall’Amministrazione comunale, competente al rilascio della concessione edilizia
in sanatoria, possa esprimere la propria valutazione complessiva sia sull’aspetto
paesaggistico che su quello archeologico.
5. In conclusione, l’appello deve essere respinto,
con conseguente conferma della sentenza impugnata, anche se integrata nella
sua motivazione dalle considerazioni da ultimo svolte.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese
del giudizio