CORTE COSTITUZIONALE - Relazione del Presidente Cesare Ruperto sull'attività della Corte costituzionale nell'anno 2001, Roma, 11 febbraio 2002.
INDICE
1.- Premessa
2.- Osservazioni generali
1. - I GIUDIZI DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE
1.1.- I limiti della competenza e dei poteri della Corte nei
giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale
1.2.- La natura e la funzione dei giudizi dinnanzi alla Corte
1.3.- I presupposti della questione incidentale di legittimità
costituzionale: il "giudizio" e la legittimazione del giudice
1.4.- L’incidentalità del giudizio di legittimità
costituzionale e la rilevanza delle questioni
1.5.- La riproposizione della questione incidentale e il divieto
del bis in idem
1.6.- Le norme oggetto del giudizio
1.7.- Gli atti introduttivi dei giudizi: requisiti formali e
sostanziali
1.8.- La costituzione e l'intervento in giudizio
1.9.- Il rispetto dei termini
2. - MERITO DELLE DECISIONI
2.1. - Il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.)
2.2. - Il principio unitario (art. 5 Cost.)
2.3. - Il principio di adattamento al diritto internazionale
(art. 10 Cost.)
2.4. - I diritti inviolabili e le libertà
2.4.1. - La libertà personale (art. 13 Cost.)
2.4.2. - Il diritto al nome (artt. 2 e 22 Cost.)
2.4.3. - La libertà associativa (art. 18 Cost.)
2.5. - La tutela giurisdizionale e il diritto di difesa (art. 24
Cost.)
2.6. - Il trattamento penale e la responsabilità penale (artt.
25 e 27 Cost.)
2.7. - La tutela della maternità e del minore (artt. 31 e 37
Cost.)
2.8. - La tutela della salute e dell’ambiente (art. 32 Cost.)
2.9. - L’ordinamento universitario - Le funzioni didattiche e
di ricerca (art. 33 Cost.)
2.10.- L'obbligo scolastico ed i diritti dei portatori di
handicap (art. 34 Cost.)
2.11.- La tutela del lavoro (artt. 35 e 37 Cost.) e la
previdenza (art. 38 Cost.)
2.12.- La libertà di organizzazione dell’impresa e il
diritto di proprietà (artt. 41 e 42 Cost.)
2.13.- La capacità contributiva (art. 53 Cost.)
3. - LE FONTI
3.1.- La delega legislativa e i decreti delegati (art. 76 Cost.)
4. - ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
4.1. - Princìpi in tema di elezioni
4.2. - Il Parlamento - L'immunità per i voti e le opinioni
(art. 68 Cost.)
4.3. - I princìpi sul pubblico impiego (art. 97 Cost.)
4.4. - Gli organi ausiliari: la funzione di controllo della
Corte dei Conti (art. 100 Cost.)
4.5. - Il rapporto tra competenze statali e competenze regionali
(o provinciali)
4.6. - I limiti alla potestà legislativa regionale
4.7. - L'ordinamento degli enti locali
4.8. - Il principio collaborativo tra Stato e Regioni
4.9. - La libera circolazione fra le Regioni (art. 120 Cost.)
4.10.- La "irresponsabilità" per le opinioni e i
voti dei consiglieri regionali (art. 122 Cost.)
5. - I PRINCÌPI SULLA GIURISDIZIONE E SUL PROCESSO
5.1.- L'interesse alla speditezza del procedimento giudiziario
5.2.- La terzietà e l'imparzialità della giurisdizione
5.3.- I diritti dell'imputato
1. - Premessa
Come di consueto, la Corte offre ai mezzi di informazione e, attraverso di essi, alla pubblica opinione elementi di valutazione dell’attività giurisprudenziale svolta nell’anno precedente, astenendosi, per quanto possibile da valutazioni sul proprio operato; per quanto possibile data la inevitabilità del giudizio implicito nella selezione. Un anno di giurisprudenza influenzato anche da eventi esterni alla Corte, dai quali questa è stata anzi condizionata nella sua funzionalità e vitalità.
Nell’anno trascorso, l’attività della Corte è stata macroscopicamente segnata, fino a risultarne condizionata, da due diverse circostanze ad essa tuttavia esterne: la prima riguarda la perdurante mancata nomina, da parte del Parlamento, di due giudici costituzionali; la seconda è l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha profondamente modificato il titolo V della parte seconda della Costituzione.
E’ intuitivo che la prima circostanza abbia potuto produrre qualche negativa incidenza sui lavori, almeno sotto il profilo quantitativo della produttività e perfino del regolare funzionamento del collegio, finora tuttavia garantiti dalla responsabilità e anche dal sacrificio dei suoi singoli membri. Ma è evidente che essa produca soprattutto, per se stessa, un’alterazione dell’equilibrio interno della compagine così come configurata dalla Costituzione, tanto più rilevante in quanto relativa alla medesima componente, e per di più a quella di provenienza dall’istituzione tipicamente rappresentativa.
Non posso non osservare, nella responsabilità delle mie funzioni, che il protrarsi di questa situazione sin dal novembre del 2000, andando ben al di là della violazione del principio di "leale collaborazione", stia ormai configurandosi come inadempimento di un preciso obbligo costituzionale, della cui gravità confido che le Camere vorranno, nell’interesse della collettività, utilmente rendersi consapevoli, provvedendo con sollecitudine a sanarlo. L’altro evento significativo - di cui si potranno però valutare i riflessi sull’attività della Corte soltanto nei mesi che verranno - è la recente riforma del titolo V della Costituzione, intervenuta - come noto - con la legge costituzionale n. 3 dell’ottobre 2001. Una "riforma" costituzionale, dunque, che non potrà non impegnare la Corte nei giudizi sulle questioni di legittimità costituzionale che potrebbero essere sollevate in riferimento alle nuove norme del titolo V.
2. - Osservazioni generali
Si forniscono di seguito alcuni dati numerici sull’attività compiuta nel decorso anno, pur nella consapevolezza, che, ben al di là degli indici quantitativi sarebbe interessante verificare anche l’efficacia sostanziale delle pronunce, valutando i riflessi nel tempo sul piano delle attività conseguenti, non soltanto del legislatore - come è chiaro - ma anche dei giudici e delle amministrazioni. Nel corso del 2001 la Corte ha tenuto 41 adunanze, distribuite in 20 udienze pubbliche e in 21 camere di consiglio. Ha emesso, nel complesso, 447 pronunce (126 sentenze e 321 ordinanze), definendo, in totale, 866 giudizi. Comparando i dati assoluti con quelli dell’anno precedente, si può rapidamente osservare, riguardo alle sopravvenienze, un incremento del numero dei giudizi instaurati (1088, vale a dire circa un centinaio in più rispetto all’anno precedente), con la consueta prevalenza dei procedimenti incidentali. E, disaggregando l’insieme, si può registrare un aumento sia dei giudizi incidentali, sia di quelli in via principale e, invece, una netta diminuzione dei giudizi per conflitti. Al 31 dicembre 2001 risultavano pendenti 1015 giudizi, un gran numero dei quali peraltro già assegnato, sin quasi al totale esaurimento di quelli iscritti prima del 2001: ne risultano da assegnare soltanto 146, di cui 106 incidentali, 27 principali e 13 di conflitti fra poteri.
La sopravvenienza annuale dei giudizi promossi in via incidentale è stata trattata, anche attraverso provvedimenti ordinatori, e in buona parte decisa; per i giudizi in via principale e i conflitti intersoggettivi iscritti a ruolo al momento dell’entrata in vigore della menzionata legge costituzionale n. 3 del 2001 è stato disposto il rinvio, allo scopo di chiarire le situazioni intertemporali. Relativamente ai promotori dei giudizi, le pronunce segnalano le seguenti prevalenze: per i giudizi incidentali, quella dei giudici ordinari (circa il 64%); per i giudizi in via principale, quella del Presidente del consiglio dei ministri (il 20%) e del Commissario dello Stato per la regione Siciliana (il 13%), nonché della Regione Lombardia (il 20%) e della Provincia autonoma di Trento (il 16%); per i giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, è prevalente l’iniziativa dell’autorità giudiziaria (circa l’85%); per i giudizi per conflitti intersoggettivi, il Presidente del consiglio dei ministri (il 21%) , la Provincia autonoma di Trento (il 29%) e la Regione Siciliana (il 14%).
Passando alle decisioni, si può rilevare che in termini percentuali esse hanno riguardato: per il 78% i giudizi in via incidentale; per l’8% i giudizi in via principale; ancora per l’8% i giudizi per conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato; per il 6% i giudizi per conflitti intersoggettivi. Relativamente agli esiti delle pronunce, si registrano, in base ai dispositivi, i seguenti, approssimati, dati percentuali:
a) quanto ai giudizi di legittimità, incidentali e principali, il 30% di inammissibilità o manifesta inammissibilità della questione; il 34% di manifesta infondatezza; il 13% di infondatezza; il 12% di restituzione degli atti; il 2% di dichiarazione della cessazione della materia del contendere; appena il 9%, dunque, di illegittimità costituzionale;
b) quanto ai giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri, complessivamente, il 46% di improcedibilità del giudizio; il 30% di inammissibilità; il 24% di accoglimento con annullamento; c) quanto ai giudizi per conflitti intersoggettivi, il 38% di accoglimento dei ricorsi, con relativo annullamento; il 22% di rigetto dei ricorsi; il 15% di provvedimenti interlocutori; l’11% di estinzione del processo; il 7 % di cessazione della materia del contendere; il 7% di inammissibilità.
Nel quadro di un generale incremento della domanda di giustizia costituzionale, non potrà non emergere con immediatezza, riguardo al descritto andamento, il dato relativo al numero straordinariamente preponderante delle decisioni, lato sensu, di rigetto rispetto a quello delle pronunce di accoglimento. A conferma, se occorresse, della pressante domanda di coinvolgimento della Corte in direzioni od occasioni tuttavia improprie. Se si può rilevare, come già per il 2000, una diminuzione delle pronunce di accoglimento, in misura più accentuata nei giudizi proposti in via incidentale rispetto a quelli proposti in via diretta, va poi segnalato che le declaratorie di illegittimità costituzionale hanno colpito per il 70% leggi statali e per il 30% leggi regionali o provinciali, con una netta prevalenza di leggi posteriori a Costituzione (per l’87%) e, più particolarmente, di leggi entrate in vigore negli ultimi anni.
Tra le pronunce di accoglimento, si può osservare che per il 93% esse prevedono una illegittimità parziale (determinando delle "addizioni" o "sostituzioni" normative), per il 5% una illegittimità consequenziale (in base ai poteri previsti dall’art. 27 della legge n. 87 del 1953) e solo per il 2% una illegittimità integrale, in riferimento cioè ad un intero testo legislativo (precisamente, una legge regionale impugnata in via principale).
Va anche segnalata, tra le pronunce di accoglimento, l’espressa dichiarazione di estensione dell’efficacia nei confronti di entrambe le province autonome di Trento e di Bolzano, ancorché una di esse non fosse parte nel giudizio, attesa l’identità della normativa esaminata e la piena equiparazione delle due province in ordine alla disciplina in questione.
Quanto poi alla tipologia delle formule terminative del giudizio va ricordato che i dispositivi di illegittimità costituzionale si caratterizzano, nella maggior parte dei casi, come decisioni di illegittimità in parte qua o di illegittimità parziale (decisioni che - come noto - colpiscono disposizioni di legge nella loro formulazione testuale); oppure nella parte in cui esse prevedono… (o dispongono…; autorizzano…; escludono…) o nella parte in cui non prevedono… (o non riconoscono…) alcunchè, determinando in questi casi un’"addizione normativa" rispetto a quanto non era previsto; oppure nella parte in cui prevedono (una certa cosa) anziché (un’altra), determinando la "sostituzione" di ciò che era pur previsto.
Le pronunce di illegittimità costituzionale (cui la Corte perviene in via consequenziale facendo uso dei poteri previsti dall’art. 27 della legge n. 87 del 1953, cioè estendendo l’àmbito oggettivo della dichiarazione di incostituzionalità ad "altre norme", non direttamente oggetto di censura da parte dei promotori dei giudizi) risultano emesse in due ipotesi:
a) si rilevi l’impossibilità di autonoma applicazione della norma in conseguenza della caducazione di quella oggetto principale della questione;
b) in ragione del carattere cronologicamente successivo della norma, il cui contenuto sia derivato (trasfuso) da quello della disposizione (originaria) dichiarata incostituzionale.
Considerando nel complesso le motivazioni, possono ricavarsi alcuni dati sinteticamente orientativi.
Ad esempio, si può notare che non sempre la dichiarazione di illegittimità è, come suol dirsi, autoapplicativa: talvolta essa postula un intervento ulteriore (del legislatore, innanzitutto), specialmente quando occorra precisare tutte le modalità perché il diritto che trova riconoscimento nella sentenza possa concretamente esplicarsi (sentenza n. 158). Rileva pure la funzione tipica svolta dal parametro evocato, che il giudice delle leggi può variamente modulare o riformulare, nel suo ruolo di interprete privilegiato della Costituzione. Senza poi trascurare il fatto che la eventuale norma parametro interposta, alla stregua della quale viene giudicata la conformità a Costituzione delle norme impugnate, può essere strettamente connessa ad una normativa comunitaria, che spiega dunque la sua efficacia indiretta nel giudizio di costituzionalità delle leggi (sentenza n. 135).
Vi è inoltre da considerare la funzione "monitoria", che la Corte talvolta esercita per richiamare l’attenzione del legislatore sulla necessità di interventi riformatori o di modifiche indilazionabili; così come la Corte può rilevare, in altri casi, che il pur auspicato intervento si è dimostrato, tuttavia, parziale nella sua realizzazione e lo strumento per porvi rimedio è, dunque, l’illegittimità della norma (tuttora) non adeguata alla Costituzione (sentenza n. 95). Da un esame più approfondito, emergono i collegamenti e le connessioni con pronunce anteriori, specialmente attraverso il valore e l’influenza del "precedente". E’ constatazione comune che esso assicura la coerenza e la continuità della giurisprudenza; ciò vale ovviamente per la Corte costituzionale e in particolare, per le sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale, fermo restando che queste ben possono scaturire da una complessiva riconsiderazione della materia, anche alla luce del mutato contesto normativo.
Così, la stessa disposizione, già parzialmente caducata in passato, può essere oggetto di nuova pronuncia di incostituzionalità (sentenza n. 251); altre disposizioni subiscono la medesima sorte per avere un contenuto analogo o una formulazione identica a quella di altre in precedenza dichiarate illegittime (sentenze n. 54, n. 288, n. 339, n. 350).
Alla identica ratio di una precedente decisione è ricondotta la illegittimità di una fattispecie normativa in stretta correlazione con altra già caducata (sentenza n. 243). In buona sostanza l’accoglimento della questione può essere determinato da un’anteriore pronuncia negli stessi termini (sentenza n. 411), oppure sulla base di un «principio di portata generale» già affermato in precedenza in un caso analogo, ma circoscritto in ragione della formulazione e della rilevanza della questione nel giudizio di provenienza (sentenza n. 131).
1. - I GIUDIZI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
1.1.->I limiti della competenza e dei poteri della Corte nei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale
Nell’anno appena trascorso, la Corte ha ribadito i limiti del sindacato di legittimità costituzionale. In materia penale – essendo precluso ogni intervento additivo che si risolva in un aggravamento della posizione sostanziale dell’imputato (ordinanza n. 175) – ha negato di poter essa stessa determinare le condotte punibili e le relative sanzioni (sentenza n. 169; ordinanze nn. 33, 86, 144, 150, 175 e 260).
Più in generale, la Corte ha ritenuto estranee all’àmbito di un possibile suo intervento, pronunce che siano caratterizzate da un grado di manipolazione tanto elevato da investire non già singole disposizioni, ovvero il congiunto operare di alcune di esse, ma un intero sistema di norme con la conseguente creazione di una disciplina affatto nuova, profondamente innovativa, che soltanto il legislatore potrebbe adottare nell’esercizio della sua discrezionalità (sentenza n. 75; ordinanza n. 305); ha poi sottolineato che la scelta di introdurre un trattamento di favore, che si ponga come eccezione rispetto alla disciplina di carattere generale, è espressione della discrezionalità legislativa, non censurabile sotto il profilo del principio di parità di trattamento, salvo che tale discrezionalità sia esercitata in modo palesemente irragionevole (ordinanze nn. 60 e 348); ha infine affermato, più in generale, che esula dai suoi poteri censurare, con propria diversa valutazione, le scelte discrezionali del legislatore, ovvero adottare - a fronte di omissioni legislative - pronunce additive che non si pongano come conseguenza necessitata dell’applicazione di princìpi costituzionali (sentenze nn. 291 e 329; ordinanze nn. 234 e 332).
Peraltro, la Corte non ha trascurato di ribadire, contestualmente, la funzione di garanzia che le è propria, sia sottolineando che l’opzione normativa non deve comunque porsi in manifesto contrasto con il canone della ragionevolezza (ordinanza n. 144), sia utilizzando lo strumento dell’invito al Parlamento ad effettuare interventi di razionalizzazione vòlti a superare incongruenze, disarmonie e profili d’incoerenza rispetto al quadro costituzionale, o ad introdurre normative più rispondenti alla situazione attuale del Paese, come nei casi del sistema delle sanzioni sostitutive e delle esclusioni oggettive in materia penale (ordinanza n. 184), nonché della normativa concernente l’apertura di case da gioco (sentenza n. 291).
1.2.->La natura e la funzione dei giudizi innanzi alla Corte
In varie decisioni, la Corte ha puntualizzato il carattere e la specifica funzione di ciascun tipo di giudizio che si svolge davanti ad essa, chiarendo che non è dato utilizzare in maniera impropria o non coerente gli strumenti processuali a disposizione.
In particolare è stato più volte affermato che non può essere prospettata una questione la quale, invece di essere rivolta a rimuovere una disposizione ritenuta contraria alla Costituzione, tenda in realtà ad ottenere un chiarimento circa la portata della norma censurata e, dunque, a perseguire una finalità interpretativa, che è del tutto estranea alla logica del giudizio di costituzionalità (sentenza n. 169; ordinanze nn. 215, 278, 283, 351 e 442).
Similmente non può valere a sostenere la richiesta di una pronuncia di incostituzionalità l’argomento della persistente riluttanza dei giudici a dare compiuta applicazione ad una precedente statuizione della Corte, in quanto l’esigenza di uniformare l’interpretazione delle norme è palesemente estranea alla logica del controllo di costituzionalità assegnato alla Corte medesima, risolvendosi nel difetto dell’essenziale requisito della rilevanza, stante il connotato di astrattezza della questione (ordinanza n. 141). Nemmeno può avere ingresso una questione diretta a contrastare un’interpretazione giurisprudenziale delle norme censurate, in quanto non condivisa dal rimettente (ordinanze nn. 233 e 443); ovvero quando il giudice a quo ometta di verificare preventivamente che la disposizione da applicare possa essere interpretata in conformità alle norme e ai princìpi costituzionali (ordinanza n. 338).
D’altro canto, la questione di costituzionalità non può risolversi in una mera critica all’esercizio della discrezionalità legislativa (ordinanza n. 234); né il suo accoglimento può produrre un risultato antitetico a quello perseguito dal giudice a quo, in contraddizione con le stesse premesse argomentative (ordinanza n. 302).
A stabilire, poi, la differenza tra il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale e quello per conflitto tra poteri, sta l’affermazione che quest’ultimo non è finalizzato ad un generale controllo di legittimità dell’atto invasivo, dal momento che con esso la Corte è chiamata essenzialmente a dirimere controversie tra poteri dello Stato e, quindi, a verificare l’ordine costituzionale delle competenze, per cui è inammissibile l’atto di promovimento che si modelli sull’ordinanza di rimessione anziché sul ricorso (sentenze nn. 363 e 364). Deriva da ciò che non può ritenersi direttamente coinvolto nel giudizio per conflitto di attribuzione l’interesse di un soggetto diverso da quello legittimato a promuoverlo, in particolare del titolare dei diritti inerenti alla qualità di imputato ( sentenza n. 225).
Quanto ai conflitti intersoggettivi, la loro natura costituzionale esclude l’ammissibilità di pretese di carattere meramente patrimoniale (vindicatio rei) che, risolvendosi in controversie di natura puramente economica, non coinvolgano competenze costituzionalmente garantite agli enti in conflitto (sentenza n. 213).
1.3.->I presupposti della questione incidentale di legittimità costituzionale: il "giudizio" e la legittimazione del giudice
Ai fini della proposizione del giudizio di costituzionalità in via incidentale, la Corte non ha riconosciuto la natura di "giudizio" al procedimento sulla richiesta di astensione ex art. 51 cod. proc. civ. (ordinanza n. 216); ed ha negato la legittimazione del giudice istruttore nel procedimento di opposizione allo stato passivo del fallimento a sollevare questione di legittimità costituzionale di norme applicabili esclusivamente dal collegio in fase decisoria (ordinanza n. 23).
Ha poi confermato la costante giurisprudenza che consente al giudice di rinvio di sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione nell’interpretazione della quale è vincolato in forza del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 184); ha inoltre riconosciuto la legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale del Consiglio nazionale forense (sentenza n. 189) e degli arbitri rituali (sentenza n. 376), osservando, in quest’ultimo caso, che – ai limitati fini del promovimento del sindacato di legittimità costituzionale - il giudizio arbitrale (a prescindere dalla problematica connessa alla sua natura giuridica) non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, per quanto riguarda l’attività di ricerca e interpretazione delle norme da applicare nel giudizio.
1.4.>L’incidentalità del giudizio di legittimità costituzionale e la rilevanza delle questioni
Nel ribadire la natura incidentale del giudizio di costituzionalità delle leggi – in ragione di che quale il giudice a quo non può proporre autonomamente ed in via diretta questioni di legittimità costituzionale che non siano collegate al giudizio in corso dinanzi a lui – la Corte ha costantemente ritenuto l’inammissibilità di questioni che difettano di pregiudizialità rispetto alla definizione del giudizio principale (ordinanza n. 279), o che siano prive del necessario requisito della rilevanza; ovvero di questioni non idonee a incidere nel giudizio a quo (ordinanza n. 134); di questioni concernenti norme in esso non applicabili (sentenze nn. 115 e 180; ordinanze nn. 125, 149 e 255); di questioni sollevate in via ipotetica, in vista di una possibile evenienza futura e incerta (ordinanze nn. 2 e 34); di questioni che non toccano in alcun modo il contenuto della disposizione censurata (sentenze nn. 156 e 336; ordinanza n. 90); di questioni che investono norme che non vivono più nell’ordinamento giuridico (ordinanze nn. 28, 128 e 262); di questioni sollevate da un giudice che abbia ormai consumato il proprio potere decisorio (ordinanze nn. 92, 134 e 346), o da un giudice non competente all’applicazione della norma censurata (sentenza n. 169; ordinanze nn. 59, 70, 154, 297).
E ancora, sempre sotto il profilo della rilevanza, la Corte ha riaffermato la valenza della cosiddetta "pregiudiziale comunitaria", nascente dalla richiesta di interpretazione rivolta alla Corte di giustizia delle Comunità europee da parte del giudice rimettente (e da altri giudici italiani); richiesta che fa sorgere nel giudizio a quo una pregiudiziale circa la compatibilità con il diritto comunitario della stessa norma sospettata di contrasto con la Costituzione, così privando di rilevanza la questione di legittimità costituzionale (ordinanza n. 249).
1.5.>La riproposizione della questione incidentale e il divieto del bis in idem.
Sul tema della riproposizione della questione, la Corte ha riaffermato il divieto di bis in idem, giacché una seconda rimessione, nel corso dello stesso grado di giudizio pendente tra le parti, di una questione concernente la medesima norma di legge in riferimento ad identici parametri costituzionali, sia pure con argomenti ulteriori, si risolverebbe in una inammissibile impugnazione della precedente pronuncia di merito (ordinanza n. 48). Ancora, è stata dichiarata l’inammissibilità della questione con la quale il giudice rimettente, pur impugnando formalmente una disposizione quale risultante a seguito dell’integrazione disposta da una sentenza della Corte, in realtà censurava la precedente decisione di accoglimento, così disattendendo la preclusione assoluta di qualsiasi domanda diretta a contrastare, annullare ovvero riformare una decisione della Corte (ordinanza n. 108). Peraltro, è stato anche ribadito che tale preclusione vale solo nel caso di una pronuncia di natura decisoria e non quando sia stata emessa una pronunzia di manifesta inammissibilità per ragioni meramente processuali (sentenza n. 189).
1.6. -Le norme oggetto del giudizio In diverse pronunce trova conferma la giurisprudenza che nega ingresso nel giudizio di costituzionalità alle questioni che concernono disposizioni eterogenee (ordinanza n. 81); o con cui si censura un intero testo normativo, salvo che il vulnus derivi dall’intero corpo normativo (sentenza n. 156; ordinanza n. 286); o che vertono su atti aventi natura regolamentare ( sentenza n. 251; ordinanze nn. 124, 194 e 297), salvo che il regolamento, nel sostituire la disposizione legislativa, abbia inciso aspetti sostanziali sui quali non era abilitato ad intervenire (sentenza n. 251).
E’ stata anche riconosciuta la sindacabilità delle norme di diritto internazionale pattizio, censurate attraverso la legge di esecuzione del trattato, nella parte in cui immettono nell’ordinamento norme incompatibili con la Costituzione, e quando dalla soluzione della questione possano derivare conseguenze sulla valutazione di legittimità di un accordo tra governi (sentenza n. 73).
La sopravvenuta novazione della norma oggetto del giudizio (con attribuzione ad esse della efficacia di legge formale e non più di quella sostanziale) ha dato luogo alla restituzione degli atti al rimettente per la valutazione in ordine al persistere della rilevanza della questione (ordinanze nn. 12, 13, 17 e 64); in altri casi si è addivenuti al "trasferimento della questione", ad opera della Corte stessa, sulle nuove norme allorché la censurata disposizione sia stata in esse trasfusa integralmente (ordinanza n. 255).
Il giudizio della Corte – come noto – si attesta sui termini fissati dalla ordinanza di rimessione (sentenza n. 435) ed è, perciò, condizionato dalla prospettazione del rimettente e dalle indicazioni contenute nell’ordinanza di rimessione, sicché non possono essere presi in considerazione profili dedotti soltanto dalle parti, ovvero riferiti a parametri non evocati dal giudice a quo (ordinanze nn. 24, 44 e 219).
Un principio di conservazione emerge poi nei casi in cui la Corte afferma che non rilevano nè l’errore materiale nell’indicazione della disposizione censurata contenuto nell’ordinanza di rimessione, se non rende incerta l’individuazione della norma effettivamente denunciata (sentenza n. 113; ordinanze nn. 3, 129 e 219), né l’impropria estensione della censura ad altra norma, ove sia comunque delimitabile l’oggetto della questione (sentenza n. 95). Nel giudizio per conflitto tra poteri dello Stato, che è finalizzato alla tutela dell’integrità delle competenze assegnate a tali poteri dalla Costituzione, non possono avere ingresso le censure sollevate per violazione di norme diverse da quelle che definiscono l’àmbito delle attribuzioni asseritamente lese, garantite costituzionalmente al ricorrente (sentenza n. 139).
1.7.->Gli atti introduttivi dei giudizi: requisiti formali e sostanziali
Con riguardo alla instaurazione del giudizio di costituzionalità, la Corte ha ribadito la necessità di un atto idoneo, nel suo contenuto, a definire l’oggetto della domanda; soprattutto, in tema di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, viene richiesta la compiuta indicazione degli elementi sufficienti a definire la materia del conflitto oggetto di controversia (sentenza n. 274); tale non potendosi ritenere il ricorso nel quale, ad una lacunosa e generica indicazione delle ragioni del conflitto si accompagni il difetto di una espressa domanda circa la spettanza del potere in contestazione e della conseguente richiesta di annullamento dell’atto impugnato (sentenza n. 363), ovvero il ricorso che si limiti ad enunciare la mera richiesta di «risolvere il conflitto», senza assolvere il necessario onere motivazionale (sentenza n. 364).
Quanto ai giudizi in via incidentale, è stata ritenuta parimenti necessaria la sussistenza di un formale provvedimento di rimessione, non essendo sufficiente la trasmissione degli atti con la sola notazione che la questione è stata già prospettata da altra ordinanza emessa in un diverso giudizio pendente (avanti allo stesso ufficio). In tal caso, non potendo ritenersi proposto un vero giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la Corte ha dichiarato la irricevibilità dell’ordinanza ed ha disposto il rinvio degli atti al giudice a quo (ordinanza n. 216). L’irricevibilità è stata, inoltre, disposta nei confronti di una singolare ordinanza di rimessione, con la quale la questione di costituzionalità era stata esplicitamente rimessa per la decisione non già davanti alla Corte costituzionale, bensì alla non più operante Alta Corte per la Regione Siciliana, sull’assunto del rimettente dell’erroneità del consolidato principio dell’unicità della giurisdizione costituzionale, adottato viceversa dalla Corte sin dalle prime pronunce (ordinanza n. 161).
1.8.->La costituzione e l’intervento in giudizio
Con riguardo alla fase introduttiva del giudizio di costituzionalità, la Corte, secondo un orientamento consolidato, ha dichiarato inammissibili le costituzioni e gli interventi in giudizio effettuati tardivamente rispetto al previsto termine perentorio (sentenza n. 210; ordinanze nn. 53 e 234); ed ha inoltre ribadito i princìpi sia della necessaria corrispondenza tra le parti del giudizio incidentale di costituzionalità e quelle costituite nel giudizio principale (ordinanza n. 183), sia della necessaria sussistenza di un interesse diretto alla soluzione della questione, non essendo sufficiente a legittimare l’intervento di soggetti diversi dalle parti del giudizio a quo un mero interesse riflesso ed eventuale rispetto al thema decidendum (sentenze nn. 189 e 333).
Così, in costanza di una giurisprudenza che generalmente non ammette l’intervento in giudizio spiegato da soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto tra enti, ancorché «interessati» alla risoluzione del giudizio costituzionale, si è ritenuto di derogare a tale regola in un giudizio per conflitto di attribuzione proposto da una Regione avverso un provvedimento del giudice penale, in ragione del particolare interesse dell’interveniente (nella specie, a non veder compromessa la possibilità di agire in giudizio a tutela dei suoi diritti), connesso alla sua posizione processuale di parte civile costituita nel procedimento penale a quo (sentenza n. 76).
Nel giudizio per conflitto tra poteri (promosso, nella specie, dalla Camera dei deputati nei confronti di un’autorità giudiziaria) – come già accennato – non può essere invece ammesso ad intervenire il parlamentare imputato in procedimenti penali, che si ritenga leso dai provvedimenti giudiziari impugnati, dal momento che i diritti inerenti alla qualità di imputato, che possono essere sempre fatti valere con gli ordinari strumenti processuali, non possono ritenersi coinvolti in un giudizio nel quale deve decidersi solo in ordine alle denunciate lesioni delle attribuzioni costituzionali della Assemblea parlamentare ricorrente (sentenza n. 225).
1.9.->Il rispetto dei termini
L’improcedibilità dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato è la conseguenza, dichiarata in varie occasioni, del mancato rispetto, da parte del ricorrente, dei termini perentori prescritti dalle norme ai fini dell’ulteriore corso del giudizio, dopo la preliminare fase delibativa (sentenze nn. 191, 200, 245, 246, 247, 253 e 293).
2. – MERITO DELLE DECISIONI
2.1.- Il principio di eguaglianza(art. 3 Cost.)
Al principio di eguaglianza i giudici rimettenti fanno frequente riferimento, utilizzandolo come parametro, talvolta esclusivo, delle questioni prospettate. Non di rado esso è anche invocato unitamente al principio-criterio della ragionevolezza, con un’endiadi alla quale viene ricondotta la coerenza o non contraddizione del sistema preso in esame.
E’ noto che, applicando il criterio della ragionevolezza, il giudice delle leggi non può contrastare con una propria diversa valutazione la scelta discrezionale del legislatore: il controllo di costituzionalità dovendosi arrestare alla verifica che, rispetto al fine, il mezzo prescelto non sia palesemente incongruo (sentenza n. 190); ovvero limitarsi alla verifica del «corretto uso del potere normativo» (sentenza nn. 169 e 180), là dove si evidenzia una carenza di causa o ragione della disciplina censurata, che, come tale, implica quindi un vizio della legge, appalesandosi come espressione di un uso distorto della discrezionalità legislativa, siccome fondato sulla irragionevole differenziazione ovvero, a seconda dei casi, sulla irragionevole omologazione delle situazioni poste a raffronto (sentenza n. 171).
Alla luce del principio di eguaglianza, la dichiarazione di illegittimità serve dunque a ripristinare la parità violata ovvero ad eliminare quei trattamenti deteriori rispetto ad altri, che determinano discriminazioni, assolutamente prive di ragionevole giustificazione, nei confronti di alcune categorie di soggetti.
E’ il caso, ad esempio, delle decisioni rese in materia elettorale (sentenze nn. 287, 350), su cui si tornerà in sèguito; ovvero della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che escludeva la pensione di reversibilità del coniuge superstite in relazione ad una circostanza o condizione, appunto, inidonea a giustificare tale esclusione, quale era il matrimonio intervenuto successivamente al pensionamento dell’assicurato (sentenza n. 447).
Viceversa, ad escludere l’incostituzionalità con riferimento al principio di eguaglianza, è stato richiamato l’argomento secondo cui quest’ultimo non può essere utilmente invocato quando si pongano a raffronto situazioni strutturalmente diverse, al fine di indurre una modifica dell’ordinamento vigente secondo una prospettiva costituzionalmente non necessitata, o quando la statuizione chiesta dal giudice rimettente determinerebbe essa stessa un’ingiustificata disparità di trattamento.
In tal senso è, ad esempio, la pronuncia che, intervenendo sul tema degli effetti patrimoniali del matrimonio concordatario dichiarato nullo dai Tribunali ecclesiastici, ha rigettato la questione che mirava a disciplinare tali effetti patrimoniali secondo la disciplina dettata per il divorzio anziché secondo quella, attualmente applicabile, del matrimonio putativo (sentenza n. 329). Pertanto, nel caso di diversità delle situazioni poste a raffronto, non possono essere invocati i princìpi affermati in una precedente pronuncia, quando essi siano intimamente saldati, sul piano logico e strutturale, alla particolare e differente ipotesi già oggetto di decisione (sentenza n. 75).
Neppure ha trovato accoglimento la questione intesa ad estendere la cerchia dei destinatari di precetti normativi di favore, sotto il profilo che l’intervento additivo richiesto esulava dai poteri concessi alla Corte, non ponendosi come conseguenza necessitata ed implicita dell’applicazione dei princìpi costituzionali, ed essendo sempre rimessa alla discrezionalità del legislatore la scelta tra più soluzioni astrattamente possibili. Per queste ragioni è stata dichiarata l’inammissibilità della questione che sollecitava l’introduzione di una sorta di disciplina generale del potere di autorizzare l’apertura e la gestione di case da gioco, mediante una statuizione destinata a sostituirsi alle ipotesi particolari previste dal legislatore (sentenza n. 291); in tale occasione, tuttavia, la Corte ha – come già detto – esercitato il suo potere di monito nei confronti del legislatore, rinnovando l’invito, già formulato in altra occasione, a superare le insufficienze e le disarmonie della disciplina in materia.
2.2.->Il principio unitario(art. 5 Cost.).
Nell’àmbito del sistema delle autonomie regionali, il principio di eguaglianza si converte in quello unitario, sancito dall’art. 5 della Costituzione. A questo principio si richiama, a proposito di una questione sull’applicazione nella Regione Trentino-Alto Adige – e dunque in un quadro di «specialità» autonomistica – del nuovo riparto della giurisdizione in ordine alle controversie di lavoro con la pubblica amministrazione, la decisione che ha ribadito come la determinazione effettuata, in via generale, dal legislatore ordinario di devolvere al giudice ordinario la cognizione di tali controversie non potesse essere che unitaria in tutto il territorio nazionale (ivi comprese le Regioni a statuto speciale), non essendo consentite sul piano costituzionale, in una materia, quale la disciplina della giurisdizione, spettante allo Stato, ripartizioni o soluzioni difformi tra Regione e Regione (sentenza n. 121).
L’interesse unitario alla uniformità di disciplina dei "livelli minimi inderogabili" viene, inoltre, ribadito in ordine alla salvaguardia della fauna selvatica (sentenza n. 210).
2.3.->Il principio di adattamento al diritto internazionale(art. 10 Cost.).
In tema di rapporti con altri ordinamenti, la Corte ha concorso a delineare la disciplina (per il periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 91 del 1992), della sottoposizione agli obblighi di leva di chi abbia perduto la cittadinanza italiana a sèguito dell’acquisto di quella di un altro Stato (sentenza n. 131). La decisione aveva ad oggetto l’acquisto della cittadinanza di uno Stato, nel quale non è tuttavia previsto il servizio militare obbligatorio (la qual cosa differenziava la fattispecie da quelle, connotate dalla doppia imposizione dei doveri militari a carico di chi avesse già prestato o fosse tenuto a prestare il servizio militare nello Stato di nuova cittadinanza, già giudicate illegittime con precedenti sentenze).
Anche questa volta la decisione di illegittimità costituzionale si fonda sul principio, di portata generale, sancito nell’art. 10, primo comma, della Costituzione, che esige la conformazione dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e, dunque, anche alla norma che, indipendentemente dall’esistenza di una doppia imposizione, vincola gli Stati a non assoggettare a obblighi militari i cittadini di altri paesi.
In materia, inoltre, la Corte ha affermato, in generale, che la propensione di apertura dell’ordinamento italiano nei confronti sia delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, sia delle norme internazionali convenzionali incontra i limiti necessari a garantirne l’identità e quindi, innanzitutto, i limiti derivanti dalla Costituzione (sentenza n. 73); limiti – si sottolinea – che valgono perfino in quelle ipotesi in cui la Costituzione stessa offre all’adattamento al diritto internazionale uno specifico fondamento, idoneo a conferire alle norme introdotte nell’ordinamento italiano un particolare valore giuridico (come nei casi previsti dagli artt. 10, primo comma, 11 e 7, secondo comma della Costituzione).
La pronuncia chiarisce altresì il significato e la portata, in relazione all’ordinamento interno, della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983. Nel rigettare la questione, proposta dal Tribunale di sorveglianza di Roma nei confronti delle norme che hanno dato esecuzione a quella Convenzione, la Corte ha escluso che da questa possa ricavarsi la regola secondo cui il soggetto trasferito dallo Stato di condanna a quello di esecuzione della pena detentiva, possa essere sottoposto a un vero e proprio regime di esecuzione speciale e personale, concernente i diritti, oltre che i doveri, che lo riguardano come detenuto.
2.4.->I diritti inviolabili e le libertà.
2.4.1. - La libertà personale (art. 13 Cost.)
Con una pronuncia interpretativa di rigetto la Corte ha ritenuto che (anche in assenza di una espressa previsione) il diniego di convalida, da parte del giudice, del provvedimento che dispone il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea travolge, insieme con tale provvedimento, anche la misura dell’espulsione, nella sua specifica modalità esecutiva dell’accompagnamento dello straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica, che è, appunto, causa immediata della limitazione della libertà personale e insieme fondamento della successiva misura del trattenimento, proprio in quanto l’atto motivato dell’autorità giudiziaria costituisce il presidio della libertà personale (sentenza n. 105).
2.4.2. - Il diritto al nome (artt. 2 e 22 Cost.)
Quale primo e più immediato segno distintivo che caratterizza l’identità personale, il diritto al nome - secondo un principio ormai consolidato - appartiene al novero di quei diritti, definiti «inviolabili», protetti dall’art. 2 della Costituzione. La Corte ha perciò riconosciuto illegittima, risolvendosi essa in un’ingiusta e irrazionale privazione, la mancata previsione della possibilità per l’adottato maggiorenne, figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, di aggiungere il proprio originario cognome, ormai radicato nel contesto sociale e trasmesso ai figli, a quello ricevuto in virtù dell’adozione; mentre ha reputato non irrazionale e non lesivo del diritto all’identità personale che il cognome dell’adottante preceda quello originario dell’adottato maggiorenne (sentenza n. 120).
2.4.3. - La libertà associativa (art. 18 Cost.)
E’ stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 271 del codice penale, che puniva le condotte di promozione, costituzione, organizzazione e direzione delle associazioni che si propongono di svolgere o svolgono attività dirette a distruggere o deprimere il sentimento nazionale (sentenza n. 243).
Con tale decisione – che, come espressamente sottolineato, non coinvolge il significato e la portata dei valori costituzionali della Nazione e dell’unità nazionale espressi dagli artt. 5, 9, 67, 87 e 98 Cost., né le relative forme di tutela – la Corte espunge dall’ordinamento anche la fattispecie associativa direttamente correlata alla condotta individuale corrispondente, poiché, se non costituisce illecito penale il fatto che il singolo svolga opera di propaganda antinazionale, la quale non trasmodi in violenza o in attività che vìolino altri beni costituzionalmente garantiti sino ad integrare altre figure criminose (sentenza n. 87 del 1966, relativa all’art. 272, secondo comma, del codice penale), non può costituire illecito neppure l’attività associativa volta a compiere ciò che è consentito all’individuo.
2.5. ->La tutela giurisdizionale e diritto di difesa(art. 24 Cost.)
E’ stata affrontata la problematica dell’estinzione automatica dei giudizi pendenti di opposizione a sanzioni comminate per violazioni alla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (sentenza n. 223); la previsione è stata ritenuta conforme al diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost., in quanto direttamente conseguente alla stabilita estinzione delle sanzioni ed alla correlativa soddisfazione ex lege delle pretese ad ottenerne l’annullamento, così da determinare la cessazione della materia del contendere. Nella stessa occasione sono state viceversa dichiarate illegittime l’esclusione del rimborso delle somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni e la compensazione delle spese processuali, che avrebbero lasciato la pretesa azionata dal lavoratore del tutto priva di tutela giurisdizionale e determinato una disparità di trattamento tra lavoratori, in relazione ad una circostanza meramente accidentale, quale l’intervenuta applicazione o no della sanzione.
Contrastante con il diritto alla tutela giurisdizionale (ed in singolare dissonanza con la tendenza, presente in tutta la legislazione vigente, volta ad eliminare ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi) è stata ritenuta la norma che poneva, quale condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato ad uso abitativo, la dimostrazione, da parte del locatore, della regolarità della propria posizione fiscale; onere, questo, imposto non già per assicurare al processo esecutivo uno svolgimento conforme alla sua funzione e alle sue esigenze, ma esclusivamente per perseguire impropri fini di controllo fiscale (sentenza n. 333).
2.6.->Il trattamento penale e la responsabilità penale(artt. 25 e 27 Cost.)
Con riguardo alla norma che, innovando la precedente disciplina, subordina alla loro collaborazione con la giustizia l’applicabilità del beneficio della liberazione condizionale ai condannati per determinati reati, la Corte ha escluso la violazione del principio di irretroattività della legge penale per quanti siano stati condannati prima della entrata in vigore della norma stessa (sentenza n. 273). In particolare ha specificato che l’introduzione del requisito della collaborazione con la giustizia costituisce una scelta del legislatore in armonia con il principio della funzione rieducativa della pena, risolvendosi nel criterio legale di valutazione di un comportamento che deve necessariamente concorrere ai fini di accertare il «sicuro ravvedimento» del condannato e la rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata, la quale comporta vincoli di omertà e segretezza particolarmente forti.
2.7.->La tutela della maternità e del minore(artt. 31 e 37 Cost.)
La protezione del minore è garantita, anche a livello internazionale, da un insieme di norme che formano un sistema integrativo di quello approvato, con la medesima finalità, nell’ordinamento interno. La Corte ha chiarito - respingendo i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti della legge di esecuzione della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 - che l’ordine urgente di ritorno immediato del minore (illecitamente trasferito o trattenuto in altro paese) nel proprio Stato di residenza abituale, è fondato sulla ragionevole presunzione che l’interesse del minore vada innanzitutto tutelato mediante il ripristino della situazione qua ante; sicché risulta del tutto coerente con la ratio dell’istituto l’esclusione di qualsiasi possibilità di riesame del relativo provvedimento, d’ufficio o su istanza di parte, ad opera del medesimo giudice che lo ha emesso, per evitare il consolidarsi di una situazione di fatto in danno del minore, impregiudicato – peraltro – il riesame nel merito dei provvedimenti di affidamento (sentenza n. 231).
Alla speciale protezione del valore della maternità (da tutelare sempre, anche in assenza di un rapporto lavorativo, secondo i princìpi dettati dagli artt. 31 e 37 della Costituzione) è diretta la pronuncia che ha reputato irragionevole l’esclusione dell’indennità di maternità anche nell’ipotesi di licenziamento della lavoratrice al quale la norma dichiarata incostituzionalmente illegittima attribuiva (nel negare la provvidenza) rilievo preponderante ed irragionevole valenza punitiva, rispetto allo stato oggettivo della gravidanza (sentenza n. 405).
2.8.->La tutela della salute e dell’ambiente (art. 32 Cost.)
Circa il diritto dello straniero, non in regola con le norme sull’ingresso ed il soggiorno, a ricevere le cure mediche essenziali, la Corte – nel ribadire che la Costituzione assicura a «tutti», stranieri compresi, la garanzia di un «nucleo irriducibile» del diritto costituzionale alla salute, come àmbito inviolabile della dignità umana – ha riconosciuto alla vigente legge, oggetto del giudizio, la capacità di apprestare, pure in favore di quanti siano irregolarmente presenti nel territorio nazionale, non solo gli interventi di assoluta urgenza, ma anche, nei presidî pubblici ed accreditati, tutte le cure e le prestazioni giudicate essenziali e necessarie ad evitare un irreparabile pregiudizio alla salute (sentenza n. 252).
Il divieto di smaltimento nelle discariche regionali di rifiuti di provenienza extraregionale, introdotto nella Regione Friuli-Venezia Giulia con leggi del 1988 e del 1996, è stato oggetto di una pronuncia di accoglimento che ne ha determinato la caducazione (sentenza n. 335).
La Corte ha ribadito quanto già aveva affermato in una precedente decisione a proposito dei rifiuti "pericolosi", ai quali vanno, appunto, assimilati sotto l’aspetto del regime di smaltimento, i rifiuti "speciali" qui considerati: anche per questi ultimi, infatti, si impone il criterio della specializzazione dell’impianto di smaltimento ovvero dell’utilizzo di «uno degli impianti appropriati più vicini»; criterio perciò idoneo a conseguire la finalità di smaltimento come richiesto dalla normativa statale di principio e che non ostacola, poi, la libera circolazione di cose tra le Regioni sancita nell’art. 120 della Costituzione: principio, questo, che va salvaguardato in assenza di impedimenti di ordine sanitario o ambientale (dovendosi pur sempre considerare il rifiuto - anche alla stregua delle normative comunitarie - come un «prodotto»).
E la tutela dell’ambiente ben può giustificare la previsione, in una legge della Regione Veneto, di condizioni (come il divieto di «esportazione» del materiale di risulta fuori del terreno su cui insiste l’impianto) intese a regolare l’attività agricola relativa alla costruzione degli impianti di acquacoltura incidente sull’assetto del territorio (sentenza n. 190).
2.9.->L’ordinamento universitario - Le funzioni didattiche e di ricerca (art. 33 Cost.).
La Corte ha riaffermato l’esistenza di un preciso nesso funzionale tra l’attività di assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica, in termini non solo di stretta connessione, ma di vera e propria compenetrazione, al punto che la scissione tra l’uno e l’altro settore di attività (con la conseguente creazione di figure di docenti medici destinati ad un insegnamento privo del supporto della necessaria attività assistenziale) risulta lesiva del generale criterio di ragionevolezza oltre che del principio di buon andamento (sentenza n. 71). Ed è alla luce di questi princìpi che la Corte ha ritenuto la necessità - con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma portata al suo vaglio - che le regioni e le università stipulino preventivi protocolli di intesa per la individuazione di quelle specifiche attività assistenziali strettamente correlate all’attività didattica e di ricerca, che devono rimanere affidate al personale docente pur dopo la cessazione per limiti di età dalla attività assistenziale ordinaria.
2.10.- L’obbligo scolastico ed i diritti dei portatori di handicap(art. 34 Cost.).
L’effettività del diritto all’istruzione inferiore (obbligatoria) e l’integrazione scolastica (e, tramite questa, anche nella società) degli alunni disabili sono le due fondamentali esigenze congiuntamente valorizzate nella decisione che affronta la questione riguardante la possibilità per i portatori di handicap di assolvere l’obbligo scolastico anche oltre il diciottesimo anno di età (sentenza n. 226). La Corte ha riconosciuto che la disciplina vigente – la quale già prolunga a diciotto anni l’ordinario termine di quindici anni – è idonea al perseguimento delle finalità di promozione della piena integrazione della persona handicappata e di sviluppo delle sue potenzialità all’apprendimento, alla comunicazione, alle relazioni e alla socializzazione; ciò anche in considerazione del fatto che il diritto all’istruzione può essere esercitato dagli alunni handicappati maggiorenni mediante la frequenza, al di fuori della scuola dell’obbligo, di corsi per adulti finalizzati al conseguimento del diploma, in un contesto ambientale realmente più funzionale, anche sotto il profilo dell’età, al successivo inserimento nella società e nel mondo del lavoro.
2.11.->La tutela del lavoro (artt. 35 e 37 Cost.) e la previdenza (art. 38 Cost.).
Con riferimento al lavoro carcerario, la Corte ha affermato il diritto al riposo annuale anche in favore dei detenuti, da un lato osservando che la tendenza attuale è quella di valorizzare il lavoro e le attitudini specifiche di tali soggetti ai fini del loro recupero alla società, senza più attribuire una connotazione afflittiva al loro lavoro; dall’altro riconoscendo che il diritto alle ferie deve essere assicurato inderogabilmente in ogni rapporto di lavoro subordinato (per garantire il soddisfacimento di primarie esigenze del lavoratore) e quindi, pur con differenti modalità, anche quando il rapporto lavorativo si svolga alle dipendenze dell’amministrazione carceraria (sentenza n. 158).
Circa il tema del riscatto del periodo di studi universitari - con riferimento alla costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS in favore del dipendente statale che cessi dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione - la Corte, nel dichiarare la illegittimità costituzionale della norma che subordina la costituzione della posizione assicurativa alla condizione che per gli stessi periodi "vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato", ha proseguito sulla via della completa parificazione di tutti i lavoratori nell’esercizio della facoltà di riscattare i periodi di studio universitari, in considerazione della generale tendenza dell’ordinamento volta a valorizzare, in ogni caso, i periodi di studio che precedono l’attività lavorativa, anche per non penalizzare i lavoratori che abbiano dovuto ritardare l’inizio della loro attività per acquisire il titolo necessario (sentenza n. 113).
La pronuncia riguardante il calcolo della "quota aggiuntiva" eccedente il c.d. tetto pensionabile per le pensioni anteriori al 1° gennaio 1988, si fonda sul riconoscimento di àmbiti di discrezionalità legislativa esercitata in modo non irragionevole né contrastante con il principio di uguaglianza. Perciò la Corte ha dichiarato non fondata la questione con la quale il rimettente sollecitava il sindacato sull’esercizio della discrezionalità del legislatore in tema di modulazione temporale dell’applicabilità dei trattamenti previdenziali e che, per il profilo della misura del trattamento, non teneva conto del margine di discrezionalità che pure deve riconoscersi al legislatore anche in relazione alle risorse disponibili (sentenza n. 180).
2.12.->La libertà di organizzazione dell’impresa e il diritto di proprietà (artt. 41 e 42 Cost.).
Il principio sancito nell’art. 41 Cost. s’impone anche alle autonomie regionali speciali: è ciò che afferma la Corte, dichiarando l’illegittimità costituzionale, per contrasto con tale articolo, della legge n. 13 del 1988 della Regione Sardegna, che disciplina le agenzie di viaggio e turismo, nella parte in cui subordina l’apertura di succursali e filiali delle agenzie stesse al conseguimento di autorizzazione dell’assessore regionale del turismo, con le modalità e condizioni stabilite per l’apertura delle agenzie (sentenza n. 54). Si ribadisce, quindi, che gli uffici, le filiali e le sedi secondarie non costituiscono entità separate dall’azienda, per cui l’autorizzazione conseguita dall’impresa non può non estendersi alle filiali che l’imprenditore intenda aprire sul territorio nazionale, giacché la decisione circa l’estensione territoriale dell’attività di impresa è espressione della libertà organizzativa dell’imprenditore ed è affidata alle sue valutazioni.
Alla questione della legittimità di vincoli previsti dai piani regolatori, se preordinati alla espropriazione e sostanzialmente ablativi del diritto di proprietà, si riferisce poi la sentenza n. 411, che conferma l’indirizzo consolidato e, in particolare, la precedente decisione emessa al riguardo (sentenza n. 179 del 1999), della quale ricalca il dispositivo. In sostanza, essa afferma che, pur quando si ammetta la legittimità della reiterazione dei vincoli, da intendersi essenzialmente temporanei, non si può tuttavia ritenere consentito che essi permangano senza conseguenze oltre il termine non irragionevole fissato dal legislatore, sicchè, ove siano prorogati vincoli scaduti, va comunque dichiarata illegittima la mancata previsione di un indennizzo diretto al ristoro del pregiudizio subìto dal proprietario del bene.
2.13.->La capacità contributiva (art. 53 Cost.)
Con riguardo all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), la Corte ha riconosciuto non irragionevole la scelta del legislatore di assumere quale indice di capacità contributiva il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate oppure dalla singola unità produttiva (sentenza n. 156); ed ha ulteriormente puntualizzato che essa non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale, che colpisce un fatto economico (e cioè la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva) comunque espressivo di capacità di contribuzione (con ciò escludendosi sia la disparità di trattamento in danno dei contribuenti assoggettati all’imposta che svolgono un’attività di lavoro autonomo per professione abituale e non già occasionalmente, sia una ingiustificata equiparazione tra redditi di impresa e redditi di lavoro autonomo). La decisione, peraltro, sottolinea come l’elemento organizzativo sia connaturato alla nozione stessa di impresa, così da doversi ritenere mancante il presupposto dell’imposizione nel caso di attività professionale che difetti di tale elemento.
Con riferimento agli immobili non censiti, la Corte ha ritenuto che la previsione di liquidazione dell’imposta sulla base del valore venale dichiarato dallo stesso contribuente - pur se in ipotesi uguale o superiore a quello successivamente stimato dall’UTE - non introduce una disparità di trattamento tra i contribuenti (per i quali vale in ogni caso la regola della non rettificabilità della dichiarazione da parte dell’ufficio finanziario), né intacca il principio di capacità contributiva e quello di buon andamento della pubblica amministrazione (sentenza n. 164).
3. - LE FONTI
3.1.>La delega legislativa e i decreti delegati (art. 76 Cost.)
Sull’ampiezza dei poteri conferiti con delega legislativa, la Corte torna nuovamente a vagliare la disciplina della circolazione stradale adottata dal Governo, su delega del Parlamento, nell’opera di riordino del codice della strada previgente (sentenza n. 251). Con questa decisione, la Corte – che già aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 120 del nuovo codice della strada, nella parte in cui stabiliva la revoca della patente di guida nei confronti delle persone che erano state in passato sottoposte a misure di sicurezza personale – ha colpito la medesima disposizione nella parte in cui la revoca viene inflitta ai soggetti già sottoposti a misure di prevenzione. Anche in questo caso vale la ratio seguita per la prima declaratoria di incostituzionalità, in quanto non può consentirsi che il legislatore, delegato per il mero "riesame e riordino" del codice della strada, introduca norme sostanzialmente innovative e improntate a maggior rigore rispetto al sistema legislativo preesistente.
Escludendo viceversa l’eccesso di delega denunciato, la Corte ha dichiarato non fondata la questione finalizzata a sottrarre al vigente divieto di arbitrato, previsto per le controversie riguardanti i programmi di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali, le controversie relative al programma straordinario di edilizia residenziale per Napoli (sentenza n. 376). Osserva la Corte che tale divieto, per inequivoca scelta del legislatore, enuncia una regola di carattere generale riguardante le controversie relative a tutti i programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali, in ragione sia del rilevante interesse pubblico da cui risulta permeata la materia, sia dell’elevato valore delle controversie e della conseguente entità dei costi che il ricorso ad arbitrato comporterebbe per le pubbliche amministrazioni interessate.
Con riguardo specifico all’osservanza dei termini fissati per l’esercizio della funzione legislativa delegata, la Corte riconduce al rapporto di necessaria derivazione dalla originaria delega conferita al Governo, anche il decreto legislativo che sia emanato in funzione di "correzione o integrazione" delle norme delegate già emanate e che non può, dunque, dare attuazione tardiva, cioè per la prima volta, alla stessa delega legislativa (sentenza n. 206).
La violazione dell’art. 76 Cost. può inoltre costituire motivo di ricorso (nella specie proposto dalla Corte dei conti) per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, a tutela del principio di legalità (che, secondo la Costituzione, presiede all’ordinamento dei poteri della Corte dei conti) quando l’intervento legislativo del Governo sulla disciplina dei casi e delle forme del controllo attribuito alla suddetta Corte non trovi giustificazione nella delega legislativa (sentenza n. 139).
4. - ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
4.1.->Princìpi in tema di elezioni
In tale materia, con due pronunce di accoglimento delle prospettate questioni, la Corte ha fatto applicazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza e, in un caso, anche della ratio decidendi di una precedente decisione resa su norma analoga (sentenze n. 287 e n. 350).
Con la prima è stato dichiarato illegittimo, in quanto irrazionale ed ingiustificato nel quadro di una disciplina sostanzialmente unitaria della materia e di depenalizzazione degli illeciti, che - per il reato di mancata indicazione del nome del committente responsabile su determinate pubblicazioni di propaganda elettorale, commesso in occasione di elezioni amministrative - sia previsto un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello, invocato come tertium comparationis, disposto per la corrispondente condotta tenuta in occasione di elezioni politiche.
La seconda decisione - resa in tema di cause di ineleggibilità nel sistema adottato nella Regione Valle d’Aosta per le elezioni a sindaco e a vicesindaco - adotta la stessa ratio che aveva condotto alla dichiarazione di illegittimità di un’analoga norma statale, ritenendo contrastante con il principio di eguaglianza-ragionevolezza l’aver riservato un trattamento diverso e più gravoso, cioè l’ineleggibilità, ad una circostanza impediente (l’essere cioè congiunto di un appaltatore del Comune) di minor peso rispetto a quella (di appaltatore in proprio) che dava, invece, luogo a semplice incompatibilità in base alle stesse norme.
4.2.->Il Parlamento - L’immunità per i voti e le opinioni (art. 68 Cost.)
La Corte ha confermato, al fine dell’immunità, la necessità di un "nesso funzionale" tra l’attività parlamentare e le opinioni espresse da membri del Parlamento al di fuori della sede propria (delle attività parlamentari); ed ha ribadito che non possono ritenersi coperte dalla garanzia prevista dall’art. 68 della Costituzione le dichiarazioni rese da un parlamentare, nel corso di un programma televisivo, del tutto al di fuori di un’attività funzionale riconducibile alla qualità di membro della Camera, dovendosene escludere ogni carattere divulgativo di opinioni espresse in Parlamento e non potendo avere rilievo altri atti compiuti dallo stesso deputato, privi di una precisa relazione di contenuto con le dichiarazioni incriminate (sentenza n. 289). Né la prerogativa parlamentare può essere riferita a comportamenti materiali, tipo quelli qualificati come resistenza a pubblico ufficiale (sentenza n. 137).
4.3.->I princìpi sul pubblico impiego(art. 97 Cost.)
E’ stata dichiarata non fondata la questione della compatibilità tra esercizio della professione forense e condizione di pubblico dipendente in regime di tempo parziale, nella quale venivano in evidenza i princìpi dell’integrità ed effettività del diritto di difesa del patrocinato, e quelli di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, nonché di eguaglianza tra professionisti (sentenza n. 189).
La Corte, nel rigettare la questione proposta dal Consiglio nazionale forense, ha tra l’altro sottolineato come la norma liberalizzatrice dev’essere inscritta in un contesto in cui, da un lato, la disciplina del tempo parziale nel pubblico impiego, quale in concreto disegnata dal legislatore, va certamente nella direzione di promuovere il valore dell’efficienza della pubblica amministrazione, e dall’altro, in modo tutt’altro che irragionevole, tende a favorire l’accesso alla libera professione (ossia ad un àmbito del mercato del lavoro che è naturalmente concorrenziale per tutti i soggetti in possesso dei prescritti requisiti); ciò tanto più considerando l’evoluzione normativa in atto (d.lgs. n. 96 del 2001), riguardante proprio l’attività forense, finalizzata a consentire l’esercizio permanente della stessa attività da parte degli avvocati che siano cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea.
In tema di giurisdizione, è stata confermata la legittimità della disposizione che espressamente ricomprende tra le controversie relative ai rapporti di lavoro devolute al giudice ordinario anche quelle concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali (sentenza n. 275).
Osserva la Corte che la scelta del legislatore di fondare e modellare tutti i rapporti di lavoro dei dipendenti della amministrazione pubblica, compresi i dirigenti (per i quali è scomparsa ogni differenziazione relativa alla dirigenza generale), secondo il regime di diritto privato, è coerente con l’affidamento, in base ad una esigenza di unitarietà della materia, delle relative controversie di lavoro alla giurisdizione del giudice ordinario e si inquadra nella tendenza di rafforzare la effettività della tutela giurisdizionale, in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso una migliore distribuzione delle competenze e delle attribuzioni giurisdizionali.
La Corte non ha mancato, poi, di ribadire il limite di applicabilità del principio di buon andamento dei pubblici uffici, il quale non può riferirsi all’attività giurisdizionale in senso stretto, bensì soltanto all’organizzazione e al funzionamento dell’amministrazione della giustizia (sentenza n. 115).
4.4.->Gli organi ausiliari: la funzione di controllo della Corte dei conti(art. 100 Cost.)
La Corte, a tutela delle specifiche attribuzioni di controllo della Corte dei conti ed accogliendo il ricorso dell’organo contabile, ha annullato la disposizione contenuta in un decreto legislativo delegato, con il quale - al di fuori della delega conferita dalla legge - il Governo aveva inciso, riducendone l’àmbito, in materia di controllo (spettante alla stessa Corte dei conti) sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (sentenza n. 139).
4.5.->Il rapporto tra competenze statali e competenze regionali (o provinciali).
La materia risentirà in futuro delle modifiche al titolo V, parte seconda della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, approvata dal recente referendum popolare del 7 ottobre 2001. Le richiamate decisioni sono tutte anteriori alla entrata in vigore delle predette modifiche.
Circa la questione delle indebite interferenze nelle competenze provinciali derivanti da atti regolamentari dello Stato, la Corte – in continuità con una linea giurisprudenziale di salvaguardia di tali competenze (siano esse regionali o provinciali) nei confronti dell’attività dell’esecutivo – ha giudicato illegittima la previsione di legge riguardante un illimitato (riferibile cioè a tutto l’àmbito delle rispettive competenze e non circoscritto alle norme tecniche) obbligo di conformazione alla normativa secondaria statale, posto a carico delle Province autonome (sentenza n. 84). Ed ha riaffermato che non può essere consentita l’emanazione di atti ministeriali che invadano le funzioni amministrative riservate alla competenza regionale e provinciale, lasciando a quest’ultima soltanto lo spazio per la mera esecuzione, contraddicendo quindi i canoni che devono informare il rapporto tra la legislazione statale e quella regionale e provinciale (sentenza n. 272).
La Corte ha invece respinto un altro ricorso per conflitto sollevato dalla Provincia di Bolzano, ritenendo che i controlli effettuati dal Comando dei carabinieri (NAS di Trento) presso gli ospedali di Bolzano e Brunico, non costituissero una illegittima invasione delle attribuzioni spettanti alla Provincia di Bolzano in tema di vigilanza e controllo sull’attività amministrativa e finanziaria degli enti sanitari e ospedalieri (sentenza n. 97).
4.6.->I limiti alla potestà legislativa regionale.
Si è già detto del principio unitario sancito dall’art. 5 della Costituzione. Altro limite inderogabile alla potestà legislativa regionale (operante anche nei confronti delle autonomie speciali) è costituito dalla riserva in via esclusiva alla legislazione statale di determinate materie, sicché non può essere consentito che sulle stesse materie legiferino le Regioni. Così, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione Siciliana che aveva istituito un Comitato regionale per la sicurezza, disponendo dunque nella materia dell’ordine e della sicurezza pubblica, con attività che il Presidente della stessa Regione può svolgere solo a mezzo della Polizia dello Stato e non attraverso organi o uffici regionali (sentenza n. 55).
Di contro, è stata ritenuta conforme alle direttive della legge di delegazione, la scelta compiuta dal legislatore delegato di conferire ai Comuni le funzioni e i compiti amministrativi - già di competenza del questore - relativi al rilascio delle licenze concernenti le agenzie di affari, poiché in questo caso non può dirsi che l’interesse alla sicurezza e all’ordine pubblico assuma, rispetto allo sviluppo delle comunità locali, un rilievo talmente preminente da imporre, quale soluzione costituzionalmente obbligata, che le funzioni e i compiti in materia siano attribuiti non all’autorità locale, ma a quella di pubblica sicurezza (sentenza n. 290). La stessa decisione ha sottolineato come debba escludersi che ogni potestà amministrativa in campo economico debba essere necessariamente posta sotto la tutela di quest’ultima autorità.
4.7.->L’ordinamento degli enti locali.
La Corte ha riconosciuto alla Regione Friuli-Venezia Giulia, nell’esercizio della sua discrezionalità legislativa in tema di "ordinamento degli enti locali", il potere di disporre, oltre che della istituzione di altri enti locali non necessari (quali sono le comunità montane), anche del potere speculare della relativa soppressione, una volta ritenuta l’inutilità della loro sopravvivenza ai fini per i quali siano stati istituiti: non sussiste, infatti, un principio generale dell’ordinamento o una norma fondamentale che precluderebbe alla Regione un simile potere (sentenza n. 229). Così, ancora, è stato ritenuto che rientra nelle competenze della Regione Sardegna l’istituzione di nuove province nel suo territorio, nei limiti derivanti dalla Costituzione e dai princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, alla luce della riforma statutaria introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1993, e in virtù della capacità derogatoria delle norme statutarie speciali rispetto alla generale disciplina dettata dall’art. 133, primo comma, della Costituzione per le regioni di diritto comune (sentenza n. 230).
4.8.->Il principio collaborativo tra Stato e regioni.
Il consolidato principio di una doverosa e "leale collaborazione" tra Stato ed enti regionali (o provinciali) esige "procedimenti non unilaterali", che contemplino la partecipazione della Regione interessata, nel corso di determinate procedure (sentenza n. 288), nella forma della "intesa" (sentenza n. 342) o comunque di interventi consultivi.
A conferma di ciò sta la dichiarazione di illegittimità costituzionale di un decreto legislativo adottato senza che fosse stato previamente acquisito il parere della Regione Veneto in ordine all’attivazione del potere in via sostitutiva del Governo nei confronti della Regione medesima, inadempiente rispetto ad interventi legislativi cui essa era tenuta (sentenza n. 110); nonché della previsione di un atto di indirizzo e coordinamento governativo adottato senza la particolare procedura prescritta, la quale esige la consultazione degli enti regionale e provinciali per la Regione Trentino-Alto Adige (sentenza n. 314). Ancora, è stato pronunciato l’annullamento di atti governativi impugnati per conflitto di attribuzione, a cagione sia della rilevata mancanza della prevista consultazione delle Regioni interessate nella procedura di adozione dell’atto medesimo (sentenza n. 179), sia della inosservanza della procedura di "intesa" o in contraddittorio con la Provincia ricorrente (sentenza n. 313).
Vale ancora ad inficiare la validità dell’atto legislativo statale il fatto che nella definitiva sua adozione il Governo si sia discostato dalla intesa pur raggiunta (in questo caso, nell’àmbito della Conferenza Stato-Regioni) e non abbia poi motivato specificamente sulla difformità dal testo dell’intesa (sentenza n. 206).
4.9.->La libera circolazione fra le Regioni(art. 120 Cost.).
A conferma della inderogabilità del principio della libera circolazione di persone e cose fra le Regioni, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la norma della legge della Valle d’Aosta che poneva la condizione della localizzazione nel territorio regionale per la partecipazione delle imprese ad appalti di lavori pubblici; condizione ritenuta irragionevolmente discriminatoria a danno dei soggetti aventi sede e organizzazione stabile fuori del territorio regionale (sentenza n. 207).
4.10.->La "irresponsabilità" per le opinioni e i voti dei consiglieri regionali (art. 122 Cost.)
In sintonia con la linea giurisprudenziale cui sopra si è fatto ampio riferimento, emersa nei casi dei conflitti (tra poteri) tra autorità giudiziaria e assemblee parlamentari, la Corte ha definito un conflitto determinato dall’atto propulsivo di un procedimento penale a carico di un consigliere regionale (della Regione Veneto) per le dichiarazioni rese dallo stesso ad un organo di informazione (sentenza n. 76). Nel respingere il ricorso della regione, la Corte ha chiarito che non può essere invocata la garanzia costituzionale della "irresponsabilità" per le opinioni espresse e i voti dati dai consiglieri regionali nell’esercizio delle loro funzioni, sancita dall’art. 122, quarto comma, della Costituzione, quando risulti evidente la valenza esclusivamente "politica" delle opinioni espresse, del tutto avulse dalle funzioni consiliari e da qualsiasi atto tipico relativo a tali funzioni, neppure indirettamente evocate.
Viceversa, possono dirsi coperte dalla garanzia della insindacabilità, ai sensi della stessa disposizione costituzionale, le affermazioni che rappresentino una illustrazione, in chiave divulgativa, di quanto ha formato oggetto di un atto tipico delle funzioni esercitate dal consigliere regionale, anche in ragione della contestualità degli atti (sentenza n. 276).
Non trova, in ogni caso, copertura costituzionale, e non può quindi essere ammessa un’estensione ai consigli regionali della deroga alla giurisdizione contabile, qual è sancita nei confronti delle Camere del Parlamento, data la riconosciuta non assimilabilità delle assemblee elettive regionali alle assemblee parlamentari (sentenza n. 292).
5. - I PRINCÌPI SULLA GIURISDIZIONE E SUL PROCESS>
5.1.->L’interesse alla speditezza del procedimento giudiziario
Chiamata a risolvere un conflitto tra poteri dello Stato, che vedeva contrapposte la Camera dei deputati e l’autorità giudiziaria, nel quale veniva in evidenza il delicato bilanciamento dei valori, di pari rango costituzionale, dell’interesse alla speditezza del procedimento giudiziario e dell’interesse dell’Assemblea parlamentare allo svolgimento delle sue attività, la Corte - accogliendo il ricorso della Camera dei deputati ed annullando i singoli e contestati provvedimenti del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano (per aver questo affermato in termini generali, e senza la concreta valutazione del contingente impedimento, la priorità di un interesse costituzionale rispetto ad un altro) - ha riconosciuto il pari valore dell’interesse del Parlamento, ma non la sua assolutezza, come era nelle richieste della ricorrente, escludendo nel contempo la configurabilità di possibili regole derogatorie del diritto comune (sentenza n. 225).
5.2.> La terzietà e l’imparzialità della giurisdizione.
In applicazione di princìpi ormai consolidati, e in particolare di quelli relativi alle norme sull’incompatibilità del giudice, aventi la funzione di presidiare i valori costituzionali della terzietà e dell’imparzialità della giurisdizione, la Corte ha nuovamente inciso sull’art. 34, comma 1, del codice di procedura penale, dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudice dell’udienza preliminare del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto (sentenza n. 224). Si ribadisce, così, la necessità di evitare il pericolo che le valutazioni demandate al giudice dell’udienza preliminare siano (o possano anche solo apparire) condizionate dalla cosiddetta «forza della prevenzione», e cioè dalla naturale propensione a tenere fermo il giudizio precedentemente espresso in ordine alla medesima res iudicanda.
5.3.> I diritti dell’imputato.
Sono state dichiarate non fondate le questioni riferite all’art. 438 del codice procedura penale, in ordine ai poteri del giudice e del pubblico ministero nella fase introduttiva del giudizio abbreviato, in particolare dopo le modifiche dell’originaria disciplina introdotte dalla legge n. 479 del 1999, la quale ha inciso profondamente sulla disciplina di tale rito anche a séguito di interventi della giurisprudenza costituzionale e degli inviti al legislatore a superare la rilevata «distonia dell’istituto con i princìpi costituzionali» (sentenza n. 115). In particolare, la Corte ha escluso la configurabilità di una irragionevole discriminazione tra le parti nella mancata attribuzione all’organo dell’accusa di uno specifico potere di iniziativa probatoria onde «controbilanciare» il diritto dell’imputato al giudizio abbreviato, poiché la posizione del pubblico ministero risulta caratterizzata dal ruolo svolto nelle indagini preliminari e dall’assolvimento del dovere di compiere tutte le attività necessarie in vista delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, oltre che dal diritto all’ammissione della prova contraria.
Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 302 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che le misure cautelari coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle interdittive, perdano immediatamente efficacia ove il giudice non proceda all’interrogatorio entro il termine previsto (dall’articolo 294, comma 1-bis), la Corte sottolinea - richiamando i propri precedenti sul tema - l’identità di funzione dell’interrogatorio con riguardo a tutte le misure cautelari personali, custodiali e non, poiché tutte limitano la libertà della persona, incidendo negativamente sulla sua attività di lavoro e sulla vita sociale, e dunque identica deve essere la sanzione processuale quando non si ottemperi all’interrogatorio nel termine prescritto (sentenza n. 95).
Documenti correlati:
LEGGE COSTITUZIONALE 31 gennaio 2001, n. 2 - Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
LEGGE COSTITUZIONALE 18 ottobre 2001, n. 3 - Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione; v. anche la pagina di approfondimento*.
Vassalli, Relazione sull'attività della Corte Cost. nel 1999
Granata, Relazione sulla attività della Corte Cost. nel 1998