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n. 12-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 29 novembre 2002 n. 6596 - Pres. Varrone, Est. Lipari - Svarca (Avv.ti Di Gioia e Mocchegiani) c. Comune di Ancona (Avv. Riccardo Stecconi) - (dichiara inammissibile il ricorso per revocazione della decisione della Sez. V, 13 novembre 2000, n. 6213).

1. Giustizia amministrativa - Procedimento giurisdizionale - Termini - Sospensione nel periodo feriale - Ex L. n. 742/1969 - Eccezioni previste dagli artt. 2, 3 e 5 della legge citata - Sono di natura eccezionale - Eccezione prevista dall'art. 3 della legge - Per le controversie in materia previdenziale e di lavoro - Inapplicabilità ai giudizi amministrativi in materia di pubblico impiego.

2. Giustizia amministrativa - Procedimento giurisdizionale - Termini - Ricorso alle Sezioni unite della Cassazione - Avverso le decisioni del Consiglio di Stato in materia di pubblico impiego - Termine per la proposizione - Sospensione feriale dei termini - Applicabilità.

1. La legge 7 ottobre 1969, n. 742, sulla sospensione dei termini durante il periodo feriale, prevede (all'art. 2 per i giudizi penali, all'art. 3 per i giudizi civili ed all'art. 5 per i giudizi amministrativi) delle eccezioni alla sospensione dei termini processuali; tali norme, di natura eccezionale, non possono essere applicate al di là dei casi espressamente previsti. In particolare, l'art. 3 della L. n. 742/1969, il quale stabilisce una deroga alla sospensione relativamente ai giudizi civili per le controversie in materia previdenziale e di lavoro, non è applicabile ai giudizi amministrativi in materia di pubblico impiego (1).

2. Il termine per la proposizione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso una sentenza del Consiglio di Stato in materia di impiego pubblico, è soggetto a sospensione durante il periodo feriale, atteso che l'art. 3 della legge 7 ottobre 1969 n. 742 (secondo cui la sospensione feriale non è applicabile alle controversie individuali di lavoro ed a quelle in tema di assistenza e previdenza obbligatorie), non riguarda le controversie in materia di pubblico impiego (2).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 settembre 1987, n. 736 e Sez. VI, 23 marzo 1982, n. 128.

(2) Cfr. Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1984, n. 1241.

Sulla sospensione feriale dei termini v. da ult. TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I - Ordinanza 21 novembre 2002 n. 878, in questa Rivista, n. 10-2002.

 

 

FATTO E DIRITTO

La sentenza impugnata riassume in questi termini i fatti di causa.

"Con il ricorso di primo grado Dante Svarca, comandante del Corpo dei Vigili Urbani del Comune di Ancona, ha impugnato la delibera n. 51 del 17.1.1995, con cui la giunta comunale, su conforme parere della commissione di disciplina, gli ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi due e giorni trenta, per avere utilizzato il carro-gru in dotazione al Corpo di polizia municipale per fini personali, e precisamente per il trasporto di un'ancora e di una panchina in muratura.

Il T.A.R. ha rigettato il ricorso.

Il ricorrente ha proposto appello, con cui ha chiesto che, in riforma della sentenza di primo grado, venga annullata la delibera impugnata.

In particolare, l'appellante ha nuovamente dedotto la violazione dell'art. 51, comma 9 e 10, della legge 8.6.1990, n. 142, per quanto concerne le forme e le competenze del procedimento disciplinare, nonché delle disposizioni del d.P.R. n. 3 del 1957.

Ha, quindi, ritenuto illegittima la formazione della commissione di disciplina, per violazione dei criteri legislativi, in considerazione del ruolo assunto dal segretario, della mancanza di previa designazione dei componenti ad inizio anno e della inammissibile commistione realizzata tra funzioni istruttorie di contestazione e di decisione.

L'appellante ha altresì contestato la violazione del principio di immediatezza nell'apertura del procedimento e nell'applicazione della sanzione disciplinare, atteso che l'amministrazione aveva conosciuto i fatti fin dai primi mesi del 1988 e che l'azione disciplinare è stata esercitata solo nel 1994.

Con l'ultimo motivo il ricorrente ha ancora dedotto il vizio di eccesso di potere, al fine di contestare la configurabilità di fatti di effettiva rilevanza disciplinare, riportandosi alla circostanza che l'utilizzo del carro-gru era stato autorizzato dall'assessore delegato, come riconosciuto dalla stessa commissione di disciplina.

Il Comune appellato si è costituito ed ha resistito all'appello, chiedendone il rigetto.

La decisione impugnata ha poi respinto l'appello, sulla base delle seguenti considerazioni di diritto.

"1. Il primo motivo di appello, collegato alla violazione delle forme e competenze del procedimento disciplinare, è infondato.

L'art. 51, comma 9, della legge n. 142 del 1990, nel testo poi abrogato dall'art. 74 del d. lgs. n. 29 del 1993, come novellato dal d. lgs. n. 546 del 1993, stabilisce che "la responsabilità, le sanzioni disciplinari, il relativo procedimento, la destituzione d'ufficio e la riammissione in servizio sono regolati secondo le norme previste per gli impiegati civili dello Stato". Il successivo comma 10 prevede, altresì, che "è istituita in ogni ente una commissione di disciplina, composta dal capo dell'amministrazione o da un suo delegato, che la presiede, dal segretario dell'ente e da un dipendente designato all'inizio di ogni anno dal personale dell'ente secondo le modalità stabilite dal regolamento".

Il Comune di Ancona, come già rilevato dal giudice di prime cure, ha approvato lo statuto con delibera consiliare n. 491 del 13.6.1991 (poi integrata con la delibera consiliare n. 730 del 23.9.1991), il cui art. 35 ha demandato ad un futuro regolamento organico il compito di dettare nuove norme per i procedimenti disciplinari nei confronti del personale. L'art. 66 del medesimo statuto, inoltre, ha disposto che, fino all'approvazione dei regolamenti previsti dalla legge n. 142 del 1990 e di quelli da adottare in conformità alle stesse norme statutarie, si sarebbe continuata ad applicarsi la disciplina previgente; soggiungendo però che tali regolamenti dovessero approvarsi entro il termine del 31.12.1992.

Il consiglio comunale, nelle more, ha adottato la delibera n. 389 del 6.5.1991, con la quale è stato riformato l'art. 112 del regolamento organico all'epoca vigente, stabilendo che la composizione della commissione di disciplina dovesse adeguarsi a quella prevista dall'art.51, comma 10, della legge n. 142 del 1991, poc'anzi citato: il capo dell'amministrazione od un suo delegato, che la presiede, il segretario dell'ente ed un dipendente designato dal personale dell'ente.

Il Comune di Ancona, per un verso, ha differito la riforma delle procedure disciplinari ai regolamenti di prossima emanazione, manifestando la volontà di applicare nelle more la disciplina dei vigenti regolamenti comunali, in deroga a quella del d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dal predetto art. 51; per altro verso, ha modificato la regole sulla composizione della commissione disciplinare, attuando, per questa parte, le disposizioni di principio poste dalla legge n. 142 del 1990.

L'art. 74 del d. lgs. n. 29 del 1993, come novellato dal d. lgs. n. 546 del 1993, ha abrogato il comma 9 e 10 della legge n. 142 con effetto a decorrere "dalla data di stipulazione del primo contratto collettivo successivo all'emanazione del decreto"; così introducendo ulteriori significative riforme nel procedimento disciplinare, arricchito dalla presenza e dalle funzioni del collegio arbitrale.

Questa premessa è indispensabile per valutare la portata delle doglianze sollevate dal ricorrente e per ricostruire i fondamenti normativi della disciplina formale osservata dall'amministrazione.

In primo luogo, la censura dell'appellante è formulata in maniera troppo generica, nella parte in cui l'appellante sembra dolersi dell'inosservanza delle garanzie (che non sempre si preoccupa però di puntualizzare) sancite nel t.u. degli impiegati civili dello Stato.

In secondo luogo, il collegio è consapevole che l'art. 51, comma 9, è stato interpretato in maniera da riconoscergli l'effetto di regolare in via immediata l'intera materia disciplinare e di abrogare tutte le disposizioni incompatibili dei regolamenti degli enti locali (Cons. Stato, sez. V, 24 novembre 1997, n. 1361). Ma nel caso di specie il Comune ha approvato una normativa statutaria di segno contrastante, che non è stata affatto impugnata dal ricorrente, con cui si è disposta l'applicazione transitoria della disciplina regolamentare pregressa. Si aggiunga che il superamento del termine del 31.12.1992 per l'approvazione dei nuovi regolamenti non ha provocato l'immediata perdita di efficacia della disciplina in atto vigente, non potendosi evincere una conseguenza così netta in carenza di disposizioni specifiche sul punto.

Oltretutto, come persuasivamente afferma il giudice di prime cure, la previsione di un regime transitorio ed il rinvio a successive norme regolamentari è coerente con l'esigenza di adattare le disposizioni dettate, in linea generale, per gli impiegati civili dello Stato alla peculiare realtà degli enti locali. Una scelta, dunque, che appare ragionevole e mirata ad un risultato di migliore efficienza organizzativa, piuttosto che di cristallizzazione delle vecchie garanzie procedimentali. Prova ne sia che lo stesso consiglio, con delibera n. 389 del 6.5.1991, ha riformato l'art. 112 del regolamento organico, stabilendo che la composizione della commissione di disciplina dovesse adeguarsi a quella prevista dall'art. 51, comma 10, della legge n. 142 del 1991: ossia, il capo dell'amministrazione od un suo delegato, che la presiede, il segretario dell'ente ed un dipendente designato dal personale dell'ente. La composizione della commissione di disciplina è stata così tempestivamente conformata alle previsioni legislative, con una delibera che appare legittima nei contenuti (v. Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 1997, n. 294).

Questa considerazione vale anche a giudicare infondato il motivo con cui l'appellante si duole della mancata tempestiva formazione della commissione disciplinare al principio d'anno, nonché della irregolare designazione del rappresentante del personale da parte delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ed invero, la composizione della commissione rispondeva anzitutto a criteri di massima indicati dal legislatore e recepiti dal regolamento comunale; le forme di designazione del componente in rappresentanza dei dipendenti sono conformi a siffatti criteri, indicati, oltretutto, in una norma regolamentare che non è stata appositamente impugnata.

Rimane eccessivamente generica ed inammissibile la doglianza relativa alla delega del segretario generale del Comune.

L'impugnazione dell'art. 112 del regolamento organico, nel testo novellato, è parimenti infondata.

L'appellante ha manifestato la volontà di impugnativa della norma regolamentare solo nel quarto motivo del ricorso di primo grado, riferito alla designazione effettuata dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, sicché ogni altro profilo di censura indicato nel giudizio di appello è tardivo ed inammissibile. La censura, comunque, non ha pregio, poiché è conforme al precetto di legge e rispettoso del canone di ragionevolezza il criterio in concreto prescelto dall'amministrazione per la formazione della commissione.

2. Il secondo motivo dell'appello, imperniato sulla violazione del principio di immediatezza della contestazione, è anch'esso infondato.

Il principio dell'immediatezza della contestazione degli addebiti nel procedimento disciplinare non è stato violato: esso trova la sua ragion d'essere nella duplice esigenza di consentire all'amministrazione una ponderata valutazione del comportamento del dipendente sotto il profilo disciplinare e di evitare che l'eccessiva distanza di tempo dagli eventi renda più difficile per l'inquisito l'esercizio del diritto di difesa (Cons. Stato sez. IV, 28 maggio 1999, n. 888; Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 1994, n. 372).

Nel caso di specie, la delibazione della giunta e quella della commissione di disciplina sono state ampiamente motivate e fondate su accertamenti completi ed approfonditi. I diritti di difesa hanno trovato ampio spazio di attuazione ed il parere della commissione di disciplina si è diffusamente soffermato su di essi.

Del resto, come opportunamente rilevato nella sentenza appellata, il procedimento disciplinare è stato tempestivamente promosso in relazione alla data di conoscenza dei fatti ascritti al dipendente, da individuare nell'audizione di alcuni vigili urbani che hanno riferito sulle circostanze dedotte nella contestazione (20.10.1994). La pretesa del ricorrente di collegare il perfezionamento della conoscenza dell'ente al diverso momento in cui egli avrebbe informato dell'accaduto alcuni assessori comunali (risalente ai primi mesi del 1988) non è apprezzabile. L'esternazione non è stata effettuata in termini formali ed il destinatario di essa non ha assunto la veste di rappresentante passivo dell'ente, ma, stando agli elementi di prova acquisiti, si sarebbe trattato di comunicazione di carattere non solo verbale, ma soprattutto personale. Ne discende che da questi colloqui non può trarsi la conseguenza che l'amministrazione abbia direttamente conosciuto i fatti in questione.

Ma v'è di più, poiché nella nota del 6.5.1988, trasmessa al sindaco, lo Svarca ha affermato di non avere effettuato alcun irregolare utilizzo del carro-gru comunale per ragioni personali. Il contenuto di questa nota è sicuramente assorbito nella cognizione del giudicante, per essere stata essa interamente riportata negli atti da causa della parte appellata, senza alcuna specifica contestazione dell'appellante in ordine alla veridicità ed autenticità. Essa, a ben vedere, dimostra che l'amministrazione ha ricevuto dal dirigente una comunicazione che escludeva proprio la sussistenza di quei fatti che essa, secondo la tesi dello Svarca, avrebbe dovuto già conoscere.

3. Da ultimo, è infondato il motivo con cui l'appellante ha contestato la configurabilità dell'illecito disciplinare, agganciandosi ad una autorizzazione verbale ricevuta dall'amministrazione competente.

Tale autorizzazione, se pure fosse compiutamente dimostrata, non escluderebbe l'illecito disciplinare né diminuirebbe la sua gravità. Se pure il comandante della polizia municipale avesse ottenuto un'autorizzazione di tal fatta, sarebbe nondimeno rimasto perfettamente consapevole dell'illiceità della stessa autorizzazione e del progettato utilizzo del mezzo comunale, per ovvie ragioni di competenza e per la posizione organizzativa da questi assunta."

In linea preliminare, l'amministrazione comunale resistente eccepisce l'irricevibilità del ricorso per revocazione, sostenendo che l'atto di impugnazione è stato notificato oltre il termine annuale decorrente dalla pubblicazione della decisione. A dire del comune di Ancona, nel caso in esame, trattandosi di controversia in materia di lavoro, ancorché nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego all'epoca ancora devoluta al giudice amministrativo, per essa non opera la sospensione feriale dei termini processuali dal 1 agosto al 15 settembre e, quindi il termine lungo annuale non è soggetto al prolungamento di quarantacinque giorni rispetto all'anno solare.

L'eccezione è priva di pregio. Secondo un orientamento interpretativo assolutamente pacifico, il termine per la proposizione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso pronuncia del Consiglio di Stato in materia di impiego pubblico, è soggetto a sospensione durante il periodo feriale, atteso che l'inapplicabilità di tale sospensione per le controversie individuali di lavoro e quelle in tema di assistenza e previdenza obbligatorie, prevista dall'art. 3 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, non riguarda le controversie attinenti al pubblico impiego (Cass. Sez. Un. sent. n. 1241 del 21-02-1984).

Inoltre, si è chiarito che l'art. 3 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, che stabilisce un'eccezione relativa ai giudizi in materia di lavoro, alla regola della sospensione dei termini durante il periodo feriale, non è applicabile ai giudizi amministrativi (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 128 del 23-03-1982).

Infatti, la legge 7 ottobre 1969 n. 742, stabilisce, agli artt. 2 per i giudizi penali, 3 per i giudizi civili e 5 per i giudizi amministrativi, eccezioni alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale. Tali norme, di natura eccezionale, non possono essere applicate al di là dei casi espressamente previsti e pertanto il citato art. 3, il quale stabilisce una deroga alla sospensione relativamente ai giudizi civili per le controversie in materia previdenziale e di lavoro, non è applicabile ai giudizi amministrativi (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 736 del 21-09-1987).

Secondo il ricorrente in revocazione, la pronuncia impugnata "ha trascurato di considerare aspetti determinanti e comprovati che lo avrebbero presumibilmente indotto ad una diversa decisione della fattispecie; tale mancata considerazione è frutto di un errore materiale di fatto, di una svista in merito a documenti agli atti, che comprovano la fallanza del presupposto accusatorio: l'utilizzo del carro-gru in data 18.12.1987 e se questo fosse stato un abuso o un fatto autorizzato."

A dire del ricorrente, la pronuncia ha inadeguatamente valutato le risultanze istruttorie riguardanti la censura riferita alla violazione del principio di immediatezza della contestazione degli addebiti disciplinari.

In particolare, il Consiglio di Stato non avrebbe tenuto conto "che non si è trattato di esternazione informale (!) ma di richiesta e quindi autorizzazione verbale del Sindaco e dell'Assessore, all'epoca ritenuta perfettamente lecita, legittima e voncolante".

"Trattasi comunque di fatti del 1987 (lettera anonima che impose i chiarimenti 22.4.1988) sottoposti al vaglio ed all'indagine disciplinare approfondita da parte del Comune di Ancona di cui il Consiglio di Stato con la sentenza oggi impugnata non ha tenuto conto alcuno".

Il proposto motivo di revocazione è inammissibile.

La pronuncia impugnata ha puntualmente tenuto conto della documentazione versata in atti, ricostruendo la vicenda fattuale posta all'origine della controversia.

L'esternazione compiuta dal ricorrente è stata correttamente qualificata come atto informale, non in relazione al suo contenuto sostanziale, ma alla modalità, meramente verbale, della sua espressione.

Sulla base di questo presupposto oggettivo certo (e puntualmente riscontrato dalla pronuncia impugnata), la decisione ha svolto una valutazione giuridica del fatto materiale in questione, ritenendolo inidoneo a rappresentare, in capo all'amministrazione competente, quella conoscenza inequivoca del fatto suscettibile di provocare l'avvio del procedimento disciplinare.

Questa conclusione, riguardando l'apprezzamento del fatto storico e non già la sua ricostruzione, non può essere censurata con il ricorso per revocazione.

È opportuno sottolineare che, secondo la previsione dell'articolo 395, n. 4 del codice di procedura civile, vi è errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, "quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare".

Senza dire, poi, che l'attitudine della indicata esternazione verbale a determinare la conoscenza dell'illecito ed il conseguente obbligo di tempestiva contestazione, ha costituito proprio uno dei punti controversi del giudizio, esplicitamente affrontato dalla decisione. Anche sotto questo aspetto, quindi, si evidenzia l'inammissibilità della censura proposta, che trascende i limiti propri del giudizio di revocazione.

Pertanto, non assume alcun rilievo la circostanza dedotta dal ricorrente, secondo il quale, "il comune di Ancona nel 1998 ha verificato l'attività in parola ritenendola esente da responsabilità e da addebiti".

"L'argomento dell'esaurimento del potere di indagine disciplinare e quindi della tempestività della contestazione non può trascurare l'aspetto dell'indagine che la pubblica amministrazione fece nel 1988; la sua mancata constatazione è frutto di un gravissimo errore di fatto e di una svista. Il procedimento disciplinare del 1995 avrebbe dovuto quindi essere ritenuto illegittimo per difetto della immediatezza della contestazione ed in quanto i fatti già oggetto di una indagine amministrativa e disciplinare ad hoc."

Al contrario, anche gli aspetti indicati dal ricorrente hanno formato oggetto di accurata considerazione oggettiva da parte della pronuncia, senza evidenziare alcun travisamento della realtà storica.

Sotto un altro profilo, il ricorrente lamenta che "dalle dichiarazioni agli atti (Ten. De Luca; ex assessori) emerge la consapevolezza da parte del Sindaco dell'uso del carro-gru il 18.12.1987 e quindi l'autorizzazione che elide ed elimina qualsiasi illegittimità nell'operato dello Svarca."

A dire del ricorrente "l'autorizzazione avrebbe dovuto essere rilevata come avvenuta dal Consiglio di Stato sulla scorta degli atti di causa".

Ma, anche da questo angolo visuale, il ricorso per revocazione si manifesta inammissibile. Infatti, nel percorso argomentativo sviluppato dalla pronuncia impugnata, l'intervenuta autorizzazione non incide in alcun modo sulla configurazione dell'illecito disciplinare e sulla legittimità della sanzione irrogata dall'amministrazione comunale.

In altri termini, il dedotto errore di fatto, quand'anche ritenuto sussistente, non potrebbe alterare l'esito del giudizio.

È palese l'erroneità della tesi sostenuta dalla parte ricorrente, secondo la quale "l'elemento del riconoscimento della AUTORIZZAZIONE, risultante dagli atti, sarebbe determinante per valutare correttamente la condotta dell'incolpato".

"Poiché l'AUTORIZZAZIONE risulta come certa dagli atti, l'errore di fatto e/o la svista del Consiglio di Stato sul punto rileva ai fini della revocazione".

La conclusione cui perviene il Consiglio di Stato, quindi, non si fonda su una imprecisa ricostruzione dei fatti, ma, al contrario, si basa sulla valutazione e sulla qualificazione delle circostanze esposte dal ricorrente.

La concreta insussistenza delle scriminanti idonee ad elidere la responsabilità disciplinare dell'incolpato rappresenta l'esito di un giudizio che non è di mero fatto, ma implica una valutazione giuridica dei fatti considerati.

Ed è appena il caso di rilevare che il giudizio di revocazione non può comportare alcun riesame del percorso argomentativo svolto dalla decisione impugnata, sotto il profilo della congruenza e della logicità delle tesi affermate.

Ne deriva che la lamentata erronea valutazione delle deposizioni rese dal Ten. De Luca e dagli ex assessori comunali non comporta alcun errore di fatto della decisione impugnata, suscettibile di provocarne la revocazione.

Pertanto, è del tutto irrilevante l'affermazione svolta dal ricorrente, secondo il quale "l'amministrazione del 1987 riteneva (come in altri casi è accaduto) possibile utilizzare (sotto il controlllo di dipendenti comunali) il carro-gru anche per fini non istituzionali; giusto o sbagliato che sia stato questo atteggiamento, non sembra che con il senno di poi si possa procedere con sanzioni".

Questo profilo risulta approfonditamente esaminato dalla pronuncia impugnata e riguarda un dato di carattere valutativo della controversia.

Per le stesse ragioni, non assumono alcun peso, ai fini dell'accertamento del preteso errore revocatorio della sentenza impugnata), i giudizi espressi dal perito nominato dal pubblico ministero, nel corso di un procedimento penale riferito a fatti sostanzialmente connessi (se non coincidenti) con quelli all'origine del procedimento disciplinare in contestazione.

Anche la valutazione espressa dal perito (oltretutto in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata) non implica affatto una ricostruzione oggettiva dei fatti di causa contrastante con quella effettuata dalla sentenza impugnata.

La perizia si limita ad affermare che "qualora fosse sussistita questa autorizzazione, la condotta dell'incolpato avrebbe dovuto essere valutata in modo più equo e meno severo, ed appare pena non congrua quella irrogata, stante la formulazione dell'articolo 94 del regolamento che punisce infrazioni molto gravi e non fatti di questo genere, ove fossero avvenuti con l'autorizzazione di un assessore ed a spese dell'incolpata medesimo. Non mi sembra che tanta severità sia espressione di quella giustizia voluta dall'articolo 97 della Costituzione".

Pur inserita nell'ambito d un giudizio penale, la proposizione, formulata in termini ipotetici, si risolve in una valutazione dei fatti e non in un accertamento autonomo e distinto dei dati storici in concreto rilevanti nella fattispecie.

Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo agli altri passi della perizia citati dal ricorrente. Essi non mettono in luce alcun fatto storico nuovo e diverso rispetto a quelli tenuti presenti dalla decisione impugnata. Il perito attribuisce a questi fatti un significato divergente (in parte) da quello affermato dalla decisone impugnata. Ma non si tratta di un errore di fatto, potendosi ipotizzare, in linea puramente astratta, un errore di giudizio, come tale estraneo all'ambito applicativo della revocazione.

Al riguardo, è sufficiente riportare i passi della citata relazione peritale: "lo stesso sindaco nell'atto del 22.4.1988 si riservava gli accertamenti dei fatti e, quindi, egli era in grado di stabilire la verità delle cose, non foss'altro che aveva la possibilità di compiere qualsiasi indagine in merito."

"Il non averlo fatto toglie qualsiasi connotato di tempestività alla successiva contestazione in quanto affermare che la conoscenza delle false dichiarazioni sia avvenuta nel novembre del 1994 giuridicamente non ha rilievo qualora si consideri che i termini per le contestazioni decorrono dall'avvenuta conoscenza dei fatti da parte della P.A. (qualificati come illeciti da parte del sindaco che si riferisce a quelli dell'8/12 e non agli altri del 18/12) sicché attribuire la responsabilità era possibile all'epoca".

In definitiva, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese, come di regola, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Per Questi Motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente a rimborsare al comune di Ancona le spese di lite, liquidandole in euro 1.500,00 (millecinquecento);

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 giugno 2002, con l'intervento dei signori:

Claudio Varrone - Presidente

Corrado Allegretta - Consigliere

Paolo Buonvino - Consigliere

Filoreto D'Agostino - Consigliere

Marco Lipari - Consigliere Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Marco Lipari f.to Claudio Varrone

Depositata in segreteria in data 29 novembre 2002.

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