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n. 10-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 3 ottobre 2002 n. 5216 - Pres. Varrone, Est. Allegretta - Bonafede (Avv. Tedeschini) c. Comune di Roma (Avv. Sportelli) e Moretti ed altri (n.c.) - (conferma T.A.R. Lazio, Sez., II bis, 1 febbraio 2001, n. 1896).

1. Concorso - Commissione esaminatrice - Presidenza - Conferita al direttore generale del Comune - Legittimità - Divieto di partecipazione degli organi politici alle commissioni - Ex art. 9 D.P.R. n. 487/94 - Inapplicabilità.

2. Comune e Provincia - Direttore generale (c.d. city manager) - Natura - Non è politica ma è assimilabile agli organi dirigenziali del Comune - Presidenza della commissioni di concorso - Possibilità.

1. E' da ritenere legittimo un atto adottato da una commissione di concorso presieduta dal direttore generale del Comune (cosiddetto city manager) anziché da un dirigente, non potendosi ritenere che il direttore generale sia un organo politico dell'ente locale e non essendo applicabile nei suoi confronti il divieto previsto dall'art. 9, comma 2, del D.P.R. n. 487/94 (secondo cui "le commissioni esaminatrici di concorso sono composte da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra i funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime e non possono farne parte, ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1993 n. 546, i componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione interessata, coloro che ricoprano cariche politiche o che siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni o dalle associazioni professionali"; per quanto concerne la loro presidenza, lo stesso comma stabilisce che essa compete ad "un dirigente generale o equiparato" e che "per gli enti territoriali la presidenza delle commissioni può essere assunta anche da un dirigente della stessa amministrazione o di altro ente territoriale") (1).

2. L'art. 9, 2° comma, del D.P.R. n. 487/94, nell'attribuire la presidenza delle commissioni di concorso negli enti territoriali, ha fatto riferimento alla qualifica di "dirigente" in senso del tutto generico e deve ritenersi applicabile anche nei confronti del direttore generale del Comune, previsto nei Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti dall'art. 51 bis della L. n. 142/90; quest'ultimo organo, infatti, non ha natura politica, atteso che le funzioni di coordinamento degli altri dirigenti, assegnategli dall'art. 51 bis della L. 8 giugno 1990 n. 142, sono analoghe a quelle attribuite nelle Amministrazioni dello Stato ai dirigenti preposti agli uffici dirigenziali generali.

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(1) V. in precedenza nello stesso senso in questa Rivista TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 14 marzo 2001 n. 1896, secondo cui, in particolare, il direttore generale dell'ente locale (c.d. city manager), previsto dall'art. 51-bis della legge 8 giugno 1990 n. 142 (articolo aggiunto dall'art. 6 della legge 15/5/1997 n. 127), è figura equiparata a quella del dirigente e non rientra tra gli organi di governo dell'ente; le funzioni attribuite al direttore generale dell'ente locale, pertanto, hanno natura dirigenziale, con la conseguenza che tale figura soggettiva deve considerarsi una delle diverse figure dirigenziali proprie degli ordinamenti locali. Con la stessa sentenza è stato ritenuto altresì che "la previsione di cui all'art. 51, terzo comma, lett. a), della legge n. 142/1990 deve essere interpretata nel senso che la presidenza delle commissioni di gara e di concorso è preclusa agli organi politici o a coloro che ricoprano cariche politiche, per essere la stessa riservata, nell'ambito degli ordinamenti locali, esclusivamente ad una delle figure dirigenziali previste in tali ordinamenti, tra le quali deve ricomprendersi anche quella di direttore generale, non risultando all'uopo rilevante la circostanza che l'art. 51-bis della legge n. 142/1990 non preveda espressamente detta funzione per il direttore generale".

Sulla natura del c.d. city manager v. anche in questa Rivista TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. PARMA - Sentenza 20 dicembre 2001 n. 1050.

 

 

FATTO

L'appello è diretto all'annullamento della sentenza 1 febbraio 2001 n. 1896, con la quale il T.A.R. Lazio, sez. II bis, ha respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante contro gli esiti della procedura concorsuale per il conferimento di dodici posti nel ruolo di dirigente della Polizia Municipale, indetta con bando pubblicato sulla G.U., serie speciale, n. 82 del 20 ottobre 1998 ed ogni altro atto, precedente o successivo, con espresso riferimento: a) all'elenco dei candidati ammessi alla prova orale, pubblicato in data 9 giugno 1999 presso la sede del Corpo della Polizia Municipale di Roma; b) alla deliberazione della Giunta Comunale con la quale è stata nominata la Commissione esaminatrice; c) all'art. 9 del regolamento concorsuale relativo all'accesso alla qualifica di Dirigente, adottato con deliberazione di Giunta prot. n. 5037 dell'11 novembre 1997; d) ai verbali redatti da tale Commissione.

Il T.A.R. ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, col quale l'interessata aveva dedotto l'illegittimità del provvedimento riguardante la propria esclusione dalle prove orali perché adottato da organo incompetente, in quanto presieduto dal Direttore generale anziché da un dirigente del Comune. Ha dichiarato inammissibili due motivi aggiunti depositati il 27 gennaio 1999, con i quali si contestava, rispettivamente, il giudizio espresso dalla commissione sugli elaborati scritti della ricorrente e l'attribuzione del punteggio per i titoli; nonché i motivi aggiunti depositati il 27 aprile 2000, con cui, da un lato, si censurava sotto il profilo della disparità di trattamento la valutazione delle suddette prove scritte, in comparazione con quelle di altri candidati e, dall'altro si lamentava la frettolosità dell'operato della commissione nella correzione degli elaborati.

L'interessata ripropone gli argomenti dedotti in primo grado e contesta le ragioni sulle quali la sentenza appellata si fonda, chiedendo l'accoglimento dell'appello; con vittoria di spese, onorari e competenze di giudizio.

In giudizio si sono costituiti il Comune appellato ed i controinteressati di primo grado, i quali hanno controdedotto al gravame, concludendo per la sua reiezione perché infondato; con le conseguenze di legge anche in ordine a spese e competenze di giudizio.

La causa è stata trattata all'udienza pubblica del 5 marzo 2002, nella quale, sentiti i difensori presenti, il Collegio si è riservata la decisione.

DIRITTO

L'appello è infondato.

Priva di fondamento è la censura con cui la ricorrente sostiene che il provvedimento che la esclude dalla fase concorsuale successiva alla prova scritta è viziato da incompetenza, in quanto adottato da una commissione presieduta dal Direttore generale del Comune, cosiddetto "city manager", anziché da un dirigente. E tanto in violazione delle disposizioni dello stesso bando di concorso, dell'art. 9 del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, dell'art. 6 del D.Lgs 23 dicembre 1993 n. 546 e degli artt. 51 e 51 bis della legge 8 giugno 1990 n. 142, sul rilievo che la disciplina relativa al direttore generale disegna una figura del tutto distinta dai dirigenti di cui all'art. 51 e, in sostanza, il titolare di una carica politica.

Valgano al riguardo le seguenti considerazioni.

L'art. 9, comma 2, del D.P.R. 487/94, richiamato dal bando di concorso, dispone che "le commissioni esaminatrici di concorso sono composte da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra i funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime e non possono farne parte, ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1993 n. 546, i componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione interessata, coloro che ricoprano cariche politiche o che siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni o dalle associazioni professionali".

Per quanto concerne la loro presidenza, lo stesso comma stabilisce che compete "un dirigente generale o equiparato" e che "per gli enti territoriali la presidenza delle commissioni può essere assunta anche da un dirigente della stessa amministrazione o di altro ente territoriale".

E' ben vero che, a norma dell'art. 51, terzo comma, lett. a) della legge 8 giugno 1990 n. 142, nel testo modificato dalla legge 15 maggio 1997 n. 127, spettano ai dirigenti degli Enti locali "tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico, tra i quali, in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente: a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso..."; e che ben altri, giusta l'art. 51 bis della stessa legge, sono i compiti del Direttore generale.

Occorre, tuttavia, leggere la normativa dettata dai citati artt. 51 e 51 bis della legge n. 142 del 1990 alla luce del principio generale della distinzione tra politica e amministrazione, che informa la disciplina in materia di rapporti tra organi di governo dell'ente territoriale e organi di gestione, contenuta in termini più generali per le amministrazioni statali dal decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29.

Nei Comuni, gli organi politici di governo sono elencati dall'art. 30 della legge n. 142 del 1990 (oggi art. 36 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267) e sono il Consiglio, la Giunta e il Sindaco, tutti strettamente legati da rapporto politico-rappresentativo alla collettività di cui l'Ente è esponenziale. Ad essi spettano, secondo le disposizioni legislative, statutarie e regolamentari, le funzioni di indirizzo politico-amministrativo; invece, la gestione e l'adozione degli atti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, preclusa agli organi di governo, è attribuita alla dirigenza articolata in una pluralità di figure: dirigenti di ruolo inseriti nella pianta organica, dirigenti assunti a contratto a tempo determinato anche al di fuori della pianta organica (art. 51, comma 5 bis), responsabili di uffici e servizi nei Comuni sprovvisti della qualifica di dirigente (art. 51, comma 3 bis).

Deve ritenersi, tra l'altro, che la qualifica di "dirigente" sia stata utilizzata in senso del tutto generico dall'art. 9, comma 2, D.P.R. n. 487/94 nell'attribuire la presidenza delle commissioni di concorso negli enti territoriali, non essendo ancora prevista all'epoca l'articolazione suddetta. Cosicché dell'affidamento di competenza di cui all'art. 51, terzo comma, lett. a), L. n. 142 del 1990 assume maggiore rilevanza, in realtà, l'implicito divieto per gli organi di governo di svolgere tali funzioni, di cui si trova conferma nell'accento posto, dall'art. 9, comma 2, del D.P.R. n. 487 del 1994, soprattutto sul fatto che delle commissioni di concorso non possono far parte "coloro che ricoprano cariche politiche".

L'espressa indicazione recata dall'art. 30 della legge n. 142 del 1990 e la netta separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione consentono, già di per sé, di escludere che il direttore generale, previsto solo nei Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti dall'art. 51 bis della L. n. 142/90, abbia natura di organo politico.

Va aggiunto, per altro, che un esame più particolareggiato dei compiti del direttore generale ne rivela una natura diversa da quella di indirizzo e controllo propria degli organi politici di governo.

Così, le funzioni di coordinamento degli altri dirigenti, assegnatagli dall'art. 51 bis, sono analoghe a quelle attribuite nelle amministrazioni dello Stato ai dirigenti preposti agli uffici dirigenziali generali (art. 16, primo comma, lett. e) del D.Lgs. 29/93), dirigenti ai quali l'art. 9, comma 2 del DPR 487/94 citato attribuisce le funzioni di presidenza delle commissioni di concorso.

Sempre ai sensi dell'art. 51 bis, il direttore generale sovrintende alla gestione dell'ente e predispone il piano dettagliato degli obiettivi attribuiti ai dirigenti, tutti compiti attraverso i quali si articola il controllo di gestione, certamente non riconducibile alla nozione della funzione di indirizzo e controllo propria degli organi politici.

E' lo stesso tenore letterale della disposizione, del resto, ad evidenziare l'esclusione del direttore generale dal novero degli organi di governo quando ne indica il compito fondamentale nell' "attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal Sindaco".

Non vale argomentare, come fa l'appellante, dall'intuitu personae che presiede alla scelta e nomina del direttore generale e dal rapporto di fiducia che lo lega all'organo politico. Anche i dirigenti assunti a contratto a tempo determinato fuori dalla pianta organica sono scelti intuitu personae, visto che la durata del loro contratto non può essere superiore al mandato elettivo del Sindaco.

Deve convenirsi, in definitiva, con quanto sostengono le parti appellate, vale a dire che, esclusa la natura politica dell'incarico di direttore generale del Comune, questa figura non può che ricadere nella nozione generica di dirigente di cui all'art. 51, terzo comma, della L. 142/90, legittimamente destinataria del compito di presiedere commissioni di concorso.

Tra le altre censure riproposte, tutte riguardanti l'operato della commissione esaminatrice in sede di valutazione degli elaborati scritti, va esaminata in via prioritaria quella dedotta con il primo atto di motivi aggiunti notificato il 13 e 14 dicembre 1999 e relativa alle prove scritte della ricorrente. Questa doglianza, però, attesa la sua formulazione, si risolve nel tentativo di indurre il Giudice ad una non consentita sostituzione del suo giudizio a quello della commissione. E' noto, invece, che l'apprezzamento dell'esaminatore costituisce una valutazione di merito, sindacabile in sede di legittimità solo che per manifesta irragionevolezza o evidente travisamento del fatto; ipotesi che, nella specie, non emergono dalla lettura degli elaborati. Ineccepibile è, pertanto, la pronuncia d'inammissibilità adottata dal giudice di primo grado.

Ne consegue, per altro, che, restando in tal modo confermata la legittima esclusione della ricorrente dall'ulteriore prosieguo della procedura e restando, in conseguenza, preclusa ogni possibilità di rivedere la sua posizione, diventano inammissibili per difetto d'interesse anche gli altri motivi d'impugnazione, l'accoglimento dei quali non le arrecherebbe vantaggio alcuno.

L'appello va, in conclusione, respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti in causa spese e competenze del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello in epigrafe.

Compensa tra le parti spese e competenze del secondo grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 5 marzo 2002 con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone - Presidente

Corrado Allegretta - Consigliere rel. est.

Goffredo Zaccardi - Consigliere

Filoreto D'Agostino - Consigliere

Claudio Marchitiello - Consigliere

L'ESTENSORE                 IL PRESIDENTE

f.to Corrado Allegretta  f.to Claudio Varrone

Depositata in segreteria in data 3 ottobre 2002.

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