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n. 9-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 13 settembre 2001 n. 4783 - Pres. Venturini, Est. Carinci - Consorzio per il Nucleo di Sviluppo Industriale di Vibo Valentia (Avv. Domenico Sorace) c. Capria ed altri (Avv.ti Luisa Torchia, Anselmo Torchia e Antonella Capria) e Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia (n.c.) - (conferma T.A.R. Calabria - Catanzaro, sent. 29 giugno 2000, n. 891).

1. Giurisdizione e competenza - Espropriazione per p.u. - Occupazione di urgenza - Suo annullamento in s.g. - Azione di risarcimento proposta dai proprietari - A seguito dell'irreversibile trasformazione del fondo - Giurisdizione amministrativa - Sussiste ex artt. 34 e 35 D.L.vo n. 80/1998.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Condanna ex art. 2055 del cod. civ. - Di due enti pubblici in solido - Allorché risulti la loro concomitante responsabilità - Possibilità - Fattispecie.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Condanna ex art. 2055 del cod. civ. - Indicazione da parte del ricorrente del grado di responsabilità dei soggetti responsabili in solido - Non occorre.

4. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Condanna ex art. 2055 del cod. civ. - Può essere emessa sia nei confronti di persone fisiche che di quelle giuridiche.

5. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi - Irrilevanza.

6. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Dimostrazione dell'elemento psicologico - Necessità.

7. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Dimostrazione dell'elemento psicologico - Esecuzione dell'ordinanza di occupazione di urgenza pur in presenza di una domanda di sospensione - Viola le comuni regole di prudenza ed integra il detto presupposto.

1. La richiesta di risarcimento dei danni a seguito dell'irreversibile trasformazione dei fondi provocata da un decreto di occupazione d'urgenza riconosciuto illegittimo in s.g., rientra - ai sensi degli artt. 34 e 35 del D.L.vo n. 80/1998 e successive modificazioni ed integrazioni - nella giurisdizione del G.A., tenuto conto, da un lato, che la controversia in questione rientra nella materia urbanistica e che, dall'altro, l'art. 35, come modificato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000, ha stabilito di abrogare "l'articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi".

2. Ai sensi dell'art. 2055 del cod. civ. (che è applicabile anche al processo amministrativo) se il fatto dannoso è imputabile a più persone, è la legge che le ritiene responsabili in solido dell'eventuale risarcimento del danno, lasciando alla persona che lo ha risarcito la possibilità di esperire azione di regresso nei confronti delle altre nella misura della rispettiva colpa e della conseguente entità (1).

3. Nessun rilievo assume, ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento, il fatto che nella formulazione della domanda stessa l'interessato non abbia dato indicazioni sulla responsabilità solidale e in ordine alla misura delle presunte colpe, essendo compito del giudice stabilire, sulla base dell'art. 2055 del cod. civ., la gravità della colpa e l'accertamento delle responsabilità dei soggetti che abbiano contribuito alla produzione del danno, secondo quanto risulta dagli atti del giudizio.

4. La regola prevista dall'art. 2055 del cod. civ., secondo cui la responsabilità di un fatto va attribuita in modo pieno a tutte le persone che hanno contribuito a produrlo, è applicabile sia alla persone fisiche che a quelle giuridiche.

5. Deve ritenersi superata, ai fini della risarcibilità del danno, la tradizionale dicotomia tra diritti soggettivi e interessi legittimi, essendo riconosciuta anche per questi ultimi la possibilità del risarcimento qualora l'attività della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l'interesse era collegato (2).

6. Ai fini della risarcibilità del danno ingiusto cagionato dal comportamento della pubblica amministrazione si richiede anche la presenza dell'elemento psicologico.

7. Deve ritenersi che un ente pubblico incorra per lo meno nella violazione delle comuni regole di prudenza, nel caso in cui proceda all'occupazione dei terreni - compiendo successive operazioni di trasformazione irreversibile - senza nemmeno attendere l'esito dell'istanza di sospensiva avanzata con il ricorso proposto avverso il decreto di occupazione di urgenza; tale comportamento denota certamente la presenza, insieme al nesso causale, di un elemento psicologico rilevante ai fini della configurazione del danno ingiusto procurato e della sua risarcibilità.

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(1) Alla stregua del principio nella specie la Sez. IV ha ritenuto legittima la decisione dei giudici di prime cure, i quali avevano condannato al risarcimento dei danni in solido non solo l'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, ma anche l'appellante Consorzio per il Nucleo di Sviluppo Industriale di Vibo Valentia, tenuto conto che quest'ultimo aveva chiesto l'emanazione del provvedimento di occupazione d'urgenza ed aveva anche provveduto, attraverso suoi tecnici, alla acquisizione dei terreni.

La posizione del Consorzio, quindi, ad avviso della Sez. IV, non poteva ritenersi di mera esecuzione di un provvedimento reso aliunde, ma quella di ente che ha preso parte attiva e determinante alle operazioni di occupazione dell'area.

(2) Cass. Sez. Unite 22 luglio 1999, n. 500, in www.giustamm.it, n. 7/1999; T.A.R. Abruzzo-Pescara, 23 settembre 1999, n. 750; per ulteriori riferimenti v. la pagina di approfondimento.

 

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 22 maggio 1999, proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, Capria Francesco e Capocasale Maria Teresa hanno chiesto la condanna del Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale di Vibo Valentia e dell'Amministrazione Provinciale della stessa città al risarcimento dei danni patiti a seguito di occupazione d'urgenza di terreni di loro proprietà autorizzata con decreto n. 51 del 17 giugno 1998 del Dirigente dell'Ufficio tecnico della Provincia, notificato in data 22 luglio 1998 dal Commissario Straordinario del Consorzio industriale.

Gli stessi avevano già impugnato e ottenuto l'annullamento del provvedimento di occupazione d'urgenza con sentenza n. 192 del 17 febbraio 1999 dello stesso Tribunale.

Si è costituito nel giudizio il Consorzio intimato che ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva di esso Consorzio, nullità della domanda, difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, oltre che infondatezza nel merito. Si è costituita anche l'Amministrazione Provinciale, che ha eccepito l'inammissibilità del ricorso e la sua infondatezza.

Il Tribunale amministrativo, con decisione n. 891 pubblicata in data 29 giugno 2000, rigettata la domanda proposta nei confronti dell'Amministrazione Provinciale e affermata la responsabilità del Consorzio, ha condannato quest'ultimo al risarcimento dei danni procurati, con esclusione di quelli morali, e ha fissato termini e criteri per la liquidazione in sede amministrativa.

Avverso detta pronuncia ha interposto appello lo stesso Consorzio, che ha ritenuto la sentenza parziale, lacunosa e frutto di erronea rappresentazione della realtà. Nel gravame notificato in data 9 ottobre 2000, richiamati tutte le eccezioni e i rilievi esposti in primo grado, ha dedotto i seguenti motivi.

Nella sentenza è stata ritenuta la legittimazione passiva del Consorzio, ma non è stato chiarito in cosa consisterebbe la responsabilità di tale ente, che si è limitato a porre in essere un'attività a contenuto vincolato, consistente nella mera comunicazione alla ditta assegnataria dell'immobile del decreto di occupazione emanato da altra Autorità. Peraltro, la concreta acquisizione materiale del bene è avvenuta per mano della ditta privata, alla quale il Consorzio ha pure comunicato, appena avuta informativa dell'apposizione del vincolo ambientale sull'immobile, la sospensione dell'assegnazione. In ogni caso, gli atti consortili ritenuti pregiudizievoli sono stati adottati prima dell'adozione del vincolo ambientale, cioè prima della circostanza che costituisce causa giuridica della domanda risarcitoria.

Alla data di adozione degli atti consortili reputati illegittimi non sussisteva alcun vincolo ambientale sull'immobile, né era stato avviato l'iter per la sua imposizione, il che conferma la sicura esistenza del difetto di legittimazione attiva denunciato in primo grado.

La domanda proposta in primo grado, mancando una qualsiasi indicazione di "solidarietà passiva" tra Consorzio e Provincia, andava considerata generica e perciò inammissibile. In effetti, non è dato al giudice affermare l'esistenza di solidarietà per via interpretativa; né può attribuirsi valore, nel caso, all'art. 2055 del cod. civ., disposizione riferibile esclusivamente ad atti o fatti posti in essere da persone fisiche, non estensibile ai procedimenti amministrativi ad evidenza pubblica.

Secondo quanto osservato nella sentenza, la ragione del danno non risiede nell'atto amministrativo di riferimento, ma nella materialità dell'utilizzo del bene. La responsabilità esula, perciò, dal Consorzio e andrebbe semmai attribuita alla ditta assegnataria del bene alla quale, peraltro, è stata data immediata comunicazione del vincolo ambientale imposto, con la precisazione che l'assegnazione doveva intendersi sospesa. Trattandosi, peraltro, di materia conseguente ad apprensione del bene definita sine titulo dalla sentenza, e quindi estranea alla problematica urbanistica, il giudizio risarcitorio andava indirizzato al giudice ordinario.

Secondo l'impugnata sentenza, l'annullamento del decreto di occupazione e delle comunicazioni consortili sulla sua emanazione e sulla presa di possesso ha reso l'occupazione sine titulo, donde è stata ravvisata la responsabilità del Consorzio. A prescindere, però, che tale ente non ha comunque proceduto alla materiale occupazione del terreno, il giudice di prime cure ha sicuramente errato nella sua decisione, avendo fatto derivare la responsabilità e l'obbligo del risarcimento dalla sola inesistenza del titolo, mentre per la responsabilità aquiliana si richiede, oltre l'elemento materiale, la presenza dell'elemento psicologico della colpa o del dolo. Nessuna violazione di legge, però, o di regolamento o di comuni regole di prudenza può attribuirsi al Consorzio, anche perché la riconosciuta illegittimità del provvedimento di occupazione è di natura derivata ed inerente a una fase del procedimento - quella di apposizione del vincolo ambientale - intervenuta successivamente all'adozione dell'atto. Non è poi esatto che il Consorzio abbia provveduto alla materiale apprensione dell'immobile e al taglio degli alberi.

Si sono costituiti in giudizio Francesco Capria e Maria Teresa Caposala, che, con atto depositato in data 13 novembre 2000, hanno chiesto il rigetto del ricorso d'appello, in quanto inammissibile, irricevibile e infondato. Con memoria del 30 novembre 2000, gli stessi hanno illustrato ampiamente le loro tesi difensive, sostenendo, in particolare, che nonostante la proposizione del ricorso e le diverse diffide avanzate nei confronti del Consorzio, tale ente ha egualmente provveduto a dare esecuzione alla decisione di occupazione assunta contra legem - secondo quanto chiarito in sede giurisprudenziale - procurando loro ingenti danni ingiusti, come si riscontra anche dal particolare pregio ambientale posseduto dai loro terreni, riconosciuto da parte del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali.

All'udienza del 24 aprile 2001, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

Come esposto in narrativa, il Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale di Vibo Valentia ha proposto appello avverso la sentenza specificata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo della Calabria lo ha condannato a risarcire i danni procurati a Capria Francesco e Capocasale Maria Teresa, ricorrenti in primo grado, in relazione alla ritenuta illegittimità - con distinta sentenza passata in giudicato - dell'occupazione d'urgenza di terreni di loro proprietà, destinati a iniziative industriali.

Il Consorzio sostiene in primo luogo che il giudice abbia erroneamente disatteso le eccezioni di inammissibilità sollevate nei confronti del ricorso di primo grado, con cui erano stati denunciati il difetto di legittimazione passiva di esso Consorzio e il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti.

Con riferimento al primo profilo, l'ente sostiene di aver svolto una mera attività esecutiva e di carattere vincolato in relazione alla decisione assunta dall'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, e non sussisterebbero i presupposti per essere tenuto a rispondere di profili di illegittimità o di danni in qualunque modo scaturiti dalla contestata occupazione.

Con riferimento al secondo profilo, osservato che il TAR ha riscontrato, con sentenza n. 192 del 1999, l'illegittimità del provvedimento ablativo dell'Amministrazione Provinciale per mancata considerazione delle osservazioni formulate dal Capria e dalla Caposala sui pregi ambientali e storici dell'immobile occupato, ha tratto la conclusione che unico soggetto destinatario del danno sarebbe, semmai, lo Stato, in quanto autore del vincolo imposto e titolare del potere di disposizione sui beni, di talchè nessun interesse residuerebbe in capo ai ricorrenti.

Entrambe le eccezioni si appalesano inconsistenti.

In ordine alla prima questione, va considerato che nella decisione di prime cure è stato chiaramente evidenziato che l'effetto dannoso cui è stato fatto riferimento nel ricorso è la conseguenza di fatti posti in essere dal Consorzio nel quadro dell'attività espletata in attuazione del provvedimento di occupazione di urgenza.

L'indicazione si appalesa esatta, ove solo si rifletta che è stato lo stesso Consorzio che ha chiesto alla Provincia di Vibo Valentia l'emanazione del provvedimento di occupazione d'urgenza del terreno in argomento, al fine della realizzazione del progetto di esproprio, dopo aver proceduto all'assegnazione dello stesso alle imprese private che ne avevano fatto richiesta. Ed è sempre il Consorzio che nel quadro della richiesta formulata non solo ha emesso gli atti di concreta occupazione dei terreni, ma ha anche provveduto, attraverso suoi tecnici, alla loro acquisizione, in attuazione del disegno inizialmente progettato. La sua posizione, quindi, non può ritenersi di mera esecuzione di un provvedimento reso aliunde, ma quella di ente che ha preso parte attiva e determinante alle operazioni di occupazione dell'area.

Anche con riferimento al dedotto difetto di legittimazione attiva, le considerazioni del Tribunale amministrativo si appalesano pertinenti.

Nella sentenza è stato correttamente osservato che il vincolo di pregio storico e ambientale imposto sull'immobile ex lege 1° giugno1939, n. 1089 - per la presenza in esso di piante di ulivo secolari - anche se incide, con effetto limitativo, sui poteri di disposizione del bene, non per questo fa venire meno la titolarità dell'immobile e il connesso diritto ad agire in giudizio a tutela delle situazioni giuridiche possedute. In effetti, l'apposizione del vincolo lascia integra la titolarità dell'immobile in capo ai proprietari, ai quali non può certo ritenersi sottratta la potestà di far valere in giudizio i connessi interessi, non esclusi quelli attinenti a profili derivanti da eventuali responsabilità di ordine economico.

Il Consorzio di Vibo Valentia ha anche eccepito la nullità e l'inammissibilità della domanda formulata in primo grado dai ricorrenti, in quanto indistintamente diretta a due enti - Consorzio Industriale e Amministrazione Provinciale - senza alcuna distinzione in termini di entità rivendicate e qualità giuridiche rispetto alla responsabilità solidale. Di talchè la stessa doveva ritenersi generica con riferimento al soggetto passivamente legittimato, e nulla, mancando una qualsiasi articolazione delle quote di responsabilità assunte a carico dei soggetti intimati. Non poteva quindi il giudice ritenere in via interpretativa l'esistenza di una "solidarietà passiva".

Anche in ordine a tale questione, il Tribunale amministrativo si è pronunciato correttamente. Nella decisione assunta, infatti, l'organo giurisdizionale ha ritenuto che una volta individuati in modo esauriente i fatti di causa, non si richiede alcuna particolare formulazione della domanda al fine di far valere l'esistenza di un vincolo di solidarietà tra più soggetti. In tale assunto si è richiamato alla disposizione dell'art. 2055 del cod. civ. che espressamente prevede la responsabilità solidale fra più autori del fatto dannoso. Invero, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, è la legge che le ritiene responsabili in solido dell'eventuale risarcimento del danno, lasciando, com'è noto, alla persona che lo ha risarcito la possibilità di esperire azione di regresso nei confronti delle altre nella misura della rispettiva colpa e della conseguente entità. Nessun rilievo quindi assume, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, il fatto che nella formulazione della domanda l'istante non abbia dato indicazioni sulla responsabilità solidale e in ordine alla misura delle presunte colpe, essendo compito del giudice stabilire, sulla base della citata disposizione, la gravità della colpa e l'accertamento delle responsabilità dei soggetti che abbiano contribuito alla produzione del danno, secondo quanto risulta dagli atti del giudizio.

Nemmeno è condivisibile la tesi secondo cui la disposizione del codice civile si applicherebbe solo per casi di solidarietà tra persone fisiche e non allorchè - come nel caso di specie - il vincolo è riferito a persone giuridiche di natura pubblica. La regola secondo cui la responsabilità di un fatto va attribuita in modo pieno a tutte le persone che hanno contribuito a produrlo deriva da un principio di ordine generale e non si ravvisano ragioni perché le persone giuridiche pubbliche debbano ritenersi sottratte dall'osservarla.

Con il quarto motivo il Consorzio ha eccepito, tra l'altro, che la questione in esame, derivante da una occupazione sine titulo, come ritenuto nella sentenza, ed estranea alla problematica urbanistica, apparterrebbe alla cognizione del giudice civile.

In proposito va osservato che il legislatore, attraverso gli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, modificati e integrati con le disposizioni dell'art. 7 della legge 20 luglio 2000 n. 205, ha devoluto nuove materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, introducendo importanti innovazioni sul processo amministrativo, anche con riferimento ai poteri di cognizione del giudice. Risultano compresi nelle innovazioni, tutti gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad essi equiparati in materia di edilizia ed urbanistica, ed è stato precisato, a tal proposito, che "la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio". Il successivo art. 35, come modificato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000, ha inoltre stabilito di abrogare "l'articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi".

Ciò rilevato, appare al Collegio che la questione in argomento - concernente la richiesta di risarcimento di danni a seguito di un decreto di occupazione d'urgenza riconosciuto illegittimo, per aree da destinare a lotti industriali localizzati nell'ambito di un piano territoriale di sviluppo - non sia esclusa dalle previsioni delle richiamate disposizioni, in quanto certamente riferita a materia urbanistica nel senso indicato dalla richiamata disposizione. In ogni caso, l'oggetto del ricorso riguarda esclusivamente una pretesa di risarcimento di danni conseguente all'avvenuto annullamento in sede giurisdizionale di un atto amministrativo, per cui la giurisdizione non può che restare attribuita, in relazione alle innovazioni richiamate, allo stesso giudice amministrativo.

Gli ulteriori motivi di appello sono attinenti più specificamente al merito del giudizio. Con gli stessi il Consorzio sostiene che la ragione del danno di cui è stato chiesto il risarcimento non risiede nell'atto amministrativo emanato, ma, semmai, nella materialità dell'utilizzo del bene, e la relativa responsabilità andrebbe attribuita alla ditta assegnataria, alla quale esso ha anche comunicato l'intervenuta apposizione del vincolo ambientale, appena venutone a conoscenza. In ogni caso, il giudice di prime cure sarebbe incorso in errore nel non tenere conto che la responsabilità e l'obbligo del risarcimento richiedono, oltre all'elemento materiale, anche quello psicologico, che nel caso non sussisterebbe, anche perché non può essere attribuita al Consorzio l'illegittimità del decreto di autorizzazione all'occupazione emesso da un altro ente, in relazione, peraltro, a caratteristiche ambientali riconosciute successivamente alla formazione degli atti ablativi.

Anche tali censure si appalesano infondate.

In ordine alla prima osservazione, è necessario ricordare che l'illegittimo svolgimento dell'azione amministrativa costituisce senza dubbio fonte di responsabilità che può dar luogo, ove ne ricorrano le condizioni, all'obbligo di risarcimento del danno ingiusto, a prescindere dalla natura della situazione soggettiva violata.

La più recente giurisprudenza, anche sulla base delle nuove disposizioni dettate sulla disciplina del processo, ha affermato che il giudice amministrativo può disporre, nelle materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva, il risarcimento del "danno ingiusto". La Corte di Cassazione ha ritenuto superata, ai fini della risarcibilità del danno, la tradizionale dicotomia tra diritti soggettivi e interessi legittimi, essendo riconosciuta anche per questi ultimi la possibilità del risarcimento qualora l'attività della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l'interesse era collegato (Cass. Sez. Un. N. 500/99 del 26.3-22.7.1999; TAR Abruzzo, Sez. PE, n. 750 del 23.9.1999).

Nel caso di specie, il Tribunale amministrativo ha ravvisato la responsabilità del Consorzio di Sviluppo industriale in quanto ente che ha proceduto a porre in essere un'attività in assenza di un titolo che lo legittimasse all'occupazione. Il rilievo del Tribunale si appalesa pienamente fondato, in quanto, come già in precedenza osservato, non può escludersi la diretta partecipazione del Consorzio nelle operazioni in argomento. Tenuto conto, poi, che il titolo che autorizzava l'occupazione è stato realmente eliminato con effetto ex tunc dalla sentenza di annullamento passata in giudicato, viene avvalorata la tesi secondo cui gli atti e l'attività posta in essere dal Consorzio si sono svolti sine titulo, in quanto posti in essere sul presupposto di un decreto illegittimo ab initio.

Nessun rilievo può attribuirsi alle operazioni poste in essere dalla ditta assegnataria dell'immobile, la quale, se è intervenuta nella materiale apprensione del bene, lo ha fatto solo successivamente all'acquisizione disposta dal Consorzio, al quale resta imputata la responsabilità dell'occupazione.

Il Tribunale non ha ignorato che ai fini della risarcibilità del danno ingiusto cagionato dal comportamento della pubblica amministrazione si richiede anche la presenza dell'elemento psicologico.

A tal uopo ha escluso che il Consorzio non fosse in condizioni di conoscere il carattere illegittimo dell'attività posta in essere, evidenziando che gli interessati avevano portato a sua conoscenza, attraverso apposito atto di diffida, la condizione di notevole valore ambientale dei terreni oggetto del decreto di occupazione (anche se tale valore è stato riconosciuto formalmente solo in un tempo successivo).

Era stato inoltre notificato al Consorzio il ricorso proposto avverso il decreto di autorizzazione all'occupazione d'urgenza, con i relativi motivi di illegittimità e con richiesta di sospensione dell'efficacia dell'atto.

Le indicate circostanze sono state evidentemente trascurate dal Consorzio, il quale non solo - per le ragioni già evidenziate - ha posto in essere un'attività sine titulo, ma è anche incorso per lo meno nella violazione delle comuni regole di prudenza, avendo proceduto all'occupazione dei terreni - consentendo le successive operazioni di taglio degli alberi ivi esistenti, tra cui taluni secolari - senza nemmeno attendere l'esito dell'istanza di sospensiva proposta nel su citato ricorso. Il che denota certamente la presenza, insieme al nesso causale, di un elemento psicologico rilevante ai fini della configurazione del danno ingiusto procurato e della sua risarcibilità.

Per le su esposte considerazioni l'appello si appalesa infondato e merita di essere respinto.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello specificato in epigrafe e, per l'effetto, conferma la decisione impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 24 aprile 2001, dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti signori:

Lucio VENTURINI Presidente

Costantino SALVATORE Consigliere

Marcello BORIONI Consigliere

Cesare LAMBERTI Consigliere

Giuseppe CARINCI Consigliere estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata il 13 settembre 2001.

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