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n. 12-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 9 dicembre 2002 n. 6669 - Pres. Salvatore, Est. Poli - Ministero delle finanze - Dipartimento Dogane UTF di Pescara (Avv. Stato Basilica) c. Ariano (Avv. Milia) - (annulla T.A.R. Abruzzo-Pescara, sent. 24 febbraio 1998, n. 206).

1. Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Destituzione - Effetti - Cessazione del rapporto - Decorrenza dalla data di applicazione della sospensione cautelare dal servizio.

2. Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Destituzione automatica - Dopo l'art. 9 della L. n. 19/90 - Applicabilità in alcune ipotesi - Possibilità.

3. Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Destituzione automatica - A seguito di condanna penale con pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici - Va disposta.

4. Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Destituzione - Circostanze successive all'applicazione di tale sanzione - Irrilevanza.

1. A seguito dell'adozione di un provvedimento di destituzione di un pubblico dipendente, il rapporto di impiego deve ritenersi estinto a tutti gli effetti, anche per ciò che concerne il trattamento di quiescenza, con decorrenza coincidente con l'inizio della sospensione cautelare dal servizio (1).

2. Nel nostro ordinamento, anche dopo la riforma del procedimento disciplinare operata dall'art. 9, l. n. 19 del 1990, debbono ritenersi tuttora ammissibili ipotesi di destituzione automatica (come l'interdizione dai pubblici uffici ex art. 28 c.p., la rimozione a seguito di perdita del grado ex art. 29 c.p.m.p., l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego ex art. 32 - quinquies c.p. introdotto dalla l. 27 marzo 2001, n. 97); l'art. 9 della l. n. 19 del 1990, emanato in coerenza con la declaratoria di incostituzionalità della destituzione automatica a seguito di condanna penale, non ha infatti abolito tutte le norme contrastanti con il divieto di automatica destituzione, ma solo quella indicata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 971 del 14 ottobre 1988 (2).

3. L'amministrazione, in presenza di una sentenza penale di condanna con irrogazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, non può fare altro che disporre la cessazione dal servizio del dipendente pubblico condannato, con un provvedimento che non ha carattere né costitutivo, né discrezionale, ma che è vincolato ed è dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo nei confronti del dipendente (3).

4. E' del tutto irrilevante che, successivamente all'adozione del provvedimento di destituzione, il pubblico dipendente abbia beneficiato di un provvedimento di grazia presidenziale condizionato e della riabilitazione, trattandosi di circostanze sopravvenute che non possono fondare, neppure in tesi, un giudizio di invalidità successiva.

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(1) Cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 25 giugno 2002, n. 3476; sez. VI, 25 settembre 2000, n. 5029; sez. IV, 26 giugno 2000, n. 3605.

(2) Cfr. Corte cost. 9 luglio 1999, n. 286; 19 aprile 1993, n. 197; 25 ottobre 1989, n. 490.

(3) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2001, n. 5163; sez. V, 23 aprile 1998, n. 468, C.G.A., 3 aprile 2000, n. 173.

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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 6 agosto 2002 n. 4099

GABRIELLA GULI', Destituzione e patteggiamento

 

FATTO e DIRITTO

1. Con provvedimento dell'Intendente di finanza della provincia di Pescara - prot. N. 16\Ris. - del 18 aprile 1989, veniva sospeso obbligatoriamente dal servizio con decorrenza 2 aprile 1989, a mente dell'art. 91, comma 1, t.u. imp. civ. st., l'ingegner Franco Ariano, perché tratto in arresto per il reato di omicidio volontario.

2. Con sentenza della Corte di Assise di Appello de l'Aquila - n. 4 del 9 maggio 1990, divenuta irrevocabile il successivo 6 novembre a seguito del rigetto del ricorso in cassazione (cfr. sez. I, penale, n. 3752 del 23 novembre 1990), l'Ariano, riconosciuto colpevole dei reati di omicidio, tentato omicidio e porto abusivo di arma da fuoco, veniva condannato: a) alla pena principale di anni otto di reclusione e lire 266.666 di multa; b) alla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, c) alla misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e custodia per anni tre.

3. Con decreto del direttore generale del Dipartimento delle dogane e imposte indirette - prot. N. 12372 del 15 novembre 1991 - l'ingegner Ariano veniva destituito dall'impiego con effetto dalla data dell'intervenuta sospensione cautelare, ai sensi dell'art. 85, lett. b), t.u. imp. civ. st., per essere stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.

4. Avverso tale atto l'Ariano proponeva ricorso giurisdizionale affidato a due distinti motivi.

Il primo incentrato sulla violazione dell'art. 9, l. n. 19 del 1990, non essendo stato sottoposto a procedimento disciplinare.

Il secondo teso a contestare la decorrenza retroattiva della destituzione, con effetto dalla data della sospensione cautelare obbligatoria.

5. L'impugnata sentenza del T.A.R. per l'Abruzzo - sezione staccata di Pescara - n. 206 del 24 febbraio 1998: a) ha accolto il primo motivo di ricorso, annullando conseguentemente la destituzione, ravvisando la violazione dell'art. 9 cit., nonché della portata precettiva e dello spirito della sentenza della Corte costituzionale n. 971 del 14 ottobre 1988, che, pur avendo dichiarato illegittimo l'art. 85, lett. a) del t.u. imp. civ. st., avrebbe utilizzato una traiettoria argomentativa capace di includere tutte le ipotesi di cessazione del rapporto di servizio in via automatica e dunque anche di quelle discendenti dalla interdizione perpetua dai pubblici uffici comminata ex art. 28 c.p. (a tal fine il primo giudice ha richiamato le ordinanze della Corte nn. 403 del 1990 e 415 del 1991 come emblematiche dell'intento della Corte stessa di estendere la portata dell'art. 9 cit.); b) ha dichiarato assorbito l'esame del secondo motivo.

6. Con ricorso notificato il 15 e 17 febbraio 1999, il Ministero delle finanze proponeva appello avverso la richiamata sentenza del T.A.R.

7. Si costituiva l'ingegner Franco Ariano, deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto, senza riproporre espressamente l'esame del motivo dichiarato assorbito, neppure in sede di memoria conclusionale.

8. Con ordinanza collegiale n. 868 del 1999, veniva accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione della impugnata sentenza.

9. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 29 ottobre 2002.

10. L'appello è fondato e deve essere accolto.

La tesi posta a base dell'impugnata sentenza e contrastata con il gravame dell'amministrazione non è condivisa dalla sezione.

Effettivamente la norma sancita dall'art. 9, comma 1, l. n. 19 del 1990 - <<il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. E' abrogata ogni contraria disposizione di legge. La destituzione può essere sempre inflitta all'esito del procedimento disciplinare. . . >> - pone un rilevante problema in ordine al rapporto fra il precetto in essa contenuto - apparentemente onnicomprensivo - e gli effetti di talune pene accessorie - come l'interdizione dai pubblici uffici ex art. 28 c.p., o la rimozione a seguito di perdita del grado ex art. 29 c.p.m.p., o ancora, avuto riguardo all'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego ex art. 32 - quinquies c.p. introdotto dalla l. 27 marzo 2001, n. 97 - che comportano necessariamente l'allontanamento del pubblico dipendente.

Contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, nel nostro ordinamento devono ritenersi ancora presenti ipotesi di destituzione automatica anche dopo la riforma del procedimento disciplinare realizzata dall'art. 9, l. n. 19 cit., giacchè l'affermazione del principio della ineluttabilità del procedimento disciplinare, non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo: qui, infatti, la risoluzione del rapporto di impiego costituisce solo un effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo (e salve le ipotesi di indulto, grazia o riabilitazione che costituiscono accidenti futuri ed incerti rispetto alla tendenziale stabilità che caratterizza le pene in esame), che impedisce, ab externo, il fisiologico svolgersi del sinallagma fra prestazioni lavorative e controprestazioni pubbliche (cfr. Corte cost. 9 luglio 1999, n. 286; 19 aprile 1993, n. 197; 25 ottobre 1989, n. 490).

L'amministrazione, in presenza di una sentenza penale di condanna con comminazione di pena accessoria interdittiva, non può fare altro che disporre la cessazione dal servizio con un provvedimento che non ha carattere né costitutivo, né discrezionale, venendo in rilievo bensì un atto vincolato, dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo nei confronti del dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2001, n. 5163; sez. V, 23 aprile 1998, n. 468, Cons. reg. sic., 3 aprile 2000, n. 173).

Deve pertanto ritenersi che l'art. 9, l. cit., emanato in coerenza con la declaratoria di incostituzionalità della destituzione automatica a seguito di condanna penale, non ha abolito tutte le norme contrastanti con il divieto di automatica destituzione, ma solo quella indicata dalla Corte costituzionale.

Per completezza la sezione osserva che è del tutto irrilevante, che successivamente all'adozione del provvedimento di destituzione oggetto del presente giudizio, l'Ariano abbia beneficiato di un provvedimento di grazia presidenziale condizionato e della riabilitazione, trattandosi di circostanze sopravvenute che non possono fondare, neppure in tesi, un giudizio di invalidità successiva.

11. La mancata riproposizione, a cura dell'appellato, del secondo motivo dell'originario ricorso di primo grado, ne inibisce l'esame da parte della sezione ex art. 346 c.p.c. (cfr. Cons. St., ad. Plen., 19 gennaio 1999, n. 1).

In limine, è appena il caso di evidenziarne la palese infondatezza, alla luce della consolidata ed univoca giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui, una volta intervenuto il provvedimento di destituzione del pubblico dipendente, il rapporto di impiego deve ritenersi estinto a tutti gli effetti, compreso quello del trattamento di quiescenza, con decorrenza coincidente con l'inizio della sospensione cautelare (cfr. ex plurimis sez. VI, 25 giugno 2002, n.3476; sez. VI, 25 settembre 2000, n. 5029; sez. IV, 26 giugno 2000, n. 3605).

A diverse conclusioni non si giunge anche in questa fattispecie, caratterizzata dalla mancanza del procedimento disciplinare, posto che, in ogni caso, la pendenza del procedimento penale e la sospensione cautelare dal servizio del prevenuto, hanno impedito all'amministrazione di promuovere il giudizio disciplinare a mente del'art. 117 t.u. imp. civ. st.

12. In conclusione l'appello deve essere accolto con la conseguente riforma dell'impugnata sentenza.

Le spese di ambedue i gradi di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta):

- accoglie l'appello proposto, e in riforma della sentenza indicata in epigrafe, respinge il ricorso di primo grado;

- condanna Ariano Franco, a rifondere in favore del Ministero delle finanze, le spese, le competenze e gli onorari di ambedue i gradi di giudizio, che liquida in complessivi euro quattromila.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 ottobre 2002, con la partecipazione dei signori:

Paolo SALVATORE - Presidente

Marinella Dedi Rulli - Consigliere

Antonino ANASTASI - Consigliere

Vito POLI - Consigliere, est.

Fabio CINTIOLI - Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata in segreteria in data 9 dicembre 2002.

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