VIVIANA FOX
Annullamento degli atti di gara ed invalidità del contratto d’appalto
(note a margine di TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I – Sentenza 28 gennaio 2003 n. 394)
1.- Con la pronuncia in rassegna il TAR di Bari interviene nel dibattito, assai vivo in dottrina e in giurisprudenza, incentrato sulle ripercussioni derivanti dalla caducazione degli atti di gara a carico della validità ed efficacia del contratto d’appalto.
Come noto, due distinti orientamenti [1] si fronteggiano quanto a qualificazione della categoria di invalidità che, in conseguenza del venir meno del presupposto pubblicistico, attinge il conseguente rapporto convenzionale.
Da un lato, si sostiene la
sussumibilità della patologia del contratto nello schema tipico
dell’annullabilità relativa ex art. 1441 cod. civ.; dall’altro si propende per
la nullità del vincolo negoziale e per la conseguente soggezione dello stesso al
regime contemplato dagli artt.
La pronuncia in commento, come si vedrà, si allinea con la corrente che afferma l’invalidità radicale ed assoluta del contratto, muovendo, tuttavia, da un’angolazione prospettica originale che ricollega alla caducazione degli atti della procedura il venir meno del fondamento consensuale indefettibilmente presupposto alla permanenza in vita del vincolo negoziale.
Tanto induce ad anteporre ad ogni altra considerazione una schematica ricostruzione degli orientamenti tradizionali.
2.- La tesi che afferma l’annullabilità relativa del contratto (ex art. 1441 cod. civ.) caratterizza, in misura pressoché univoca, la giurisprudenza del Giudice civile [3].
Gli argomenti su cui si fonda tale orientamento, oggetto di specifici rilievi critici nel contesto della pronuncia in rassegna, sono esaurientemente illustrati in Cass., Sez. II, 8.5.1996 n. 4269 [4].
In particolare, vi si afferma che gli atti amministrativi adottati nel contesto della procedura di evidenza pubblica, che precedono la stipulazione dei contratti jure privatorum della p.A., “non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico, sicché i loro vizi, traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l’annullabilità del contratto, deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente” (cfr. Cass., 4269/1996 cit.).
I sostenitori della tesi dell'annullabilità, conforme all’interesse dell'Amministrazione, ritengono che tale soluzione sia quella più idonea ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, atteso che, diversamente, aderendo all’orientamento della nullità assoluta, qualunque terzo escluso dall'aggiudicazione potrebbe far valere, anche a distanza di tempo la invalidità radicale del contratto, travolgendone gli effetti [5].
Sul piano delle conseguenze concrete, ancor più che su quello del fondamento dogmatico, la tesi in esame suscita perplessità.
Difatti, la possibilità di far valere in giudizio o di eccepire l’invalidità del contratto competerebbe alla sola Amministrazione, nel cui interesse esclusivo la normativa sull'evidenza pubblica è predisposta.
In tal caso si giungerebbe al paradosso che, ove l'Amministrazione abbia aggiudicato lo stesso contratto a terzi e abbia richiesto in giudizio all’AGO (cui spetta la competenza a sancirne giudizialmente l'annullamento) la sua caducazione, penderebbero contemporaneamente due rapporti contrattuali aventi il medesimo oggetto.
Inoltre, l'Amministrazione, convenuta in giudizio innanzi all’AGO per l'esecuzione del contratto (ad istanza del concorrente risultato aggiudicatario sulla scorta della procedura poi annullata dal G.A.), potrebbe giustificare il suo inadempimento eccependo l'annullabilità del contratto, e, viceversa, potrebbe agire in giudizio per l'esecuzione del contratto di cui non abbia chiesto l'annullamento, perché la controparte non sarebbe legittimata ad eccepirne l'annullabilità.
3.- La tesi della invalidità radicale viene argomentata, in prevalenza, con riferimento al primo comma dell’art. 1418 cod. civ., che sanziona con la nullità il contratto contrario a norme imperative.
Il percorso argomentativo seguito dalla corrente giurisprudenziale in esame muove da una analisi critica della teoria dell’annullabilità dianzi illustrata, evidenziando la riduttività di una concezione che – riducendo gli atti della procedura concorsuale a meri “mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico” [6] – non considera la pregnanza dei profili di interesse pubblico che la normativa sull’evidenza pubblica si propone di salvaguardare.
Si è dunque evidenziato che l’invalidità che inficia il contratto stipulato con il privato contraente deriva dalla violazione di norme di azione dell’Amministrazione disciplinanti il procedimento di evidenza pubblica. Le norme che prescrivono il modo della scelta del contraente esprimono, di riflesso, un divieto di stipulare con soggetti che non siano stati legittimamente selezionati e non siano riusciti legittimamente vincitori nella pubblica selezione.
E’ noto che la riferita normativa
sull’evidenza pubblica è diretta - attraverso la salvaguardia della par
condicio tra i concorrenti - ad assicurare i fondamentali valori di
imparzialità e di efficienza-efficacia dell’azione amministrativa (articolo 97
Cost.), nonché di tutela della effettività della concorrenza (articoli 2, 3,
par. 1, lettera g,
Su tali basi si è dunque concluso
per la sussumibilità della patologia del contratto nello schema della nullità,
richiamando l’insegnamento giurisprudenziale alla cui stregua “la nullità
diventa uno strumento di controllo normativo utile a non ammettere alla tutela
giuridica interessi in contrasto con i valori fondamentali del sistema e si
differenzia dalla annullabilità, non solo perché l’atto è difforme dallo schema
legale e pregiudica gli interessi del suo autore, ma perché mette a rischio i
valori preminenti della comunità, il cui contrasto costituisce la regione
dell’impedimento che l’ordinamento oppone alla efficacia giuridica tipica degli
atti”, sicché “a tale stregua il compimento dell’atto contro il divieto legale
genera ipotesi di nullità, cd. virtuali, proprio perché non necessitano di
espresse comminatorie di legge – a fronte di quelle testuali dei commi
Ne consegue l’applicabilità del
regime normativo di cui agli artt.
4.- Ad analoghe conclusioni perviene la pronuncia in commento.
Va tuttavia rilevato come il TAR Bari pervenga alla qualificazione della patologia del contratto (in termini di nullità) sulla base di un differente itinerario argomentativo, ritenendo che l’annullamento degli atti di gara configuri ipotesi di carenza originaria del consenso della p.A. all’assunzione del vincolo negoziale, con conseguente radicale ed assoluta invalidità di quest’ultimo alla stregua dell’art. 1418, comma 2, cod. civ.
La fattispecie esaminata dal Giudice attiene all’impugnativa dell’atto di nomina della Commissione giudicatrice di una gara d’appalto, illegittimamente costituita in violazione dei criteri stabiliti dall’art. 21, l. n. 109/1994, e di tutti gli atti successivi, inficiati per derivationem dai vizi dell’atto presupposto, fino all’aggiudicazione. La ricorrente ha altresì espressamente invocato la declaratoria di nullità del contratto d’appalto medio tempore stipulato tra le parti.
Il TAR ha ritenuto fondate le doglianze sulla composizione dell’Organo tecnico collegiale, statuendo l’annullamento dell’intera procedura concorsuale a partire dall’atto di nomina (con conseguente obbligo conformativo della stazione appaltante di rinnovare la gara previa designazione di una Commissione regolarmente composta) e dichiarando conseguenzialmente nullo il vincolo negoziale insorto.
In relazione alla patologia derivante, a carico del contratto, dall’annullamento degli atti della procedura di evidenza pubblica, il TAR ha concluso per la sussistenza di un vizio genetico del consenso sub specie di difetto di idoneo accordo delle parti.
Tale qualificazione della patologia si fonda sulla constatazione secondo cui “la procedimentalizzazione della scelta del contraente ed il suo coordinamento a profili di interesse pubblico in ordine all’acquisizione della migliore offerta contrattuale, configurano una fattispecie complessa, nella quale convergono meri atti, operazioni materiali, provvedimenti, dichiarazioni di volontà del privato, e del quale la stipulazione del contratto rappresenta l’effetto finale.
Ne consegue che l’invalidità di atti della serie procedimentale che incidano sulla legittimità dell’aggiudicazione non consentono alla suddetta fattispecie di conseguire il proprio perfezionamento giuridico, ed in primo luogo di determinare l’idem consensus (ovvero l’accordo) che costituisce elemento essenziale di ogni contratto.
E’ noto che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo difetto genetico originario, produce la nullità del contratto e non la semplice annullabilità, ai sensi dell’art. 1418 comma 2 cod. civ. (a tale fenomenologia si riferisce Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281)”.
Inoltre, il TAR Bari, anche in ciò manifestando originalità di vedute, ha desunto da recenti disposizioni speciali di settore rilevanti elementi interpretativi a sostegno della tesi della nullità.
Si è evidenziato, infatti, come l’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002, nell’introdurre, in relazione alle sole infrastrutture strategiche di interesse nazionale, un regime processuale speciale caratterizzato dalla espressa esclusione della portata automaticamente caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione rispetto al contratto d’appalto, implicitamente “consacra, a contrario, per il suo valore di disposizione derogatoria ed eccezionale, la regola del travolgimento del contratto d’appalto in ipotesi di annullamento dell’aggiudicazione”.
La soluzione propugnata dal TAR Bari, non diversamente da quanto sostenuto dai fautori della tesi della nullità ex art. 1418 comma primo cod. civ., sottende condivisibilmente la considerazione dell’incidenza della illegittimità della scelta del contraente su primari interessi pubblici coinvolti nella procedura di evidenza pubblica. Tuttavia, piuttosto che rilevare la contrarietà del contratto rispetto a norme imperative, enfatizza la portata distorsiva, rispetto alla formazione della volontà dell’Ente, della violazione delle regole che presiedono allo svolgimento della procedura concorsuale, facendone derivare la deficienza genetica di una idonea manifestazione di consenso da parte della stazione appaltante.
Tale orientamento, peraltro, non lascia spazio ai timori di quanti paventano, quale conseguenza della qualificazione della patologia del contratto in termini di nullità, la compromissione della certezza nei rapporti giuridici.
Difatti, l’effetto automaticamente caducante riverberante sul contratto dall’annullamento dell’aggiudicazione non può che conseguire alla proposizione di un gravame entro i ristretti termini decadenziali tipici del giudizio impugnatorio; gravame riservato, oltretutto, unicamente al ristretto novero dei soggetti legittimato, secondo le rigorose regole del processo amministrativo in tema di legittimazione ed interesse, alla impugnazione degli atti di gara.
[1] Ai quali, invero, si affianca l’opinione di autorevole dottrina, priva di riscontri in giurisprudenza, che afferma l’inefficacia del vincolo negoziale ex art. 1398 cod. civ. (A.M. Sandulli, Spunti sul regime dei contratti di diritto privato dell’amministrazione, in Foro It., 1953, pagg. 149 ss). Per un approfondimento di tale orientamento si rinvia al perspicuo contributo di M. Monteduro, Illegittimità del procedimento ad evidenza pubblica e nullità del contratto d’appalto ex art. 1418 comm 1 c.c.: una radicale <<svolta>> della giurisprudenza tra luci ed ombre, in Foro amm., 2002, pagg. 2591 ss).
[2] A tale orientamento si ritiene debbano ricondursi le numerose pronunce del Giudice Amministrativo che, prescindendo dalla qualificazione dell’invalidità del contratto, attribuiscono all’annullamento dell’aggiudicazione effetto automaticamente demolitorio a scapito del rapporto negoziale medio tempore insorto tra le parti. Invero, l’affermazione secondo cui “l’annullamento (giurisdizionale o in via di autotutela) dell’aggiudicazione fa in ogni caso venir meno il vincolo negoziale determinatosi con l’adozione del provvedimento rimosso” (Cons. St., Sez. VI, 14.1.2000, n. 244; in termini Cons. St., Sez. VI, 19.12.2000, n. 6838; Sez. V, 25.5.1988, n. 677), depone nel senso della riconduzione della patologia del contratto alla categoria concettuale della nullità assoluta.
[3]
Con rare eccezioni, quale quella rappresentata da Cass., Sez. III, 9.1.2202,
n. 193, laddove si afferma che “il venir meno della deliberazione
attraverso cui si è espressa la volontà dell’ente conduttore rende nullo il
contratto per assenza del requisito dell’accordo tra le parti (art. 1325 n.
[4] In termini: Cass. Civ., Sez. I, 17.11.2000, n. 14901; id., Sez. I, 28.3.1996, n. 2842, id., Sez. II, 21.2.1995, n. 1885.
[5] Cfr. Poli V., Principi generali e regime giuridico dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, Relazione presentata al IV Coloquio entre el Consejo de Estado de Italia y el Tribunal Supremo de Espana sobre: "Contratos, adjudicationes y concesiones de la Administraciòn Pùblica", Madrid, 1 - 4 giugno 2002, in giustizia-amministrativa.it, 2002.
[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 4269/1996 cit.
[7] Così TAR Campania – Napoli, Sez. I, n. 3177/2002.
[8] Cass. Civ, Sez. I, 6 aprile 2001 n. 5114.