Giustamm.it

Giurisprudenza
n. 7/8-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 26 giugno 2001 n. 3463 - Pres. Giovannini, Est. Caringella - Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Avv.ra Generale dello Stato) c. Seat Pagine Gialle S.p.a. e Telecom Italia S.p.a. (Avv.ti Giuseppe Guarino, Piero d'Amelio, Giovanni Domenichini e Claudio Tesauro) (conferma Tar Lazio, Sez. II, sentenza 13 marzo 2001 n. 1852, in www.giustamm.it, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarlazio2_2001-1852.htm ).

Giustizia amministrativa - Fase cautelare - Potere di definire il merito in occasione della c.c. fissata per la domanda cautelare - Ex art. 21, comma 9, della legge 1034/71, introdotto dalla legge 205/2000 - Presupposti - Individuazione.

Giustizia amministrativa - Fase cautelare - Potere di definire il merito in occasione della c.c. fissata per la domanda cautelare - Ex art. 21, comma 9, della legge 1034/71, introdotto dalla legge 205/2000 - E' esercitabile ex officio dal G.A.

Giustizia amministrativa - Fase cautelare - Potere di definire il merito in occasione della c.c. fissata per la domanda cautelare - Ex art. 21, comma 9, della legge 1034/71, introdotto dalla legge 205/2000 - Avvenuta fissazione dell'udienza di merito - Non preclude il potere di definizione già in camera di consiglio

Giustizia amministrativa - Fase cautelare - Potere di definire il merito in occasione della c.c. fissata pel la domanda cautelare - Ex art. 21, comma 9, della legge 1034/71, introdotto dalla legge 205/2000 - E' esercitabile in qualsiasi camera di consiglio (anche in quella fissata per l'esecuzione dell'ordinanza).

Autorizzazione e concessione - Emittenti radiotelevisive - Acquisizione di TeleMontecarlo da parte della Seat Pagine Gialle s.p.a. - Diniego di autorizzazione dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Motivato con riferimento all'art. 4, comma 8, della L. n. 249/97 - Illegittimità - Ragioni.

Alla luce di quanto previsto dall'articolo 21, comma 9, della legge 1034/71, introdotto dalla legge 205/2000, presupposti sostanziali e procedimentali alla cui verificazione il legislatore ancora la possibilità di definizione del merito già in sede di decisione della domanda cautelare sono: a) la fissazione di camera di consiglio per la decisione della domanda cautelare; b) la completezza del contraddittorio; c) la completezza dell'istruttoria; d) l'audizione delle parti costituite.

Secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale, maturato con riguardo all'omologa fattispecie di cui all'articolo 19 del Dl 67/1997, convertito dalla legge 135/97, deve ritenersi, anche con riguardo a quanto ormai previsto in via generale dall'art. 21, comma 9, della legge 1034/71, introdotto dalla legge 205/2000, che il potere di operare la conversione del rito è esercitabile ex officio, anche in caso di mancata prestazione dell'assenso o addirittura di manifestazione del dissenso delle parti, in presenza dei presupposti della integrità del contraddittorio e della maturità dell'istruttoria che consentano di soddisfare, senza incisione del diritto di difesa, l'esigenza di accelerazione processuale tenuta presente dal legislatore.

Alla possibilità di decidere il merito già in sede di camera di consiglio per la decisione della domanda preliminare di sospensione non osta la eventuale già avvenuta fissazione della data dell'udienza di merito, atteso che la fissazione dell'udienza non è stata idonea a scalfire la piena esplicazione dei diritti e delle prerogative defensionali.

Il potere del Giudice amministrativo di decidere il merito già in sede di camera di consiglio non spira con l'adozione della misura cautelare primigenia ma si perpetua nelle successive occasioni in cui l'interessato promuove iniziative dirette ad eccitare un'ulteriore esplicazione del potere di decisione della domanda cautelare al quale si riferisce l'articolo 3, comma 3, della legge 205/00, ed in particolare sussiste anche nel caso in cui venga chiesta l'adozione delle disposizioni attuative che il giudice può adottare in caso di inottemperanza alla misura cautelare, ai sensi del penultimo comma del riformato articolo 21 della legge 1034/71.

E' illegittimo il provvedimento (del 17.1.2001) con il quale l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha negato l'autorizzazione all'acquisizione della Cecchi Gori Communications S.p.a. da parte della SEAT Pagine Gialle S.p.a., atteso l'art. 4, comma 8, della legge 31.7.1997, n. 249 assume quale destinatario del divieto di ingresso nel settore delle comunicazioni televisive a mezzo di frequenze terrestri "la concessionaria del servizio pubblico di telecomunicazioni", posizione caratterizzata dall'affidamento in via esclusiva del servizio di telecomunicazioni rivolto alla generalità degli utenti e tale posizione non più rivestita dalla Telecom S.p.a.

La posizione di esclusività di quest'ultima società deve infatti ritenersi venuta meno per effetto del mutato quadro normativo nazionale e comunitario di riferimento (D.P.R. 18.9.1997, n. 318; direttiva 97/13/CE del 10.4.1997), caratterizzato dalla liberalizzazione in regime di concorrenza dell'installazione, esercizio ed offerta di servizi di telecomunicazione, con abolizione dei diritti speciali e di esclusiva in capo ai concessionari di servizi pubblici di telecomunicazione (1).

-------------------

(1) Ha affermato in generale la Sez. VI con la sentenza in rassegna che «una norma asimmetrica di carattere singolare, in un regime di mercato concorrenziale, deve essere necessariamente temporanea. Una prescrizione (come quella di cui all'art. 4, comma 8, della legge 31.7.1997, n. 249: n.d.r.) la quale, in un mercato ormai liberalizzato, fissasse, a carico di uno specifico operatore economico, un divieto a tempo indeterminato rispetto al momento della cessazione della posizione di esclusiva, presumendo in modo assoluto il permanere di una posizione dominante anche con riferimento ad un periodo di tempo nel quale ragionevolmente gli effetti storici della posizione di monopolio potrebbero risultare superati o sensibilmente attenuati, presenterebbe una connotazione irragionevolmente discriminatoria, in chiaro contrasto con i principi di ragionevolezza, di eguaglianza, di libertà di iniziativa economica e di concorrenza ricavabili dagli articoli 3 e 41 Costituzione oltre che dalle disposizioni comunitarie anche relative al settore specifico di riferimento).

Pertanto, nella specie, in omaggio al canone ermeneutico che impone la preferenza per un approccio interpretativo costituzionalmente orientato, è stata privilegiata l'interpretazione offerta dai primi giudici che, in conformità al dato letterale, collega alla permanenza dello status di gestore esclusivo la ratio e, con essa, il raggio temporale di azione della limitazione legale posta all'attività di impresa della Telecom. Ne deriva, secondo la Sez. VI, «che la definitiva perdita della qualifica di monopolista e l'ingresso sul mercato della telefonia vocale di altri operatori, resi possibili in virtù dell'attuazione del processo di liberalizzazione innescata dal Dpr 318/97 sulla base di principi di non discriminazione e di non proporzionalità (articolo 2), hanno determinato il venir meno delle condizioni che giustificavano e rendevano costituzionalmente compatibile il divieto».

La sentenza del TAR Lazio, Sez. II, 13 marzo 2001 n. 1852, era stata pubblicata in www.giustamm.it, n. 3-2001, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarlazio2_2001-1852.htm 

La ordinanza della stessa sezione del TAR Lazio 31 gennaio 2001, n. 770, che aveva in precedenza imposto alla Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di riesaminare la situazione, è stata pubblicata in Giustizia amministrativa, n. 3-2001, pag. 230 ss. ed in www.giustamm.it, n. 2-2001, pag. http://www.giustamm.it/tar1/tarlazio2_2001-770.htm 

 

 

FATTO

1. In data 7 agosto 2000 Seat Pagine Gialle Spa (di seguito indicata Seat), società direttamente controllata dalla Telecom Italia Spa (che possiede il 63,3 per cento del capitale sociale), da una parte e, dall'altra, Cecchi Gori Group Media Holding Srl e Cecchi Gori Group Finmavi Spa stipulavano un accordo finalizzato al graduale acquisto, da parte della prima, di Cecchi Gori Communications Spa (di seguito Cgc), società che a sua volta controllava le emittenti titolari delle concessioni televisive relative ai canali Tmc e Tmc2.

Con delibera 51/01/Cons del 17 gennaio 2001 l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito Agcom), chiamata ad esprimersi ai sensi dell'articolo 1, comma 6, lett. c), n. 13, della legge 349/97, considerava non autorizzabile l'operazione alla stregua del combinato disposto dell'articolo 4, comma 8, e 2, commi 17 e 18, della legge 249/97.

Giova rammentare che l'articolo 4, comma 8, ultimo periodo, prevede che «la concessionaria del servizio pubblico di telecomunicazioni non può essere destinataria direttamente o indirettamente di concessioni radiotelevisive su frequenze terrestri in chiaro né fornire programmi e servizi né raccogliere pubblicità per i concessionari radiotelevisivi nazionali e locali su frequenze terrestri in chiaro». A sua volta l'articolo 2, ai commi 17 e 18, definisce la nozione di controllo rilevante ai fini dell'applicazione dei divieti e della repressione degli abusi contemplati dalla medesima normativa.

In sostanza l'Agcom, in sede di autorizzazione dei trasferimenti di proprietà delle società che esercitano l'attività radiotelevisiva di cui al citato articolo 1, comma 6, lett. c), n. 13, della legge 249/97, ha reputato che all'assentibilità dell'operazione di che trattasi ostasse, ai sensi del rammentato articolo 4, comma 8, ultimo periodo, della medesima legge, il divieto per la Telecom, concessionaria storica del servizio di telecomunicazioni radiotelevisive su frequenze terrestri in chiaro.

Nella medesima circostanza l'autorità segnalava «ai sensi dell'articolo 1, comma 6, lett. c), n. 13, della legge 249/97, che la realizzazione del processo di convergenza nel settore delle comunicazioni, favorito dalla dinamica dello sviluppo dell'innovazione tecnologica, e dal prossimo utilizzo delle tecnologie digitali nelle trasmissioni radiofoniche e televisive, rende opportuna, oltre al recepimento della direttiva 1999/64/Ce del 23 giugno 1999, la predisposizione di un quadro normativo che, anche adeguando ed armonizzando le vigenti disposizioni, stabilisca, nella salvaguardia dei principi del pluralismo e della concorrenza, condizioni e limiti relativi alle proprietà incrociate tra i soggetti operatori di reti di telecomunicazioni e dei mezzi di comunicazione di massa».

Con provvedimento successivo reso il 23 gennaio 2001, l'autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito Agcm) autorizzava per quanto di competenza l'operazione di concentrazione, in via condizionata al rispetto di misure correttive volte a limitare «il rafforzamento di una posizione dominante in capo al gruppo Telecom nei mercati della raccolta pubblicitaria online, della raccolta pubblicitaria sull'annuaristica cartacea, della fornitura di servizi di accesso ad Internet, nonché la costituzione di una posizione dominante nei nuovi mercati derivanti dalla convergenza, tali da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza nei mercati interessati».

Con due distinti ricorsi presentati al Tar del Lazio la Telecom Italia mobile Spa e la Seat Pagine Gialle Spa impugnavano la delibera Agcom 51/2001 chiedendone contestualmente la sospensione dell'efficacia.

Chiamata a riesaminare la precedente determinazione per effetto delle ordinanze cautelari pronunciate dai giudici di primo grado, l'Agcom, con la delibera 95/01/Cons del 20 febbraio 2001, ribadiva il giudizio negativo espresso circa l'autorizzabilità dell'operazione in esame.

All'esito della camera di consiglio fissata ai fini dell'esame delle istanze con le quali le società ricorrenti, lamentando il carattere elusivo della delibera da ultimo citata, avevano chiesto la definizione del merito e, in subordine, l'adozione di misure attuative delle pregresse pronunce cautelari, il tribunale, esercitando il potere di definizione del giudizio nel merito ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 205/00, ha accolto, previa riunione, i ricorsi ed ha annullato il provvedimento gravato (la delibera 51/01 cit.) considerando la successiva determinazione dell'Agcom colpita da effetto caducante.

Appellano con separati ricorsi l'Agcom, Mediaset Spa, Rete A Srl, Cecchi Gori Group Finmavi Spa e Cecchi Gori Group Media Holding Spa. Resiste Telecom Italia Spa, che propone altresì appelli incidentali.

Le parti hanno affidato al deposito di memorie l'ulteriore illustrazione delle rispettive posizioni difensive.

All'udienza del 29 maggio 2001 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

2. L'identità della sentenza gravata impone la riunione degli appelli.

3. Devono essere preliminarmente vagliate le censure con le quali tutte le parti appellanti lamentano il vizio di procedura nel quale sarebbero incorsi i primi giudici allorché hanno deciso il merito della controversia all'esito della camera di consiglio fissata ai fini della trattazione degli incidenti cautelari di esecuzione proposti a seguito dell'adozione, da parte dell'Agcom, della ricordata delibera 95/01.

Le censure non possono essere condivise.

Osserva il Collegio che l'articolo 21, comma 9, della legge 1034/71, risultante dalle innovazioni introdotte dalla legge 205/00, dispone che «in sede di decisione della domanda cautelare, il tribunale amministrativo regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria ed ove ne ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel merito a norma dell'articolo 26».

I presupposti sostanziali e procedimentali alla cui verificazione il legislatore ancora la possibilità di definizione del merito sono così sintetizzabili:

a) fissazione di camera di consiglio per la decisione della domanda cautelare;

b) completezza del contraddittorio;

c) completezza dell'istruttoria;

d) audizione delle parti costituite.

Soprassedendo per il momento all'esame del presupposto di cui sub a), non è seriamente contestabile la verificazione dei presupposti di cui alle lettere b) e seguenti.

Quanto alla completezza del contraddittorio (lett. b), è pacifico che i ricorsi di primo grado sono stati ritualmente notificati all'autorità emanante ed alle società portatrici di un identificabile interesse antagonistico rispetto alla posizione fatta valere dalle società originariamente ricorrenti. Si deve soggiungere, a conferma della pienezza del contraddittorio e della salvaguardia piena dell'esplicazione del diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Carta fondamentale, che, in occasione delle iniziali determinazioni cautelari, è stata disposta la notifica del ricorso delle società del gruppo Cecchi Gori, e tanto nonostante dette società, quantomeno in un'epoca storica anteriore alla verificazione della pretesa condizione risolutiva della fattispecie contrattuale di cui si dirà in seguito, apparissero, nella loro qualità di parti dell'operazione contrattuale non autorizzata per effetto dal provvedimento impugnato, portatrici di un interesse identico o parallelo a quello fatto valere dalle società impugnanti e fossero, quindi, qualificabili come soggetti cointeressati. Si deve altresì rammentare che tutte le parti costituite, ivi comprese le società evocate in giudizio per effetto delle ricordate ordinanze cautelari, avevano illustrato con ampiezza, attraverso gli scritti ed in sede di discussione orale, le posizioni difensive anche sul merito della vertenza o, quel che più rileva ai presenti fini, avevano avuto la possibilità di farlo.

A non dissimili conclusioni si deve pervenire per quel che riguarda il requisito sub lett. c) (integrità dell'istruttoria), posto che la documentazione in atti e le difese articolate dalle parti offrivano un quadro esauriente dei profili fattuali necessari ai fini della decisione.

Quanto all'aspetto di cui alla lett. d), ossia l'audizione delle parti, è incontestato in punto di fatto che tutte le parti interessate e costituite erano state destinatarie della notifica dell'istanza con la quale le società ricorrenti in primo grado avevano esplicitamente richiesto, in via prioritaria rispetto alla delibazione dell'incidente di esecuzione proposto, la definizione della controversia nel merito ai sensi del più volte citato articolo 3 della legge 205/00. A nulla rileva, in un contesto così caratterizzato - nel quale non risulta che alcuna delle parti abbia sollecitato un'integrazione dell'istruttoria ovvero chiesto un rinvio ai fini dell'articolazione di incombenti processuali per i quali non fossero scaduti i termini di rito - la verbalizzazione del dissenso ad opera di tutte le parti odiernamente appellanti: secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale, maturato con riguardo all'omologa fattispecie di cui all'articolo 19 del Dl 67/1997, convertito dalla legge 135/97, il potere di operare la conversione del rito è esercitabile ex officio, anche in caso di mancata prestazione dell'assenso o addirittura di manifestazione del dissenso delle parti, in presenza dei presupposti della integrità del contraddittorio e della maturità dell'istruttoria che consentano di soddisfare, senza incisione del diritto di difesa, l'esigenza di accelerazione processuale tenuta presente dal legislatore.

Non assume rilievo neanche il dato, sul quale pure hanno posto l'accento le parti appellanti, della già avvenuta fissazione della data imminente dell'udienza di merito. Ad un simile argomento è agevole replicare, per un verso, che la fissazione dell'udienza non esclude la possibile verificazione, in un torno di tempo anteriore, in coerenza con la ricordata ratio della prescrizione legislativa, dei presupposti per una più celere definizione che conducano ad una tacita revoca della ordinanza di fissazione; e, per altro assorbente profilo, che la rituale notiziazione dell'istanza di definizione del merito escludeva nella specie il radicarsi di un affidamento delle parti evocate in giudizio circa la impossibilità di un'anticipazione della decisione di merito rispetto all'imminente data stabilita per l'udienza di trattazione. Si deve allora ribadire che, anche sotto questo profilo, l'anticipazione del merito rispetto all'udienza non è stata idonea a scalfire la piena esplicazione dei diritti e delle prerogative defensionali.

Le considerazioni fin qui svolte sono di aiuto anche al fine di concludere nel senso della sussistenza del primo presupposto, rappresentato dalla fissazione di camera di consiglio per la decisione della domanda cautelare. Alla suggestiva prospettazione offerta dalle parti appellanti, a tenore della quale il legislatore, con l'ancorare la definizione del merito alla sede della «decisione della domanda cautelare», avrebbe inteso fare riferimento alla sola camera di consiglio per l'adozione primigenia della misura cautelare, con conseguente esclusione delle successive camere di consiglio eventualmente fissate per la trattazione degli incidenti di esecuzione, si deve ribattere che la domanda intesa a sollecitare l'adozione di misure esecutive della situazione cautelare, nella specie formulata in via gradata rispetto alla richiesta di trattazione diretta del merito, lungi dal dar vita ad una fase processuale caratterizzata da un profilo di separatezza funzionale, costituisce ulteriore esplicazione della iniziale domanda cautelare ritenuta non soddisfatta per effetto del comportamento omissivo od attivo tenuto dall'amministrazione in un momento successivo alla determinazione giurisdizionale. Ne consegue che lo stesso potere eccitato per effetto dell'incidente di esecuzione non costituisce un potere concettualmente distinto ma, inserendosi come tappa ulteriore dell'unico incidente cautelare inaugurato con la domanda originaria, tende funzionalmente a dare in termini integrativi una risposta a quest'ultima attraverso la verifica della necessità dell'adozione di misure che, in un'ottica appunto integrativa ed esecutiva, siano necessarie al fine di soddisfare le esigenze urgenti poste a corredo dell'istanza introduttiva. In altre parole si può convenire che le disposizioni attuative che il giudice può adottare in caso di inottemperanza alla misura cautelare, ai sensi del penultimo comma del riformato articolo 21 della legge 1034/71, non rispondono ad un'autonoma funzione sanzionatoria nei confronti dell'amministrazione inadempiente ma costituiscono esplicazione del medesimo potere cautelare esercitato inizialmente per il tramite di una statuizione asseritamente rivelatasi insufficiente, per via della condotta amministrativa successiva, a fronteggiare il pericolo di danno grave ed irreparabile paventato dall'istante.

La bontà della tesi fin qui esposta, secondo cui il potere di conversione nel merito non spira con l'adozione della misura cautelare primigenia ma si perpetua nelle successive occasioni in cui l'interessato promuove iniziative dirette ad eccitare un'ulteriore esplicazione del potere di decisione della domanda cautelare al quale si riferisce l'articolo 3, comma 3, della legge 205/00, è ulteriormente suffragata dall'incongruità logica dei risultati ai quali condurrebbe l'opposto approccio ermeneutico. Non è infatti chi non veda come la tesi in questa sede avversata porterebbe all'illogico risultato di precludere in modo astratto al giudice, chiamato all'adozione delle misure attuative, l'esercizio di un potere di decisione di merito, che sarebbe esercitabile in occasione della precedente camera di consiglio, e tanto nonostante la ricorrenza, in termini plausibilmente accentuati dal decorso del tempo e dall'atteggiamento non collaborativo dell'amministrazione, delle medesime esigenze di economia processuale che, compatibilmente con la salvaguardia delle esigenze di integrità del contraddittorio, sono alla base della scelta legislativa di cui si discorre. Una simile preclusione rigida si rivela in particolare foriera di risultati incongrui quante volte, come prospettato nella fattispecie in esame in occasione dell'istanza di esecuzione della misura cautelare, la specificità degli interessi in rilievo faccia sì che con il decorso del tempo si accentuai non solo il pericolo di pregiudizio non riparabile ma anche la necessità della sollecita definizione di un assetto stabile della controversia non compatibile con la caratterizzazione precaria ed interinale della statuizione cautelare.

4. Non meritano positiva valutazione neanche i motivi di appello, originari ed aggiunti, con i quali le società del gruppo Cecchi Gori deducono il difetto di interesse alla coltivazione dei ricorsi originari da parte di Seat e Telecom, e tanto sulla base della considerazione che il mancato intervento, entro il 31 gennaio dell'anno in corso, dell'autorizzazione dell'Agcom avrebbe determinato, ai sensi degli articoli 14.1. e 14.5. del contratto stipulato con Seat, la definitiva risoluzione della fattispecie pattizia e, con essa, l'inutilità di una pronuncia giurisdizionale di annullamento non idonea a sanare detto deficit provvedimentale.

Il Collegio deve osservare che esula dal compito cognitivo di questo giudice la verifica dei riflessi che la pronuncia di annullamento del diniego di autorizzazione è idonea a sortire sul piano della perdurante efficacia del contratto stipulato tra le società del gruppo Cecchi Gori e la Seat, evidente essendo che spetta alla competenza del giudice civile, già adito al riguardo, la cognizione delle controversie relative all'interpretazione del contratto, con particolare riferimento all'inclusione dell'autorizzazione dell'Agcom nel novero di quelle condizionanti ed alla necessità che, alla scadenza del 31 gennaio 2001, venga in rilievo il provvedimento autorizzatorio come fatto storico ovvero sotto il profilo della decorrenza effettuale anche in ragione dell'annullamento giurisdizionale dell'originario diniego con effetto retroattivo. Si deve in ogni caso rimarcare che, anche ad aderire in linea di ipotesi alla prospettazione delle appellanti, la possibilità, per le società originariamente ricorrenti, di spiccare in un momento successivo l'azione di risarcimento dei danni cagionati dal diniego illegittimo, ai sensi dell'articolo 7 della legge 205/00, sarebbe sufficiente a sostenere l'interesse ad ottenere e preservare la pronuncia giurisdizionale di annullamento del provvedimento negativo originariamente adottato dall'autorità.

5. Sempre sul piano processuale non risulta convincente neanche la tesi secondo la quale la mancata impugnazione della delibera 95/01, resa dall'Agcom a seguito della richiesta di riesame sollecitata con ordinanza del giudice di primo grado, produrrebbe il difetto di interesse alla coltivazione del ricorso avverso l'originaria determinazione negativa. Il Collegio deve convenire con i primi giudici circa la non necessità di un'apposita impugnativa del provvedimento, posto che la seconda statuizione, sprovvista di apprezzabili elementi di novità e di aspetti di autonomia concettuale, si sostanzia nell'illustrazione dei medesimi argomenti posti a sostegno della determinazione reiettiva. Trattasi pertanto di atto a carattere confermativo che trova nel provvedimento impugnato il suo unico antecedente e presupposto logico, e, che, quindi, non può non essere travolto, con effetto automaticamente caducante, a seguito dell'eliminazione del provvedimento iniziale.

Sotto altra prospettiva, l'assenza di effettivi elementi di novità e, soprattutto, la riproposizione, a corredo della successiva determinazione confermativa, delle stesse tesi giuridiche confutate dai giudici di primo grado in occasione della misura cautelare a carattere propulsivo, qualificano il provvedimento in termini di violazione della statuizione cautelare; donde, in applicazione di consolidati principi pretorii in tema di ottemperanza, l'emersione di una situazione di carenza di potere e, con essa, di radicale nullità della statuizione in parola.

6. Per concludere la rassegna dei profili processuali, non merita condivisione l'assunto sviluppato in sede di discussione orale secondo il quale la Telecom, in quanto parte estranea all'operazione di concentrazione, sarebbe stata priva della legittimazione a ricorrere avverso il provvedimento negativo adottato dall'Agcom. Il dato puramente formale della non assunzione della veste di parte contrattuale non toglie infatti che l'atto di diniego, adottato all'esito di procedimento al quale è stata chiamata a prendere parte la Telecom, muove proprio dalla considerazione dell'asserita impossibilità, per detta ultima società, di fare ingresso nel mercato della televisione in chiaro ed appare quindi lesivo dell'interesse di detto soggetto di entrare in detto mercato per il tramite della controllata Seat.

7. Prima di passare all'esame del mercato dei ricorsi principali si impone, per chiari motivi di pregiudizialità, la disamina degli appelli incidentali con i quali la Telecom ripropone la tesi a dire della quale il mancato rispetto del termine generale fissato dall'articolo 2 della legge 241/90, ai fini della definizione dei procedimenti amministrativi, avrebbe determinato l'esaurimento del potere interdittivo in capo all'autorità, con ciò sortendo l'effetto di legittimare le società interessate allo svolgimento dell'attività ai sensi del meccanismo della denuncia legittimante di cui all'articolo 19 della stessa legge 241/90. Di qui la conclusione secondo la quale, all'epoca del provvedimento negativo oggetto di gravame, l'operazione sarebbe già stata pienamente autorizzata in virtù del funzionamento del meccanismo semplificato previsto in termini generali dalla legge, con riferimento ad autorizzazioni sprovviste di profili di discrezionalità amministrativa.

La tesi non è meritevole di positiva considerazione.

La sezione, in disparte ulteriori considerazioni relative alla tempestività dei meccanismi di proroga, osserva che all'operatività della fattispecie della denuncia legittimante di cui all'articolo 19 cit. si oppone l'assorbente considerazione che la competenza esercitata dall'autorità è regolata da una disciplina speciale ratione materiae, che, in considerazione della sensibilità degli interessi in rilievo, contempla l'assoggettamento degli atti di trasferimento della proprietà delle società esercenti attività radiotelevisiva ad un provvedimento autorizzatorio dell'autorità di garanzia (articolo 1, comma 6, lett. c), n. 13, della legge 249/97). In specie, la norma di legge, intervenuta in epoca posteriore alla legge 241/90 ed alle successive modificazioni di questa che hanno interessato l'articolo 19, fa riferimento ad un meccanismo autorizzativo che si pone in termini di chiara differenziazione rispetto all'istituto della denuncia legittimante, in seno al quale la facultizzazione del soggetto allo svolgimento dell'attività, non più necessitante di un provvedimento abilitante espresso o tacito, promana dalla semplice iniziativa dell'interessato, se non seguita da un intervento di carattere repressivo-interdittivo da parte dell'amministrazione deputata al controllo. Chiarita la non pertinenza del richiamo all'articolo 19 della legge 241/90 per detto assorbente profilo, non risulta convincente neanche l'insistito richiamo alla consumazione del potere decisorio in capo all'Agcom, pacifico essendo che i termini per la definizione del procedimento amministrativo di cui al richiamato articolo 2 della legge 241/90 assumono una caratterizzazione sollecitatoria e che, in ogni caso, l'assunto della perentorietà, predicabile in astratto con riguardo ad interventi di carattere repressivo, proibitivo o sanzionatorio, sarebbe ontologicamente escluso, in quanto diretto a ritorcersi contro gli interessi del privato, con riferimento a procedimenti destinati a sfociare in provvedimenti capaci di arricchire la sfera giuridica dell'istante.

8. Si può ora passare all'esame delle censure che toccano il merito della controversia, ruotante attorno all'interpretazione dell'articolo 4, comma 8, ultimo periodo della legge 249/97, norma a mente della quale «la concessionaria del servizio pubblico di telecomunicazioni non può essere destinataria direttamente o indirettamente di concessioni radiotelevisive su frequenze terrestri in chiaro né fornire programmi e servizi né raccogliere pubblicità per i concessionari radiotelevisivi nazionali e locali su frequenze terrestri in chiaro».

8.1. Le tesi che si contrappongono sono così riassumibili.

a) Secondo la prospettazione offerta dall'Agcom e sviluppata dalle parti appellanti, la norma in parola identificherebbe come destinatario la società Telecom in quanto tale, descrittivamente identificata con la menzione del titolo di concessionaria di esclusiva del servizio di telecomunicazioni, ponendo un divieto destinato a sopravvivere alla cessazione della qualifica di concessionaria ovvero al venir meno della posizione monopolistica di cui questa aveva goduto fino all'avvio effettivo del processo di liberalizzazione del settore. A sostegno dell'assunto si osserva che la norma in parola sarebbe una disposizione asimmetrica volta ad evitare, anche per il tempo successivo al venir meno dei diritti esclusivi collegati tradizionalmente al titolo concessorio, lo sfruttamento del vantaggio competitivo rispetto agli operatori del settore scaturente dallo sfruttamento passato della posizione di monopolista.

b) Secondo l'opposta prospettiva abbracciata dalle società originariamente ricorrenti e fatta propria dai primi giudici, il menzionato articolo 4, comma 8, assumerebbe quale destinatario del divieto di ingresso nel settore delle comunicazioni la concessionaria del servizio pubblico di telecomunicazioni in considerazione della posizione di gestore esclusivo nel servizio di telecomunicazioni rivolto alla generalità degli utenti. Traendo linfa dalla premessa che il riferimento alla qualifica di concessionaria servirebbe non all'identificazione del destinatario ma all'esplicazione dello status che giustifica l'inibizione, si conclude che il venir meno della posizione di esclusività, per effetto del mutato quadro normativo nazionale e comunitario nel senso della liberalizzazione, avrebbe determinato l'esaurimento degli effetti del vetitum legislativo.

8.2. La sezione ritiene che un'analisi sistematica e costituzionalmente orientata della disciplina normativa di riferimento depone a favore della tesi sposata dai giudici di prime cure.

8.3. Giova partire dalla contestazione di fondo mossa dalle parti ricorrenti alla parabola argomentativa sviluppata dal tribunale. Secondo i ricorrenti, nonostante il dato letterale della disposizione sembri legare il divieto allo status di società concessionaria, occorre dare preferenza ad un approccio teleologico che prenda le mosse dalla ratio della prescrizione. Emerge allora che si è al cospetto di una norma orientata, in un'ottica asimmetrica, ad evitare che l'operatore storico ex monopolista instauri la propria attività nei mercati diversi da quello oggetto dell'esclusiva da poco cessata e, quindi, a favorire condizioni di parità sostanziale tra gli operatori; in una simile prospettiva proconcorrenziale, ispirata ad un'asimmetria benigna, il permanere della qualità formale della concessionaria finirebbe allora per perdere ogni rilievo ai fini della persistenza di un divieto che trova il suo fondamento in una posizione dominante certamente non superata automaticamente con il cessare sul piano formale dell'esclusiva legale.

La tesi non resiste ad una lettura attenta ai valori costituzionali ed ai principi comunitari in tema di eguaglianza, di libertà di iniziativa economica e di garanzia della concorrenza. La premessa secondo la quale al legislatore sarebbe consentito di dettare prescrizioni asimmetriche, destinate ad operare dopo l'avvento del processo di liberalizzazione e volte ad impedire all'ex monopolista di sfruttare la posizione dominante, è in linea astratta suscettibile di condivisione a patto che la trama legislativa sia corredata da limiti capaci di conchiudere in termini di ragionevolezza la penalizzazione stabilita in modo singolare nei confronti di un operatore.

Se infatti non è illogico che il legislatore, prendendo atto della gradualità fattuale dei processi di liberalizzazione, possa presumere juris et de jure che l'operatore monopolista conservi, anche dopo la sanzione formale del processo liberalizzatore, una posizione di fatto dominante capace di inquinare l'affermazione reale del principio concorrenziale, è nondimeno indubitabile che una disposizione di tal fatta, eccezionalmente diretta ai danni di un singolo operatore di un mercato ormai concorrenziale, può essere considerata ammissibile solo laddove fissi, in conformità ad un parametro di ragionevolezza, in modo diretto ovvero per relationem, il torno di tempo con riguardo al quale il legislatore reputa, sulla base di una presunzione assoluta non suscettibile di essere vanificata da prova concreta di segno contrario, che l'operatore storico vanti una posizione dominante suscettibile di alterare lo sviluppo concorrenziale.

Si intende in definitiva affermare che una norma asimmetrica di carattere singolare, in un regime di mercato concorrenziale, deve essere necessariamente temporanea. Una prescrizione la quale, in un mercato ormai liberalizzato, fissasse, a carico di uno specifico operatore economico, un divieto a tempo indeterminato rispetto al momento della cessazione della posizione di esclusiva, presumendo in modo assoluto il permanere di una posizione dominante anche con riferimento ad un periodo di tempo nel quale ragionevolmente gli effetti storici della posizione di monopolio potrebbero risultare superati o sensibilmente attenuati, presenterebbe una connotazione irragionevolmente discriminatoria, in chiaro contrasto con i principi di ragionevolezza, di eguaglianza, di libertà di iniziativa economica e di concorrenza ricavabili dagli articoli 3 e 41 Costituzione oltre che dalle disposizioni comunitarie anche relative al settore specifico di riferimento.

Nel caso di specie non è seriamente dubitabile che la tesi avversata, espungendo dal tessuto normativo il riferimento alla qualifica di concessionaria e, quindi, reputando irrilevante il venir meno della posizione di monopolio tradizionalmente ricollegata allo status in esame, finisce per il conferire alla disposizione asimmetrica un respiro temporale potenzialmente indefinito, e ciò in chiaro contrasto con i ricordati referenti costituzionali e, prima ancora, in contraddizione intrinseca con la pure affermata vocazione asimmetrica della prescrizione. Non può neanche valorizzarsi, al fine di recuperare una necessaria dimensione di temporaneità, il richiamo dell'articolo 5, comma 6, della legge 249/97, alla possibilità di una modifica delle disposizioni dettate dall'articolo 4 attraverso l'adozione di un regolamento di delegificazione da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 400/88. Non è infatti che non veda come la teorica possibilità dell'avvio di un processo di delegificazione, espressione di scelte politiche non suscettibili di coercizione, non valga a conferire alla norma una dimensione temporale certa che, sola, può rendere costituzionalmente ammissibile una disposizione volta a dettare una disposizione proibitiva a carico di un operatore specifico nel contesto di un mercato liberalizzato.

8.4. L'irrazionalità, anche sul piano costituzionale, della lettura patrocinata dalle parti appellanti è vieppiù accentuata dalla considerazione, efficacemente espressa dai primi giudici, che, venuta meno l'efficacia della proibizione legislativa di cui all'articolo 4, la tutela dei valori di concorrenzialità e di pluralismo nel settore delle telecomunicazioni non resta sguarnita di presidio e rifluisce:

a) per «i settori delle comunicazioni sonore e televisive», nelle forme procedimentali e nei criteri di valutazione stabiliti dall'articolo 2 della legge 249/97, rimessi alla competenza dell'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed oggetto di specifica disciplina con il regolamento 26/1999;

b) per il più ampio settore delle comunicazioni, nei poteri di vigilanza e controllo dell'autorità garante della concorrenza e del mercato, con il concorso in via consultiva dell'Agcom giusta il disposto di cui all'articolo 1, comma 6, lett. c), n. 11, della legge 249/97.

Reputa invero la sezione che la presenza, nel tessuto ordinamentale, di norme di carattere generale idonee a garantire la verifica in concreto della compatibilità di operazioni e comportamenti delle imprese con i valori della concorrenza e del pluralismo rendano ancora più plasticamente evidente l'incongruità di un'opzione ermeneutica che finisce per reputare operante un divieto a tempo indeterminato, sulla base di una valutazione astratta non suscettibile di confutazione, quand'anche, per effetto del decorso del tempo, ne siano venuti meno i presupposti fattuali. Una lettura di tal fatta, ricavando dall'articolo 4, comma 8, della legge 249/97 una inibizione assoluta, finisce infatti per privare, in via autoritativa ed a tempo indeterminato, un operatore economico della possibilità di tutelare i suoi diritti dimostrando, all'esito di procedimenti ispirati alla logica del contraddittorio, la non ricorrenza in concreto di profili pregiudizievoli per la piena esplicazione del gioco concorrenziale e per la salvaguardia dei valori del pluralismo nel settore delle comunicazioni. Emblematica dell'incongruità dei risultati ai quali conduce la tesi interpretativa portata avanti dalle parti appellanti si appalesa la compresenza, nella vicenda in concreto, di un provvedimento negativo dell'Agcom, basato sulla mera valorizzazione dello sbarramento assoluto derivante dalla presunzione juris et de jure dell'incompatibilità con il principio dell'effettività della concorrenza dell'ingresso nel mercato televisivo dell'ex monopolista nel settore delle telecomunicazioni, e di un provvedimento di segno opposto dell'Agcm, che, chiamata a pronunciarsi ai sensi dell'articolo 6 della legge 287/90, ha ritenuto, sulla base questa volta di una verifica in concreto della situazione di mercato, che, nel rispetto delle prima ricordate prescrizioni correttive, l'operazione in esame non fosse idonea ad eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza.

8.5. Le considerazioni fin qui svolte mettono in risalto l'incostituzionalità della tesi che finisce per qualificare la prescrizione di cui all'articolo 4, comma 8, della legge 249/97 alla stregua di norma proibitiva, singolare, asimmetrica e sostanzialmente a tempo indeterminato.

In omaggio al canone ermeneutico che impone la preferenza per un approccio interpretativo costituzionalmente orientato, si deve allora privilegiare l'interpretazione offerta dai primi giudici che, in conformità al dato letterale, collega alla permanenza dello status di gestore esclusivo la ratio e, con essa, il raggio temporale di azione della limitazione legale posta all'attività di impresa della Telecom. Ne deriva che la definitiva perdita della qualifica di monopolista e l'ingresso sul mercato della telefonia vocale di altri operatori, resi possibili in virtù dell'attuazione del processo di liberalizzazione innescata dal Dpr 318/97 sulla base di principi di non discriminazione e di non proporzionalità (articolo 2), hanno determinato il venir meno delle condizioni che giustificavano e rendevano costituzionalmente compatibile il divieto. È superfluo soggiungere che con l'ingresso effettivo di altri operatori nel settore della telefonia vocale è venuta meno la differenziazione della posizione giuridica della Telecom fotografata dalla legge del 1997 e, soprattutto, è divenuta non più tollerabile una limitazione posta a carico di uno solo degli operatori nel settore de quo, in modo avulso dalla verifica in concreto della posizione dominante e dei rischi concorrenziali, al cospetto della possibilità di ingresso degli altri operatori, teoricamente dotati anche di notevole forza anche in ambito internazionale, nel settore del marcato televisivo in chiaro.

8.6. Non vale a superare le osservazioni fin qui svolte la considerazione secondo la quale la tesi ora esposta finirebbe per svuotare di significato la prescrizione dettata dalla legge 249/97, posto che proprio detta normativa ha sancito il passaggio dal sistema monopolistico all'assetto liberalizzato nel settore delle telecomunicazioni. A tale rilievo si deve replicare che la legge 249/97 ha sancito in termini programmatici il principio della liberalizzazione nel settore che qui rileva, rinviando alle successive determinazioni la fissazione di modi e tempi per il venir meno della posizione esclusiva della Telecom e per l'effettivo ingresso di altri operatori concorrenti.

Solo il Dpr 318/97, regolamento di delegificazione per l'attuazione delle direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni, ha dotato di effettività il processo di liberalizzazione, sancendo il venir meno, in un arco di tempo compreso tra il 1° gennaio 1998 ed il 1° gennaio 1999, dei diritti speciali e di esclusiva per l'offerta del servizio della telefonia vocale, l'allineamento delle concessioni e delle autorizzazioni alle disposizioni regolamentari, l'eliminazione degli obblighi derivanti dalle concessioni non compatibili con la nuova disciplina e, infine, l'assoggettamento dell'offerta del servizio di telefonia vocale a licenze individuali le cui condizioni sono basate su criteri di obiettività, proporzionalità, non discriminazione e trasparenza (articolo 2, commi 3 e seguenti; articolo 5, comma 6).

Giova soggiungere che, in ossequio a detta disciplina, l'Agcom ha rilasciato, in data 22 novembre 2000, licenza individuale per la prestazione del servizio di telefonia locale in favore della Telecom.

Non assume neanche rilievo la disputa formale circa la permanenza o meno, dal punto di vista formale, del titolo concessorio anche dopo le ricordate scadenze fissate dal Dpr 318/97.

La ricordata necessità di privilegiare una lettura costituzionalmente compatibile consente agevolmente di ravvisare nella qualità di gestore esclusivo tradizionalmente connessa alla qualità di concessionario il significato del riferimento alla posizione di concessionario contenuto nell'articolo 4, comma 8, più volte citato.

Una volta che la concessione è stata depurata dei profili di specialità e di esclusività che la connotavano, in virtù dell'allineamento imposto dal Dpr 318/97, e che alla Telecom è stata rilasciata licenza individuale, la posizione dell'ex gestore esclusivo, operante sul mercato in concorrenza con i nuovi licenziatari, ha smarrito quei profili qualificanti capaci di giustificare un divieto assoluto operante a prescindere dalla verifica in concreto della situazione di mercato e degli effetti derivanti dalle operazioni di condentrazione.

L'affermarsi della concorrenza ha imposto a questo punto, in coerenza con il principio di non discriminazione coessenziale alla logica del mercato, il superamento di divieti meccanici privi della ragione giustificatrice originaria e potenzialmente idonei a determinare situazioni anticompetitive.

Non decisiva appare infine l'osservazione, sviluppata dagli appellanti, secondo cui la volontà legislativa di non fissare un termine preciso per il divieto in esame si ricaverebbe dalla comparazione con le altre disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge che, riferendosi alla medesima concessionaria, fissano divieti connotati da una dimensione temporale. La mancanza di un termine proprio per il divieto in parola, lungi dal suffragare la tesi della perpetuità del divieto, rafforza la ricordata necessità di agganciare alla permanenza dello status di gestore esclusivo il divieto e di individuare nella transizione al mercato liberalizzato resa possibile dall'attuazione del Dpr 318/97, al più tardi in coincidenza con il 1° gennaio del 1999, la caducazione degli effetti della prescrizione inibitoria.

9. Le considerazioni che precedono dimostrano l'illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, stante la non perdurante operatività del divieto normativo sul quale è fondato l'unico motivo a sostegno del diniego di un'autorizzazione che, ai sensi dell'articolo 1, comma 6, lett. c), n. 13, della legge 249/97, non presenta profili di discrezionalità amministrativa. Ne deriva l'automatica caducazione del provvedimento confermativo successivamente adottato dall'Agcom.

10. Gli appelli principali, al pari di quelli incidentali, vanno pertanto respinti mentre la sentenza di primo grado merita integrale conferma.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riuniti i ricorsi in epigrafe indicati, respinge gli appelli principali ed incidentali e conferma la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Copertina