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Articoli e note
n. 1-2003.

LUIGI OLIVERI

Problemi di costituzionalità dell'articolo 24 della legge 289/2002

In precedenti contributi [1] si è già avuto modo di osservare che lo Stato, con l'articolo 24 della legge 289/2002, ha abilmente individuato un sistema per legiferare, con forza vincolante, in una materia (quella delle acquisizioni di beni e servizi) non assegnata né alla sua potestà normativa esclusiva, né concorrente.

Si è in proposito fatto ricorso ad un'interpretazione estensiva della potestà ad emanare leggi di principio e coordinamento della finanza pubblica e della competenza del Governo a tutelare l'unità economica, derivante dal combinato disposto degli articoli 117, comma 4, 119, comma 2 e 120, comma 2, della Costituzione.

L'operazione appare ben costruita e solida, tale da poter superare con buone possibilità un eventuale vaglio di legittimità costituzionale.

Tuttavia, rimangono da risolvere i problemi di compatibilità con la Costituzione che pone l'articolo 24 (così come, in parte, anche la disciplina sulle assunzioni) della legge finanziaria.

Si è detto, infatti, che alla base della disciplina della legge 289/2002 risiede un'interpretazione estensiva della potestà legislativa di principio e coordinamento che se passasse come regola costituita e generale porrebbe quasi nel nulla l'impatto della legge costituzionale 3/2001, dal momento che lo spazio normativo delle regioni e degli enti locali risulterebbe sostanzialmente lo stesso (se non, per certi versi, inferiore) a quello da loro posseduto nel precedente regime costituzionale.

Risulta chiaro che un vaglio di legittimità costituzionale di tale norma (così come dell'articolo 35 della legge finanziaria per il 2002, la legge 448/2001) può dare al “federalismo” un peso molto diverso, a seconda che si riconosca effettivamente allo Stato un potere normativo sostanzialmente slegato dai limiti pure previsti dall'articolo 117, commi 2 e 3.

Ora, adottando una chiave di lettura orientata sulle rivendicazioni normative che potrebbero porre in essere le regioni e, dunque, rigettando l'interpretazione estensiva dell'articolo 120 della Costituzione, l'articolo 24 della legge finanziaria, in effetti, pone non pochi problemi di legittimità costituzionale.

Infatti, negando la possibilità al Parlamento di legiferare sulla materia delle gare per l'acquisizione di beni e servizi, l'intero impianto dell'articolo 24 rischia di non reggere.

In effetti, la disciplina delle acquisizioni di appalti, servizi e forniture è da ascrivere alla potestà normativa generale, residuale ed esclusiva delle regioni. Questo è un dato che si evince dall'articolo 117 della Costituzione, superabile solo con interpretazioni sistematiche che attribuiscano  al potere di coordinamento una valenza che vada oltre le materie di legislazione concorrente, il che rappresenta un chiaro problema di coerenza interpretativa.

Ora, l'articolo 24 mira ad autolegittimarsi dal punto di vista costituzionale, esordendo con un chiarimento: la disciplina in esso contenuta è fondata da “ragioni di trasparenza e concorrenza”.

L'articolo 24, dunque, individua la materia che la Costituzione assegna alla potestà legislativa, per altro esclusiva, dello Stato, la tutela della concorrenza. Già questa autolegittimazione potrebbe, dunque, eliminare ogni incertezza sulla legittimità della disposizione.

Tuttavia, qualche dubbio permane. Infatti, la norma pur qualificandosi come disposizione mirata a tutelare la concorrenza, in realtà non ha un chiaro contenuto relativo a tale materia.

Infatti, agisce per lo più sulle procedure di gara, prevedendo che si applichino le procedure comunitarie anche per le acquisizioni di beni e servizi di valore superiore ai 50.000 euro.

La limitatezza della previsione appare chiara. Infatti, al di sotto di tale pur ragguardevole soglia, sembra che non vi siano, allora, ragioni di trasparenza e concorrenza da tutelare.

Ma, soprattutto, l'articolo 24 non introduce alcuna nuova regola di tutela o esaltazione della concorrenza, essendosi limitato ad estendere una regolamentazione mirata alla massima partecipazione alle gare mediante una maggiore trasparenza e strutturazione delle procedure di gara. Insomma, non è con l'estensione di gare strutturate in base alla normativa comunitaria o con l'introduzione di regole più restrittive per la trattativa privata che si tutela la concorrenza.

Anche perchè l'articolo 24 nasconde in sé disposizioni che, a ben vedere, appaiono contrarie proprio a tale obiettivo.

Intanto, il disinteresse per le gare al di sotto dei 50.000 euro. Ma, soprattutto, due eccezioni molto pesanti alla regola “di tutela”.

La prima è l'esenzione dall'applicazione delle regole poste dall'articolo 24 per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. L'effetto di tale esenzione è permettere a ben 7.000 e più stazioni appaltanti un regime differenziato che non può non incidere sulla composizione dello stesso mercato. E', infatti, possibile che si differenzino imprese specializzate nelle gare per enti locali di piccole dimensioni, da imprese in grado di concorrere su un mercato più ampio. Ma lo scopo della tutela della concorrenza non consiste nel creare nicchie, per altro di economia debole. Al contrario, l'obiettivo finale dovrebbe consistere nell'allargare il mercato. Anche per permettere al comune con meno di 5.000 abitanti di valersi di una concorrenza nel mercato più favorevole, dal momento che questi enti sono quelli in genere meno floridi dal punto di vista economico.

Seconda e ben più problematica eccezione, è l'esenzione dall'applicazione dell'articolo 24 per le amministrazioni che facciano ricorso alle convenzioni con la Consip (del resto ovvia: se si utilizza la Consip, non si fanno gare).

Ora, il sistema delle acquisizioni tramite le convenzioni Consip, soggetto, oltre tutto, legittimato a svolgere compiti di stazione appaltante per conto delle amministrazioni pubbliche, di certo non facilita la concorrenza nel mercato, visto che riduce sensibilmente le possibilità di partecipazione a gare pubbliche, da un lato, ed impone forzosamente un prezziario, in quanto i prezzi delle convenzioni Consip (frutto di ribassi in gare pubbliche) debbono costituire base di gara, nei casi in cui le amministrazioni procedano al di fuori dalle convenzioni medesime. Tale disposizione tutto sembra tranne che una norma tendente a favorire il mercato. Al contrario, è una disposizione che ha come fine non certo l'estensione del mercato, ma una sua limitazione o, quanto meno, un forte “orientamento”, in favore di un legittimo obiettivo di contenimento della spesa pubblica.

Inoltre, l'articolo 24 contiene un'eccezione ancora più ampia, in quanto il comma 9 stabilisce che le disposizioni contenute nei commi 1,2 e 5, costituiscono norme di principio e di coordinamento.

E' qui che si ricava una contraddizione, per la verità insanabile. Infatti, fin qui si è analizzata la norma a partire dalla sua autoqualificazione di regolamentazione di una materia appartenente alla potestà normativa esclusiva dello stato, la tutela della concorrenza.

La medesima norma, però, nel suo ultimo comma, si qualifica, invece, come di principio, nei confronti, per altro, proprio dei soggetti giuridici dotati della potestà normativa piena ed esclusiva, nella materia delle acquisizioni di beni e servizi, le regioni.

Ma se l'intervento normativo dell'articolo 24 è fondato sulla materia della tutela della concorrenza, allora non è un principio, ma una regolamentazione che si applica immediatamente e direttamente alle regioni.

Al contrario, se si tratta di un principio, allora non si applica a nessun ente che non sia lo Stato o altro ente pubblico nazionale, se le regioni non abbiano adottato una legge che attui detto principio.

Ma, ancora, poiché la materia degli appalti appartiene alla potestà legislativa esclusiva delle regioni, queste potrebbero anche non attuare del tutto l'articolo 24 della legge 289/2002, o stabilire una disciplina del tutto diversa. Si tenga conto che le regioni sono importantissime stazioni appaltanti e che nel sistema regione sono da ricomprendere le aziende sanitarie, a loro volta soggetti appaltanti estremamente importanti per il mercato, alle quali, addirittura, l'articolo 24 non è radicalmente applicabile, visto che sotto soglia tali soggetti acquisiscono beni e servizi con contratti di diritto privato ed in regime di diritto privato, qualora abbiano adottato l'atto aziendale, attuando le previsioni di cui all'articolo 3, comma 1-quater, del D.lgs 502/1992.

Le regioni, dunque, potrebbero fondatamente ritenere che l'articolo 24, lungi dall'essere una disposizione che tutela la concorrenza (perchè nel merito potrebbe non essere così qualificata) sia una regolamentazione di principio assolutamente non vincolante, anzi lesiva della propria sfera di competenza legislativa, in quanto negli ambiti della potestà normativa regionale esclusiva la Costituzione non permette imposizioni di principi da parte dello Stato.

Ancora una volta una legge finanziaria apre un possibile fronte di conflitto tra regioni e Stato che attribuisce alla Corte costituzionale un ruolo delicatissimo rispetto alla riforma “federalista” ed al  modello di gestione amministrativa delle amministrazioni pubbliche.


 

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