MASSIMO PERIN
Alcune osservazioni in merito alle responsabilità per danno erariale e alle funzioni di controllo della Corte dei Conti previste nello schema del disegno di legge della finanziaria per il 2003
Il disegno di legge relativo alla finanziaria 2003, presentato in questi giorni alla Camera, prevede alcune importanti innovazioni in materia di responsabilità amministrativa e in materia di controlli intestati alla Corte dei Conti.
Orbene, al di là delle strette valutazioni politiche sull’importante documento della manovra finanziaria (la maggioranza sostiene che si tratta di un eccellente provvedimento, l’opposizione intende contrastare la sua approvazione, le parti sociali chiedono maggiori risorse finanziarie, le autonomie lamentano tagli di bilancio etc…), il testo proposto pone un’attenzione particolare sulle responsabilità dei centri di spesa, con particolare riferimento al mondo della autonomie (Regione, Province, Comuni etc…) dove, in caso di violazione del disposto dell’art. 119 della Costituzione, si arriva a prevedere anche una sanzione per gli amministratori.
È noto che nel contesto del processo d’integrazione dell’Unione Europea si assiste alla cd. trasformazione dello Stato in senso federalistico, con un rilievo particolare al mondo delle autonomie, ritenute più vicine ai cittadini e, quindi, più propense, rispetto allo Stato centrale, a soddisfare le loro esigenze e loro aspettative.
A fronte di questa impostazione si avverte, però, l’esigenza di tutelare «l’unità economica della Repubblica» (cfr. art. 16 d.d.l.), in quanto da un lato vi è la necessità di rispettare gli obblighi stringenti assunti in sede europea e dall’altro vi è l’esigenza ineludibile che la spesa pubblica divenga, il più possibile, produttiva con il rispetto dei canoni dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità nelle gestioni pubbliche.
Il processo federativo europeo impone, dunque, di «evitare disavanzi pubblici eccessivi, nonché di attenersi al Patto di stabilità e crescita, che va applicato non solo dallo Stato ma – attraverso il Patto di stabilità interno – anche dalle regioni e dagli enti locali, chiamati ad adeguarsi alla Costituzione fiscale europea» [1].
Poiché l’orientamento di questa legge finanziaria è quello di evitare l’aumento dell’imposizione fiscale, non restava altro da fare che colpire il mondo degli sprechi che, nella pubblica amministrazione, è assai elevato [2]. Per far questo occorre, dunque, prevedere misure forti sul piano delle sanzioni personali a carico di coloro che non si attengono alle regole di una sana gestione economica.
A questo proposito l’art. 16 del d.d.l., relativo al patto di stabilità interno, per gli enti territoriali dispone, al primo comma, che «ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, ciascuna regione a statuto ordinario, ciascuna provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2003 - 2005 adottati con l’adesione al patto di stabilita e crescita, nonché alla condivisione delle relative responsabilità, con il rispetto delle disposizioni di cui ai seguenti commi, che costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione».
Sulla base di questa impostazione è previsto, al comma 12, che le province ed i comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti, presentino un’apposita certificazione al Ministero dell’Interno, firmata dal responsabile del servizio finanziario e corredata del parere del Collegio dei revisori dei conti, da cui risulti se sono stati conseguiti gli obiettivi fissati in materia di disavanzo.
È previsto poi che gli enti che non inviano le certificazioni siano soggetti alle disposizioni di cui al comma 11, le quali comportano che i predetti enti non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e non possono avvalersi di eventuali deroghe in proposito disposte per il periodo di riferimento e, inoltre, non possono ricorrere all’indebitamento per gli investimenti. Gli enti che incorrono nelle disposizioni di cui al comma in parola, la cui natura, indubitabilmente, presenta tratti sanzionatori, sono anche tenuti a ridurre almeno del 10 per cento, rispetto all’anno precedente, le spese per l’acquisto di beni e servizi.
Tutto ciò comporta che le Province e i Comuni che non hanno conseguito gli obiettivi in materia di disavanzo non potranno ricorrere all’indebitamento per le spese d’investimento e dovranno ridurre le spese per acquisti di beni e servizi nella misura almeno del 10 per cento.
Qualora non venisse rispettata questa disposizione sarà inevitabile la sottoposizione degli amministratori a un’azione di responsabilità, da parte della Corte dei Conti, in quanto nella fattispecie la colpa grave è in re ipsa, dal momento che il mancato rispetto di quest’azione obbligatoria di contenimento della spesa pubblica, dispone di un’obbiettiva certezza interpretativa che non consente, in alcun modo, l’interferenza di opinioni soggettive in grado di eludere la sua portata [3].
Al successivo art. 17 è previsto poi, al comma 12, che qualora gli enti territoriali ricorrano all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento (le spese correnti), in violazione dell' articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli.
A tale nullità segue, con evidente fine di deterrenza, che le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori (sia delle regioni e sia delle province e comuni) e su iniziativa della competente Procura regionale, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l'indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione.
Questa norma, diretta ad aumentare la responsabilizzazione degli amministratori pubblici, condivide, sul piano teorico, l’impostazione più moderna della dottrina [4] e della giurisprudenza che vuole la responsabilità amministrativa caratterizzata non solo dal fine restitutorio, ma anche da quello sanzionatorio, poiché il danno prodotto dagli amministratori che hanno violato l’art. 119 del nuovo titolo V della Costituzione potrebbe anche essere molto superiore all’entità della somma loro comminata dalla Corte dei Conti.
Questa sanzione per il mancato rispetto della norma costituzionale, oltre a segnalarsi per l’evidente carattere di novità, prescinde anche da un accertamento dell’elemento psicologico, dal momento che la violazione di essa comporta l’automatica applicazione della sanzione medesima, la quale potrà essere graduata, anche in ragione del potere d’impulso del P.M. contabile, sulla base dell’entità della somma su cui l’ente territoriale si è indebitato per far fronte a spese correnti.
Altro aspetto importante in questo d.d.l. è quello previsto all’art. 12, comma 5, dove i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle Amministrazioni Pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 1, comma 2, sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente Procura della Corte dei conti.
Quest’obbligo di trasmissione degli atti di riconoscimento debiti all’organo requirente contabile comporterà, non la condanna automatica di chi ha riconosciuto il debito, bensì una verifica della singola fattispecie, al fine di individuare le singole responsabilità che hanno prodotto il danno sin dall’origine, sempre che queste siano caratterizzate, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 20.12.1996, n. 639, dal profilo della colpa grave, definito dalla Corte Costituzionale [5] come limite minimo dell’imputazione della responsabilità amministrativa oltre il quale vi sarebbe non solo l’irresponsabilità, ma anche l’impunità degli amministratori e/o agenti pubblici incapaci e dissipatori delle risorse pubbliche.
Altro profilo importante, ai fini della responsabilità amministrativa, è quello dell’art. 13 in materia di acquisti di beni e servizi, dove, al comma 4, è previsto che i contratti stipulati in violazione del comma 1 (in materia di trasparenza e concorrenza) o dell’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP S.p.A. sono nulli.
A questo si deve aggiungere che il dipendente che ha sottoscritto il contratto risponde, a titolo personale, delle obbligazioni eventualmente derivanti dalla sottoscrizione in parola.
La stipula di questi contratti diviene causa di responsabilità amministrativa e ai fini della determinazione del danno erariale, si tiene anche conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto, di modo che l’eventuale differenza in aumento del costo del contratto ricade obbligatoriamente sul dipendente che lo abbia sottoscritto.
Questa norma ricorda l’art. 23 del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, in legge n. 144 del 24 aprile 1989, che, appunto, prevedeva che rispondesse personalmente l’amministratore che avesse ordinato irregolarmente la spesa; tale disposizione è stata, successivamente, abrogata dall’art. 123, lett. n), del D. l.vo n. 77 del 1995 [6].
L’introduzione di tale previsione, se supererà lo scoglio parlamentare e il partito (quasi sempre trasversale) della facile e irresponsabile spesa pubblica, comporterà il diretto e personale assoggettamento di colui che ha sottoscritto il contratto alle eventuali pretese creditorie derivanti dallo stesso, oltre il fatto che la stipula sarà anche causa di responsabilità amministrativa.
L art. 13 del d.d.l. trova la sua ragione nell’art. 97 della Costituzione, perché le misure di contenimento della spesa pubblica devono aderire al predetto canone costituzionale del buon andamento e assicurare il rispetto dell’economicità.
A questo si può aggiungere che anche la recentissima giurisprudenza del Consiglio di Stato [7] è intervenuta in materia di spesa sui pubblici appalti, nell’occasione il Supremo consesso ha affermato che è un preciso dovere dell'amministrazione pubblica contenere la spesa ed intervenire con le misure di autotutela dirette ad annullare i contratti aggiudicati a un prezzo esorbitante rispetto quello effettivo di mercato.
Appaiono, poi, importanti le ragioni di trasparenza e concorrenza che le amministrazioni aggiudicatici devono rispettare, con la sottoposizione alla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria, anche quando il valore del contratto sia superiore a 50 mila euro
Intatti, tale previsione non avrà riflessi positivi solo per la maggiore convenienza negli acquisti, ma anche per una possibile diminuzione dei rischi di risarcimento da lesione d’interesse legittimo in questo settore che, da un’analisi della giurisprudenza, sono in aumento, con evidente grave ricaduta di questi costi sui bilanci pubblici e, dunque, sulla posizione della collettività che, in ultima analisi, deve farsi carico di questa categoria di danno.
Il pieno rispetto della normativa comunitaria, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici (salvo i casi patologici di incapacità delle amministrazioni e delle commissioni giudicatrici) dovrebbe mettere al riparo le amministrazioni dai costi derivanti da siffatti danni, in quanto l’osservanza delle regole di gara comunitaria difficilmente potrebbe esporre l’amministrazione aggiudicatrice a una fondata richiesta di risarcimento.
Di rilievo è poi il comma 5 dove è stabilito che anche se la vigente normativa consente la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono farvi ricorso solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone preventiva comunicazione alla Sezione regionale della Corte dei Conti.
A parte il rilievo che la comunicazione in parola dovrà essere trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti e non a quella giurisdizionale, ma il testo in questo caso potrà essere corretto nel passaggio parlamentare, questa norma si segnala perché l’esagerato ricorso a cui nella pratica si assiste, da parte delle amministrazioni, alla trattativa privata è sempre sintomatico di una disfunzione nelle gestioni amministrative che devono essere vagliate in sede di controllo.
Infatti, molto spesso, la Corte dei Conti ha segnalato che il ricorso pressoché esclusivo, nelle gestioni amministrative, alla trattativa privata [8] non può essere sempre giustificato da quella sorta di connotazione emergenziale che viene posta alla base di essa.
La norma in parola, al fine di ridurre l’eccesso di trattativa privata dei contratti, interviene, da un lato sottoponendola a una particolare procedimentalizzazione (il cd. esperimento di una documentata indagine di mercato e la motivazione diretta a dimostrare il caso eccezionale), dall’altro sottoponendola al controllo della Corte dei Conti.
Lo spirito di razionalità che si intravede nella norma è diretto, dunque, a garantire una maggiore applicazione delle regole della concorrenza attraverso un più ampio ricorso alla procedure concorsuali che garantiscono la maggiore partecipazione di imprese concorrenti con un ritorno, in termini di risparmio, per la p.a. .
Vi è da dire che queste disposizioni anche se non si applicano direttamente alle regioni, in virtù del comma 7 dell’art. 13, costituiscono, comunque, norme di principio e di coordinamento. Ciò non vuol dire che le amministrazioni regionali siano esenti dall’osservare questa impostazione virtuosa della spesa pubblica, perché non solo vengono posti principi diretti a razionalizzare la spesa pubblica, ma sono misure serventi all’obbligo di un’unità economica del paese, così come previsto all’art. 120 del nuovo art. V della Costituzione.
Infine, resta da vedere se il testo di queste norme percorrerà indenne il passaggio parlamentare ovvero, sulle spinte del partito della spesa pubblica, si tenderà a mitigarle e/o a rimuoverle.
Una cosa è certa: oggi più che mai è necessario che la spesa pubblica divenga virtuosa ed efficiente, con il recupero dell’antico, ma sempre attuale, criterio del buon padre di famiglia che dovrebbe animare l’azione di qualunque amministratore pubblico, il quale utilizza e amministra i soldi di tutti i cittadini.
[1]
Così F. Balsamo, La “Babele” dei conti pubblici e l’esigenza della loro
“normalizzazione”, in Riv. Corte dei Conti, n. 5/2001, pag.
[2] Per questo aspetto rinvio alla lettura delle varie relazioni di apertura dell’anno giudiziario dei Procuratori della Corte dei Conti, presenti anche su questa Rivista on line.
[3]
Per la definizione di colpa grave nell’applicazione di norme giuridiche si
vedano ex
multis Corte dei Conti SS.RR. n. 49 del
[4] L’aspetto sanzionatorio – restitutorio della colpa grave è stato messo, da tempo, in evidenza da P. Maddalena, recentemente eletto dalla Corte dei Conti a Giudice costituzionale, fin dal suo scritto del 1976 “Per una nuova configurazione della responsabilità amministrativa” in Cons. Stato, 1976, pag. 831; impostazione questa che oggi trova l’autorevole conforto della Corte Costituzionale, la quale nella sentenza n. 453 del 30 dicembre 1998, parla di una nuova conformazione della responsabilità amministrativa e contabile, secondo linee volte, fra l’altro, ad accentuarne i profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori. Di segno opposto, invece, l’impostazione di L. Schiavello in “La nuova conformazione della responsabilità amministrativa”, Milano, 2001, che alla pag. 16 inquadra l’istituto della responsabilità amministrativa nella responsabilità contrattuale escludendo, dunque, la natura sanzionatoria. T. Miele parla, invece, di atipicità della responsabilità amministrativa (cfr. La responsabilità degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, ed. Il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pag. 231), in quanto essa non è prevista in fattispecie previamente stabilite dalla legge, ma si configura ogni qualvolta sia cagionato un danno alle finanze pubbliche e ricorrano gli altri elementi richiesti dalla legge (dolo o colpa grave) ed elaborati dalla giurisprudenza.
[5] Sentenza 24 ottobre 2001, n. 340, in Giustizia amministrativa n. 11/2001, pag. 1223.
[6] Tale abrogazione nulla aveva a che fare con il perseguimento dell’efficienza e dell’efficacia richieste dalla legge (art. 1 legge n. 241 del 1990), bensì era ispirata da motivazioni sindacali dirette ad escludere la responsabilità di chi operava senza rispettare le regole di una sana e corretta gestione amministrativo-contabile, infatti il dato testuale, rinvenibile al comma 3, del predetto art. 23, stabiliva, appunto, che «il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura…».
[7] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 18 settembre 2002, n. 4751, in questo numero della presente Rivista.
[8] Cfr. Corte dei Conti, Sezione controllo Stato, n. 37 del 6.9.2001, in Riv. Corte dei Conti, n. 5/2001, pag. 19.