CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 17 luglio 2001 n. 3957 - Pres. de Roberto, Est. Maruotti - Learco Saporito (Avv. Carlo Rienzi) c. Ministero dell'Università ed altro (Avv.ra gen. Stato), Roberto Cavallo Perin e Anna Maria Angiuli (Avv. Paolo Vaiano), Stefano Cognetti, Franco Pellizzer e Luisa Torchia (Avv.ti Orazio e Giuseppe Abbamonte), Giovanni Sala e Girolamo Sciullo (Avv.ti Andrea e Luigi Manzi), Ernesto Sticchi Damiani (Avv.ti F. Gaetano Scoca, Giuseppe Morbidelli e Giovanni Pellegrino), Filippo Lubrano e Piera Maria Vipiana (Avv.ti Paolo Vaiano, Giuseppe Abbamonte e Lorenzo Acquarone), Giovanni Leone e Marco Sica (n.c.) - (conferma in parte TAR Lazio, Sez. III, 9 luglio 1996 n. 1321, in TAR 1996, I, 3031; per altra parte dispone incombenti istruttori).
1. Concorso - Commissione giudicatrice - Astensione e ricusazione - Principi previsti dagli artt. 51 e 52 c.p.c. - Applicabilità anche ai procedimenti concorsuali per la nomina alle cariche pubbliche o per l'assunzione a posti di pubblico impiego.
2. Concorso - Commissione giudicatrice - Astensione e ricusazione - Ricusazione di un commissario incompatibile - Costituisce una mera facoltà per l'interessato - Obbligo - Non sussiste - Ragioni.
3. Concorso - Commissione giudicatrice - Astensione e ricusazione - Ricusazione di un commissario incompatibile - Per «gravi ragioni di convenienza» - Conseguenze - Individuazione.
4. Concorso - Concorso universitario - Commissione giudicatrice - Rapporto di collaborazione non professionale tra un commissario ed un candidato - Non comporta incompatibilità - Dovere di astensione - Non sussiste.
5. Concorso - Concorso universitario - Commissione giudicatrice - Rapporti di dipendenza o di collaborazione professionale tra un commissario ed un candidato - Incompatibilità - Sussiste - Redazione di lavori in collaborazione - Incompatibilità - Non sussiste.
6. Concorso - Prove - Valutazione - Tempo "medio" impiegato dalla Commissione - Ha rilevanza solo per le prove scritte - Irrilevanza per la valutazione di candidati a posti di professore universitario.
7. Concorso - Concorso universitario - Relazione analitica finale - Non deve necessariamente riportare per intero i giudizi espressi sui singoli candidati - Motivazione per relationem ai singoli giudizi - Possibilità.
8. Concorso - Concorso universitario - Consultazioni informali tra i commissari - Ammissibilità - Verbalizzazione - Non occorre.
9. Concorso - Concorso universitario - Candidato dichiarato non idoneo nel giudizio preliminare - Interesse a contestare il giudizio dei candidati idonei - Sussiste - Ragioni.
1. Gli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile (sulla astensione e sulla ricusazione del giudice) costituiscono espressione di principi generali, concernenti l'esercizio delle funzioni pubbliche e sono applicabili anche nel corso di un procedimento concorsuale per la nomina alle cariche pubbliche e nell'ambito del pubblico impiego ed in particolare per lo svolgimento dei concorsi universitari (questi ultimi sono peraltro specificamente disciplinati, quanto all'obbligo di astensione, dall'art. 31 della legge 7 luglio 1979, n. 31, e dall'art. 29 del r.d. 6 aprile 1924, n. 674).
2. Il partecipante ad un concorso pubblico ha la facoltà e non un onere di segnalare la situazione di incompatibilità in cui si trova un componente della Commissione giudicatrice all'Amministrazione (e all'organo che abbia nominato la commissione), poiché - secondo i principi generali - può impugnare il provvedimento finale che lo abbia leso (quando l'interesse a ricorrere diventa attuale) e può dedurre che il mancato rispetto dell'obbligo di astensione abbia influito sulle valutazioni discrezionali della commissione.
3. Quando non si sia in presenza di uno dei cinque casi tassativamente presi in considerazione dal primo comma dell'art. 51 c.p.c., il componente della commissione può segnalare all'organo che lo ha nominato la sussistenza di «gravi ragioni di convenienza», tali da consigliare il mancato svolgimento delle funzioni pubbliche nel corso del procedimento concorsuale; tuttavia, in tale ipotesi, il partecipante al procedimento concorsuale non può fondatamente chiedere la sostituzione del commissario "ricusato", né può lamentarsi della mancata astensione in sede di impugnazione del provvedimento finale del procedimento che lo abbia riguardato, posto che l'ordinamento ritiene rilevanti le predette "gravi ragioni di convenienza" solo qualora si voglia astenere il titolare della funzione pubblica.
4. Nell'ambito dei procedimenti concorsuali per la selezione di professori universitari, il consolidato rapporto di collaborazione non professionale tra un commissario ed un candidato non comporta un «interesse» personale del commissario, tale da far ritenere sussistente l'obbligo di astensione (1)
5. Perché sussista un interesse personale del commissario di un concorso universitario - e dunque la sua incompatibilità nel valutare un suo allievo - occorre un interesse avente una vera e propria (ed apprezzabile) consistenza economica, nel senso che la nomina del candidato sia tale da incidere univocamente e direttamente nella sfera giuridica del suo commissario; ciò può avvenire (oltre ai casi in cui tra di loro sussista un rapporto di dipendenza) quando il commissario ed il candidato conducano insieme attualmente uno studio professionale (2). Viceversa, è di per sé irrilevante la circostanza che il commissario-'maestro' e il candidato-'allievo' abbiano insieme pubblicato una o più opere in collaborazione (3).
6. Il «tempo medio» dedicato dalla Commissione giudicatrice di una concorso a valutare ciascun candidato, in linea di principio, può avere rilevanza solo quando si tratti di concorsi caratterizzati dalle prove scritte, per le quali vi sono le specifiche regole sull'anonimato. In tal caso, l'anonimato dei candidati comporta che la commissione (per la prima volta in sede collegiale) debba incentrare il proprio esame esclusivamente sui loro elaborati, sicché costituisce sintomo di eccesso di potere la valutazione di un gran numero di prove in un lasso di tempo che appaia ictu oculi assolutamente insufficiente (4). A parte il caso della valutazione delle anonime prove scritte in sede collegiale, il «tempo medio» dedicato ad una questione da un collegio non è di per sé rilevante.
7. Nei concorsi a posti di professore universitario la commissione esaminatrice, nel redigere la relazione analitica finale (che consente la ricostruzione dell'iter logico seguito in sede di valutazione dei candidati) non deve necessariamente riportare per intero i giudizi espressi sui singoli candidati, essendo sufficiente, in conformità ai principi generali di efficienza e rapidità dell'azione amministrativa, che richiami anche per relationem i giudizi previamente redatti e li alleghi ai relativi verbali.
8. L'ordinamento non vieta che vi siano consultazioni informali nel corso dell'attività preparatoria della riunione collegiale; l'attività preparatoria, che non è di per sé suscettibile di verbalizzazione, consente il più rapido ed efficace svolgersi della riunione collegiale, la cui discussione può orientarsi su alcuni punti essenziali, che ancora risultano meritevoli di una più approfondita trattazione.
9. Il candidato di un concorso a cattedre universitarie dichiarato non idoneo nel giudizio preliminare è titolare dell'interesse a contestare le valutazioni positive degli altri candidati (5).
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(1) Ha osservato in proposito la Sez. VI che "tra gli studiosi della singola materia dell'ambiente accademico, vi sono consueti scambi di esperienze, di idee e di informazioni (anche circa le produzioni degli appartenenti alla comunità scientifica), in quanto rientrano nell'ambito delle consuete ed istituzionali iniziative accademiche non solo l'attività scientifica individuale e l'attività didattica, ma anche (e in misura non secondaria) il partecipare a convegni e l'intrattenere rapporti scientifici e culturali con gli altri studiosi, aventi anche per oggetto la qualità della produzione scientifica e dei rispettivi autori". E' pertanto del tutto ovvio - ad avviso della Sez. VI - che "tra i componenti della commissione, tra uno o più di essi (da un lato) e uno o più candidati (dall'altro) possano esservi rapporti consolidati di amicizia e di collaborazione scientifica, ma non per questo sussistono cause di incompatibilità od obblighi di astensione nel corso del procedimento concorsuale universitario".
Al contrario, "la conoscenza personale delle qualità scientifiche e didattiche dei componenti della comunità scientifica e delle loro opere (conoscenza personale che si stratifica nel corso del tempo ed è stata ben tenuta presente dal legislatore nella disciplina dei concorsi universitari) consente, in sede di concorso, una consapevole valutazione delle doti dei singoli candidati".
Anche quando in una commissione è presente il 'maestro' di uno dei candidati, il particolare rapporto di conoscenza delle qualità del candidato, unito alla conoscenza o alla valutazione delle qualità degli altri candidati, nell'ambito di un giudizio collegiale è tale da fare giungere in modo fisiologico alla scelta di coloro che abbiano le capacità più eminenti.
Del resto, il 'maestro' non ha comunque un 'interesse' personale che lo induca a 'preferire' il proprio allievo, perché (come gli altri componenti del collegio) è sottoposto alle regole della collegialità e comunque risponde delle proprie valutazioni nei confronti della comunità scientifica (sicché vi è anche il suo opposto interesse a non 'appoggiare' un candidato che, dalla discussione collegiale, non risulti meritevole).
(2) Cons. Stato, Sez. VI, 8 aprile 2000, n. 2045; Sez. VI, 11 gennaio 1999, n. 8.
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2000, n. 6214.
(4) Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 1995, n. 552; Sez. IV, 12 settembre 1992, n. 796.
(5) Ha precisato la Sez. VI che, anche se l'unitario procedimento concorsuale si compone di una prima fase riguardante i giudizi individuali e di una seconda che si conclude con la discussione collegiale (Sez. VI, 12 aprile 1986, n. 319), e anche se il concorso mira ad accertare in senso assoluto l'idoneità di ogni candidato, gli stessi giudizi individuali sono influenzati dal maggiore o minore numero dei candidati (di cui vi è inevitabilmente un confronto) e dal novero dei titoli e delle pubblicazioni da essi presentati. Ciò comporta che il candidato valutato non idoneo nella prima fase (pur non potendo contestare i risultati della fase di comparazione tra i candidati: v. Sez. VI, 2 marzo 1996, n. 488) ben può contestare i giudizi individuali (e conseguentemente quelli collegiali), quando assuma che non dovevano essere valutati altri candidati (risultati vincitori) o alcune delle loro pubblicazioni.
V. in materia anche CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 5 gennaio 2001 n. 31* (sui giudizi di indoneità a professore associato).
FATTO
1. Col decreto n. 2371 del 10 maggio 1994, il Ministro per l'Università e la ricerca scientifica e tecnologica ha approvato gli atti del concorso a 12 posti di professore ordinario di prima fascia per il raggruppamento N0500 (diritto amministrativo), indetto col decreto ministeriale di data 10 giugno 1993.
Col ricorso n. 992 del 1995 (proposto al TAR per il Lazio e notificato anche ai professori indicati in epigrafe), il professore Learco Saporito ha impugnato il provvedimento con cui sono stati approvati gli atti del concorso, nonché gli altri atti del procedimento.
Il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 1231 del 1995, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
2. Col gravame in esame, il professore Saporito ha appellato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di primo grado e siano annullati gli atti amministrativi impugnati.
Nel corso del giudizio, si sono costituiti gli appellati indicati in epigrafe, che hanno controdedotto, articolando le proprie difese e chiedendo che il gravame sia respinto.
3. All'udienza del 15 maggio 2001 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità del provvedimento n. 2371 del 1994, con cui il Ministro per l'Università e la ricerca scientifica e tecnologica ha approvato gli atti del concorso a 12 posti di professore ordinario di prima fascia per il raggruppamento N0500 (diritto amministrativo), indetto col decreto ministeriale di data 10 giugno 1993.
L'odierno appellante (che ha partecipato al concorso ed ha conseguito il giudizio di non ammissione, espresso dalla commissione giudicatrice nella seduta del 7 febbraio 1994) col ricorso di primo grado ha impugnato gli atti del procedimento e, col gravame in esame, ha impugnato la sentenza del TAR che ha respinto le sue censure.
A fondamento del gravame, egli:
a) ha riproposto le censure già formulate in primo grado avverso il giudizio di non ammissione, espresso nei suoi confronti, lamentando che esse sono state ingiustamente dichiarate inammissibili dal TAR per difetto di interesse.
b) ha riproposto le censure esaminate e respinte dal TAR (proposte contro gli atti di nomina della commissione giudicatrice e avverso le operazioni della commissione giudicatrice, come risultanti dai relativi verbali).
2. Ritiene la Sezione che, potendosi seguire l'impostazione della sentenza impugnata, vadano esaminate con priorità le censure attinenti alla composizione della commissione esaminatrice.
3. L'appellante ha dedotto che:
- tra tre commissari e due candidati (poi risultati vincitori) vi è stata una «risalente collaborazione scientifica e didattica, tale da minare la necessaria imparzialità ed equanimità di giudizio, che deve assistere l'operato dei commissari»;
- «a tale situazione di evidente incompatibilità i commissari avrebbero dovuto ovviare astenendosi, in applicazione del disposto dell'articolo 51 c.p.c., attesa la pacifica applicabilità di tale disposizione pure alle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici»;
- avrebbe errato il TAR a ritenere sussistente una causa di astensione facoltativa, non predeterminata dalla legge, e rimessa alla sensibilità ed alla prudenza individuali, poiché nel caso di specie sussisterebbero rapporti di collaborazione, tali «da far sorgere il ragionevole sospetto che la conoscenza personale poteva avere esercitato una influenza decisiva sulla valutazione resa»;
- in particolare, i due candidati Sica e Pellizzer (legati da consolidati rapporti di collaborazione, rispettivamente, con alcuni commissari) avrebbero ottenuto giudizi conseguenti ad un «caldeggiamento non riconducibile alla ordinaria dialettica del maestro con l'allievo, tanto più che i rapporti in questione non si appalesavano connotati del requisito della occasionalità, ma viceversa apparivano risalenti nel tempo, costanti ed attuali»;
- il TAR avrebbe errato nell'affermare che «non è dato rimedio alle parti per far valere l'asserita incompatibilità ad esercitare la funzione», quando vi sia una causa di astensione facoltativa.
Nel corso della discussione finale, l'appellante ha osservato che i consolidati rapporti di collaborazione tra un candidato ed un commissario comporterebbero l'incompatibilità di quest'ultimo nell'ambito della procedura concorsuale di valutazione del primo, specie quando essi siano stati coautori di pubblicazioni ed abbiano, dunque, interessi comuni a valorizzare il prestigio del candidato, anche in relazione ad un prevedibile incremento delle vendite dei volumi.
4. Ritiene la Sezione che tali censure vadano complessivamente disattese.
4.1. Va premesso che gli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile (sulla astensione e sulla ricusazione del giudice) costituiscono espressione di principi generali, concernenti l'esercizio delle funzioni pubbliche e applicabili anche per lo svolgimento dei concorsi universitari (specificamente disciplinati, quanto all'obbligo di astensione, dall'art. 31 della legge 7 luglio 1979, n. 31, e dall'art. 29 del r.d. 6 aprile 1924, n. 674, che non rilevano in quanto tali nella specie).
Anche il funzionario pubblico deve astenersi (e non svolgere le relative funzioni) nei casi presi in considerazione nell'art. 51, primo comma.
Questa regola si applica anche nel corso di un procedimento concorsuale per la nomina alle cariche pubbliche e nell'ambito del pubblico impiego (sicché non rilevano le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in via subordinata e cautelativa dall'appellante).
Qualora nel corso di tale procedimento non si astenga un componente della commissione che ne abbia l'obbligo, chi vi abbia interesse può segnalare la circostanza all'Amministrazione: essa può così valutare se sussistano i presupposti per disporre la sostituzione del componente, al fine di evitare che gli atti del procedimento risultino viziati.
Il partecipante al concorso, sotto tale aspetto, ha la facoltà e non un onere di segnalare la circostanza all'Amministrazione (e all'organo che abbia nominato la commissione), poiché secondo i principi generali può impugnare il provvedimento finale che lo abbia leso (quando l'interesse a ricorrere diventa attuale) e può dedurre che il mancato rispetto dell'obbligo di astensione abbia influito sulle valutazioni discrezionali della commissione.
Quando invece non si sia in presenza di uno dei cinque casi tassativamente presi in considerazione dal primo comma dell'art. 51 c.p.c., il componente della commissione può segnalare all'organo che lo ha nominato la sussistenza di «gravi ragioni di convenienza», tali da consigliare il mancato svolgimento delle funzioni pubbliche nel corso del procedimento concorsuale.
In tal caso, analogamente a quanto dispone l'art. 52 c.p.c. per la parte nel procedimento giudiziario, il partecipante al procedimento amministrativo concorsuale (salva la impugnabilità delle determinazioni dell'Amministrazione sull'istanza di ricusazione) non può fondatamente chiedere la sostituzione del commissario 'ricusato', né può lamentarsi della mancata astensione in sede di impugnazione del provvedimento finale del procedimento che lo abbia riguardato, poiché l'ordinamento ritiene rilevanti le «gravi ragioni di convenienza» solo qualora si voglia astenere il titolare della funzione pubblica.
4.2. Ciò posto, nel caso di specie occorre verificare se il consolidato rapporto di collaborazione tra un commissario e un candidato dia luogo:
- ad un caso previsto dal primo comma dell'art. 51 c.p.c. (inteso quale norma generale sull'esercizio delle funzioni pubbliche), ed in particolare dal suo n. 1, dal che discenderebbe l'illegittimità degli atti amministrativi emessi in violazione dell'obbligo di astensione;
- ad un caso al più disciplinato dal secondo comma dell'art. 51 c.p.c., con la conseguente irrilevanza, rispetto alla legittimità degli atti del procedimento, delle valutazioni dei commissari di non astenersi (in quanto le norme sulla incompatibilità, riguardando la stabilità della composizione della commissione, non sono suscettibili di applicazione analogica: Sez. VI, 8 aprile 2000, n. 2045; Sez. VI, 5 maggio 1998, n. 631; Sez. II, 23 febbraio 1992, n. 1335/93).
4.3. Ritiene al riguardo la Sezione che, nell'ambito dei procedimenti concorsuali per la selezione dei professori universitari, il consolidato rapporto di collaborazione tra un commissario ed un candidato non comporti un «interesse» personale del commissario, tale da far ritenere sussistente l'obbligo di astensione.
In primo luogo, per la sussistenza dell'obbligo di astensione deve sussistere un «interesse» personale che abbia un rilievo obiettivo ed esterno e di carattere patrimoniale: un interesse di carattere politico, ideologico o morale (sia esso basato sulla maggiore o minore adesione alle tesi sostenute, alla antipatia o simpatia verso uno dei candidati) di per sé non ha rilievo, a meno che non incida obiettivamente sulle valutazioni compiute.
In secondo luogo, si deve tenere conto dello stesso modo di essere della accademia universitaria e dei relativi procedimenti di selezione del personale.
E' del tutto fisiologico che il superamento dei concorsi (a ricercatore universitario ed a professore di seconda e di prima fascia) consegua alla formazione progressiva dell'allievo da parte di un professore più esperto, definibile come 'maestro': la migliore formazione culturale di un accademico deriva anche dall'impegno del 'maestro', che guida l'allievo e gli segnala le tematiche più meritevoli di approfondimento, in considerazione anche delle capacità e delle attitudini personali.
E' altresì del tutto fisiologico che il 'maestro' faccia parte della commissione che debba valutare, tra gli altri, l'allievo da lui particolarmente seguito.
La legge si rimette alla responsabile valutazione dei componenti della commissione, perché la loro fama e le loro esperienze e capacità costituiscono (nell'ambito delle loro determinazioni collegiali) le più solide garanzie per la selezione dei più meritevoli.
Tra gli studiosi della singola materia dell'ambiente accademico, vi sono consueti scambi di esperienze, di idee e di informazioni (anche circa le produzioni degli appartenenti alla comunità scientifica), in quanto rientrano nell'ambito delle consuete ed istituzionali iniziative accademiche non solo l'attività scientifica individuale e l'attività didattica, ma anche (e in misura non secondaria) il partecipare a convegni e l'intrattenere rapporti scientifici e culturali con gli altri studiosi, aventi anche per oggetto la qualità della produzione scientifica e dei rispettivi autori.
E' pertanto del tutto ovvio che tra i componenti della commissione, tra uno o più di essi (da un lato) e uno o più candidati (dall'altro) possano esservi rapporti consolidati di amicizia e di collaborazione scientifica, ma non per questo sussistono cause di incompatibilità od obblighi di astensione nel corso del procedimento concorsuale universitario.
Al contrario, la conoscenza personale delle qualità scientifiche e didattiche dei componenti della comunità scientifica e delle loro opere (conoscenza personale che si stratifica nel corso del tempo ed è stata ben tenuta presente dal legislatore nella disciplina dei concorsi universitari) consente, in sede di concorso, una consapevole valutazione delle doti dei singoli candidati.
Anche quando in una commissione è presente il 'maestro' di uno dei candidati, il particolare rapporto di conoscenza delle qualità del candidato, unito alla conoscenza o alla valutazione delle qualità degli altri candidati, nell'ambito di un giudizio collegiale è tale da fare giungere in modo fisiologico alla scelta di coloro che abbiano le capacità più eminenti.
Del resto, il 'maestro' non ha comunque un 'interesse' personale che lo induca a 'preferire' il proprio allievo, perché (come gli altri componenti del collegio) è sottoposto alle regole della collegialità e comunque risponde delle proprie valutazioni nei confronti della comunità scientifica (sicché vi è anche il suo opposto interesse a non 'appoggiare' un candidato che, dalla discussione collegiale, non risulti meritevole).
Neppure l'interesse personale del commissario può ritenersi sussistente perché 'il maestro, valutando l'allievo, esaminerebbe se stesso' (come ha dedotto l'appellante).
Tale considerazione non solo si basa su una inadeguata considerazione delle valutazioni collegiali (in quanto i giudizi finali conseguono dalla discussione tra i componenti della commissione), ma comunque non è di per sé condivisibile, poiché proprio in sede concorsuale il 'maestro' (di cui non sono poste in discussione le capacità, quando si valuta il suo allievo) e gli altri commissari valutano se il candidato abbia raggiunto quel livello e quelle doti eminenti, necessari per un giudizio positivo.
Infine, la presenza di un interesse personale neppure sussiste quando il 'maestro' abbia adoperato termini particolarmente lusinghieri nella stesura del giudizio individuale dell'allievo, poiché la redazione dei giudizi è rimessa alla più libera valutazione del commissario, che ne risponde del resto nei confronti della comunità scientifica.
4.3. Perché sussista un interesse personale del commissario, e dunque la sua incompatibilità nel valutare un suo allievo, occorre un interesse avente una vera e propria (ed apprezzabile) consistenza economica, nel senso che la nomina del candidato sia tale da incidere univocamente e direttamente nella sfera giuridica del suo commissario.
Ciò può avvenire (oltre ai casi in cui tra di loro sussista un rapporto di dipendenza) quando il commissario ed il candidato conducano insieme attualmente uno studio professionale (Sez. VI, 8 aprile 2000, n. 2045; Sez. VI, 11 gennaio 1999, n. 8): in tal caso (in cui vi sono stretti rapporti economici anche per la gestione delle spese), poiché il superamento del concorso universitario e l'acquisizione di un titolo accademico possono direttamente influire sulle potenzialità dello studio, il commissario è incompatibile col suo allievo, ma non per tale sua qualità, bensì perché si è creato uno stabile rapporto di natura patrimoniale nello studio associato.
Viceversa, è di per sé irrilevante la circostanza che il commissario-'maestro' e il candidato-'allievo' abbiano insieme pubblicato una o più opere (Sez. VI, 22 novembre 2000, n. 6214).
Tale circostanza è assolutamente consueta e fisiologica, poiché costituisce una delle più spontanee espressioni delle scuole scientifiche, cui l'art. 33 della Costituzione garantisce la più ampia libertà, ed è una naturale risultante dell'approfondimento in comune di tematiche scientifiche, volte al miglioramento delle conoscenze.
Neppure rileva, sotto tale aspetto, che da tale pubblicazione sia derivata o possa derivare la percezione di diritti di autore, sia perché non può ragionevolmente ravvisarsi un diretto ed immediato nesso tra la prospettazione del superamento di un concorso e l'incremento (più o meno aleatorio) delle vendite di un volume, sia perché comunque la pubblicazione di un'opera di regola ha un suo rilievo limitato nel tempo (sotto il profilo delle vendite) nel mercato librario, con una rilevanza di per sé ragionevolmente non incidente sulle scelte concorsuali.
Pertanto, anche la comprovata percezione dei diritti di autore di un'opera di coautori non comporta l'incompatibilità di un commissario, nel procedimento concorsuale in cui sia candidato il coautore.
E' del resto similmente irrilevante la circostanza che il candidato-'allievo' abbia adottato, quale testo di studio di un corso, un volume pubblicato dal suo maestro: anche in tal caso, la scelta dei testi di studio è insindacabile in base ai principi costituzionali e può fondarsi sulla comunanza della scuola scientifica.
Le censure dell'appellante vanno pertanto respinte, sicché nella specie è irrilevante verificare se il motivo originario sia stato sufficientemente specifico sul punto, così come è irrilevante accertare se, in punto di fatto, siano effettivamente sussistenti le circostanze dedotte dall'appellante.
5. Può a questo punto passarsi all'esame delle censure con cui l'appellante ha lamentato l'insufficienza delle verbalizzazioni delle operazioni concorsuali e la sostanziale inadeguatezza di queste.
In particolare, egli ha dedotto che:
- la relazione finale della commissione non ha riportato i giudizi individuali (dei singoli commissari) e quelli collegiali, poiché dai verbali si evince una «sommaria descrizione delle attività svolte nel corso delle sei adunanze, senza riportare alcuno dei giudizi singoli e di quelli collegiali formulati nei confronti dei candidati»;
- la commissione ha impiegato in media circa sette minuti per rendere il giudizio sulla maturità scientifica di ogni candidato, sicché «appare difficilmente credibile» che le valutazioni siano state adeguatamente compiute.
6. Ritiene la Sezione che anche tali censure vadano disattese.
6.1. L'art. 3, comma 15, della legge 7 febbraio 1979, n. 31, ha disposto che «al termine dei suoi lavori, da concludersi entro sei mesi dalla data del bando di concorso, la commissione redige una relazione analitica, in cui sono riportati i giudizi sui singoli candidati e il giudizio complessivo della commissione, in base alla quale essa propone, previa votazione, i vincitori in numero non superiore ai posti messi a concorso e senza ordine di precedenza».
La commissione deve pertanto redigere una «relazione analitica» finale, che consenta la ricostruzione dell'iter logico seguito in sede di valutazioni dei candidati.
Non è necessario che tale relazione riporti per intero i giudizi sui singoli candidati.
In conformità ai principi generali di efficienza e rapidità dell'azione amministrativa, la relazione ben può richiamare per relationem i giudizi previamente redatti e allegarli ai relativi verbali.
Nella specie, dall'esame della documentazione acquisita emerge che sono stati redatti i giudizi sui singoli candidati e che il loro contenuto, pur non essendo stato ricopiato nel testo del verbale, è stato tenuto presente nel corso dei lavori della commissione ed è stato riportato in fogli allegati al verbale, il che non ha comportato alcuna illegittimità.
6.2. Neppure può ritenersi sussistente l'inadeguata ponderazione delle posizioni individuali (che per l'appellante si evincerebbe dal «tempo medio» di sette minuti, dedicati a ciascun candidato).
Si deve al riguardo ancora tenere conto dei principi generali che riguardano l'attività dei collegi che esercitano funzioni pubbliche.
Il «tempo medio» dedicato a ciascun candidato, in linea di principio, può avere rilevanza quando si tratti di concorsi caratterizzati dalle prove scritte, per le quali vi sono le specifiche regole sull'anonimato.
In tal caso, l'anonimato dei candidati comporta che la commissione (per la prima volta in sede collegiale) debba incentrare il proprio esame esclusivamente sui loro elaborati, sicché costituisce sintomo di eccesso di potere la valutazione di un gran numero di prove in un lasso di tempo che appaia ictu oculi assolutamente insufficiente (cfr. Sez. IV, 6 giugno 1995, n. 552; Sez. IV, 12 settembre 1992, n. 796).
A parte il caso della valutazione delle anonime prove scritte in sede collegiale, il «tempo medio» dedicato ad una questione da un collegio non è di per sé rilevante.
In linea generale, i componenti di un collegio che esercita funzioni pubbliche (amministrative o giurisdizionali) ben possono, prima della riunione formale, scambiarsi informazioni e opinioni e confrontare i rispettivi punti di vista, sugli elementi dei quali abbiano avuto legittimamente la conoscenza e dei quali debbano discutere nella sede collegiale.
Con la doverosa salvaguardia dei doveri d'ufficio, della riservatezza e nel rispetto delle più rigide regole deontologiche, i componenti di un collegio amministrativo o giurisdizionale (anche individualmente considerati) ben possono vicendevolmente discutere delle questioni sottoposte all'esame del collegio, al fine di giungere ad una più ponderata valutazione, da sottoporre alla discussione ed alla decisione nella sede collegiale.
In altri termini, l'ordinamento non vieta che vi siano consultazioni informali nel corso dell'attività preparatoria della riunione collegiale.
La mancanza di specifiche norme sulla attività preparatoria si spiega proprio perché il legislatore la considera pienamente lecita e non ha inteso formalizzarla, in quanto è anch'essa essenziale per il più corretto e ponderato svolgimento della funzione pubblica.
L'attività preparatoria, che non è di per sé suscettibile di verbalizzazione, consente il più rapido ed efficace svolgersi della riunione collegiale, la cui discussione può orientarsi su alcuni punti essenziali, che ancora risultano meritevoli di una più approfondita trattazione.
Tali considerazioni riguardano anche il concorso per la nomina a professore universitario, la cui normativa dispone che a ciascun commissario vadano trasmessi i titoli e le pubblicazioni di ogni candidato.
Ogni professore componente della commissione (che già segue abitualmente i lavori pubblicati nel settore delle sue conoscenze ed ha consueti scambi di esperienze, di idee e di informazioni nell'ambito della comunità accademica, come già evidenziato al punto 4.3.) è così posto in grado di valutare, nel modo più approfondito, la produzione scientifica di ogni candidato e di giungere alla personale più ponderata valutazione delle capacità di ciascuno di essi.
E' quindi del tutto fisiologico che, nel corso della consueta attività accademica e prima dello svolgimento della riunione collegiale (beninteso, con la salvaguardia dei doveri d'ufficio, della riservatezza e delle regole deontologiche), i singoli componenti della commissione possano consultarsi e confrontarsi anche sulle questioni che saranno trattate in sede collegiale: tale attività (in sé lecita) va intesa come preparatoria alla riunione collegiale, non è irrilevante e, anche se non è verbalizzata, agevola la formazione dei giudizi individuali, che vengono posti a confronto nella sede collegiale (l'unica ove possono essere prese le vere e proprie determinazioni finali del collegio in quanto tale).
In altri termini, i componenti della commissione esaminatrice (che, per la loro qualità ed il loro status, istituzionalmente partecipano alla vita accademica e con i loro colloqui seguono i lavori e la formazione didattica dei suoi appartenenti) fanno parte di un ambiente accademico che ben conoscono, così come ben conoscono le eventuali 'recensioni stroncatorie' o 'lusinghiere' dei lavori dei candidati e le loro qualità.
Ciò comporta che, nella sede della riunione collegiale, la commissione giudicatrice può focalizzare l'esame sulle questioni più controverse, può non occuparsi dettagliatamente dei singoli lavori dei candidati (oramai per tempo valutati con i giudizi individuali), così giungendo alle proprie determinazioni finali, in una sede ove si tiene complessivamente conto anche delle precedenti ed informali attività preparatorie.
Nella specie, risulta pienamente ragionevole quanto dedotto dagli appellati, secondo i quali le valutazioni dei componenti della commissione sono state adeguatamente ponderate nella riunione del 7 febbraio 1994, che ha avuto una durata complessiva di per sé compatibile con l'attività preparatoria della riunione collegiale, che in re ipsa può ritenersi effettivamente sussistente in ragione delle peculiarità delle attività accademiche.
7. Con una ulteriore serie di censure, l'appellante ha lamentato l'incongruità del giudizio formulato dalla commissione nei suoi confronti ed ha dedotto che la commissione non avrebbe potuto valutare alcuni lavori di altri candidati.
Nel riproporre le doglianze già formulate col ricorso di primo grado, egli ha criticato il capo della sentenza del TAR, col quale sono state dichiarate inammissibili per difetto di interesse le censure riguardanti la valutazione dei valori degli altri candidati.
Ad avviso del TAR, il candidato di un concorso a cattedre dichiarato non idoneo nel giudizio preliminare non sarebbe titolare dell'interesse a contestare le valutazioni positive degli altri candidati.
8. Ritiene che la Sezione che, se anche l'unitario procedimento concorsuale si compone di una prima fase riguardante i giudizi individuali e di una seconda che si conclude con la discussione collegiale (Sez. VI, 12 aprile 1986, n. 319), e anche se il concorso mira ad accertare in senso assoluto l'idoneità di ogni candidato, gli stessi giudizi individuali sono influenzati dal maggiore o minore numero dei candidati (di cui vi è inevitabilmente un confronto) e dal novero dei titoli e delle pubblicazioni da essi presentati.
In base al sopra riportato art. 3, comma 15, della legge n. 31 del 1979, e all'art. 2, sedicesimo comma, della legge n. 580 del 1973 (per i quali al termine dei lavori la commissione propone «i vincitori in numero non superiore ai posti messi a concorso»), non è indifferente per il singolo candidato quale sia la valutazione degli altri candidati e dei loro titoli e pubblicazioni: vi è uno stretto legame tra le valutazioni dei singoli candidati già nella fase di redazione dei giudizi individuali, poiché il giudizio di non idoneità di uno o più candidati aumenta le possibilità per gli altri di risultare vincitori del concorso e, specularmente, il giudizio positivo su uno o più candidati riduce le possibilità di vittoria dei candidati, singolarmente considerati.
Ciò comporta che il candidato valutato non idoneo nella prima fase (pur non potendo per la giurisprudenza della Sezione contestare i risultati della fase di comparazione tra i candidati: Sez. VI, 2 marzo 1996, n. 488) ben può contestare i giudizi individuali (e conseguentemente quelli collegiali), quando assuma che non dovevano essere valutati altri candidati (risultati vincitori) o alcune delle loro pubblicazioni.
9. Ciò posto, vanno esaminate le censure formulate a pp. 25-26 del gravame, con riferimento alle posizioni dei professori Pellizzer e Lubrano.
Secondo l'assunto, la commissione (così come ha ritenuto a proposito di altri candidati) avrebbe dovuto ritenere che le loro pubblicazioni non risultavano pertinenti con le discipline del raggruppamento, poiché:
- il professore Pellizzer ha presentato pubblicazioni attinenti al diritto dell'economia pubblica (perché riguardanti la «disciplina giuridica delle fonti energetiche», «la disciplina del commercio estero e del sistema valutario», «la disciplina dell'artigianato», «i sistemi di esecuzione delle opere pubbliche», il «diritto comunitario»);
- il professore Lubrano ha presentano pubblicazioni attinenti «per lo più ad aspetti interni alla dinamica del processo amministrativo».
Ritiene la Sezione che tali censure siano inammissibili e vadano comunque disattese.
Il decreto legislativo n. 382 del 1980 ha rimesso alla valutazione dei commissari ogni più opportuno accertamento delle specifiche qualità, anche scientifiche, del candidato e sulla attinenza delle sue pubblicazioni con le discipline del raggruppamento.
Tale valutazione è espressiva della tipica discrezionalità tecnica della commissione e, in quanto tale, è sindacabile dal giudice amministrativo solo ove si manifesti manifestamente incoerente o irragionevole: il giudizio della commissione deve essere coerente e rispondere ad un criterio uniforme per tutti gli esaminati, ma non può essere oggetto di una nuova valutazione da parte del giudice della legittimità, che non può sostituirvi la propria.
Nella specie, al di là della indicazione delle tematiche trattate nelle pubblicazioni dei due candidati appellati, non sono stati dedotti specifici elementi tali da far ritenere manifestamente irragionevole la valutazione della commissione.
Al contrario, risulta con evidenza che, per l'ampiezza della disciplina del diritto amministrativo, la commissione doveva valutare le pubblicazioni degli appellati: tutte le tematiche sopra richiamate attengono ad aspetti essenziali del diritto amministrativo, anche le tematiche della giustizia amministrativa (dal cui approfondimento, per di più, sono state elaborate alcune tra le più compiute ricostruzioni del sistema, il che evidenzia la loro indubbia centralità).
10. L'appellante ha altresì lamentato che altri candidati (poi risultati vincitori) abbiano sottoposto alla valutazione alcune pubblicazioni, in contrasto con la normativa vigente e le previsioni del bando.
In particolare, nel gravame egli ha dedotto che:
- mentre le sue pubblicazioni sono state prodotte nella loro veste definitiva, «consta dai giudizi formulati nei confronti di taluni candidati che la commissione abbia tenuto illegittimamente in considerazione anche edizioni non definitive», in particolare «per quanto attiene ai candidati Cognetti, Cavallo Perin, Angiuli, Vipiana)» (v. p. 28 del gravame);
- la commissione avrebbe potuto tenere in considerazione le sole pubblicazioni 'dell'ultimo momento' «con riferimento alle quali l'editore avesse ottemperato entro la data di scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione (27 ottobre 1992) agli obblighi di cui all'art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale n. 660 del 1945» (v. p. 29 del gravame);
- in particolare, sarebbero state illegittimamente valutate una monografia della candidata Angiuli, una monografia del candidato Cavallo Perin, una monografia del candidato Cognetti in realtà costituente «bozze di stampa» e monografie del candidato Sica, in realtà costituenti dattiloscritti «privi di data» (v. pp. 30, 31, 32, 33, 35 e 36 del gravame).
11. Ritiene la Sezione che i motivi sopra sintetizzati vadano in parte disattesi, mentre per la parte residua vadano disposti incombenti istruttori.
11.1. Quanto alla posizione della candidata Vipiana, la relativa censura va dichiarata inammissibile, poiché non è stata formulata alcuna specifica doglianza: qualora si contesti l'illegittima valutazione della documentazione nel corso di un procedimento concorsuale, anche universitario, occorre con precisione indicare quale sia la pubblicazione che in ipotesi sia stata illegittimamente valutata.
Quanto alla posizione della candidata Angiuli, lo stesso appellante (a p. 30 del gravame) ha dato atto che alcuni commissari hanno espressamente rilevato la provvisorietà e l'incompletezza della monografia («ancora in edizione provvisoria») e che in sede di giudizio collegiale si sia rimarcato il suo carattere «non definitivo».
Dalla documentazione, emerge dunque pacificamente che il giudizio positivo su tale candidata si è fondato su altre pubblicazioni (e non anche su quella oggetto della contestazione dell'appellante), e in particolare su altre due monografie ed altri lavori «di minore mole», valutati con apprezzamenti lusinghieri sulla originalità e sulle capacità della candidata.
Non sono ravvisabili, pertanto, profili di violazione di legge ed eccesso di potere nella valutazione della candidata Angiuli.
Quanto alla posizione del candidato Cavallo Perin, emerge che la monografia oggetto della contestazione dell'appellante non è stata posta a base del relativo giudizio positivo.
La commissione ha espressamente preso atto del suo carattere provvisorio ed ha constatato come le relative risultanze abbiano avuto il rilievo di mera «conferma» del giudizio positivo, formatosi con riferimento alle altre pubblicazioni, tra cui «un'ampia monografia dedicata al potere di ordinanza e al principio di legalità».
Poiché la commissione ha dato espressamente un rilievo preponderante al «primo dei due contributi» ed ha attribuito valore solo di «conferma» al lavoro oggetto della contestazione, quest'ultimo è risultato in concreto ininfluente in sede di giudizio finale, sicché non sussistono i dedotti profili di violazione di legge e di eccesso di potere.
11.2. Con riferimento alle posizioni degli appellati Cognetti e Sica (e per l'esame della censura di violazione del criterio fissato dalla commissione nella seduta del 10 novembre 1993, sulla rilevanza di «una o più monografie», censura contestata anche a pp. 32 ss. della memoria depositata dagli appellati in data 2 maggio 2001), la Sezione ritiene che debbano essere disposti incombenti istruttori, per verificare:
- se la pubblicazione del candidato Cognetti (sui profili sostanziali della legalità amministrativa) sia stata presentata in conformità alle previsioni del bando e se in misura determinante abbia comportato il finale giudizio positivo della commissione;
- se le tre pubblicazioni del candidato Sica (sulla urbanistica ed il controllo pubblico sulla destinazione d'uso degli immobili, sul difensore civico nell'ordinamento regionale e sul responsabile del procedimento amministrativo) siano state presentate in conformità alle previsioni del bando e se in misura determinante abbiano comportato il finale giudizio positivo della commissione.
12. Quanto precede comporta che l'appello va definitivamente respinto, con riferimento:
- ai motivi riguardanti la composizione della commissione esaminatrice, la regolarità della redazione dei verbali e i tempi delle operazioni concorsuali;
- ai motivi concernenti gli appellati Pellizzer, Lubrano, Vipiana, Angiuli e Cavallo Perin (per le ragioni sopra esposte);
- alle posizioni degli appellati Torchia, Sala, Sciullo, Sticchi Damiani e Leone, poiché nei loro confronti non sono state formulate specifiche censure (a parte quelle, sopra respinte, sulla composizione della commissione e sulla regolarità dei suoi lavori).
Le spese e gli onorari del presente grado del giudizio vanno compensate tra l'appellante, le Amministrazioni e questi appellati.
Riservata ogni valutazione delle relative censure, nonché delle doglianze formulate dall'appellante a proposito del giudizio che lo ha riguardato, va invece disposta l'acquisizione (a cura del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, entro il giorno 30 settembre 2001, presso la Segreteria della Sezione), dei plichi prodotti dai candidati Cognetti e Sica in occasione del concorso in questione.
Fin da ora, è fissata l'udienza del 18 dicembre 2001 per la conseguente trattazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta):
- respinge integralmente l'appello n. 8008 del 1997, proposto nei confronti degli appellati Pellizzer, Lubrano, Vipiana, Angiuli, Cavallo Perin, Torchia, Sala, Sciullo, Sticchi Damiani e Leone, compensando tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio;
- respinge in parte l'appello, nei limiti indicati in motivazione, come proposto nei confronti degli appellati Cognetti e Sica;
- riservata ogni ulteriore statuizione, dispone che, a cura del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica, siano depositati presso la Segreteria della Sezione (entro il 30 settembre 2001) i plichi prodotti dagli appellati Cognetti e Sica;
- fissa l'udienza del 18 dicembre 2001, per l'ulteriore trattazione.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 15 maggio 2001, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l'intervento dei signori:
Alberto de Roberto Presidente
Sergio Santoro Consigliere
Calogero Piscitello Consigliere
Luigi Maruotti Consigliere estensore
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Depositata in segretaria il 17 luglio 2001.