CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 27 maggio 2002 n. 2940 - Pres. Paleologo, Est. Poli - Citta di Bari Hospital s.p.a. (Avv. A. Loiodice), Di Terlizzi (Avv. V. Caputi Jambrenghi), Case di Cura Riunite s.r.l. (Avv.ti N. De Marco ed E. Toma) e Regione Puglia (Avv. C. De Bellis) c. Comune di Bisceglie (Avv. M. Barbieri), Azienda Unità Sanitaria Locale, Bari\2 (Avv. N. Di Modugno), Ministero dell'interno ed altri (Avv.ra Stato) e Associazione per la qualità della vita (Avv. M. Muscella) - (conferma T.A.R. Puglia-Bari, sez. I, 2 maggio 2001, n. 1400).
1. Sanità pubblica - Case di cura private - Autorizzazione sanitaria regionale - Requisiti soggettivi ed oggettivi valutati in sede di rilascio - Individuazione - Natura fiduciaria dell'autorizzazione - Conseguenze - Intrasmissibilità ex se dell'autorizzazione mediante negozi privatistici.
2. Sanità pubblica - Case di cura private - Autorizzazione sanitarie regionale e accreditamento istituzionale ex art. 8 quater, d.lgs. n. 502/1992 - Trasferimento dell'azienda - Non comporta anche l'automatico trasferimento dell'autorizzazione e dell'accreditamento - Riferimento all'art. 2558 c.c.
3. Sanità pubblica - Sanità pubblica - Case di cura private - In regime di convenzione - Possibilità di stutturarsi in forma societaria - Ex art. 4, comma 7, L. n. 412/1991 - Successione automatica nel rapporto convenzionale - Impossibilità - Presenza di un elemento di continuità con l'originario assetto a garanzia del rapporto fiduciario instaurato - Necessità.
4. Sanità pubblica - Sanità pubblica - Case di cura private - Autorizzazione sanitaria regionale e accreditamento istituzionale ex art. 8 quater, d.lgs. n. 502/1992 - Subentro nel rapporto - Presupposti - Verifica della sussistenza dei requisiti personali e strutturali richiesti dalla normativa vigente - Necessità.
1. Le autorizzazioni sanitarie regionali all'esercizio di case di cura private, per l'importanza degli interessi pubblici coinvolti (presidiati dall'art. 32 Cost.), sono rilasciate ob rem ac personam, nel senso che il rilascio è subordinato alla contestuale presenza di requisiti soggettivi (legati alla professionalità e moralità del titolare) ed oggettivi (ancorati all'idoneità della struttura); in considerazione del carattere fiduciario dell'autorizzazione, il titolare deve coincidere con la persona del gestore, sicchè la stessa autorizzazione non è trasmissibile ex se mediante negozi privatistici (1).
2. Per il carattere strettamente personale e la rilevanza pubblicistica delle autorizzazioni sanitarie regionali all'esercizio di case di cura private, nonchè del c.d. accreditamento istituzionale, rilasciato dalla regione, ai sensi dell'art. 8 quater, d.lgs. n. 502 del 1992, e tenuto conto della natura indisponibile dei rapporti giuridici cui esse afferiscono, deve ritenersi che le autorizzazioni e l'accreditamento non possono rientrare nel complesso dei beni aziendali suscettibili di trasferimento fra le parti con automatico subentro del cessionario, stante il principio, di ordine generale, di immutabilità dei soggetti autorizzati nei rapporti con la p.a., conformemente, peraltro, alla prescrizione dell'art. 2558 c.c., secondo cui il cessionario dell'azienda non può subentrare nei rapporti che abbiano carattere personale (2).
3. Anche se dopo l'entrata in vigore dell'art. 4, comma 7, l. n. 412 del 1991, le società possono essere parti di rapporti convenzionali; deve tuttavia ritenersi che una società neocostituita non possa pretendere di succedere automaticamente nel rapporto instaurato con il precedente titolare (sia esso un singolo individuo od una società), rimanendo a tal fine indispensabile un elemento di continuità con l'originario assetto a garanzia del rapporto fiduciario instaurato (3).
4. L'interesse del privato a subentrare nel rapporto di accreditamento è da ritenere recessivo rispetto all'esigenza dell'amministrazione sanitaria di programmare e gestire i rapporti di accreditamento sulla base di una valutazione attuale ed aggiornata degli interessi della collettività e del servizio sanitario entro strutture accreditate certamente in possesso di tutti i requisiti richiesti (4). Sono comunque esclusi degli automatismi nell'estensione del rapporto convenzionale, dovendosi sempre accertare i profili personali e strutturali richiesti dalla normativa vigente (5).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 1994, n. 639, in Foro amm. 1994, 1714 ed in Il Cons. Stato 1994, I,1025, con la quale si è sottolineata la rilevanza dell'elemento fiduciario nei rapporti negoziali aventi ad oggetto l'affidamento ad un soggetto terzo di un pubblico servizio.
(2) Ha osservato la Sez. IV che immediati corollari del principio espresso sono: a) il divieto della cessione dell'autorizzazione a qualunque titolo e sotto qualsiasi forma, ancorchè si tratti di singole attività; b) il divieto della cessione a qualsiasi titolo, dei locali compresi nella planimetria depositata all'atto della richiesta di autorizzazione, dovendosi ricomprendere in questa clausola, per evidenti ragioni letterali e teleologiche, non solo le ipotesi di vendita, ma anche quelle di locazione, comodato, affitto di azienda, concessione di usufrutto e simili; c) l'automatica risoluzione della convenzione in occasione della revoca dell'autorizzazione all'apertura ed all'esercizio della casa di cura.
Deve inoltre ritenersi che: a) l'autorizzazione non può circolare separatamente dalla struttura cui accede; b) sulla medesima struttura non possono gravare distinte autorizzazioni ancorchè intestate a soggetti diversi; c) il venir meno del titolare o della struttura implicano la doverosa declaratoria di decadenza dell'autorizzazione, con effetti ex nunc, per sopravvenuta carenza dei presupposti legali. Si tratta, a ben vedere, di una applicazione dei principi generali in tema di esercizio della funzione di riesame da parte dell'autorità di settore.
(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 agosto 2001 n. 4373, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds5-2001-08-10-1.htm
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 ottobre 2001, n. 5646.
(5) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2001, n. 1349, in Foro amm. 2001, f. 3, secondo cui «L'art. 14 comma 2 d.P.R. 16 maggio 1980, recante l'approvazione dell'accordo nazionale collettivo dei sanitari convenzionati con il S.s.n., non consente l'automatica estensione del rapporto convenzionale esistente all'attività di analisi con metodiche che utilizzano radioisotopi "in vitro", prevista nella branca di medicina nucleare, all'uopo occorrendo uno specifico atto d'assenso da parte dell'Usl, volto ad accertare che il sanitario e la struttura interessati siano in possesso dei requisiti prescritti al riguardo dalle norme vigenti e che tipo di affetti finanziari tale estensione determina agli enti del S.s.n.».
FATTO
Con i ricorsi indicati in epigrafe, tutti ritualmente notificati e depositati, Di Terlizzi Giuseppe, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Sanitas s.a.s., la Regione Puglia, C.B.H. e C.C.R. proponevano appello, ciascuno per quanto di ragione, avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione prima, n. 1400 del 2 maggio 2001.
Si costituivano in ciascun giudizio le parti meglio individuate in epigrafe, deducendo, ciascuna per quanto di proprio interesse, l'infondatezza dei gravami in fatto e in diritto.
La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 26 marzo 2002.
DIRITTO
1. I quattro appelli in trattazione, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c.
2. Tutti gli appelli proposti sono infondati e devono essere respinti.
Per esigenze di chiarezza espositiva, prescindendo dalla cronologia degli appelli, la Sezione affronterà le questioni giuridiche ad essi sottese, partitamente, seguendo la tassonomia fatta propria dal giudice di prime cure.
3. In fatto la Sezione premette quanto segue.
I) Il dr. Giuseppe Di Terlizzi, proprietario della casa di cura Villa S. Caterina ubicata in Bisceglie, era stato autorizzato, sin dal lontano 1961, a gestirla. Nel 1980 era stato convenzionato con il S.S.N.
II) Il 16 luglio 1985 il Di Terlizzi inoltrava alla Regione una dichiarazione (debitamente protocollata) in cui esternava l'avvenuta cessione della Clinica alla C.C.R., la sospensione, a far data dal primo agosto dei servizi di chirurgia, ostetricia e ginecologia e la prosecuzione del servizio di emodialisi.
III) Il successivo 17 luglio 1985, la C.C.R. comunicava alla Regione di aver rilevato la Clinica Villa S. Caterina, confermando la sospensione dell'attività di chirurgia, ostetricia e ginecologia e la prosecuzione del servizio di emodialisi con annessi 10 posti letto accreditati di nefrologia.
IV) Sopraggiungeva la deliberazione della Giunta regionale pugliese n. 6862 del 22 luglio 1985 (rettificata con successivo atto n. 4012 del 1986), avente ad oggetto - con decorrenza 1 agosto 1985 - da un lato, la revoca dell'autorizzazione sanitaria (n. 3907 del 28 marzo 1961), rilasciata a suo tempo dal medico provinciale di Bari in favore del dottor Giuseppe Di Terlizzi per l'esercizio della Casa di Cura Villa S. Caterina, e la presa d'atto della cessazione del regime convenzionale instaurato nel 1980; dall'altro, il rilascio in favore della C.C.R. dell'autorizzazione sanitaria a gestire la medesima Clinica ed il conseguenziale ampliamento del rapporto convenzionale con il S.S.N. precedentemente instaurato sempre con la C.C.R.
V) La deliberazione veniva esternata tramite i decreti del Presidente della Giunta regionale nn. 2121 e 2122 del 1 ottobre 1985.
VI) In data 8 ottobre 1985, Di Terlizzi (unitamente al proprio coniuge) e la C.C.R. stipulavano un contratto, da qualificarsi senz'altro come affitto di azienda, concernente la Clinica in questione; il contratto veniva registrato il 10 ottobre 1985; seguivano due scritture private intercorse fra i coniugi Di Terlizzi e la C.C.R. (del 27 gennaio 1986, registrate il successivo 10 febbraio 1986) in cui, per quanto di interesse ai fini del presente giudizio, le parti riconoscevano che la decorrenza degli effetti dell'affitto di azienda risaliva al 1 agosto 1985.
VII) Con scrittura privata del 26 novembre 1992 (registrata il 14 dicembre 1993) i coniugi Di Terlizzi conferivano in proprietà alla s.a.s. Sanitas il fabbricato adibito a casa di cura sito in Bisceglie.
VIII) In data 4 febbraio 1994, la Sanitas e la C.C.R. concludevano un nuovo contratto di affitto di azienda (registrato il 7 febbraio 1994), avente ad oggetto la Clinica Villa S. Caterina, con scadenza 31 gennaio 2000.
IX) Con deliberazione della giunta regionale n. 974 del 27 marzo 1996, la C.C.R. - veniva accreditata provvisoriamente per 60 posti letto e 18 posti rene da gestire presso la Villa S. Caterina.
X) Sorto contenzioso giudiziario sul pagamento dei canoni di affitto e sulla manutenzione della casa di cura, con atto di transazione del 18 giugno 1998, la Sanitas e la C.C.R., fra le altre pattuizioni , confermavano la data di scadenza del contratto di affitto dell'azienda sanitaria Villa S. Caterina (31 gennaio 2000).
XI) Con atto notificato il 2 gennaio 1999, in puntuale esecuzione dell'articolo 4) del contratto di affitto di azienda del 4 febbraio 1994, la Sanitas comunicava formale disdetta alla C.C.R.
XI) Con nota del successivo 12 novembre 1999 (registrata al protocollo della Regione in data 23 novembre 1999), la Sanitas comunicava l'intimazione della rituale disdetta del su menzionato contratto di affitto di azienda, dichiarando al contempo la propria disponibilità a subentrare nella convenzione intercorrente fra la C.C.R. e il S.S.N.
XII) La Regione rispondeva con nota prot. n. 24\23996\112\18 del 21 gennaio 2000, del dirigente responsabile dell'Assessorato sanità della Regione Puglia, recante il diniego opposto alla domanda di subentrare nel rapporto corrente fra il gestore attuale della Clinica (C.C.R.) ed il S.S.N. Il diniego si fondava, in estrema sintesi, sulla mancanza di autorizzazione sanitaria in capo alla Sanitas a gestire la predetta Clinica e con la conseguente impossibilità giuridica di legittimarne il subingresso nell'accreditamento provvisorio beneficiato dalla C.C.R.
XIII) Con decreto del Ministero dell'industria del 5 maggio 2000, si autorizzava la vendita del complesso aziendale ex C.C.R. (in precedenza collocata in amministrazione straordinaria in forza di d.m. 14 febbraio 1995), alla C.B.H.
XIV) Con dispositivo di sentenza del 24 maggio 2000 (letto in udienza), il Tribunale di Trani dichiarava risolto il rapporto di affitto di azienda fra la Sanitas e la C.C.R. ed ordinava l'immediato rilascio della Clinica Villa S. Caterina.
XV) Con rogito n. rep. 49081 del 29 giugno 2000, veniva stipulato il contratto di compravendita del compendio aziendale della C.C.R. alla C.B.H. meglio specificato al punto 4 del medesimo atto, comprendente, per quanto qui interessa, anche gli accreditamenti per i posti rene ubicati presso la Clinica Villa S. Caterina, nonché l'impegno della C.C.R. a consentire l'attività svolta presso quest'ultima Clinica.
XVI) Interveniva la determinazione dirigenziale regionale n. 216 del 3 luglio 2000, recante l'autorizzazione sanitaria in favore della C.B.H. - acquirente del compendio aziendale C.C.R. - a gestire, fra le altre, la casa di cura Villa S. Caterina, nonché l'ammissione al regime di accreditamento provvisorio.
XVII) In data 4 agosto 2000 (cfr. verbale redatto dall'ufficiale giudiziario) la C.C.R. consegnava la clinica Villa S. Caterina alla Sanitas.
XVIII) L'ufficio igiene pubblica della A.U.S.L. Bari\2, sollecitato dal sindaco di Bisceglie, rilasciava sub condicione nulla - osta igienico sanitario, n. prot. 1865 del 7 settembre 2000, in favore della Sanitas per la prosecuzione dell'attività sanitaria svolta nella Villa S. Caterina.
XIX) Il sindaco di Bisceglie, con ordinanza contingibile e urgente - n. 238 dell'11 settembre 2000, emessa ex art. 38, comma 2, l. n. 142 del 1990 - autorizzava la Sanitas all'esercizio di ogni attività sanitaria all'interno della struttura Villa S. Caterina di sua proprietà, con riferimento ai medesimi posti letto ed ai posti rene già esercitati dalla C.C.R.
4. L'impugnata sentenza ha riunito quattro distinti giudizi (nrg. 546\2000, 2266\2000, 2981\2000 e 3247\2000).
4.1. Con riferimento al ricorso di primo grado - nrg. 546\2000 - (oggetto dell'appello nrg. 9177\2001) proposto da Di Terlizzi Giuseppe, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Sanitas, la sentenza ha così statuito.
I) Ha dichiarato assorbite tutte le eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate dalle parti intimate (Regione Puglia, C.C.R., C.B.H.) in considerazione dell'infondatezza, nel merito, del ricorso.
II) Ha respinto la domanda di annullamento dei seguenti atti:
nota prot. n. 24\23996\112\18 del 21 gennaio 2000, del dirigente responsabile dell'Assessorato sanità della Regione Puglia, recante il diniego opposto alla domanda (del 12 novembre 1999) della Sanitas - originaria proprietaria della Casa di Cura Villa S. Caterina in Bisceglie - di subentrare nel rapporto corrente fra il gestore attuale della Clinica (C.C.R.) ed il S.S.N.;
deliberazione della Giunta regionale n. 974 del 27 marzo 1996, recante l'accreditamento provvisorio, fra gli altri in favore della C.C.R., ai sensi dell'art. 6, comma 6, l. 23 dicembre 1994, n. 724;
deliberazione della Giunta regionale pugliese n. 6862 del 22 luglio 1985, avente ad oggetto da un lato, la revoca dell'autorizzazione sanitaria (n. 3907 del 28 marzo 1961), rilasciata a suo tempo dal medico provinciale di Bari in favore del dottor Giuseppe Di Terlizzi per l'esercizio della Casa di Cura Villa S. Caterina, e la presa d'atto della cessazione del regime convenzionale instaurato nel 1980; dall'altro, il rilascio in favore della C.C.R. dell'autorizzazione sanitaria a gestire la medesima Clinica ed il conseguenziale ampliamento del rapporto convenzionale con il S.S.N. precedentemente instaurato sempre con la C.C.R.
decreti conseguenziali del Presidente della Giunta regionale nn. 2121 e 2122 del 1 ottobre 1985.
4.2. Con riferimento al ricorso di primo grado - nrg. 2266\2000 - (oggetto dell'appello nrg. 10335\2001 articolato dalla Regione Puglia), proposto da Di Terlizzi Giuseppe, la sentenza ha così statuito.
I) Ha respinto le eccezioni di difetto di legittimazione attiva e di interesse ad agire sollevate dalle controparti.
II) In accoglimento del secondo complesso motivo di ricorso formulato dal Di Terlizzi, ha annullato la determinazione dirigenziale regionale n. 216 del 3 luglio 2000, recante l'autorizzazione sanitaria in favore della C.B.H. - acquirente del compendio aziendale C.C.R. - a gestire, fra le altre, la casa di cura Villa S. Caterina, nonché l'ammissione al regime di accreditamento provvisorio.
III) Ha dichiarato assorbiti i restanti motivi.
4.3. Con riferimento ai ricorsi di primo grado - nrg. 2981\2000 e 3247\2000 - (oggetto degli appelli nrg. 9101\2001 nonché 9114\2001 articolati dalla C.B.H. e dalla C.C.R.), proposti rispettivamente da C.B.H. e da C.C.R., la sentenza ha così statuito.
I) Ha dichiarato l'inammissibilità, per difetto di legittimazione attiva e interesse ad agire delle società, dei ricorsi proposti avverso:
l'ordinanza contingibile e urgente - n. 238 dell'11 settembre 2000 - emessa ex art. 38, comma 2, l. n. 142 del 1990 dal sindaco di Bisceglie, nella parte in cui autorizza la Sanitas all'esercizio di ogni attività sanitaria all'interno della struttura Villa S. Caterina di sua proprietà, con riferimento ai medesimi posti letto ed ai posti rene già esercitati dalla C.C.R.
il presupposto nulla - osta igienico sanitario n. prot. 1865 del 7 settembre 2000 rilasciato sub condicione dall'ufficio igiene pubblica della A.U.S.L. Bari\2 in favore della Sanitas.
II) Ha estromesso da entrambi i giudizi i Ministeri dell'interno e della sanità.
5. Occorre delineare, brevemente, la cornice normativa, statale e regionale, all'interno della quale si rinviene la disciplina di settore concernente l'autorizzazione alla gestione e l'accreditamento presso il S.S.N. delle case di cura private nell'ambito della regione Puglia.
5.1. L'art. 43, comma 1, l. n. 833 del 1978, affida alla legge regionale la disciplina dell'autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato, anche convenzionate, nonché la definizione delle caratteristiche funzionali cui tali istituzioni devono corrispondere, onde assicurare livelli di prestazioni sanitarie eguali a quelle erogate dai corrispondenti presidi e servizi pubblici.
La definizione dei criteri per l'esercizio delle attività sanitarie ed i relativi controlli in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, nonché la definizione di un modello di accreditamento delle strutture medesime, rientrano espressamente tra i compiti e le funzioni amministrative conservati allo Stato, ai sensi dell'art. 115, lett. f) e g), d.lgs. n. 112 del 1998.
Il d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, dando attuazione alla l. delega n. 419 del 1998, sviluppa all'art. 8 (che aggiunge gli articoli da 8 bis a 8 octies al d.lgs. n. 502 del 1992), il sistema delle autorizzazioni, dell'accreditamento e degli accordi contrattuali definendo i criteri di remunerazione delle strutture erogatrici e il sistema dei controlli sull'appropriatezza e sulla qualità delle prestazioni erogate dalle strutture accreditate.
La regolamentazione dell'ingresso delle strutture pubbliche e private nel sistema di produzione di servizi e prestazioni, per conto e a carico del servizio sanitario nazionale, è articolata su tre livelli, logicamente e proceduralmente separati, orientati al perseguimento di obbiettivi diversi, che fanno capo tuttavia alla regione: le autorizzazioni alla realizzazione e al funzionamento delle strutture sanitarie, l'accreditamento istituzionale e gli accordi contrattuali.
La realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e socio - sanitarie sono subordinati ad autorizzazione, che continua a rappresentare il presupposto minimo necessario per l'erogazione di servizi e prestazioni.
In particolare, per la realizzazione delle strutture occorre l'espletamento di un procedimento suddiviso nelle seguenti fasi: a) presentazione di un progetto per la costruzione di nuove strutture, l'adattamento di quelle esistenti, la loro diversa utilizzazione, l'ampliamento o la trasformazione nonché il trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate; b) verifica da parte della regione della compatibilità del progetto in base al fabbisogno di assistenza, alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale anche al fine di meglio garantire l'accessibilità dei servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture; c) acquisizione da parte del comune della verifica di compatibilità del progetto; d) rilascio dell'autorizzazione.
Per entrare a far parte dei soggetti erogatori di prestazioni sanitarie finanziate dalla mano pubblica, è ancora necessario ottenere, oltre all'autorizzazione, anche il c.d. accreditamento istituzionale, rilasciato dalla regione, ai sensi dell'art. 8 quater, alle strutture autorizzate pubbliche e private ed ai professionisti che ne facciano richiesta.
Senonchè non è soltanto richiesta la rispondenza della struttura ai requisiti ulteriori di qualificazione, ma anche alla sua funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti.
Proprio a cagione dell'intima connessione fra sistema dell'accreditamento e programmazione regionale (espressa fisiologicamente nel piano sanitario regionale), l'art. 6, comma 6, dela l. 23 dicembre 1994, n. 724, ha previsto che a decorrere dall'entrata in funzione del sistema di pagamento delle prestazioni su base tariffaria predeterminata, cessino (salva la proroga per il biennio 1995 - 1996 in favore dei soggetti già convenzionati) i rapporti convenzionali in atto ed entrino in vigore i nuovi rapporti fondati sull'accreditamento, sulla remunerazione delle prestazioni e sull'adozione del sistema di verifica della qualità.
Pertanto, la struttura sanitaria che dimostri di possedere i requisiti ulteriori, non potrà ritenersi titolare di un diritto al rilascio dell'accreditamento; essa sarà, infatti, soggetta al giudizio discrezionale della regione, la quale in una prima fase valuterà l'idoneità della struttura a osservare le prescrizioni regionali dettate in relazione al fabbisogno di assistenza e alla garanzia dei livelli essenziali ed uniformi, nonché degli eventuali livelli integrativi locali; successivamente, procederà all'accertamento della sua effettiva capacità di assicurare l'erogazione delle prestazioni nel rispetto di tali esigenze.
5.2. La legge regionale n. 51 del 30 maggio 1985, si inserisce armonicamente nella cornice statale.
L'importanza del profilo strutturale della casa di cura autorizzanda, nonché degli aspetti più squisitamente soggettivi emergono dalle disposizioni sancite dagli artt. 1, 2, 3, 5 e 6: si attua attraverso il principio della necessaria coincidenza fra la gestione della casa di cura e la titolarità dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività sanitaria.
Immediati corollari sono: a) il divieto della cessione dell'autorizzazione a qualunque titolo e sotto qualsiasi forma, ancorchè si tratti di singole attività (art. 2, comma 2); b) il divieto della cessione a qualsiasi titolo, dei locali compresi nella planimetria depositata all'atto della richiesta di autorizzazione (art. 2, comma 3), dovendosi ricomprendere in questa clausola, per evidenti ragioni letterali e teleologiche, non solo le ipotesi di vendita, ma anche quelle di locazione, comodato, affitto di azienda, concessione di usufrutto e simili; c) l'automatica risoluzione della convenzione in occasione della revoca dell'autorizzazione all'apertura ed all'esercizio della casa di cura (art. 10, comma 4).
E' evidente che le autorizzazioni sanitarie di questo tipo, per l'importanza degli interessi pubblici coinvolti (presidiati dall'art. 32 Cost.), sono rilasciate ob rem ac personam, nel senso che il rilascio è subordinato alla contestuale presenza di requisiti soggettivi (legati alla professionalità e moralità del titolare) ed oggettivi (ancorati all'idoneità della struttura).
In considerazione del carattere fiduciario dell'autorizzazione, il titolare deve coincidere con la persona del gestore, sicchè la stessa autorizzazione non è trasmissibile, non potendo costituire oggetto di negozi privatistici (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 1994, n. 639, in ordine al rilievo fondamentale che assume l'elemento fiduciario nei rapporti negoziali aventi ad oggetto l'affidamento ad un soggetto terzo di un pubblico servizio).
Lo stesso è a dire per l'accreditamento (ex convenzionamento) legato alla programmazione regionale ed alle compatibilità di finanza pubblica. In questa prospettiva sovviene la norma sancita dall'art. 6, commi 4 e 5, l.r. 25 giugno 1991, che fa divieto di procedere a nuovi finanziamenti fino all'approvazione del piano sanitario regionale, proibendo nuove autorizzazioni per ampliamenti di case di cura, trasformazioni delle tipologie assistenziali e mutamenti di titolarità dei rapporti autorizzatori: lo scopo della norma, come ben evidenziato da questo Consiglio (cfr. sez. V, 13 luglio 2000, n. 3900), è quello di cristallizzare, in via transitoria fino all'approvazione del piano sanitario regionale, tutti i rapporti convenzionali, indipendentemente dalla natura societaria o individuale del titolare.
E' noto, infatti, che a far data dall'entrata in vigore dell'art. 4, comma 7, l. n. 412 del 1991, anche alle società è riconosciuta la capacità di essere parti di rapporti convenzionali; si badi, però, che sul punto questo Consiglio (cfr. sez. V, 10 agosto 2001, n. 4372), ha avuto modo di affermare (con riferimento ad una controversia riguardante la Regione Puglia), che una società neocostituita ha si la possibilità di divenire parte di un rapporto di convenzionamento, ma non per questo la medesima società può pretendere di succedere automaticamente nel rapporto instaurato con il precedente titolare (nel caso di specie individuale, ma il principio è esportabile anche in caso di successione di enti), rimanendo a tal fine indispensabile un elemento di continuità con l'originario assetto a garanzia del rapporto fiduciario instaurato.
Nella medesima ottica, non si è mancato di rilevare che: a) è recessivo l'interesse del privato rispetto all'esigenza dell'amministrazione sanitaria di programmare e gestire i rapporti di accreditamento sulla base di una valutazione attuale ed aggiornata degli interessi della collettività e del servizio sanitario entro strutture accreditate certamente in possesso di tutti i requisiti richiesti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 2001, n. 5646); b) devono escludersi automatismi nell'estensione del rapporto convenzionale, dovendosi sempre accertare i profili personali e strutturali richiesti dalla normativa vigente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2001, n. 1349).
Per il carattere strettamente personale e la rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco, id est per la natura indisponibile dei rapporti giuridici cui afferiscono, l'autorizzazione e l'accreditamento non possono rientrare nel complesso dei beni aziendali suscettibili di trasferimento fra le parti con automatico subentro del cessionario, stante il principio, di ordine generale, di immutabilità dei soggetti autorizzati nei rapporti con la p.a., conformemente, peraltro, alla prescrizione dell'art. 2558 c.c., secondo cui il cessionario dell'azienda non può subentrare nei rapporti che abbiano carattere personale.
Da qui tre ulteriori importanti conseguenze logico - giuridiche, rilevanti per la risoluzione della presente controversia: a) l'autorizzazione non può circolare separatamente dalla struttura cui accede; b) sulla medesima struttura non possono gravare distinte autorizzazioni ancorchè intestate a soggetti diversi; c) il venir meno del titolare o della struttura implicano la doverosa declaratoria di decadenza dell'autorizzazione, con effetti ex nunc, per sopravvenuta carenza dei presupposti legali. Si tratta, a ben vedere, di una applicazione dei principi generali in tema di esercizio della funzione di riesame da parte dell'autorità di settore.
La potestà di ritiro, con il provvedimento conseguenziale in cui si estrinseca, deve ritenersi immanente nell'ordinamento nazionale sanitario e, in particolare, in quello regionale pugliese. Specie in tale ultimo ambito, non devono confondersi pertanto, al di là di mere affinità terminologiche, le sanzioni ed il relativo procedimento di irrogazione, previsti dall'art. 3, l.r. n. 51 del 1985 cit., con la declaratoria di decadenza.
L'art. 3 cit., contempla quattro distinte sanzioni: a) la sospensione dall'esercizio dell'attività vietata fino alla rimozione delle cause; b) la chiusura temporanea della casa di cura; c) la chiusura della casa di cura aperta senza autorizzazione; d) la revoca dell'autorizzazione con la preclusione ad ottenerla per almeno un biennio.
Diffida ad adempiere, reiterazione di infrazioni e situazioni d'urgenza, costituiscono i presupposti che, variamenti combinati, consentono l'irrogazione delle su elencate sanzioni.
6. Scendendo all'esame dell'appello nrg. 9177\2001, la Sezione osserva che può prescindersi dalla trattazione delle eccezioni pregiudiziali e preliminari riproposte in questo grado dagli orginari intimati, perché deve essere ribadita l'infondatezza, nel merito, del gravame proposto da Giuseppe Di Terlizzi e dalla Sanitas.
Quanto alle censure articolate con i due complessi motivi di gravame, sicuramente irrilevante è la richiesta di accertamento della paternità della sottoscrizione apposta alla comunicazione del 16 luglio 1985, giacchè è pacifico che il contratto di affitto di azienda è stato concluso, e formalizzato con la registrazione, in data 10 ottobre 1985. E tanto basta a ritenere legittima, anzi doverosa (perché fondata su presupposti di fatto veritieri), la delibera della giunta regionale n. 6862 del 1985 che, in ogni caso, si fondava anche sulla comunicazione della C.C.R. del 17 luglio 1985, mai contestata.
Irrilevante, appare, per quanto sopra illustrato in punto di diritto, che la Regione Puglia non abbia tenuto nel debito conto la vera natura giuridica dell'accordo intercorso fra la C.C.R. e il Di Terlizzi (contratto di affitto di azienda e non vendita). In entrambe le ipotesi, venuto meno il requisito oggettivo strutturale, la giunta doveva dichiarare la decadenza dell'autorizzazione cui accedeva la risoluzione di diritto del rapporto convenzionale. In nessun caso avrebbe potuto determinarsi nel senso della sospensione del rapporto concessorio, stante l'impossibilità di configurare due autorizzazioni riferite allo stesso presidio sanitario ovvero un gestore di casa di cura senza autorizzazione.
Inoltre, la sospensione divisata dall'art. 3, l.r. n. 51 cit. attiene non al rapporto autorizzatorio, ma all'attività in concreto espletata, sicchè il Di Terlizzi non avrebbe mai potuto richiederne l'applicazione alla Regione, in alternativa alla declaratoria di decadenza.
Al rigetto della domanda di annullamento segue la reiezione della domanda di risarcimento del danno in rapporto di pregiudizialità necessaria con la prima.
7. Anche l'appello nrg. 10335\2001, proposto dalla Regione Puglia, è infondato.
7.1. In ordine logico devono essere esaminate tutte le eccezioni di irricevibilità, difetto di legittimazione attiva e interesse ad agire sollevate (anche dalle altre parti intimate) in primo grado e riproposte in questa sede (tali motivi sono infatti comuni anche all'appello della C.C.R. - pagine da 15 a 17 e della C.B.H. pagine da 10 a 22).
Nella esposizione si prescinderà dall'ordine logico delle questioni preferendo seguirsi, per ragioni di comodità, la trattazione come sviluppata nell'atto di appello della Regione Puglia.
7.1.1. Infondate sono le eccezioni di inammissibilità del ricorso nrg. 2266\2000, per omessa impugnativa degli atti ministeriali presupposti e per omessa notificazione del ricorso al Ministero dell'industria.
La tesi sottesa alle eccezioni muove dal presupposto, inaccoglibile, che la normativa speciale emanata per fronteggiare la crisi finanziaria della C.C.R. (d.l. 14 febbraio 2000, n. 18) ed i provvedimenti attuativi (segnatamente il decreto ministeriale 5 maggio 2000), abbiano sottratto alla Regione Puglia la competenza in materia di vigilanza e gestione delle autorizzazioni sanitarie per l'esercizio delle case di cura.
Al contrario, conformemente agli scopi della l. n. 95 del 1979, il Ministero dell'industria si è preoccupato dei risvolti finanziari, industriali e occupazionali della crisi della C.C.R., senza invadere le competenze riservate, in via esclusiva, dall'ordinamento alla Regione in materia di rilascio dell'autorizzazione sanitaria e dell'accreditamento.
7.1.2. Parimenti inaccoglibile è l'eccezione di difetto di legittimazione attiva imperniata sulla perdita della titolarità dell'autorizzazione sanitaria da parte del Di Terlizzi e sul mancato acquisto di quest'ultima da parte della Sanitas.
La società, essendo proprietaria della clinica Villa S. Caterina, poteva sperare di ottenere in futuro il rilascio di una nuova, distinta autorizzazione in suo favore, solo eliminando - per le ragioni esposte sub 5.2. - quella insistente sui propri beni rilasciata alla C.B.H.
La titolarità della clinica da parte della Sanitas crea, dunque, una particolare qualificazione della posizione soggettiva vantata da quest'ultima nei confronti dei provvedimenti regionali che la riguardano.
In definitiva, la circostanza che la Sanitas abbia cercato, in prima battuta, di essere riconosciuta come avente causa dal Di Terlizzi e quindi come subentrante nell'originario rapporto autorizzatorio, a suo dire ancora in vita, non intacca la configurabilità in astratto della propria legittimazione e del concreto, più limitato, interesse ad ottenere comunque l'annullamento della determinazione regionale n. 216 del 2000.
7.1.3. Quanto al difetto di legittimazione attiva del Di Terlizzi, per avere alienato alla Sanitas la clinica oggetto del contendere, è appena il caso di notare che il ricorrente ha agito non solo in proprio ma anche nella qualità di legale rappresentante della Sanitas, il che rende l'eccezione priva di pregio oltrechè inutile.
7.1.4. Inconferente quanto all'oggetto e inammissibile per la sua genericità, è l'eccezione di tardività sollevata dalla difesa regionale (pagina 28 dell'atto di appello).
Con essa ci si duole del ritardo con cui il Di Terlizzi avrebbe contestato la delibera giuntale del 1985, e la prescrizione del diritto ad ottenere l'annullamento di tale atto.
Il rilievo è totalmente errato posto che il Di Terlizzi ha impugnato tempestivamente, col ricorso nrg. 2266\2000, la determinazione regionale n. 216 del 2000.
7.1.5. Destituita di fondamento è la tesi (propugnata a pagina 30 del gravame) che ravvisa l'improcedibilità dell'originario ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, a cagione dell'entrata in vigore delle norme nazionali (art. 4, l. n. 412 del 1991) e regionali (artt. 36 e 37 della l.r. n. 36 del 1994), interruttive dei rapporti convenzionali in atto.
Come già precisato, l'interesse, minore ma non per questo inesistente, del ricorrente si radica nell'aspettativa di poter chiedere fruttuosamente il rilascio di una nuova, distinta autorizzazione ed un eventuale successivo accredito presso il S.S.N.
7.2. Ancora pregiudiziale rispetto al merito del gravame è lo scrutinio della censura con cui si lamenta il vizio di extrapetizione in cui sarebbe incorso il primo giudice, per aver posto a fondamento dell'annullamento della determinazione regionale n. 216 del 2000, ragioni giuridiche non formalizzate in uno specifico motivo (pagina 22 dell'appello C.B.H. e pagina 20 dell'appello C.C.R).
La doglianza è infondata.
E' pur vero che il ricorso di primo grado non brilla per chiarezza; tuttavia a pagina 9 dello stesso (righi da 16 a 29), si contesta nella sostanza, l'impossibilità giuridica della prosecuzione dell'attività sanitaria facente capo alla C.C.R. in favore della C.B.H.
Sotto tale angolazione non appaiono esorbitanti le considerazioni in diritto svolte dal primo giudice, allorquando, esattamente, ha ravvisato la violazione dell'art. 6, l.r. n. 5 del 1991, che vieta in modo assoluto il mutamento di titolarità delle convenzioni con il S.S.N. fino all'approvazione del piano sanitario regionale.
Invero, la prosecuzione dell'esercizio dell'attività sanitaria in accreditamento provvisorio (locuzione utilizzata nella determinazione regionale n. 216 del 2000), altro non è che il trasferimento della titolarità del rapporto ex convenzionale dalla C.C.R. alla C.B.H.
7.3. Nel merito, i mezzi articolati dalla Regione Puglia, dalla C.C.R. nonché dalla C.B.H. si infrangono di fronte agli accertamenti di fatto ed alle argomentazioni sviluppate dal T.A.R. per la Puglia.
I vizi lamentati dal Di Terlizzi in primo grado sono reali ed ognuno in grado di sostenere l'annullamento dell'atto impugnato.
7.3.1. In primo luogo và rimarcato come alla data di adozione della determinazione n. 216 del 2000, la Regione abbia omesso di considerare che il contratto di affitto dell'azienda sanitaria Villa S. Caterina era scaduto, onde la C.C.R. non poteva considerarsi idonea dante causa.
Nessun valore poteva avere la precaria disponibilità di fatto della Casa di Cura da parte della C.C.R., specie avuto riguardo al complesso contenzioso giudiziario in corso davanti al giudice civile, che di li a poco avrebbe comportato la restituzione della clinica al legittimo proprietario (avvenuta in data 4 agosto 2000).
7.3.2. Quanto alla violazione dell'art. 6, l.r. n. 5 del 1991 la stessa appare flagrante, giacchè alla data di adozione della determinazione n. 216 del 2000 non era stato adottato il piano sanitario regionale.
Né può ritenersi equivalente, contrariamente a quanto ventilato dagli appellanti, la deliberazione del Consiglio regionale n. 379 del 2 - 3 febbraio 1999, recante il riordino della rete ospedaliera in Puglia.
Tale delibera, infatti, vale solo come stralcio del piano sanitario regionale e riguarda, nella sostanza, la ristrutturazione della rete ospedaliera pubblica con riferimento alla distribuzione dei posti letto per specialità, per azienda USL e per Azienda ospedaliera.
Solo in via residuale si occupa dei posti letto delle strutture private accreditate (v. § 23) limitandosi a specificare che questi non costituiscono parte integrante della rete ospedaliera pubblica, bensì solo integrata e che la loro regolamentazione potrebbe essere assoggettata a certi criteri (elencati sub lett. a) - e).
7.3.3. Del tutto irrilevanti sono le considerazioni sviluppate con riferimento all'intervento del Ministero dell'industria culminato nel decreto di autorizzazione alla vendita dell'azienda sanitaria gestita dalla C.C.R. alla C.B.H. del 5 maggio 2000.
Tale decreto non poteva in alcun modo interferire con i poteri di vigilanza e controllo che in base alle norme di settore competono in via esclusiva alla Regione.
Il mutamento di titolarità nel rapporto autorizzatorio e di accreditamento non poteva in alcun modo essere operato dal Ministero dell'industria, che, infatti, si è preoccupato esclusivamente degli aspetti di sua competenza (fattibilità finanziaria e industriale dell'acquisto, a mezzo di procedura competitiva, del compendio C.C.R., tutela dei livelli occupazionali).
8. Miglior sorte non tocca all'appello nrg. 9101\2001.
8.1. Preliminarmente il collegio dà atto, in accoglimento dell'apposita istanza formulata dalla difesa erariale nella memoria dell'11 marzo 2002, che sia il Ministero dell'interno che quello della sanità sono stati estromessi, per difetto di legittimazione passiva, dai giudizi di primo grado nrg. 2981\2000 e 3247\2000, e che tale capo di sentenza non è stato gravato da appello.
8.2. L'appellante C.B.H. contesta la declaratoria di difetto di legittimazione attiva e di carenza di interesse ad agire compiuta dal primo giudice nei suoi confronti.
La doglianza è infondata.
Come esattamente rilevato dal primo giudice:
a seguito dell'annullamento retroattivo in parte qua della determinazione regionale n. 216 del 2000, la C.B.H. ha perduto la possibilità materiale e giuridica di gestire la casa di cura Clinica S. Caterina; è dunque soggetto terzo e privo di un particolare aggancio con la clinica;
l'interesse sostanziale della C.B.H. è che il provvedimento sindacale non interferisca con i poteri autorizzatori e di accreditamento; il chè è escluso dalla natura stessa del provvedimento e dal suo contenuto, che non pregiudica né direttamente né indirettamente il potere della Regione di decidere sugli accreditamenti richiesti dalla C.B.H. con riferimento a nuove strutture sanitarie che in futuro dovesse aprire;
non assume consistenza di interesse personale diretto ed attuale, quello riferibile alla diminuzione di pazienti in dialisi presso le altre cliniche gestite dalla C.B.H. nella città di Bari, che potrebbe discendere dalla riapertura (meramente precaria e assolutamente temporanea) della Clinica S. Caterina in Bisceglie.
9. Infine, anche l'appello nrg. 9114\2001 è infondato.
Valgono, da un lato, le considerazioni espresse con riferimento all'appello proposto da C.B.H., avuto riguardo all'impossibilità che l'ordinanza sindacale possa incidere sull'assegnazione dei posti letto accreditati e ricompresi nel computo del corrispettivo della cessione di azienda; sicchè, in tale prospettiva, nessuna lesione delle aspettative contrattuali può essere prospettata, nemmeno in astratto.
Dall'altro, le assorbenti valutazione operate dal primo giudice circa la perdita, da parte della C.C.R., di ogni legame con il S.S.N., sotto il profilo strutturale (avendo alienato il compendio immobiliare sanitario) e personale (non essendo più titolare di autorizzazione sanitaria).
10. In conclusione, tutti gli appelli proposti nei confronti dell'impugnata sentenza devono essere respinti.
In considerazione della parziale soccombenza reciproca, e della complessità delle questioni sottese ai gravami, il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra tutte le parti le spese dei giudizi di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quarta):
respinge, previa riunione, gli appelli;
dichiara integralmente compensate fra tutte le parti le spese del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2002, con la partecipazione dei signori:
Giovanni Paleologo
Depositata il 27 maggio 2002.