Ho letto con vivo interesse la nota del Prof. Alfonso Celotto (mio caro e stimatissimo amico …nonché coautore di “Viaggio a fumetti nella Costituzione”) poiché anche la Sezione II Bis del TAR Lazio, cui partecipo, ha recentemente affrontato il tema, con la sentenza del 18 maggio 2010 riportata sulla stessa rivista, giungendo a conclusioni non dissimili da quelle della sentenza del Consiglio di Stato commentata, e proprio la stima reciproca ci consiglia di rendere pubblica la nostra divergenza dialettica,
Non dirò, ovviamente, assolutamente nulla sulla sentenza del TAR, né ho nulla da ridire sulla chiara e puntuale ricostruzione normativa del Prof. Celotto. Peraltro, parlando della questione giuridica più generale evocata, osservo che le modalità degli sviluppi istituzionali e normativi in corso nell’Unione Europea potevano, forse, consigliare una conclusione negativa meno tagliente, non essendo possibile escludere di essere di fronte ad un'ulteriore evoluzione dell'ordinamento comunitario e nazionale, analoga a quello che portò ad ammettere, dopo molto travaglio giurisprudenziale, la disapplicazione delle norme nazionali in contrasto con il diritto comunitario sulla base dell'art. 11 Cost.
Infatti, così come ben evidenziato dal Prof. Celotto, la Corte Costituzionale ha, in passato, chiaramente escluso la diretta disapplicabilità delle norme nazionali in contrasto con la CEDU in base ad un ragionamento ineccepibile, in quanto la natura di clausola aperta, del parametro costituito dall'art. 117, 1° comma, Cost. lo rende riferibile a molteplici norme di diritto internazionale pattizio, inclusa finora la CEDU, non identificabili e definibili a priori.
Secondo tale impostazione, la CEDU è quindi vincolante nell'ordinamento interno, anche quanto alla necessità d’interpretazione conformatrice delle norme nazionali, ma la sua violazione deve essere fatta valere secondo il classico schema della illegittimità costituzionale, per violazione della norma interposta (l’articolo della CEDU che sancisce il diritto fondamentale violato), che integra il parametro dell'art. 117, 1° comma.
Tutto ciò può, però, cambiare con il Trattato di Lisbona, che apporta un forte tratto di discontinuità, al di là delle inevitabili somiglianze lessicali con il precedente testo, derivanti anche dalle particolare modalità di implementazione e stratificazione nel tempo che hanno finora caratterizzato il diritto comunitario, e che impediscono anche di attribuire valore decisivo al diverso trattamento riservato alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ha avuto genesi e percorso diversi dalla CEDU.
In particolare, emerge che l'Unione non si limita più a “rispettare”, quale limite negativo esterno, "i diritti fondamentali" (come ignorare il paragone con l'art. 2 Cost. secondo cui la Repubblica “riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo?), che nell’originario Trattato venivano individuati indirettamente mediante un duplice rinvio, "quali sono garantiti dalla Convenzione…” (virgola) “e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri". Tali diritti potevano quindi essere considerati "principi generali del diritto comunitario" solo in via generale e solo mediante il richiamo del Trattato, e non per forza propria della Convenzione o delle tradizioni costituzionali, che integravano meri rinvii materiali).
Infatti, ora l'Unione "aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" (forse ancor prima dell'adesione formale, per accettazione unilaterale) riconoscendo quindi il valore e l'efficacia nei confronti propri e degli Stati membri delle pronunce della Corte di Strasburgo. Parallelamente, l'Unione decide che "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" (cioè proprio quei diritti, normativamente individuati e sanciti) "fanno parte del diritto dell'Unione" cioè ne entrano a far parte quale nuova fonte di posizioni giuridiche tutelate, e ciò può avvenire poiché tali diritti vengono ora riconosciuti "quali principi generali " del diritto dell'Unione, in quanto coincidenti (motiva la norma, secondo l'insegnamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia, facendo “saltare” la virgola che legava in via disgiuntiva le due ipotesi nel precedente testo) con quelli "risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri".
Del resto, il principio di effettività delle norme, che costituisce tratto comune di ogni ordinamento giuridico, impone di attribuire un qualche significato alla nuova disposizione del Trattato, secondo cui i diritti della CEDU adesso “fanno parte del diritto dell'Unione".
Non sembra, quindi, potersi così pacificamente escludere che il Tribunale nazionale, qualora ravvisi la violazione di un diritto che è sancito dalla CEDU (e che costituisce ora principio fondamentale del diritto dell'Unione) e non possa ricorrere all’interpretazione conformativa della norma nazionale, debba sottoporre la questione di legittimità alla Corte costituzionale, e non debba, invece, direttamente procedere alla disapplicazione della norma nazionale, sulla base non del generico rinvio al diritto pattizio ex art. 117 Cost, ma dello specifico riconoscimento del diritto dell'Unione compiuto dall'art. 11 Cost.
Qualora poi la Corte di Strasburgo, cioè il giudice della Convenzione (così la sentenza n. 349/2007 della Corte Costituzionale) cui ora l'unione Europea aderisce, abbia sancito la sussistenza di quel diritto e la sua violazione da parte dello Stato (come accaduto, ad esempio, per la riconosciuta violazione del diritto di proprietà con la c.d. accessione invertita - CEDU, Sez. I, 17 maggio 2005, 15 novembre 2005, 20 aprile 2006), non sembra neppure che l’eventuale disapplicazione debba necessariamente passare per una pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia, strada, questa, invece seguita dalla stessa Sezione II bis del TAR Lazio, ad esempio, per far dichiarare l’incompatibilità con gli artt 43 e 48 CE delle leggi regionali sulle distanze fra distributori di carburante “sfuggite” ad un recente intervento del Governo (Corte di Giustizia, III Sezione, 11 marzo 2010 C-384/08).
Siamo in presenza, insomma, di un vasto ventaglio di importanti novità, in grado di rafforzare la tutela del cittadino, e quindi da guardare senza somme diffidenze.
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