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n. 1-2002 - © copyright.

TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. PARMA - Sentenza 20 dicembre 2001 n. 1050Pres. Cicciò, Est. Giovannini – Terzi, Boni (Avv.ti L. Petronio e. P. Marchelli) e Savani (Avv. M. Mendogni), c. Comune di Parma (Avv. G. Saporito), Frateschi ed altri (n.c.).

1 - Pubblico impiego – Dirigenti - Mansioni e funzioni - Assegnazione di incarichi - Revoca – Giurisdizione del giudice ordinario.

2 - Pubblico impiego – Enti locali - Direttore generale – Potere di adottare provvedimenti vincolanti per i dirigenti – Legittimità.

3 - Pubblico impiego – Organizzazione del personale - Enti locali - Regolamento degli uffici e dei servizi - Criteri di economicità, efficacia ed efficienza – Sufficienza - Ulteriori motivazioni delle scelte organizzative - Necessità – Esclusione .

4 - Pubblico impiego – Organizzazione del personale – Enti locali –Indirizzi del Consiglio comunale - Attuazione da parte della Giunta mediante scelte di merito suggerite dal Direttore generale - Legittimità.

5 - Pubblico impiego – Organizzazione del personale - Uffici - Enti locali - Scelte ed impostazioni - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità – Esclusione.

6 - Pubblico impiego – Dirigenti – Enti locali - Principi per l’affidamento degli incarichi – Sufficiente determinatezza – Necessità di ulteriori criteri – Esclusione.

7 - Pubblico impiego – Dirigenti - Mansioni e funzioni – Enti locali – Ristrutturazioni degli uffici e dell’organigramma - Conseguente adattamento degli incarichi dirigenziali - Legittimità - Revoca di incarichi dirigenziali – Possibilità.

8 – Pubblico impiego – Dirigenti – Collocamento in posizione di staff - Illegittima compressione di attribuzioni - Esclusione.

1 - È inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso al TAR che censuri nel merito sia la revoca di funzioni di dirigente comunale precedentemente svolte, sia il conferimento a terzi di un incarico dirigenziale. Infatti, a norma dell’art. 68, 1° comma, D. Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal D. Lgs. n. 80 del 1998 e dal D. Lgs. n. 387 del 1998, le controversie relative al conferimento e alla revoca degli incarichi dei dirigenti della pubblica amministrazione sono devolute alla giurisdizione dell’A.G.O., quale giudice del lavoro.

2 - Non vi è illegittima compressione dell’autonomia riconosciuta dalla legge al personale dirigenziale pubblico, qualora si preveda che il direttore generale di un Comune possa dettare "disposizioni" che i soggetti sottordinati sono vincolati ad osservare solo in caso di omissioni o ritardi nell’esercizio delle potestà di competenza degli stessi, nonchè "direttive" che possono essere osservate o meno dai dirigenti nell’ambito della propria autonomia.

3 – La riorganizzazione di uffici e servizi di un ente locale, che risulti aver rispettato i criteri di economicità, efficacia ed efficienza in precedenza dettati dall’organo consiliare comunale, non deve contenere una particolare motivazione in ordine alle scelte relative alle modalità di concreta attuazione dei menzionati criteri.

4 - Legittimamente il Direttore Generale di un ente locale, nell’ambito e nei limiti dei criteri predisposti dall’Ente, opera scelte di merito sia riguardo all’impostazione da dare alla struttura burocratica comunale sia, in un momento successivo, riguardo alla collocazione del personale dirigenziale – del cui operato e rendimento egli è direttamente responsabile nei confronti degli organi politici comunali – sulla base dell’intuitus personae e, quindi, mediante l’instaurazione con i dirigenti posti a capo delle diverse strutture e servizi di un rapporto fiduciario (nel caso di specie, è stato ritenuta legittima l’organizzazione, impostata dal Direttore generale e recepita dalla Giunta, con il sistema di back office e di front office, esprimendosi in tal modo un’ autonoma scelta di merito del sistema, tra i vari possibili, sul quale impostare la struttura burocratica dell’Ente).

5 - Riguardo agli atti con i quali un Comune ha regolamentato ed organizzato la generalità degli uffici e dei servizi comunali, non deve essere data ai dipendenti, ai sensi dell’art. 13 della L. n. 241 del 1990, comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 e segg. stessa legge.

6 - Qualora i principi previsti dall’art. 19 c. 1 e 2 del D. Lgs. n. 29 del 1993, nonché dall’art. 109 T.U.E.L. per l’affidamento degli incarichi dirigenziali, siano stati recepiti in regolamento e risultino sufficientemente determinati, non è richiesta una loro specificazione attraverso l’ulteriore individuazione di criteri.

7 - Poichè l’art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993 prevede che per il conferimento e modifica di incarichi dirigenziali, si debba tenere conto, innanzitutto, della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, in ipotesi di ristrutturazione o di modifiche incisive degli uffici e dell’organigramma, è legittimo l’adattamento degli incarichi dirigenziali ai nuovi programmi che l’ente intende realizzare. Ciò può avvenire, in attuazione dell’ art. 109 T.U. Enti Locali, anche con possibilità di revoca degli incarichi al personale dirigenziale …negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro", in coerenza con l’art. 13 del C.C.N.L. Dirigenza Comparto Regioni Autonomie Locali 1998 – 2001, il quale prevede espressamente che "…la revoca anticipata dell’incarico rispetto alla scadenza, può avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive…". In conseguenza, è altresì legittima la norma regolamentare che preveda la possibilità di revoca dell’incarico dirigenziale in caso di "ristrutturazioni organizzative e/o esigenze di servizio".

8 - La collocazione in posizione di staff di parte del personale dirigente non comporta per quest’ultimo alcuna deminutio delle proprie attribuzioni, trattandosi comunque di collocazione in concreto già prevista nella normativa statale di riferimento (art. 19 D. Lgs. n.29 del 1993), che ha ritenuto pienamente corrispondente all’autonomia funzionale propria della posizione dirigenziale, l’attribuzione ai soggetti, ai quali non è affidata la titolarità di uffici dirigenziali, "…di funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento".

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(1-9) Commento di

GIOVANNI BUONO

La sentenza in rassegna offre tre diversi spunti di riflessione in materia di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali negli ee.ll.: a) si riconoscono alle amministrazioni ampi poteri organizzativi, con possibilità di modifica delle posizioni dirigenziali (in contrasto con numerose pronunce dei giudici ordinari); b) si esclude che la collocazione in staff possa essere qualificata un declassamento; c) si riconosce infine autonomia alle scelte di un city manager.

Ma vi è un quarto motivo che accresce l’interesse per la sentenza in questione: pochi mesi prima il giudice ordinario aveva espresso un fermo giudizio su gran parte dei provvedimenti esaminati dal TAR, concludendo per la reintegra di alcuni dirigenti, ritenuti demansionati (Tribunale Parma ordinanza 28 marzo 2001 n. 125, in questa rivista, pag. www.giustamm.it/private/ago/tribparmalav_2001-125.htm, con nota di L. Olivieri, Dirigenti locali, incarichi e revoche: un sistema in cerca di equilibri, ivi, pag. www.giustamm.it/articoli/olivieri_dirigentilocali.htm).

La lettura congiunta delle pronunce, le uniche che a tutt’oggi possono dare tridimensionalità al riparto di giurisdizione, emergono ulteriori osservazioni.

Un giudice (quello amministrativo) mostra maggior attenzione al confine di giurisdizione, astenendosi dall'entrare nel merito di scelte attinenti l’affidamento degli incarichi (sindacato che spetta all’AGO). L’altro giudice utilizza il meccanismo della disapplicazione come un passe-partout per semplificare le proprie decisioni.

Diventano evidenti i rischi ipotizzati da attenta dottrina (G. Trisorio Liuzzi, Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Commentario a cura di F. Carinci e M. D’Antona, Milano 2000, tomo III, 1819 ss; R. Foglia, Il processo nel lavoro privato e pubblico di primo grado, Milano 2001, 439 ss; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano 2001, 1057 ss; A. Travi, La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, Dir proc. amm.. 2000,. 311 ss.).

Soprattutto emerge il che si giunga ad una disapplicazione allargata (Caringella), senza distinguere tra atti di macro e di micro organizzazione.

Quando sulla stessa questione vi è una pronuncia del giudice amministrativo e di quello ordinario, sembra di assistere ad un colloquio tra un presbite ed un miope: il primo giudice sorvola sul "micro" ed esamina il paesaggio organizzativo in cui si colloca la posizione del dipendente; l’altro giudice, con diverse diottrie, opera attraverso la tecnica giuslavoristica di indagine sullo specifico demansionamento.

Anche la terminologia è diversa: il TAR Parma si sofferma sull’economicità, efficacia ed efficienza, mentre il Tribunale della stessa città cerca invano principi e criteri nel mosaico delle varie posizioni apicali, concludendo nell’identificare le ristrutturazioni di pianta organica con una serie di demansionamenti.

Ancora, uno stesso fenomeno (la contrattualizzazione) è interpretato dal Tribunale civile come necessità di contrattare iure privatorum, mentre il TAR lo interpreta nell’ottica della necessità di partecipazione ex lege 241 (partecipazione che viene esclusa).

In contrasto con quello che si legge sulle riviste giuridiche, non tutti i provvedimenti adottati dalle amministrazioni verso i dirigenti esprimono sadismo, maltrattamenti e mortificazioni. Esistono casi del genere (Tribunale Roma sez. II lavoro, 19.12.2001, in questa rivista, pag. www.giustamm.it/private/ago/tribroma2lav_2001-12-19.htm; Trib. S. Angelo dei lombardi, 120 maggio 2001 n. 342, ivi, pag. www.giustamm.it/private/ago/tribsangelo_2001-342.htm), ma esistono anche le riorganizzazioni non epurative.

Inoltre, si riconosce sacralità all’onere di motivazione, ma il relativo peso è diverso se si parte dal presupposto che vi è sempre un interesse pubblico nell’organizzazione del lavoro (come emerge dalla lettura di Cons. Stato, Comm. Spec. parere 5.2.2001 n. 471/2001, in questa rivista, pag. www.giustamm.it/private/cds/cdscommspec_2001-02-05.htm).

Questa componente dell’interesse pubblico è forse difficile da distillare con il solo l’alambicco della disapplicazione, perchè solo l’attenta analisi dell’eccesso di potere consente di distinguere tra un abuso ed una riorganizzazione.

L’ultima osservazione comparativa tra due stili di decisione riguarda la figura del city manager: fino ad oggi la giurisprudenza aveva esaminato tale posizione solo di striscio (TAR Lazio, II bis, 14 marzo 2001 n. 1896, in Giornale diritto amm.vo, 2001, 1238, con nota di A. Stancanelli), escludendone la natura politica. Ora il TAR Parma riconosce al city manager un rilevante potere tecnico di organizzazione, pochi mesi dopo che il Tribunale parmigiano aveva ipotizzato, in materia di riorganizzazione attuata dal manager, "arbitri, clientelismi o anche solo scelte politiche invece che tecnico-produttive".

Un tale divario tra diversi modi di leggere l’operato della stessa amministrazione non può fondarsi sulla semplicità della disapplicazione e sulla complessità delle indagini che sono alla base dell’annullamento in radice dell’atto amministrativo.

È vero che la disapplicazione parte dal basso e non può raggiungere la vetta del giudicato (dovendo i Tribunali limitarsi a conoscere dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, ex art. 4 della legge 2248/E/1865), ma ha molto più peso una disapplicazione intuitu personae e pronunciata di urgenza, rispetto ad una (più lenta) verifica generale dell’operato dell’amministrazione.

Anzi, poiché sono rari i casi in cui lo stesso episodio è sottoposto ad una pluralità di giudici, prendendo oggi spunto dalla parziale comparablità delle pronunce dei giudici parmigiani (civile ed amministrativo), si può proporre agli operatori o l’obbligo di adire contestualmente le due magistrature o, quanto meno, la facoltà, da parte dell’amministrazione, di agire in sede amministrativa con un giudizio di accertamento, per poter contrapporre una verifica di macro legittimità alla disapplicazione disposta dal giudice ordinario. (Giovanni Buono, 4.1.2002)

 

Commento di

LUIGI OLIVERI

Quando le sentenze fanno da "trait d'union" tra gli organi politici e l'applicazione del diritto.

Nonostante la Corte costituzionale e la Corte di cassazione abbiano sancito la legittimità costituzionale dell'articolo 63 del D.lgs 165/2001 (nel quale è confluito l'articolo 68 del D.lgs 29/1993), un deciso intervento di riforma della ripartizione della giurisdizione per le controversie di lavoro relative ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche appare necessario ed urgente.

La sentenza del Tar Emilia Romagna, Sez. Parma, 20 dicembre 2001, n. 1050, è la testimonianza che i giudici, resi, come dire, tranquilli dalla possibilità di non giudicare rilevando il proprio difetto di giurisdizione, attraverso le sentenze possono anche "dire da che parte stanno", emettendo pronunce più simili a programmi politico-organizzativi, che a soluzioni di questioni di diritto.

Leggendo la pronuncia del giudice emiliano, viene da oggettivamente da chiedersi: a chi giova? E perché è stata emessa con questi contenuti e con questi toni? Che relazione ha con l'ordinanza del Tribunale di Parma, Sezione Lavoro, 26 marzo 2001, n. 125, con la quale il giudice del lavoro aveva, anche pesantemente, censurato, sul piano del merito, l'operato dell'amministrazione comunale di Parma?

L'inevitabilità di queste domande scaturisce dalla constatazione che le dirigenti ricorrenti, risultate ampiamente vincitrici nel ricorso avanti al giudice civile, avevano rinunciato al ricorso amministrativo. Eppure, il giudice emiliano ha sentito il bisogno di diffondersi in una sentenza che lascia molteplici punti di perplessità, tali da far ritenere che il sistema debba davvero uscire dalla sua situazione ibrida e scegliere decisivamente la strada della completa privatizzazione o un riassestamento verso la gestione amministrativa.

Per dare corpo alle valutazioni fin qui espresse, occorre esaminare alcuni passaggi fondamentali della sentenza.

Assegnazione mansioni. Probabilmente le ricorrenti non hanno lo eccepito nel merito, ma dalla lettura della sentenza si evince che il comune di Parma avrebbe assegnato le mansioni dirigenziali (che poi dovrebbero qualificarsi come incarichi dirigenziali) mediante provvedimenti congiunti da un lato del direttore generale e dell'assessore, e dall'altro del sindaco e del segretario generale.

Chissà perché la sentenza, pur così ampia e completa pur potendo liquidare la vertenza con la presa d'atto della rinuncia al ricorso, non ha approfondito la questione della legittimità di simili provvedimenti. Partendo dall'esame di quello adottato (pare) congiuntamente da sindaco e segretario generale, il vizio di competenza si manifesta abbastanza oggettivamente.

A mente dell'articolo 50, comma 10, del D.lgs 267/2000 la competenza all'attribuzione e definizione degli incarichi dirigenziali è esclusivamente del sindaco o del presidente della provincia. E' perfettamente ammissibile che il segretario, quale consulente giuridico amministrativo nonché coordinatore dell'attività dei dirigenti supporti il sindaco nell'effettuazione della scelta, anche con motivate relazioni o conducendo direttamente l'istruttoria volta ad individuare i dirigenti dotati delle specifiche competenze necessarie all'espletamento degli incarichi cui sono da destinare.

Detto questo, tuttavia spetta esclusivamente al sindaco la scelta definitiva. Legittimamente solo il sindaco può conferire l'incarico e le mansioni, non essendo ammissibile alcun intervento negoziale del segretario comunale, nemmeno per effetto di delega. L'assegnazione dell'incarico dirigenziale da parte del sindaco, che molti vogliono sia di carattere addirittura fiduciario, spetta al vertice politico dell'ente in quanto emanazione della sua legittimazione diretta alla direzione del governo dell'ente. Il sindaco, quale generale sovrintendente all'attività amministrativa (articolo 50, comma 3, del testo unico), deve nominare il suo staff: dalla giunta, al segretario e/o direttore, ai dirigenti. La rinuncia a questa peculiare competenza è una vera e propria capitis deminutio del sindaco, così come la sottoscrizione congiunta del provvedimento di incarico, che fa inevitabilmente scendere il provvedimento medesimo dalla sfera dell'alta amministrazione, alla quale appartiene (intesa come atto pertinente ad una delle principali potestà del sindaco, fermi restando i dubbi sulla sua corretta qualificazione di provvedimento amministrativo oppure negoziale), ad un atto di gestione di livello inferiore.

Alla luce di queste considerazioni, ancora più aberrante appare l'assegnazione di un incarico dirigenziale per effetto di un provvedimento a firma congiunta del direttore generale e dell'assessore. La firma congiunta del sindaco e del segretario, per quanto non conformi all'assetto delle potestà stabilite dalla legge, conserva, quanto meno, l'intervento diretto del titolare principale ed esclusivo del potere di nomina.

Estremamente arduo, però, appare individuare una legittimazione del direttore generale e dell'assessore ad emanare, con firma congiunta, un incarico ai dirigenti. Non si vede, infatti, quale possa essere la legittima fonte della loro legittimazione. Non certamente una delega, sia per le considerazioni svolte sopra, sia perché apparirebbe alquanto extra ordinem una delega che ripartisse le funzioni del delegante congiuntamente a due soggetti.

I provvedimenti adottati dal comune di Parma sono l'evidente applicazione concreta di quelle tesi propense a ritenere applicabili nell'ambito delle amministrazioni pubbliche gli strumenti organizzativi e gestionali propri del lavoro privato, quali, ad esempio, l'assegnazione delle funzioni dirigenziali in base ad un sistema di deleghe a cascata, di tipo piramidale. Senza tenere nel debito conto che questo tipo di organizzazione presuppone, come nel mondo privato, lo svolgimento delle funzioni in base al principio della rappresentanza negoziale e non dell'immedesimazione organica. Solo mediante la rappresentanza negoziale è possibile alla persona giuridica, mediante l'atto costitutivo definire nell'ambito delle proprie scelte autonome, l'assetto delle competenze, anche prevedendo l'assegnazione a cascata di una serie di deleghe, o, meglio, di procure di contenuti sempre più ridotti, man mano che si scende nella piramide.

Ma nell'organizzazione pubblica il sistema delle competenze è fissato dalla legge, che le assegna direttamente agli organi, quale misura del loro potere amministrativo. I regolamenti di organizzazione servono a stabilire gli ambiti organizzativi (tecnici, amministrativi, di staff, di line, di una certa specifica materia piuttosto che un'altra) nei quali detti poteri previsti dalla legge possono esplicarsi, senza incidere sui poteri medesimi, a meno che non sia la legge stessa a disporre di sé e consentire espressamente la delega.

Per altro, è da osservare che l'ordinamento comunale esclude radicalmente la possibilità per il sindaco di delegare gli assessori, contrariamente a quanto accadeva nel sistema del testo unico del '34. D'altra parte, mentre lo statuto prevede l'assegnazione al segretario comunale di funzioni ulteriori rispetto al minimo edittale contenuto nell'articolo 97 del D.lgs 267/2001, altrettanto non vale per il direttore generale.

Ruolo del direttore generale. La sentenza del Tar parmense contiene la dichiarazione della volontà di aderire alla tesi secondo la quale il direttore generale rappresenterebbe un superiore gerarchico della dirigenza. Per tale via egli avrebbe il diritto-dovere di riorganizzare (quasi come si trattasse di un cantiere permanentemente aperto) le strutture organizzative e, di conseguenza, di rideterminare gli incarichi dirigenziali, in base ad apodittiche esigenze organizzative e produttive.

Queste conclusioni della sentenza collidono con la giurisprudenza ordinaria largamente maggioritaria, che ha più volte sottolineato la necessità di motivare concretamente e specificamente quali siano le ragioni produttive alla base di eventuali revoche degli incarichi dirigenziali, non potendosi ammettere, evidentemente, una continua rivoluzione degli assetti organizzativi: per dirla col Tribunale di Parma (ordinanza 26 marzo 2001, n. 125, cit.), è necessario individuare i criteri concreti alla base delle revoche degli incarichi dirigenziali, in quanto solo l'analisi specifica delle motivazioni alla base di interventi di tale genere garantisce "un procedimento improntato alla trasparenza ed alla buona amministrazione, che limita (se non elimina) gli arbitri, i clientelismi, o anche solo le scelte politiche invece che tecnico-produttive, tutti fenomeni tipici della gestione pubblica e non dell'imprenditoria privata (con buona pace per la presunta omogeneizzazione delle due tipologie di impiego)".

La riorganizzazione non può, evidentemente, essere fine a se stessa. Si ha, invece, la sensazione che i direttori generali degli enti locali, quasi per autoreferenziarsi e rendere evidente l'utilità di una figura dai contorni giuridici ed operativi, invece, estremamente sfumati ed opachi (contrariamente alle retribuzioni), siano propensi a porre in essere ampi e continui interventi di modifica delle dotazioni organiche e degli incarichi, come "concreta traccia" del loro intervento e della loro esistenza.

Il tutto, giustificato dalla tesi, accettata dal Tar parmense, che il direttore generale quale "trait d'union" tra organi politici e dirigenza deve operare "delle scelte di merito sia riguardo all'impostazione da dare alla nuova struttura burocratica comunale, sia, in un momento successivo, riguardo alla collocazione del personale dirigenziale", perché del suo operato egli sarebbe "direttamente responsabile nei confronti degli organi politici", sicchè tra dirigenti e direttore generale deve intercorrere un rapporto fiduciario, che legittima il secondo ad incaricarli dove meglio creda e ad indirizzarli con "disposizioni" e a sostituirsi loro in caso di omissioni e ritardi.

Si tratta di una teoria largamente condivisa in dottrina, che però rimane aperta ad una serie di critiche alle quali gli aderenti non hanno mai dato una convincete risposta sul piano giuridico, limitandosi a suffragare la teoria in base ai sistemi gestionali privatistici, dando per scontato che vi sia una completa omologazione tra l'ordinamento del lavoro pubblico e quello dei soggetti privati, tutta, invece, da dimostrare.

Tale opinione si basa su un assunto non corretto, che fa cadere tutti i conseguenti corollari: quella, ovvero, che il direttore generale sarebbe un superiore gerarchico dei dirigenti, esattamente come il direttore generale delle Asl o i dirigenti generali dello Stato.

Non si tiene nel dovuto conto, tuttavia, che l'assetto ordinamentale dell'ente locale è profondamente diverso da quello dello Stato e delle aziende sanitarie; né la circostanza che alcuni organi abbiano lo stesso nomen iuris "diretore generale" dovrebbe portare a confondere le loro competenze ed il loro ruolo.

In estrema sintesi, il direttore generale delle Asl è il soggetto che più si avvicina alla figura del direttore generale delle aziende, anche per la maggiore contiguità dell'ordinamento sanitario al mondo delle aziende private.

Il direttore generale delle Asl è il vero e proprio organo di diretta imputazione dell'attività dell'amministrazione, che detiene interamente tutti i poteri di amministrazione generale ed attiva e diretta. Tutto lo staff, dal direttore amministrativo agli altri dirigenti, dipende da lui, che provvede a nominarli o a individuarli mediante i concorsi. Tutti i poteri del suo staff derivano da vere e proprie deleghe-procure, a cascata. La posizione di superiorità gerarchica è chiarissima ed è frutto del particolare ordinamento sanitario.

I direttori generali dei ministeri o, comunque, in generale i dirigenti di prima fascia sono posto in posizione di superiorità gerarchica nei riguardi dei dirigenti di seconda fascia direttamente dall'articolo 16 del D.lgs 165/2001, il quale al comma 1, lettera i), stabilisce che "decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e provvedimenti non definitivi dei dirigenti". Detta norma è il chiarissimo segnale che la legge ha impostato tra la dirigenza di prima e seconda fascia un ruolo di subordinazione gerarchica, attestato anche dall'ulteriore circostanza che gli incarichi dirigenziali di seconda fascia sono attribuiti proprio dai dirigenti generali.

Ma i direttori generali dei ministeri (o i capi dipartimento) non sono altro che i dirigenti posti alla direzione delle strutture di vertice dei ministeri: esattamente come i dirigenti degli enti locali apicali.

Il direttore generale dei comuni e delle province non condivide nessuna delle caratteristiche e competenze dei direttori generali delle Asl e dei ministeri. E' un'osservazione, questa, semplicissima e ricavabile direttamente dalla legge, che non gli assegna alcuna posizione di supremazia gerarchica (anche dottrina particolarmente propensa ad applicare immediatamente all'ordinamento pubblico i principi gestionali privati nega l'esistenza di un rapporto gerarchico tra direttore generale e dirigenti locali, vedasi E. Borgonovi, La direzione generale dell'ente locale tra futuro e passato, in Azienda Pubblica, n. 1-2.99, pag. 5), né, tanto meno, alcun potere di diretta gestione delle funzioni comunali. Del resto, mentre i regolamenti (Dpr 150/1999) ed i contratti collettivi della dirigenza statale prendono atto e dettano la disciplina contrattuale del rapporto di lavoro della dirigenza in funzione del rapporto gerarchico esistente tra dirigenti di prima e seconda fascia, nell'ordinamento locale non esiste alcuna traccia di tutto ciò, dal momento che esiste un'unica categoria di dirigenti.

Non a caso, la legge prevede che i dirigenti debbano essere incaricati e nominati dal sindaco, esattamente come accade per il direttore generale. Il quale non ha, per legge, contrariamente ai dirigenti generali dello stato, alcuna potestà di nominare i dirigenti. Né potrebbe riceverla per delega, dal momento che la legge non prevede espressamente una modifica dell'ordine delle competenze del sindaco. Non v'è il minimo dubbio, pertanto, che il direttore generale ed i dirigenti locali siano messi dalla legge sullo stesso piano, nel rispetto delle loro reciproche sfere di competenza, come stabilisce in modo cristallino l'articolo 107, comma 2, del D.lgs 267/2000.

Occorre prendere atto che, finchè l'ordinamento locale non venga modificato, il direttore generale è una figura di staff, la cui competenza non è incidere sulla linea gestionale. Al contrario, il direttore generale ha il compito di modificare il "metodo" gestionale, garantendo il perseguimento, oltre alla legalità (che già deve essere appannaggio del segretario e della dirigenza) degli obiettivi di efficienza ed efficacia, nello svolgere le attività amministrative desunte dagli indirizzi politici.

Il direttore generale, quindi, ha il compito di tradurre l'indirizzo politico in un obiettivo misurabile; di affidare detti obiettivi alle strutture ed ai dirigenti più competenti a questo fine, proponendo (col Peg) la dotazione di risorse ritenuta necessaria; di indicare gli strumenti operativi e di controllo più idonei alla gestione; di fissare, mediante la propria competenza al coordinamento, le priorità, i ruoli ed i tempi dell'azione. Non può, invece, gestire né in via diretta né in via sostitutiva.

Né risponde, contrariamente a quanto afferma il Tar Parma, agli organi politici dell'operato e del rendimento dei dirigenti. I quali, a mente dell'articolo 107, comma 6, del testo unico sono direttamente, e non per interposta persona, responsabili in via esclusiva in relazione agli obiettivi dell'ente dell'efficienza e dei risultati della gestione. Sono, dunque, i dirigenti che gestiscono. E' il direttore generale che fornisce i mezzi, i metodi e che, in conseguenza di ciò, valuta dal punto di vista tecnico il rendimento.

Se si trasforma, come involontariamente (occorre sempre attribuire la buona fede) fa la sentenza che si commenta il direttore generale in un soggetto politico dotato del potere di gestire, oltre a violare apertamente il riparto delle competenze della dirigenza, i contratti di lavoro e l'ordinamento locale, si viola anche il principio di separazione tra organi politici e dirigenti.

Del tutto aberrante, poi, appare l'affermazione contenuta nella sentenza che tra dirigenti e direttore generale debba intercorrere un rapporto fiduciario. Assolutamente controverso in dottrina e giurisprudenza è la questione se possa intercorrere un rapporto di fiducia tra dirigenza ed organi di governo e, per altro, finchè gli incarichi debbono obbedire ai criteri previsti dall'articolo 19 del D.gs 165/2001, è certo da escludere che gli organi di governo possano assegnare gli incarichi dirigenziali in base all'intuitu personae. Ma appare del tutto errato ritenere che gli incarichi possano essere attribuiti dal direttore generale comunale, in base ad un suo rapporto di fiducia con i dirigenti. Infatti, fermo restando il problema dell'applicazione del citato articolo 19 del D.lgs 165/2001, non esiste alcuna disposizione normativa che attribuisca al direttore generale simile competenza; è certamente contraria a legge qualunque norma statutaria o regolamentare che la introduca; in ogni caso, i dirigenti si rapportano, dal punto di vista dell'indirizzo politico, al sindaco che li nomina, dovendo rispondere al direttore generale, come precisa l'articolo 108, comma 1, del testo unico, solo in relazione, anzi al fine del perseguimento degli obiettivi descritti nel Peg e dei metodi gestionali previsti.

Criteri per le nomine e le revoche. La corretta determinazione delle competenze della direzione generale dovrebbe portare alla conclusione opposta a quella proposta dalla sentenza, che ritiene non necessaria la specificazione di concreti criteri alla base della riorganizzazione della struttura e, dunque, per le revoche e le assegnazioni degli incarichi (contrariamente alle chiarissime prescrizioni della citata ordinanza del Tribunale di Parma 26.3.2001, n. 125). Se, infatti, i direttori generali svolgessero realmente le funzioni alle quali sono chiamati dalla legge, invece di porre in essere un ibrido politico-manageriale-gestionale assolutamente extra ordinem, nel creare il metodo di lavoro, indirettamente determinerebbero:

1) competenze richieste;

2) sistemi di valutazione delle competenze;

3) flussi procedimentali;

4) sistemi di relazione tra procedimenti;

5) sistemi di controllo delle prestazioni;

6) sistemi di congrua assegnazione delle competenze e delle risorse;

7) modalità per adeguare le strutture alle competenze ed ai metodi;

in poche parole, individuerebbe i criteri per le nomine e le revoche, nonché per le eventuali riorganizzazioni aziendali, nel pieno rispetto dell'articolo 19 del D.lgs 165/2001 e dei contratti collettivi di lavoro.

Tenere nel vago i criteri e confondere la riorganizzazione come obiettivo invece che come mezzo per migliorare il rendimento dell'attività è la chiusura di un ciclo certamente non virtuoso, che fa degli incarichi dirigenziali, compreso quello della direzione generale, un sistema non rivolto alla gestione imparziale, efficiente ed efficace, ma un banco di prova della fedeltà ad un programma politico.

Per altro, l'equivoco del direttore generale-gestore ha portato in alcuni enti a conseguenze organizzativamente realmente poco comprensibili. In qualche comune, mediante lo statuto o il regolamento di organizzazione, al direttore generale sono stati attribuiti tutti i poteri gestionali (come nelle Asl); ma poi, lo stesso direttore, li ha delegati tutti ai dirigenti, riservandosi però di ingerire mediante poteri di ordine di servizio o controlli repressivi sugli atti dei dirigenti. Ora, a parte l'evidente violazione dei principi sulla delega delle funzioni, ammissibile solo quando è prevista dalla legge, non si capisce quale possa essere il senso di una simile organizzazione, se non quello di sottoporre la dirigenza ad una libertà vigilata o condizionata da valutazioni che vanno certamente oltre la capacità manageriale.

La disciplina della revoca. Singolare, in ultimo, è il passaggio della sentenza nel quale si sostiene la legittimità del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del comune di Parma laddove, nel disciplinare le revoche causate dalle ristrutturazioni organizzative, "riporta in sede di regolamento un'ipotesi di revoca già contemplata da quelle disposizioni contrattuali alle quali la disciplina statale fa espresso rinvio".

In primo luogo, si può osservare, come avrebbe dovuto il giudice amministrativo, l'illogicità ed assoluta inutilità di una norma regolamentare meramente riproduttiva della disposizione normativa di principio, che consente la revoca degli incarichi per motivate ragioni organizzative e produttive. La disposizione regolamentare avrebbe avuto un senso solo nell'ipotesi che, come richiesto all'articolo 13 del contratto collettivo del 23.12.1999, adeguasse le regole sugli incarichi dirigenziali ai principi contenuti nel D.lgs 165/2001 o, soprattutto, fissasse quei fantomatici criteri riorganizzativi, sempre in obbedienza al citato articolo 13 del contratto collettivo dettagliando e rendendo, quindi, concrete le disposizioni di principio contenute per legge. Altrimenti, si tratta di norma inutiliter data.

Staff. Quanto, infine, alla valutazione secondo la quale la collocazione in posizione di staff del personale dirigenziale non comporta alcuna deminutio delle proprie attribuzioni, al di là delle pregnanti argomentazioni contrarie poste dall'ordinanza del Tribunale di Parma 26 marzo 2001, n. 125, è la stessa legge a smentire le conclusioni del giudice amministrativo. L'articolo 21, comma 1, del D.lgs 165/2001 stabilisce che nel caso che a seguito della valutazione si riscontrino risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione, oppure il mancato raggiungimento degli obiettivi, è possibile revocare l'incarico e destinare il dirigente ad altro diverso incarico "anche tra quelli di cui all'articolo 19, comma 10". E' ovvio, pertanto, che l'assegnazione agli incarichi di cui all'articolo 19, comma 10, consista in una misura sanzionatoria, per effetto, evidentemente, del minor prestigio e/o della minore retribuzione degli stessi. Ma quali incarichi sono definiti all'articolo 19, comma 10, del D.lgs 165/2001? Quelli comportanti le tipiche funzioni di staff, quali lo svolgimento di funzioni ispettive, consulenza, studio e ricerca.

Difficile trovare coerente una tesi che da un lato sostiene la collocazione presso un ufficio di staff non comportante un depauperamento professionale in capo al dirigente, pur prendendo atto che l'assegnazione agli uffici di staff determini lo svolgimento di funzioni espressamente considerate dalla legge come misura sanzionatoria nei riguardi dei dirigenti "poco efficienti".

In conclusione, la decisione non pare rappresenti un grande passo in avanti nella chiarificazione del corretto assetto attuale della disciplina degli incarichi e delle revoche delle funzioni dirigenziali, quanto, piuttosto, un "manifesto interpretativo" autorevole, anche se fondato maggiormente su indirizzi de iure condendo che non su valutazioni concrete del diritto costituito, lasciate sullo sfondo, in quanto appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario, il quale, per altro, si pone in contrasto a dir poco clamoroso con le posizioni espresse dal giudice amministrativo di Parma.

Purtroppo, resta senza risposta il quesito volto a capire chi tragga vantaggio da questa situazione normativa e da questi contrasti tra giudici. Non pare che se ne giovino la certezza del diritto ed il principio della sottoposizione della dirigenza all'esclusivo servizio della Nazione.

 

 

per l’annullamento

della deliberazione della Giunta Comunale di Parma n.2216/103 del 7/12/2000, che ha approvato il nuovo ordinamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nonché del Regolamento stesso, allegato alla deliberazione;

occorrendo, della deliberazione della Giunta Comunale n.2309/106;

del provvedimento prot. n. 93E1/D, con il quale il Sindaco di Parma ha individuato le posizioni organizzative sulla base della struttura approvata con la deliberazione n. 2216;

della deliberazione della Giunta Comunale di Parma n.8/2 del 5/1/2001;

della deliberazione della Giunta Comunale di Parma n.169/14 del 1/2/2001;

del provvedimento prot. n.4763 del 15/1/2001 con il quale il Direttore Generale e l’Assessore alla riorganizzazione hanno assegnato nuove mansioni alla dott. ssa TERZI;

del provvedimento prot. n.1842/164 del 8/1/2001, con il quale il Sindaco del Comune di Parma e il Segretario Generale hanno assegnato nuove mansioni alla dott.ssa BONI;

del provvedimento in data 6/2/2001, con il quale il Sindaco del Comune di Parma e il Segretario Generale, hanno assegnato la nuove mansioni alla dott. ssa SAVANI;

Visto il ricorso con i relativi allegati e il ricorso per motivi aggiunti ritualmente notificato e depositato il 21/6/2001;

(omissis)

FATTO

Con il ricorso n. 93 del 2001, notificato il 21/2/2001 e depositato il 22/1/2001, le ricorrenti, tutte Dirigenti del Comune di Parma, chiedono l’annullamento degli atti indicati in epigrafe, con i quali la suddetta Amministrazione Comunale, avendo adottato il nuovo Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, ha assegnato le ricorrenti a diverse mansioni e a diversi incarichi rispetto a quelli svolti in precedenza.

Le ricorrenti, dopo avere illustrato le principali circostanze di fatto, afferenti la controversia in esame, deducono, a sostegno dell’impugnativa, i seguenti motivi in diritto.

Violazione dell’art. 3 del D. Lgs. n.29 del 1993 e degli artt. 107 e 108 del D. Lgs. n.267 del 2000;

Il punto 6 parte prima del nuovo Regolamento Comunale prevede le "disposizioni" tra gli strumenti di supporto decisionale e di comunicazione da parte del Direttore Generale ai Dirigenti.

Con tale strumento, "il direttore generale detta precisi e puntuali comportamenti e contenuti dell’attività amministrativa che i soggetti sottoordinati sono vincolati ad osservare".

Tale disposizione regolamentare, peraltro, confligge con le norme richiamate in rubrica, che attribuiscono in via generale ai dirigenti un’ampia autonomia nello svolgimento delle funzioni proprie di tale posizione.

Violazione dell’art. 48 del D. Lgs. n.267 del 2000 e dell’art. 3 L. n.241 del 1990; Eccesso di potere per contraddittorietà rispetto alla precedente deliberazione n. 76/56 del 24/3/199;

L’art. 48 del D.Lgs n.267 del 2000, vincola la Giunta all’attuazione degli indirizzi generali del Consiglio".

Il nuovo regolamento approvato dalla Giunta non rispetta tali indirizzi, avendo recepito acriticamente ed immotivatamente un progetto concepito in pochi giorni dal Direttore Generale, nominato di recente.

Nell’atto d’indirizzo consiliare, ad es. non si fa menzione di una ristrutturazione secondo un sistema di "back office" e di "front office"; sistema che, pertanto, non poteva essere introdotto;

Tale sistema non è peraltro attuabile se si voglia essere rispettosi della legge n.241 del 1990, soprattutto al fine di individuare il soggetto responsabile del procedimento.

– Eccesso di potere per motivazione illogica, contraddittorietà rispetto ad atti precedenti e sviamento di potere;

Alla deliberazione n.76/56 del 24/3/1999, che aveva indicato i criteri generali da seguire nella riorganizzazione degli uffici e dei servizi, era seguita altra deliberazione in data 30/4/1999 n.1067 che a tale riorganizzazione aveva provveduto.

Quella ulteriore posta in essere con la deliberazione del 7/12/2000 n.2216/103 realizza, in sostanza, una forte riduzione del numero dei dirigenti, peraltro senza motivare adeguatamente circa il senso di tale operazione, dato che non può essere considerata sufficiente e congrua, a tale fine, l’avvenuta nomina di un Direttore Generale dell’Ente.

– Violazione dell’art. 19 cpv. del D. Lgs. n.29 del 1993;

4a) -L’art. 17 parte III del nuovo regolamento, prevede che il Sindaco deve formulare al Dirigente una "proposta concernente oggetto, durata e strumenti che esplicano gli obiettivi"; il dirigente sottoscrive "un atto formale di adesione alla proposta ricevuta", "sottoposto alla condizione" della successiva emanazione del decreto di nomina al posto da parte del Sindaco".

Tale disposizione risulta in contrasto con la norma indicata in rubrica, dato che ci si dimentica del "trattamento economico" del Dirigente, elemento essenziale previsto dalla suddetta normativa statale.

4B) Inoltre, la predetta disposizione è illegittima in quanto non pare ricomprendere anche i dirigenti in posizione di staff, in quanto questi non sono "titolari di strutture".

Non si può conferire ad un dirigente un nuovo incarico senza passare attraverso un atto di natura convenzionale nell’ambito di un rapporto i cui contenuti e i cui atti di gestione vedono le parti su un piano di assoluta parità, per cui è illegittimo non avere contrattato, con ognuno dei dirigenti in posizione di staff, oggetto, obiettivi, durata e trattamento economico.

– Violazione dell’art. 7 della L. n.241 del 1990;

Il Comune non ha comunicato alle ricorrenti la revoca degli incarichi di dirigente comunale, come previsto dalla norma indicata in rubrica.

– Violazione dell’art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993, degli artt. 7 e 13 del C.C.N.L. 1998 – 2001 per l’area Dirigenza nel comparto Regioni ed enti locali, dell’art. 109 del D. Lgs n.267 del 2000 e dell’art. 2103 c.c.; Eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità manifesta; Violazione con l’atto 22/12/2000 degli artt. 16 e 19 del medesimo Reg. 7/12/2000.

6a) L’art. 13 del C.C.N. L. stabilisce che "gli enti, con gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti, adeguano le regole sugli incarichi ai principi stabiliti dall’art. 19, c.1 e 2del d. lgs. n.29 del 1993, con particolare riferimento ai criteri per il conferimento e la revoca degli incarichi e per il passaggio ad incarichi diversi, nonché per la relativa durata, che non può essere inferiore a due anni, fatte salve le specificità da indicare nell’atto di affidamento e gli effetti derivanti dalla valutazione annuale dei risultati", stabilisce ancora, al comma 3, che la revoca anticipata dell’incarico rispetto alla scadenza può avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive o per effetto dell’applicazione del procedimento di valutazione di cui all’art. 14 comma 2" e al comma 4 che "i criteri generali di cui al comma 2, prima della definitiva adozione, sono oggetto di informazione ai soggetti sindacali di cui all’art. 11, c.2, seguita, su richiesta, da un incontro".

La deliberazione n. 2216/03 è illegittima, nella parte in cui ha obliterato la procedura di preventiva informazione sindacale imposta dal 4° comma.

6b) Inoltre, le statuizioni di cui all’art. 16 del Regolamento, in quanto principi, non possono valere quali criteri generali, previsti dalla citata normativa contrattuale.

I criteri, infatti, non sono la stessa cosa che i principi, avendo, di necessità, un ben maggiore grado di specificità e di concretezza.

L’art. 16 del regolamento approvato della Giunta Comunale di Parma, pertanto, viola la norma contrattuale collettiva, perché non ha adottato i criteri che questa ha stabilito debbano essere elaborati, ma ha ripetuto solo i principi dettati dalla legge.

6c) Sono illegittimi, inoltre, per violazione della stessa norma regolamentare (art. 19), i provvedimenti di assegnazione delle ricorrenti, in quanto essi e, in particolare quello riguardante la dott. ssa SAVANI, non hanno motivato circa la natura e le caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, anche in relazione ai risultati conseguiti in precedenza.

6d) Secondo il Regolamento, come si è visto, la revoca degli incarichi è resa possibile dal 2° comma dell’art. 16, in caso di non meglio precisate "ristrutturazioni organizzative e/o esigenze di servizio.

Ma tale principio non è desumibile da alcuna norma statale: né dall’art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993, né dall’art. 109 del D. Lgs. n.267 del 2000, né, infine, dall’art. 13 del C.C.N.L., anche se tale disposizione, invero assai discutibilmente, stante la regola della contrattualità degli incarichi, prevede " la revoca…per… ragioni organizzative e produttive".

Ragioni che, peraltro, devono essere motivate, sì da rendere agevolmente possibile il controllo della legittimità del provvedimento.

Secondo la giurisprudenza, l’assegnazione di posto dirigenziale negli enti locali è soggetta all’obbligo di motivazione anche dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n.29 del 1993.

Si può infine aggiungere che, nella specie, l’art. 2103 del c.c. è applicabile, poiché il passaggio della ricorrente dott.ssa SAVANI da una struttura comunale ad un’altra, venga correttamente qualificata quale trasferimento.

– Eccesso di potere per sviamento – Violazione dei principi di cui all’art. 97 Cost.;

Molti dirigenti sono stati privati di ogni direzione di struttura e collocati in posizione di staff, pur se quella in cui erano addetti non è stata soppressa e pur in mancanza, almeno per quello che riguarda le ricorrenti, di giudizi negativi sul loro operato.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 19/6/2001 e depositato il 21/6/2001 e 29/6/2001, unitamente ad istanza istruttoriaparte ricorrente ha dedotto, nei confronti del nuovo testo del Regolamento Comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, sostitutivo di quello in precedenza opposto, il seguente ulteriore mezzo d’impugnazione:

– Violazione di legge; eccesso di potere;

Il nuovo testo del Regolamento, nelle parti che sono rimaste immodificate, va incontro alle stesse censure proposte con i motivi di cui al ricorso principale; motivi che vengono richiamati e riproposti.

Con memoria depositata in data 6/3/2001, le ricorrenti ribadivano le conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo del giudizio.

Con atto ritualmente notificato alle controparti e depositato in data 25/7/2001, le ricorrenti Nice TERZI e Federica BONI comunicavano di rinunciare al ricorso.

§ § §

L’Amministrazione Comunale intimata, con la comparsa di costituzione e con successive memorie depositate in data 31/3/2001 e 26/10/2001, ritenendo infondato il ricorso, ne chiede la reiezione, vinte le spese.

§ § §

Alla pubblica udienza del 6/11/2001, la causa è stata chiamata e quindi, è stata trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Con l’atto introduttivo del presente giudizio e con successivo ricorso per motivi aggiunti, tre dirigenti del Comune di Parma impugnano gli atti con i quali la suddetta Amministrazione Comunale ha proceduto ad una profonda ristrutturazione degli uffici e dei servizi, a seguito dell’approvazione, con deliberazione della Giunta Comunale n.2216 del 2000 e con successiva deliberazione n.417 del 2001, sostitutiva della precedente, del nuovo regolamento sull’ordinamento degli uffici, dei servizi e della macrostruttura comunale.

Il Collegio, innanzitutto, deve dare atto che le ricorrenti dott.ssa Nice TERZI e dott.ssa Federica BONI, con atto ritualmente notificato a controparte e depositato presso la Segreteria della Sezione in data 25/7/2001, hanno rinunciato al ricorso.

In via preliminare, occorre rilevare che il motivo di ricorso rubricato sub 6c) in narrativa è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito, in quanto, con esso, la ricorrente censura specificamente, nel merito, sia la revoca delle funzioni di dirigente comunale precedentemente svolte, sia il conferimento, da parte dell’Amministrazione Comunale, dell’attuale incarico dirigenziale.

Secondo quanto previsto dall’art. 68, 1° comma, D. Lgs. n.29 del 1993, come modificato dal D. Lgs. n.80 del 1998 e dal D. Lgs. n.387 del 1998, le controversie in materia di pubblico impiego e, pertanto, anche quelle relative al conferimento e alla revoca degli incarichi dei dirigenti della pubblica amministrazione sono attualmente devolute alla giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria, quale giudice del lavoro.

Il Collegio, inoltre, sempre in via preliminare, deve dichiarare l’improcedibilità del ricorso, proseguito unicamente dalla dott. ssa Maria SAVANI, per sopravvenuta carenza d’interesse della ricorrente riguardo a tutti gli altri mezzi d’impugnazione rilevanti l’asserita illegittimità del regolamento approvato con deliberazione n.2216 del 2000, stante, come si è detto, l’avvenuta sostituzione di tale atto col nuovo regolamento approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 417 del 2001.

Peraltro, occorre rilevare che, in virtù dell’ottavo mezzo d’impugnazione, introdotto con ricorso per motivi aggiunti, parte ricorrente ha riproposto, in concreto, le stesse censure anche avverso il nuovo Regolamento, per cui tali doglianze devono essere puntualmente vagliate dal Collegio con riferimento al testo del più recente atto regolamentare approvato dalla Giunta Comunale di Parma.

Il primo motivo proposto con l’atto introduttivo del giudizio e riproposto con ricorso per motivi aggiunti lamenta l’illegittima compressione dell’autonomia riconosciuta dalla legge al personale dirigenziale pubblico, per effetto del potere, attribuito dall’impugnato regolamento al Direttore Generale del Comune di Parma di dettare "disposizioni" che i soggetti sottordinati sono vincolati ad osservare.

Il motivo è infondato, in quanto nel nuovo testo del Regolamento Comunale, tale incisivo potere d’ingerenza del Direttore Generale ha subito un apprezzabile ridimensionamento, nel senso che attualmente le "disposizioni" da quest’ultimo impartite sono vincolanti per i dirigenti solo in caso di omissioni o ritardi nell’esercizio delle potestà di competenza degli stessi, mentre le "direttive" possono essere osservate o meno dai dirigenti nell’ambito della propria autonomia, dovendosi assumere, questi ultimi, la responsabilità della loro azione (Reg. pag. 20 p.6).

In tale mutato quadro normativo, pertanto, il Collegio ritiene che, riguardo al suddetto divisato profilo, non sussista alcuna illegittima compressione delle attribuzioni proprie della figura professionale dirigenziale.

Il secondo motivo ed il terzo motivo sono infondati, in quanto il nuovo testo del Regolamento dell’ordinamento degli uffici e dei servizi risulta avere rispettato i criteri di economicità, efficacia ed efficienza in precedenza dettati dall’organo consiliare comunale con deliberazione del 24/3/1999 n. 76/56 non doveva contenere una particolare motivazione in ordine alle scelte relative alle modalità di concreta attuazione dei menzionati criteri.

A tale proposito, occorre rilevare che la volontà dell’Ente di avvalersi di un Direttore Generale e, quindi, di una figura professionale che istituzionalmente costituisce il "trait d’union" tra gli organi politici del Comune e gli organi amministrativi, implica che tale soggetto, pur nell’ambito e nei limiti dei criteri predisposti dall’Ente, operi delle scelte di merito sia riguardo all’impostazione da dare alla nuova struttura burocratica comunale sia, in un momento successivo, riguardo alla collocazione del personale dirigenziale – del cui operato e rendimento egli è direttamente responsabile nei confronti degli organi politici comunali – sulla base dell’"intuitus personae" e, quindi, mediante l’instaurazione con i dirigenti posti a capo delle diverse strutture e servizi di un rapporto fiduciario.

Non appare conferente, sotto tale profilo, l’argomentazione secondo cui il regolamento sarebbe illegittimo in quanto con esso si prevede una riorganizzazione impostata sul sistema di "back office" e di "front office", di cui non vi sarebbe alcuna traccia nell’atto consiliare d’indirizzo.

È appena il caso di rilevare, infatti, che è proprio compito della Giunta Comunale di recepire gli indirizzi e i principi dettati dall’organo consiliare, dando ad essi concreta attuazione mediante autonoma scelta di merito del sistema tra i vari possibili – tra cui vi è quello in concreto prescelto ed osteggiato dalla ricorrente - sul quale impostare la nuova struttura burocratica dell’Ente.

Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 19 del D. Lgs n.29 del 1993 per la mancata indicazione nell’art. 17 parte III del Regolamento, del trattamento economico spettante al dirigente quale elemento oggetto di contrattazione, ma tale omissione non inficia la disposizione regolamentare, in quanto quest’ultima, sul punto, deve ritenersi integrata dalla normativa statale.

In ogni caso, occorre rilevare che, in riferimento alla necessaria contrattualizzazione in posizione paritaria tra le parti della fase di conferimento degli incarichi dirigenziali, ha provveduto la Giunta Comunale che con la deliberazione n.417 del 2001 ha disposto, in sede di approvazione del nuovo testo del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che "…la proposta del Sindaco segue ad una forma di negoziazione con il Dirigente interessato".

Il quinto motivo è infondato, poiché riguardo agli atti impugnati, con i quali il Comune di Parma ha regolamentato ed organizzato la generalità degli uffici e dei servizi comunali, non doveva essere data ai dipendenti, ai sensi dell’art.13 della L. n.241 del 1990, comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 e segg. stessa legge.

Con il sesto mezzo d’impugnazione la ricorrente propone diverse censure.

Le censure sub. 6/a e sub 6/b di cui in narrativa sono infondate, poiché i principi previsti dall’art. 19 c. 1 e 2 del D. Lgs. n.29 del 1993, nonché dall’art. 109 T.U.E.L. per l’affidamento degli incarichi dirigenziali, sono stati recepiti dal nuovo regolamento (v. pag 16 sub "La Dirigenza" e pag. 18 sub "Gli incarichi di Direzione", nonché parte 3^ art. 16) ed essi risultano sufficientemente determinati così da non richiedere una loro specificazione attraverso l’ulteriore individuazione di criteri.

Risulta pertanto infondata anche la correlata argomentazione circa la l’asserita necessità di previa comunicazione, da parte dell’Amministrazione Comunale, di tali criteri alle organizzazioni sindacali, poichè questi ultimi, in quanto non necessari, non sono stati adottati.

Con il motivo sub 6/d), invece, la ricorrente censura il potere organizzatorio del Comune in materia di revoca degli incarichi, assumendo che l’Ente, con la norma di cui all’art. 16 del Regolamento approvato nel 2000, ha previsto – a suo dire illegittimamente – un’ipotesi di revoca degli incarichi non contemplata dall’art. 109 del T.U. degli Enti Locali – D. Lgs. n.267 del 2000 – e dall’art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993.

La censura è infondata.

Invero, la disposizione regolamentare ritenuta illegittima dalla ricorrente non pare contrastare con le norme sopraindicate, dal momento che lo stesso art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993 prevede che per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse, si debba tenere conto, innanzitutto, della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare.

Pertanto, risulta evidente che, in ipotesi di ristrutturazione o di modifiche incisive degli uffici e dell’organigramma, l’Ente debba adattare anche gli incarichi dirigenziali ai nuovi programmi che intende realizzare attraverso la riorganizzazione della struttura.

Sotto un diverso profilo, il Collegio deve osservare che lo stesso art. 109 T.U. Enti Locali prevede la possibilità di revoca degli incarichi al personale dirigenziale "…negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro", per cui risulta legittima la disposizione contenuta nell’art. 16 del regolamento comunale, dal momento che l’art. 13 del C.C.N.L. Dirigenza Comparto Regioni Autonomie Locali 1998 – 2001 prevede espressamente che "…la revoca anticipata dell’incarico rispetto alla scadenza, può avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive…".

È evidente, in conclusione, che la citata norma regolamentare, nel prevedere la possibilità di revoca dell’incarico dirigenziale in caso di "ristrutturazioni organizzative e/o esigenze di servizio, non si pone in contrasto con la normativa statale richiamata, ma riporta in sede di regolamento comunale un’ipotesi di revoca già contemplata da quelle disposizioni contrattuali alle quali la disciplina statale fa espresso rinvio.

Risulta infondato anche il settimo motivo di ricorso, in quanto la collocazione in posizione di staff di parte del personale dirigente non comporta per quest’ultimo alcuna "deminutio" delle proprie attribuzioni, trattandosi comunque di collocazione in concreto già prevista nella più volte citata normativa statale di riferimento (art. 19 D. Lgs. n.29 del 1993) che ha ritenuto pienamente corrispondente all’autonomia funzionale propria della posizione dirigenziale, l’attribuzione ai soggetti ai quali non è affidata la titolarità di uffici dirigenziali, "…di funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento".

Il ricorso dev’essere quindi respinto "in parte qua".

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, definitivamente pronunziando sul ricorso n. 93 del 2001 di cui in epigrafe e secondo quanto stabilito in motivazione:

dà atto della rinuncia al ricorso da parte delle ricorrenti dott. ssa Nice TERZI e dott.ssa Federica BONI;

in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione;

in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse;

in parte lo respinge;

spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2001.

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