LUIGI VIOLA
(Magistrato del T.A.R. Puglia, Sez. di Lecce,
Professore a contratto di diritto dell’economia nell’Università degli Studi di
Trieste)
La tutela risarcitoria del diritto di accesso e il danno esistenziale
SOMMARIO: 1. La tutela risarcitoria del diritto all’accesso – 2. Una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo – 3. L’autonomia delle lesioni al diritto di accesso e i mobili confini del danno morale – 4. Il danno esistenziale derivante da atti lesivi del diritto di accesso.
1. La tutela risarcitoria del diritto all’accesso.
Uno degli aspetti, forse meno approfonditi dalla giurisprudenza in materia di diritto all’accesso è costituito dalla problematica della possibile responsabilità risarcitoria derivante da atti ingiustificatamente lesivi del diritto (o dell’interesse legittimo, secondo la giurisprudenza prevalente) a prendere visione e copia dei documenti amministrativi.
In effetti, il dibattito in ordine alla possibilità di ricondurre alla sistematica risarcitoria gli indubbi effetti negativi che possono derivare da un diniego di accesso illegittimo è caratterizzato da una sostanziale assenza di contributi giurisprudenziali (se si esclude la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo esaminata al § successivo) e da un limitato interesse della dottrina.
La circostanza è riportabile a limiti più generali della problematica risarcitoria ed in particolare, alla ben nota tematica della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo ed alla connessa risarcibilità delle sole posizioni soggettive riportabili all’istituto del diritto soggettivo (o all’ibrida figura dei cd. diritti condizionati).
Non diversamente da altri aspetti della responsabilità civile della p.a., il dibattito in ordine alla risarcibilità delle lesioni al diritto di accesso ha quindi dovuto seguire necessariamente le strettoie [1] costituite dalla qualificazione in termini di diritto soggettivo pubblico della posizione soggettiva riconosciuta dagli artt. 22 e ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 sul procedimento amministrativo e sul diritto d’accesso ai documenti amministrativi.
È quindi evidente come il dibattito in ordine alla risarcibilità delle lesioni del diritto di accesso abbia subito una decisiva battuta di arresto per effetto delle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato [2] che, sulla base di varie argomentazioni (soprattutto la previsione di un termine di decadenza per l’esperimento della tutela giurisdizionale, ma anche la presunta natura di ponderazione di interessi delle valutazioni dell’amministrazione in materia di accesso ai documenti), hanno ritenuto <<atecnico>> il riferimento al <<diritto di accesso>> contenuto in tutto il Capo V della l. 241/90 ed hanno così concluso per la natura di interesse legittimo della posizione soggettiva riconosciuta dalla legge.
Dopo il rimescolamento della problematica risarcitoria nei confronti della p.a. operato da Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500 [3], è però evidente come l’orientamento del Consiglio di Stato sopra richiamato (probabilmente giustificato da esigenze di celerità processuale, come è evidente se si guarda alla problematica dalla particolare visuale della tutela dei controinteressati, specificamente affrontato dall’Adunanza Plenaria) non precluda più “automaticamente” l’azione risarcitoria e tenda, anzi, a diventare sostanzialmente ininfluente nella sistematica della tutela della responsabilità civile della p.a..
Oggi, la problematica risarcitoria deve quindi essere affrontata direttamente, senza lo schermo della natura di diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione soggettiva che la l. n. 241/90 riconosce a tutti i soggetti dell’ordinamento.
Al proposito, non può sussistere alcun dubbio in ordine al fatto che la violazione delle previsioni normative (l. 241/90, d.p.r. 27 giugno 1992 n. 352, altre disposizioni speciali in materia di accesso, come ad es., il d.lgs. 24 febbraio 1997 n. 39, relativo alla c.d. informazione ambientale) in materia di diritto di accesso possa importare quelle lesioni <<dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto effettivamente si collega [4]>> che, per Cass. S.U. n. 500/99, costituiscono il vero oggetto dell’azione risarcitoria.
Del resto, già prima di Cass. S.U. n. 500/99, la dottrina aveva individuato il pregiudizio derivante dalla violazione della normativa in materia di accesso nelle <<maggiori difficoltà ed onerosità dell’esercizio di attività lecite causate da diniego illegittimo [5]>> seguendo, quindi, percorsi ricostruttivi sostanzialmente analoghi a quelli prospettati dall’importante decisione della Corte di cassazione.
Una volta individuato nella maggiore <<difficoltà od onerosità>> nell’esercizio di una posizione soggettiva riconosciuta dall’ordinamento il nucleo essenziale del pregiudizio derivante dall’illegittimo diniego di accesso, la dottrina aveva poi seguito percorsi ricostruttivi tesi ad identificare il detto pregiudizio nella lesione dell’interesse “finale” che giustifica la presentazione dell’istanza di accesso (che, il più delle volte, nasce dalla necessità di tutelare uno specifico diritto o interesse del richiedente e non dal semplice interesse alla conoscenza di un documento amministrativo); un simile percorso ricostruttivo, del resto giustificato dalla strutturazione del diritto di accesso recepita dalla l. 241/90 (ed in particolare, dalla necessaria titolarità di una posizione soggettiva legittimante richiesta dall’art. 22, 1° comma della legge [6]), portava a ravvisare un pregiudizio risarcibile nei dinieghi del diritto all’accesso:
1) che abbiano inciso o reso più difficile o oneroso l’esercizio di un diritto soggettivo;
2) che, nel caso di interessi pretensivi, abbiano reso impossibile l’acquisto di posizioni giuridiche o utilità subordinate al mero accertamento della presenza di determinati requisiti (ed in questo caso, la prova del pregiudizio sarà agevolmente fornita dal danneggiato mediante dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dalla legge per l’<<automatica>> acquisizione di un beneficio);
3) che, sempre nel caso di interessi pretensivi, abbiano reso impossibile l’acquisto di posizioni giuridiche o utilità subordinate a valutazioni discrezionali da parte della p.a. (in questo caso, però, per la prova del pregiudizio, si renderà necessaria una valutazione prognostica ex post <<da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava giuridicamente protetta [7]>>).
Sotto il profilo della struttura della responsabilità, la dottrina oscillava, poi, tra una costruzione della fattispecie in termini di responsabilità contrattuale [8] della p.a. e chi, invece, riportava decisamente l’ipotesi alla responsabilità extracontrattuale[9]; opposte tesi ricostruttive che il “rimescolamento”[10] delle categorie della responsabilità civile della p.a. attualmente in corso (soprattutto per quello che riguarda l’applicazione alla fattispecie di alcuni principi propri della responsabilità contrattuale, sotto il particolare profilo della responsabilità “da contatto sociale”) tenderà probabilmente a ricomporre in un quadro ricostruttivo unitario.
Per quello che riguarda i profili processuali, la dottrina oscillava sostanzialmente tra la soluzione che riportava il classico sistema del <<doppio binario (pregressa pronuncia del giudice amministrativo sull’accesso e conseguente intervento del giudice civile), come sembra più coerente con il carattere esclusivo della giurisdizione ex art. 25>> e la soluzione che, al contrario, attribuiva <<al Giudice civile il compito di conoscere in via parentetica dell’illegittimità del diniego di accesso [11]>>.
In realtà, però, la giurisdizione a conoscere delle azioni risarcitorie derivanti da dinieghi di accesso è sempre del giudice amministrativo.
La soluzione, probabilmente già affermabile sulla base della tesi [12] che attribuiva natura di giurisdizione esclusiva alla previsione dell’art. 25, 5° comma l. 241/90, è oggi imposta dal nuovo testo dell’art. 7, 3° comma l. 6 dicembre 1971 n. 1034 (come, da ultimo, modificato dall'art. 7 della l. 21 luglio 2000 n. 205) che ha attribuito al Tribunale amministrativo regionale, nell'àmbito della sua giurisdizione (e, quindi, anche nell’ipotesi in cui la giurisdizione in materia di accesso dovesse essere riportata alla giurisdizione di legittimità), la cognizione di <<tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali>>.
2. Una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo.
La dottrina richiamata al § precedente [13] ha già riportato l’attenzione su una decisione della Corte europea diritti dell’uomo[14] che ha affermato il diritto al risarcimento dei danni per la violazione, da parte della Stato italiano, del diritto ad una corretta informazione ambientale.
A base della fattispecie, la violazione, da parte del Prefetto di Foggia, di una previsione legislativa (l’art. 17, 2° comma del d.p.r. 17 maggio 1988 n. 175 [15]) che imponeva l’obbligo di informare la popolazione interessata <<sui rischi conseguenti l'esercizio dell'attività di cui all'articolo 4, sulle misure di sicurezza messe in atto per prevenire l'incidente rilevante, sugli interventi di emergenza predisposti all'esterno dello stabilimento in caso di incidente rilevante e sulle norme da seguire in caso di incidente>>; il tutto si inseriva, poi, in un contesto ambientale (quello di Manfredonia) che vedeva la presenza di uno stabilimento industriale (quello dell’ENICHEM agricoltura) che aveva già dato vita, nel 1976, alla fuoriuscita <<di svariate tonnellate di soluzione di carbonato e di bicarbonato di potassio contenenti anidride di arsenico>> e all’intossicazione di centocinquanta persone.
La vicenda aveva originato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di alcuni cittadini, tutti residenti <<nel comune di Manfredonia (Foggia) sito a circa un chilometro dall'industria chimica della società anonima ENICHEM agricoltura situata, essa, nel comune di Monte Sant'Angelo>>; a base del ricorso era la <<violazione dell'art. 10 della convenzione, che così recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che le autorità pubbliche possano avervi ingerenza e senza limiti di frontiere”……..La trasgressione deriverà dalla mancata adozione, da parte delle autorità competenti, di misure di informazione della popolazione circa i rischi potenziali e le misure da adottare in caso di incidente legato all'attività dello stabilimento [16]>>.
Al proposito, la posizione della Commissione era nettamente favorevole alla prospettazione dei ricorrenti: <<d’accordo con gli attori, la commissione crede che l'informazione al pubblico rappresenti ormai uno strumento essenziale di protezione del benessere e della salute della popolazione nelle situazioni di pericolo per l'ambiente. Di conseguenza, le parole “tale diritto comprende…….la libertà di ricevere….informazioni”, contenute al par. 1 dell'art. 10, dovranno essere interpretate come un vero e proprio diritto a ricevere informazioni, provenienti in particolare dalle amministrazioni competenti e dirette ai capi di quelle comunità che siano state o possano essere interessate da un'attività industriale, o di altra natura, pericolosa per l'ambiente.
L'art. 10 imporrebbe agli Stati non solo di rendere accessibili al pubblico le informazioni in materia di ambiente, esigenza alla quale il diritto italiano sembra poter già rispondere — particolarmente in virtù dell'art. 14, 3° comma, l. n. 349 —, ma anche l'obbligazione alla raccolta, elaborazione e diffusione di queste informazioni che, per loro natura, non potrebbero altrimenti essere portate a conoscenza del pubblico [17]>>.
La Corte europea dei diritti dell’uomo era tuttavia di diverso avviso e riteneva che la previsione dell’art. 10 della Convenzione non potesse essere interpretata estensivamente, così addossando ad uno Stato <<delle obbligazioni di raccolta e diffusione, motu proprio, di informazioni>>; la previsione, molte volte riconosciuta applicabile dalla Corte <<in questioni relative a limitazioni della libertà di stampa, come corollario alla funzione propria dei giornalisti di diffondere informazioni o idee su questioni di interesse pubblico……..vieta essenzialmente ad un governo di impedire che chiunque possa ricevere informazioni che altri desiderano o possono consentire di fornirgli [18]>> e, quindi, non può trovare applicazione in una fattispecie in cui i ricorrenti lamentavano la mancata adozione, da parte dello Stato italiano, di misure positive di informazione dei cittadini in ordine ai rischi di crisi ambientale propri di una determinata area.
La Corte riteneva però che la fattispecie potesse essere agevolmente inquadrata all’interno della fattispecie di cui all’art. 8 della <<convenzione, così formulato: “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non nei casi in cui sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”[19]>>.
In effetti, proprio il fatto che i ricorrenti risiedessero tutti a breve distanza da uno stabilimento industriale che aveva già dato vita a situazioni di rischio ambientale, permetteva infatti di rilevare un rapporto diretto tra <<emissioni nocive>> e <<diritto degli attori al rispetto della loro vita privata e familiare [20]>> tutelato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tale violazione non si era certamente verificata a seguito di un’ingerenza dello Stato nella vita privata o familiare dei cittadini, ma derivava, al contrario, dalla <<mancata azione dello Stato……, se l'art. 8 ha essenzialmente lo scopo di garantire l'individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, non si limita ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questa obbligazione a non fare possono aggiungersi obbligazioni a fare inerenti al rispetto effettivo della vita privata o familiare [21]>>.
Nel caso di specie, la mancata trasmissione alle autorità comunali interessate (ed in definitiva, ai cittadini) dei provvedimenti assunti dai Ministeri dell’ambiente e della sanità per ridurre il rischio di incidente ambientale (ed in particolare, delle <<misure di sicurezza da adottare e (dai) regolamenti da seguire in caso di incidente e da comunicare alla popolazione>>) aveva quindi certamente determinato una lesione della sfera privata familiare [22] dei cittadini di Manfredonia <<rimasti, fino alla sospensione della produzione di fertilizzanti, nel 1994, in attesa di informazioni essenziali che avrebbero consentito loro di valutare i rischi potenziali, per sé e per i propri familiari, della permanenza sul territorio di Manfredonia, un comune tanto esposto al pericolo in caso di incidente nell'ambito della fabbrica [23]>>.
Conseguenza della violazione dell’obbligazione dello Stato italiano <<a garantire il diritto degli attori al rispetto della loro vita privata e familiare, a dispetto di quanto previsto dall'art. 8 della convenzione>> era poi, in mancanza della prova del danno biologico sofferto [24], l’obbligo di risarcire il <<torto morale certo>> arrecato, corrispondendo <<la somma di dieci milioni di lire italiane…….ad ogni attore, per il danno morale subito [25]>>.
3. L’autonomia delle lesioni al diritto di accesso e i mobili confini del danno morale.
La dottrina ha subito rilevato come la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo richiamata in queste pagine contenga aspetti di grande interesse, sia per quello che riguarda la problematica dei contenuti della cd. informazione ambientale [26], sia per quello che riguarda la prospettazione di una responsabilità risarcitoria per la violazione di quello che può essere sinteticamente definito come il <<diritto di reperire informazioni [27]>>.
In effetti, la struttura della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo evidenzia chiaramente una struttura che individua l’oggetto dell’azione risarcitoria <<nel deficit informativo che ha precluso la libera formazione dei processi decisionali degli interessati[28]>> e non nelle conseguenze concretamente pregiudizievoli che da tale deficit informativo sono derivate (o avrebbero potuto derivare) sulla sfera patrimoniale o biologica degli interessati; è quindi evidente come si tratti <<della lesione di un puro diritto immateriale (il diritto ad ottenere informazioni sullo stato dell’ambiente), qualificabile come diritto fondamentale dell’individuo…..a prescindere dai riflessi squisitamente patrimoniali derivanti dal vivere a latere dell’impianto [29]>>.
A questo punto, la dottrina segue percorsi argomentativi che valorizzano soprattutto la valenza “ambientale” [30] della decisione; e, certamente, la valenza ambientale della decisione non è da sottovalutare.
In queste pagine si vuole, però, sottolineare come la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo imponga un ripensamento più “generale” della tematica della risarcibilità delle lesioni del diritto di accesso e, soprattutto, venga a superare quella impostazione (richiamata al § 1) che tende a riportare l’oggetto dell’azione risarcitoria alla lesione dell’interesse “finale” che giustifica la presentazione dell’istanza di accesso (che, il più delle volte, nasce dalla necessità di tutelare uno specifico diritto o interesse del richiedente e non dal semplice interesse alla conoscenza del documento amministrativo) e non in una posizione soggettiva autonoma del richiedente l’accesso.
In altre parole, secondo questa impostazione, l’oggetto dell’azione risarcitoria è costituito dalle <<maggiori difficoltà ed onerosità dell’esercizio di attività lecite causate da diniego illegittimo [31]>> e, quindi, dalle conseguenze che un diniego di accesso illegittimo può importare su interessi patrimoniali o personali del soggetto (ad es., con riguardo alla fattispecie esaminata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la lesione dovrebbe essere costituita dal danno biologico derivante dal vivere in una situazione compromessa sotto il profilo ambientale o nel danno patrimoniale derivante da una simile situazione di compromissione ambientale e non dalla semplice mancanza di informazioni).
Al contrario, l’esame di Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998 evidenzia chiaramente come il danno risarcito non sia costituito dalle conseguenze biologiche o patrimoniali derivanti dalla mancata informazione (sul punto, la Corte rileva, anzi, come tale conseguenze non siano state provate in giudizio dagli interessati), ma al contrario, si tratti di un qualcosa di diverso, ed in particolare, della mancata acquisizione di quelle <<informazioni essenziali che avrebbero consentito…….di valutare i rischi potenziali, per sé e per i propri familiari, della permanenza sul territorio di Manfredonia, un comune tanto esposto al pericolo in caso di incidente nell'ambito della fabbrica [32]>>.
È quindi evidente come la lesione investa il <<diritto (non materiale) ad essere informati al fine di regolare –con piena consapevolezza- le proprie scelte: in definitiva, ciò che verrebbe lesa è proprio la sfera di libera determinazione dell’individuo, impossibilitato di decidere dove risiedere, non conoscendo il dato relativo ai rischi derivanti dalla prossimità rispetto ad un impianto di cui si ignora la effettiva pericolosità [33]>>.
In definitiva, dalla decisione citata della Corte europea dei diritti dell’uomo emerge uno schema ricostruttivo che prevede, almeno due livelli di rilevanza del danno derivante dal mancato riconoscimento del diritto di accesso, costituiti, in particolare:
1) dalla lesione del diritto all’autodeterminazione derivante dalla mancata acquisizione di dati fondamentali che, secondo l’ordinamento vigente, sono pienamente accessibili dai cittadini e, quindi, possono essere conosciuti;
2) dalle ulteriori conseguenze, nella sfera patrimoniale (ad es. mancata acquisizione di utilità economiche derivante dalla mancata acquisizione di informazioni) o biologica (danno alla salute derivante dalla mancata acquisizione di informazioni in ordine alla pericolosità di certe situazioni o comportamenti), che possono derivare dal diniego di accesso.
È quindi chiaro come, in uno schema di questo tipo, solo il primo livello risarcitorio acquisisca il carattere della generalità applicativa; il secondo livello ha, infatti, riferimento a conseguenze ulteriori della negazione del diritto all’accesso che possono verificarsi in alcune ipotesi, ma che possono benissimo essere del tutto assenti nelle ipotesi di lesioni “pure” del diritto a prendere cognizione degli atti della pubblica amministrazione.
Del resto, si tratta di una conclusione quasi scontata per il nostro ordinamento che ha previsto una posizione soggettiva autonoma denominata diritto di accesso, sia pure collegandola, attraverso il riferimento alla necessaria presenza dell’<<interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti>> (art. 22, 1° comma l. 241/90), ad interessi sostanziali ulteriori rispetto alla mera conoscenza del documento amministrativo; e, probabilmente, lo schema sopra riportato riporta pienamente la sostanziale ambiguità della posizione soggettiva sopra evidenziata che è autonoma (e quindi suscettibile di autonomo risarcimento; punto n. 1 dello schema), ma, allo stesso tempo, costituisce un mezzo di tutela degli altri interessi “finali” che legittimano la presentazione dell’istanza (e che sono ovviamente suscettibili di risarcimento, ove la negazione dell’accesso ne abbia determinato l’effettiva lesione; punto n. 2 dello schema).
Venendo poi alla tematica della qualificazione del danno, deve rilevarsi come la qualificazione in termini di <<torto morale certo>> e <<danno morale subito [34]>> operata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non si presenti certamente appagante quando si passi dalla sfera della tutela internazionale dei diritti dell’uomo alla sfera interna (e, quindi, si cerchi di riportare le categorie utilizzate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo agli istituti giuridici concretamente utilizzati dai nostri giudici).
A questo proposito, è infatti evidente come una qualificazione in termini di danno morale (sbrigativamente utilizzata dalla Corte, che non “subisce” le limitazioni proprie dell’ordinamento italiano e deve utilizzare categorie “più astratte” e di applicazione più generale) debba fare i conti, nel nostro ordinamento, con <<l’ingombrante presenza della clausola limitativa del 2059 c.c. [35]>> e, quindi, con la palude interpretativa derivante dalla necessità di superare una simile (e, probabilmente, anacronistica) limitazione; ed al proposito, deve rilevarsi come uno dei pochi punti fermi della problematica sia costituito, proprio da una nozione di danno morale, riferita al <<dolore, ai patemi dell’animo, alle sofferenze spirituali [36]>> e che sembra aver davvero poco a che fare con il danno risarcito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
In definitiva, l’esame della struttura argomentativa di Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998 porta all’evidenziazione delle stesse problematiche di fondo esaminate da Cass. S.U. 21.2.2002 n. 2515.
L’importante decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione, tutta dedicata alla problematica dei rapporti tra danno biologico e danno morale, è dovuta intervenire per riaffermare il principio tradizionale che subordina la liquidazione del danno morale alla sola commissione di un fatto-reato (art. 2059 c.c. e 185 c.p.); principio tradizionale contestato da decisioni della stessa Suprema Corte che limitavano il risarcimento del danno morale alle sole ipotesi <<ove derivi dalla menomazione dell’integrità fisica dell’offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale [37]>>.
Il punto fondamentale della decisione, caratterizzata da un chiaro <<approccio pratico>>, è indubbiamente costituita dalla riaffermazione del fatto che <<la risarcibilità del danno morale non presuppone l’esistenza di danno biologico o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, ma la sussistenza di un reato che ha deluso l’aspettativa del destinatario dell’illecita condotta nella fiducia del valore delle norme [38]>>; ed in effetti, l’interpretazione complessiva delle previsioni degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. e l’attenzione posta dalla decisione alla funzione riparatoria dell’istituto portano necessariamente alla prevalenza della soluzione “autonomistica” che non subordina la liquidazione del danno morale alla presenza di (ulteriori) menomazioni della salute psico-fisica dell’individuo.
Applicando la definizione del danno morale operata da Cass. S.U. 21.2.2002 n. 2515 alla fattispecie decisa da Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998 appare evidente come la qualificazione in termini di danno morale utilizzata dalla Corte europea non possa assolutamente essere trasposta in sede nazionale; del tutto assente era, infatti, nella fattispecie, proprio quel carattere di illiceità penale che impone, nella prospettazione maggiormente seguita, la risarcibilità del danno morale.
Del resto, se si eccettua la marginale ipotesi in cui il silenzio dell’amministrazione in ordine all’istanza di accesso presentata dall’interessato implica anche il reato previsto dall’art. 328, 2° comma c.p. [39], la vicenda del diniego di accesso è una vicenda che si svolge totalmente al di fuori dell’applicazione di fattispecie penalistiche (si veda, ad es., l’ipotesi in cui il diniego di accesso, pur illegittimo, sia stato espressamente formalizzato nel termine di trenta giorni).
L’utilizzazione della categoria del danno morale rischia, quindi, se trasposta nel diritto interno, di portare la problematica della risarcibilità del danno derivante da dinieghi illegittimi di accesso nel vicolo cieco costituito da una limitazione ai soli casi che implichino altresì la violazione di previsioni penalistiche.
È però possibile una diversa qualificazione del danno risarcito da Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998.
La dottrina più attenta ha infatti sottolineato come la ratio decidendi di Cass. S.U. 21.2.2002 n. 2515 sia caratterizzata da evidente incoerenza <<nel punto in cui il giudicante da una parte presume la pericolosità dell’agire di cui all’art. 449 c.p., perchè "il pericolo è implicito nella condotta e nessuna ulteriore dimostrazione deve essere fornita circa l’insorgenza effettiva del rischio per la pubblica utilità" e dall’altra esige la prova del turbamento psichico dei soggetti che subiscono gli effetti del comportamento delittuoso [40]>>.
L’incoerenza è probabilmente determinata, non da un semplice difetto di coordinamento, ma dalla vera e propria presenza di due diverse voci di danno.Al proposito, una premessa indispensabile è costituita dal fatto che i giudici, in mancanza di punti fermi dottrinali in materia di voci di danno, utilizzano impropriamente <<categorie tra loro diversificate come "danno biologico di natura psichica", "danno morale", o "danno esistenziale">>, pur di pervenire al risultato fondamentale costituito dalla riparazione del pregiudizio derivante dal fatto illecito; e si tratta di una precisazione di non poco momento e che <<evita di rimanere stupiti di fronte alla scelta del giudice di chiamare "danno morale" la lesione di situazioni soggettive come i diritti della personalità, anziché il patema d’animo, perché è dietro la veste formale della definizione classificatoria, e non in essa, che si trovano le ragioni e le finalità della misura risarcitoria disposta dal giudicante [41]>>.
In definitiva, il danno che Cass. S.U. 21.2.2002 n. 2515 ha inteso risarcire, più che al danno morale in senso stretto, sembra riportabile alla riparazione di una <<lesione esistenziale del danneggiato [42]>> ed in particolare, <<non s’incentra sulle lacrime, le sofferenze, i dolori, i patemi d’animo delle vittime dell’illecita condotta, bensì sulle loro rinunce alla quotidianità, che si risolvono nelle "compromissioni delle proprie sfere di esplicazione personale" [43]>>.
Analoga conclusione nel caso deciso da Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998. Anche in questo caso, infatti, il danno risarcito non ha niente a che vedere con lacrime o patemi d’animo derivanti da un reato, del resto, insussistente; al di là della qualificazione operata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (e che, del resto, utilizza schemi ricostruttivi diversi da quelli propri dell’ordinamento italiano), è infatti evidente come il nucleo essenziale del danno risarcito dalla Corte sia costituito dall’assenza di <<informazioni essenziali che avrebbero consentito…..di valutare i rischi potenziali, per sé e per i propri familiari, della permanenza sul territorio di Manfredonia, un comune tanto esposto al pericolo in caso di incidente nell'ambito della fabbrica [44]>>.
E si tratta di un nucleo essenziale certamente riportabile alla nozione di danno esistenziale [45] recentemente emersa in dottrina e giurisprudenza; nozione da ritenersi comprensiva di <<qualsiasi evento che, per la sua negativa incidenza sul complesso dei rapporti facenti capo alla persona, è suscettibile di ripercuotersi in maniera consistente e talvolta permanente sull’esistenza di questa [46]>> e, quindi, anche delle conseguenze negative derivanti da illegittimi dinieghi del diritto di accesso.
4. Il danno esistenziale derivante da atti lesivi del diritto di accesso.
In definitiva, dall’esame di Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998 emerge una fattispecie risarcitoria riportabile alla nozione di danno esistenziale utilizzata dalla prevalente dottrina e meglio definita in un precedente scritto [47]; la conoscenza dei documenti amministrativi è, infatti, in prima battuta, finalizzata al migliore “orientamento” della parabola esistenziale del soggetto e, quindi, la lesione del diritto di accesso non permette certamente di assumere quelle scelte ponderate che la migliore conoscenza della fattispecie avrebbe permesso.
In altre parole, i cittadini residenti a Manfredonia hanno subito un danno, non alla salute o al patrimonio (nel caso di specie, sono infatti assenti quei danni biologici o patrimoniali che sarebbero certamente derivati da un nuovo incidente nell’impianto), ma alla sfera esistenziale; la conoscenza delle misure predisposte dalle autorità avrebbe infatti permesso ai cittadini di porre in essere delle decisioni ponderate in ordine alla scelta di abbandonare la città e trasferirsi (nell’ipotesi in cui i cittadini avessero giudicato insufficienti le misure di sicurezza) o, al contrario, di continuare a vivere a Manfredonia (nell’ipotesi in cui, al contrario, i cittadini avessero giudicato le misure di sicurezza sufficienti).
Ed è evidente come le decisioni fondamentali in ordine all’evoluzione della propria parabola esistenziale siano state prese dai cittadini di Manfredonia nella totale assenza della conoscenza di quei fondamentali dati di fatto in ordine alla sicurezza ambientale dell’area che costituiva un diritto garantito dalla previsione dell’art. 17, 2° comma del d.p.r. 17 maggio 1988 n. 175.
Se si dovesse, quindi, ridurre ad uno slogan la problematica del danno esistenziale derivante dalle lesioni del diritto di accesso, lo slogan non potrebbe che essere: conoscere (i documenti amministrativi, i dati ambientali, ecc.) per scegliere consapevolmente ed orientare consapevolmente la propria vita.
Bene ha fatto, quindi, la dottrina ad individuare nel <<diritto (non materiale) ad essere informati al fine di regolare –con piena consapevolezza- le proprie scelte [48]>> il vero oggetto del risarcimento del danno concesso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; e si tratta certamente della tutela di un principio di autodeterminazione responsabile che precede, anche logicamente, la tutela degli altri interessi, patrimoniali o biologici, che potrebbero essere successivamente pregiudicati da decisioni non ben ponderate (nella fattispecie decisa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, si pensi, ad es., alle conseguenze pregiudizievoli derivanti da un nuovo incidente nello stabilimento industriale).
In definitiva, da quanto rilevato emerge una nuova ipotesi risarcitoria che presenta tutti i requisiti del danno esistenziale.
Una simile conclusione è, innanzitutto, valida nella prospettiva quotidiano-conseguenzialistica (quella che individua il danno esistenziale nel danno-conseguenza derivante dalla compromissione delle attività realizzatrici della persona) che costituisce una delle due accezioni di danno esistenziale finora prospettate dalla dottrina [49]; quanto sopra rilevato in ordine ai legami tra conoscenza del documento amministrativo e possibilità di dare vita a scelte ponderate in ordine alla propria parabola esistenziale, conferma, infatti, come il danno esistenziale, in questa ipotesi, derivi proprio dalla difficoltà di compiere scelte ponderate in ordine all’evoluzione della propria sfera esistenziale.
Per quello che riguarda la prospettiva costituzional-eventistica (quella che individua il danno nel danno-evento derivante dalla semplice lesione di un interesse costituzionalmente tutelato), è poi sufficiente rilevare come la valenza costituzionale del diritto di accesso sia confermata dalle diverse tesi che, a seconda delle impostazioni, individuano il fondamento dell’istituto nelle esigenze di imparzialità e buona amministrazione previste dall’art. 97 Cost, nel diritto all’informazione previsto dall’art. 21 Cost. o nella tutela del diritto di difesa desumibile dalle previsioni degli artt. 24 e 113 della Costituzione [50].
Non deve poi dimenticarsi che, proprio la cit. decisione 19.2.1998 della Corte europea dei diritti dell’uomo abbia aggiunto l’ulteriore copertura costituita dalle previsioni degli artt. 8 (nella dimensione “esistenziale” costituita dal diritto di ottenere le informazioni necessarie per la migliore programmazione della propria esistenza sopra individuata) e 10 (nel caso di azioni positive dello Stato che ledano il diritto all’informazione dei cittadini) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo [51]; e si tratta certamente di una ulteriore copertura, di matrice sopranazionale, da non sottovalutare ai fini di una corretta qualificazione sistematica del diritto di accesso.
[1] In questa prospettiva, si veda, ad es, l’impostazione di F. CARINGELLA La tutela in F. CARINGELLA, R. GAROFOLI e M.T. SEMPREVIVA L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, Giuffrè, 1999, 491.
[2] Soprattutto, Cons. Stato Ad. Plen. 24.6.1999 n. 16, in questa Rivista n. 6-1999; in Foro it., 1999, III, 433, con note di CARINGELLA e ROMEO; Urbanistica e appalti, 1999, 861; Cons. Stato, 1999, I, 784; Foro amm., 1999, 1205; Vita not., 1999, 730; Guida al dir., 1999, fasc. 29, 85 con nota di CARUSO. Di recente, la soluzione è stata sostanzialmente ribadita da Cons. Stato, Ad. Plen., 2.7.2001, n. 5, in Giust. amm., 2001, 701 con nota di BACOSI; Nuovo dir., 2001, 896 con nota di CIAMMOLA; Cons. Stato, 2001, I, 1557; Giur. it., 2001, 2173.
[3] Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500, in questa Rivista n. 7/8-1999; in Foro it., 1999, I, 2487, con note di PALMIERI e PARDOLESI; Foro it., 1999, I, 3201, con note di CARANTA, FRACCHIA, ROMANO e SCODITTI; Giornale dir. amm., 1999, 832, con nota di TORCHIA; Nuovo dir., 1999, 691, con nota di FINUCCI; Contratti, 1999, 869, con nota di MOSCARINI; Giust. civ., 1999, I, 2261, con nota di MORELLI; Urbanistica e appalti, 1999, 1067, con nota di PROTTO; T.A.R., 1999, II, 225, con nota di BONANNI; Arch. civ., 1999, 1107; Danno e resp., 1999, 965, con note di CARBONE, MONATERI, PALMIERI, PARDOLESI, PONZANELLI e ROPPO; Corriere giur., 1999, 1367, con note di DI MAJO e MARICONDA; Gius, 1999, 2760, con nota di BERRUTI; Rass. giur. energia elettrica, 1999, 433; Nuove autonomie, 1999, 563, con nota di SCAGLIONE; Gazzetta giur., 1999, fasc. 35, 42; Guida al dir., 1999, fasc. 31, 36, con note di MEZZACAPO, CARUSO, DE PAOLA e FINOCCHIARO; Dir. e pratica societá, 1999, fasc. 21, 65; Ammin. it., 1999, 1399; Dir. pubbl., 1999, 463, con note di ORSI BATTAGLINI e MARZUOLI; Rass. amm. sic., 1999, 9.
[5] M. COSTANTINO Il risarcimento del danno da diniego (illegittimo) all’accesso ai documenti amministrativi in Dir. pubbl., 1998, 176. F. CARINGELLA La tutela cit., 493, individua espressamente nelle <<conseguenze sfavorevoli che si determinano nel patrimonio del soggetto per le ingerenze, gli ostacoli e gli impedimenti derivanti allo svolgimento della sua attività in virtù del mancato accesso>> l’oggetto della possibile azione risarcitoria, così anticipando sostanzialmente lo schema ricostruttivo proposto da Cass. S.U. n. 500/99.
[6] Il diritto di accesso è infatti riconosciuto solo a chi <<vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti>> e, quindi, richiede la dimostrazione di una specifica <<posizione legittimante>> alla conoscenza del documento amministrativo.
[7] Lo schema ricostruttivo è tratto da F. CARINGELLA La tutela cit., 493 e 494. La citazione è da Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500, cit.
[8] <<Potrebbe riconoscersi –e forse sarebbe più corretto- che la legge, ponendo a carico dell’amministrazione l’obbligo di organizzarsi per accettare e per eseguire direttamente le richieste di accesso ai documenti amministrativi, costituisce un rapporto con il richiedente che sia titolare del corrispondente diritto….L’integrazione della disciplina del rapporto, per quanto attiene al luogo, al tempo ed alle modalità dell’esecuzione della prestazione dovuta, verrebbe puntualmente soddisfatta dal ricorso alla disciplina delle obbligazioni in generale>>: M. COSTANTINO Il risarcimento del danno da diniego (illegittimo) all’accesso ai documenti amministrativi cit., 167. L’opzione per una costruzione in termini di responsabilità contrattuale porta ovviamente a importanti modificazioni delle tematiche dell’onere della prova e della prescrizione.
[9] <<Nonostante la pregevolezza di un simile approccio ermeneutico, appare preferibile l’incasellamento nella fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., più coerente con l’assenza di un rapporto obbligatorio in senso tecnico tra p.a. e privato aspirante all’accesso>>: F. CARINGELLA La tutela cit., 492.
[10] Il riferimento è soprattutto a Cons. Stato, Sez. V, 24.4-6.8.2001 n. 4239 in Guida al dir., 2001, fasc. 34, 76, con nota di G. CARUSO Nell’adozione di provvedimenti illegittimi la colpa dell’amministrazione si presume.
[11] Le citazioni sono da F. CARINGELLA La tutela cit., 494.
[12] Tesi, come già rilevato, confutata da Cons. Stato Ad. Plen. 24.6.1999 n. 16, cit. che ha riportato la previsione alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
[13] F. CARINGELLA La tutela cit., 496.
[14] Si tratta di Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998 in Foro it., 1999, IV, 281; Riv. dir. internaz., 1999, 489; Urbanistica e appalti, 1998, 1151 con nota di E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>>.
[15] Si tratta del d.p.r. di attuazione della direttiva 82/501/CEE, cd. direttiva Seveso.
[16] Le citazioni sono da Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998 nella traduzione pubblicata da Foro it., 1999, IV, 281; la traduzione di E. BOSCOLO pubblicata da Urbanistica e appalti, 1998, 1151 è leggermente diversa, ma non diverge sostanzialmente da quella pubblicata dal Foro italiano e richiamata in queste pagine.
[17]Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[18] Le citazioni sono sempre da Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[19] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[20] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[21] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[22] <<La Corte ricorda che gravi minacce all'ambiente possono coinvolgere il benessere delle persone e privarle del godimento del proprio domicilio in modo da nuocere alla loro vita privata e familiare>>; Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[23] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[24] <<La Corte considera che gli interessati non hanno dimostrato l'esistenza di un danno materiale derivante dalla mancanza di informazioni di cui si lagnano>>; Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[25] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[26] Non bisogna, infatti, dimenticare che, soprattutto dopo il d.lgs. 25 febbraio 1997 n. 39, l’informazione ambientale assuma un contenuto che non prevede le limitazioni soggettive (titolarità dell’interesse giuridicamente rilevante) e oggettive (limitazione ad atti già esistenti e quindi esclusione di attività positive di pubblicizzazione o elaborazione di dati ambientali) del diritto di accesso; E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>> cit., 1154; F. CARINGELLA Profili generali del diritto di accesso in F. CARINGELLA, R. GAROFOLI e M.T. SEMPREVIVA L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali cit., 32.
[27] <<Si potrebbe forse obiettare che, seguendo l’impostazione della Corte, si sarebbe forse dovuta negare l’esistenza di un vero e proprio “diritto ad essere informati” (cioè ad essere destinatari di una comunicazione) dovendosi parlare, al più, di un “diritto di reperire informazioni” (cioè avere quantomeno la possibilità di accedere alle informazioni richieste>>; E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>> cit., 1154.
[28] E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>> cit., 1154.
[29] F. CARINGELLA La tutela cit., 496.
[30] Si veda, ad esempio, quanto rilevato da E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>> cit., 1155, con riferimento all’impostazione più restrittiva dei rapporti tra danno morale e danno biologico oggi superata da Cass. S.U. 21.2.2002, n. 2515 (in questa Rivista n. 2-2002; Corriere giuridico, 2002, 465 con nota di DE MARZO; Danno e resp., 2002, 499, con osservazioni di PONZANELLI e TASSONE; Resp. Civ. e Prev., 2002, 726, con nota di FEOLA; Foro it., 2002, 999 con nota di PALMIERI).
[31] M. COSTANTINO Il risarcimento del danno da diniego (illegittimo) all’accesso ai documenti amministrativi cit., 1998, 176 e F. CARINGELLA La tutela cit., 493.
[32] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[33] E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>> cit., 1155.
[34] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[35] P.G. MONATERI Verso una teoria del danno esistenziale in P. CENDON e P. ZIVIZ Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2000, 714.
[36] P.G. MONATERI Verso una teoria del danno esistenziale cit., 715; al contrario, <<con la locuzione danni non patrimoniali si intende ogni conseguenza peggiorativa che non tollera, alla stregua di criteri oggettivi, di mercato, una valutazione pecuniaria rigorosa>>.
[37] Cass. 24.5.1997 n. 4631 in Corriere giur., 1997, 1172 con nota di DE MARZO; 20.6.1997 n. 5530 in Foro it., 1997, I, 2068 con nota di PALMIERI; Danno e resp., 1997, 711 con nota di POZZO.
[38] Le citazioni sono da G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova in questa Rivista, n. 10/2002, § 2.
[39] Sui contrasti giurisprudenziali in ordine alla tutela penale del diritto di accesso, si rinvia a V. TENORE Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dell’istituzione scolastica in V. TENORE (a cura di) La dirigenza scolastica, Milano, Giuffrè, 2002, 275.
[40] Si segue l’impostazione di G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova cit., § 2.
[41] Le citazioni sono da G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova cit., § 2.
[42] G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova cit., § 2 e R. DE MATTEIS Il danno esistenziale in Danno e resp., 2002, 565.
[43] G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova cit., § 2.
[44] Corte europea diritti dell’uomo 19.2.1998, cit.
[45] Si tratta della fortunata categoria teorizzata in alcune opere collettive (soprattutto CENDON P. e ZIVIZ P. Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile cit., e P. CENDON Trattato breve dei nuovi danni. Il risarcimento del danno esistenziale: aspetti civili, penali, medico legali, processuali, CEDAM Padova 2001) ed emersa in giurisprudenza soprattutto a seguito di Cass. 7.6.2000 n. 7713 in Giur. it., 2000, 1352, con nota di PIZZETTI; Corriere giur., 2000, 873, con nota di DE MARZO; Danno e resp., 2000, 835, con note di MONATERI e PONZANELLI; Giust. civ., 2000, I, 2219; Guida al dir., 2000, fasc. 23, 42, con nota di FINOCCHIARO; Dir. e giustizia, 2000, fasc. 23, 23, con nota di DOSI, Foro it., 2001, I, 187, con nota di D’ADDA. Per un quadro generale dell’applicazione della categoria alla p.a., ci si permette di rinviare a L. VIOLA Piccoli equivoci senza importanza: il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione in T.A.R., 2002, II, 233.
[46] G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova, cit., § 2.
[47] L. VIOLA Piccoli equivoci senza importanza: il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit., 233.
[48] E. BOSCOLO La Corte europea dei diritti dell’uomo e il diritto ad una corretta <<informazione ambientale>> cit., 1155.
[49] G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova cit., § 1.
[50] Per le diverse tesi in materia di fondamento costituzionale del diritto di accesso, si rinvia a F. CARINGELLA Profili generali del diritto di accesso cit., 14-24.
[51] Si tratta della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4. dicembre 1950 e ratificata dall’Italia con l. 4 agosto 1955 n. 848.