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Articoli e note
n. 6-2003.

MICHELE ORICCHIO
(Consigliere della Corte dei Conti)

Il punto sulle riforme istituzionali dopo l’approvazione del d.d.l. “La Loggia”

Dopo un iter alquanto travagliato, il 27 maggio scorso è stato approvato in via definitiva dal Senato il disegno di legge (noto come “La Loggia”, dal nome del Ministro proponente), recante “ Disposizioni per l’adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.

Esso mira a disciplinare una serie di problemi lasciati aperti dalla riforma del Titolo V della Costituzione, al fine di ridurre i numerosi (anche se in parte inevitabili) elementi di incertezza che la frettolosa riforma costituzionale condotta in porto nella scorsa legislatura ha lasciato aperti.

L’ampiezza degli ambiti su cui esso interviene con i suoi dodici articoli, ne fa un provvedimento legislativo di attuazione generale di una parte importante della Costituzione: ma accanto a questo indubbio pregio, ciò genera un evidente limite del provvedimento, che sembra talora conservare un linguaggio più consono alle disposizioni costituzionali – con la loro ineludibile genericità – che a quello necessariamente più preciso della legislazione ordinaria.

I punti cardine della legge in esame sono: A) individuazione dei limiti generali alla competenza legislativa statale e regionale; B) delimitazione delle reciproche sfere di competenza concorrente fra Stato e regioni; C) definizione della potestà normativa degli enti locali; D) operatività della normativa comunitaria e del potere estero delle regioni; E) definizione del potere sostitutivo statale ; F) integrazione della disciplina del ricorso alla Corte costituzionale in chiave di garanzia; G) rimodulazione delle forme di rappresentanza dello Stato presso le autonomie; H) riconferma dello regime vigente per le regioni a statuto speciale.

Riservandoci di tornare sulla legge con un esame più approfondito delle innovazioni da essa recate, in questa sede ci interessa fare il punto sullo stato delle riforme istituzionali : infatti, sarebbe logico e ragionevole attendersi, dopo l’approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 e della legge di attuazione della stessa, una pausa di riflessione anche al fine di verificare l’impatto delle novità da esse introdotte con il nostro sistema istituzionale: nulla di tutto questo sembra però accadere.

Sulle pagine di tutti i quotidiani sono sempre più frequenti gli interventi sul nuovo assetto da darsi alla nostra Repubblica e sulle relative iniziative legislative in itinere anche in considerazione del fatto che l’attuale maggioranza parlamentare (forte anche del precedente costituito dall’approvazione della legge 3/2001 da parte della precedente ex maggioranza con soli 4 voti, così rompendosi una ultradecennale prassi parlamentare che voleva le riforme costituzionali sempre approvate a larga maggioranza) ha: 1) approvato in prima lettura la nuova riforma dell’art. 117 della Costituzione (c.d. “devoluzione alle regioni di competenza legislativa esclusiva in materia di sanità, istruzione e polizia locale); 2) approvato in Consiglio dei Ministri la riforma complessiva della riforma del Titolo V° della Costituzione; 3) preannunciato l’imminente varo di disegni di legge relativi alla “Camera delle autonomie “ e alla “Consulta regionalizzata”.

C’è n’è quanto basta per fare inorridire i costituzionalisti e, in genere, coloro che hanno a cuore le sorti delle Istituzioni e far rimpiangere la mancanza di un meccanismo ancora più complesso di quello previsto dall’art.138 per la riforma della Costituzione, atteso che l’odierno sistema elettorale maggioritario ne consente un agevole superamento, rendendo la Carta fondamentale permeabile a questa o a quella maggioranza e pertanto sostanzialmente “flessibile” alla stregua, ad esempio, dello Statuto Albertino.

E’ opportuno dunque fare il punto della situazione e sollecitare i giuristi e l’opinione pubblica ad una maggiore riflessione su tali temi che rischiano di avere rilevanti effetti sulla nostra vita di tutti i giorni e, anche, sulla pressione fiscale cui siamo e saremo inevitabilmente soggetti.

Non va, infatti, dimenticato che il federalismo ha un suo “prezzo” (l’ISAE ha recentemente parlato di ulteriori costi per la collettività di circa 50 miliardi di euro) e che i fautori dell’attuazione di tale sistema nel nostro paese si richiamano spesso agli esempi della Germania e della Spagna, paesi che proprio in questi ultimi tempi stanno ripensando criticamente a tale assetto istituzionale, proprio per gli alti costi indotti, privi di adeguate contropartite in termini di servizi resi ed efficienza della macchina amministrativa.

Inoltre sembra una contraddizione in termini costruire un assetto federale del nostro stato che è già unitario e nel mentre siamo impegnati a costruire uno stato federale (questo sì) europeo : va dunque fermamente contestata l’altra affermazione, soventemente ripetuta, secondo cui la cessione di quote di sovranità statale alle istituzioni europee deve comportare un’analoga cessione agli enti sub-statali : nessuna giustificazione giuridica è stata in tal senso addotta mentre,al contrario, si osserva come la progressiva creazione di uno stato federale europeo fa già di per sé degradare a stati-regione i singoli suoi membri, sicchè ogni ulteriore accentuazione del decentramento comporta un’inutile e costosa moltiplicazione degli apparati politici ed amministrativi e delle fonti di produzione normativa.

E’ in quest’ottica che va correttamente inquadrato anche il recente fenomeno della moltiplicazione dei conflitti di attribuzione fra stato e regioni proposti innanzi alla Corte Costituzionale che è sorto già prima della deprecabile riforma del titolo V° della Costituzione e cioè con le varie leggi c.d. Bassanini che spesso hanno finito, più che per semplificare, per moltiplicare artificiosamente competenze unitarie al fine di ritagliare una nicchia di operatività per qualsiasi ente pubblico preesistente.

Dunque, a meno che non si voglia ritornare alla litigiosa epoca degli “staterelli preunitari”, è quanto mai necessario un sereno, competente ed indipendente esame delle funzioni pubbliche per individuare un preciso, equilibrato e moderno riparto di competenze avendo ben chiaro che, in epoca di globalizzazione, al cittadino interessa molto di più che le funzioni pubbliche siano legittimamente svolte con efficienza, efficacia ed economicità piuttosto che esse siano esercitate dallo Stato o da questo o quell’ente locale.

Tanto chiarito è evidente che anche la sbandierata soppressione delle materie a legislazione concorrente contenuta nel disegno di legge costituzionale di riforma della riforma del titolo V° della costituzione non è risolutiva dell’attuale caos istituzionale: innanzitutto perché vi sono dei “valori” (vedasi ambiente,concorrenza, risorse finanziarie) la cui regolamentazione è attribuita allo Stato che,come insegna la Corte costituzionale, hanno una valenza trasversale capace di incidere su di una molteplicità di materie devolute alle regioni e in secondo luogo perché anche la modifica completa dell’ articolo 117 della Costituzione proposto dall’attuale governo contiene la previsione di una competenza esclusiva statale ad emanare “norme generali” in varie materie (tutela della salute, sull’ alimentazione, sull’istruzione,sulla formazione e ricerca scientifica, sul coordinamento della finanza pubblica, etc.) che altro non è se non una forma di legislazione concorrente, dovendo poi esistere norme “particolari” di competenza regionale.

Ciò a riprova che in certi settori non è concepibile una completa espropriazione dei poteri tipici di un’organizzazione statuale, a meno di non metterne in discussione la sua stessa esistenza, almeno in casi come il nostro in cui ci si trova in presenza di uno Stato di medie dimensioni, densamente popolato e con una secolare tradizione unitaria, cioè in situazioni completamente diverse dal Canada o dagli U.S.A. così spesso e a sproposito citati ad esempio (vedasi relazione governativa al D.D.L. di modifica della riforma del titolo V della Costituzione) !

Le ulteriori preannunciate iniziative di modifiche costituzionali sono certamente coerenti con il nuovo assetto, ma di assai dubbia utilità : intendiamo riferirci alla previsione di una “camera delle autonomie” e di una “Corte costituzionale integrata con giudici regionali” : in disparte la considerazione che gli attuali rispettivi componenti di tali organi certamente non provengono da Roma o, al più, dai castelli romani è evidente l’intento perverso di sostituire a persone che rappresentano ed operano nell’interesse esclusivo della nazione (art. 67 della Costituzione) persone portatori di interessi particolari e/o regionali, peraltro comunque contrastanti con la vera tradizione autonomistica italiana che si identifica solo nell’ente locale Comune.

Nel 1897 il Sonnino in un articolo pubblicato sulla “Nuova Antologia” e intitolato “Ritorniamo allo Statuto” propugnò un’interpretazione in chiave restrittiva dello Statuto Albertino per contenere le istanze innovatrici presenti sul finire dell’ottocento in vari strati della società italiana ed in alcune forze politiche ; a distanza di oltre un secolo, di fronte al profluvio di novità legislative di rango costituzionale realizzate o preannunciate, viene davvero voglia di invocare un “ritorno alla Costituzione” del 1948 e alla forma di moderno stato regionale in essa prefigurato dai previdenti e saggi padri costitituenti!.

E’ certamente una posizione “politicamente scorretta” ma non utopistica, ove si tenga presente le ragionate critiche che le recenti riforme costituzionali (realizzate o preannunciate) stanno suscitando fra tutti gli studiosi: allora anziché perseverare nell’errore, meglio è porvi pronto rimedio !

Del resto, il dubbio che la realizzazione del “federalismo” auspicata da alcune forze politiche abbia dei secondi fini sorge legittimamente ove si consideri la reazione di alcune di esse (altrimenti incomprensibile!) alla prevista introduzione della clausola dell’ “interesse nazionale” nel recentissimo disegno di riforma della riforma del titolo V° della Costituzione.

In tale pericoloso contesto la vera riforma urgente potrebbe allora essere un’altra e molto semplice : un articolo unico di abrogazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del titolo quinto della Costituzione, al fine di consentire una pausa di riflessione sulla sussistenza di un’effettiva e condivisa necessità di trasformare gli assetti della nostra Repubblica, anche in considerazione del grande processo federale europeo in atto, di cui in questi giorni si sta predisponendo la carta fondamentale.

Ne quid res publica detrimenti accipiat!

Documenti correlati:

LEGGE approvata in via definitiva dal Senato della Repubblica il 27 maggio 2003, recante "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" (testo non ancora promulgato o pubblicato nella G.U.).

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE recante "Nuove modifiche al Titolo V, parte seconda, della Costituzione" (testo approvato dal Consiglio dei Ministri dell’11 aprile 2003).

Pagina di approfondimento dedicata alla riforma del Titolo V della Costituzione*.

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