Giustamm.it

Giurisprudenza
n. 9-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 7 agosto 2002 n. 4133 - Pres. Schinaia, Est. Salemi - Ministero dei Beni culturali e ambientali (Avv. Stato Barbieri) c. Riccò (n.c.) - (annulla T.A.R. Veneto, Sez. II, sent. 29 maggio 1995, n. 874).

1. Ambiente - Vincolo paesaggistico - Autorizzazione paesaggistica rilasciata in sede regionale - Annullamento in sede statale - Natura del potere esercitato dall'Autorità statale - Individuazione.

2. Ambiente - Vincolo paesaggistico - Autorizzazione paesaggistica rilasciata in sede regionale - Annullamento in sede statale - Può riguardare tutti i vizi di legittimità, compreso l'eccesso di potere.

3. Ambiente - Vincolo paesaggistico - Autorizzazione paesaggistica rilasciata in sede regionale - Annullamento in sede statale - Per vizi di merito - Impossibilità - Indicazione di circostanze di fatto ed elementi specifici - Necessità - Fattispecie.

4. Ambiente - Vincolo paesaggistico - Autorizzazione paesaggistica rilasciata in sede regionale - Motivazione congrua - Necessità - Sussiste non solo nel caso di diniego, ma anche in sede di rilascio.

1. Il potere riconosciuto al Ministro per i beni culturali ed ambientali dall'art. 1, quinto comma, della legge n. 431 del 1985 (integrativo dell'art. 82, nono comma, del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616) di annullare le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate in sede regionale deve intendersi quale espressione non già di un riesame nel merito del provvedimento regionale (o subregionale), bensì di un potere di annullamento di ufficio per motivi di legittimità, riconducibile al più generale potere di vigilanza, che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei confronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle Regioni in materia di gestione del vincolo (1).

2. L'annullamento in sede statale dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata in sede regionale, potendo riguardare tutti i vizi di legittimità, comprese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, consente al Ministro di espletare un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio di cui all'art. 7 della L. 29 giugno 1939, n. 1497 (2).

3. Il provvedimento statale di annullamento dell'autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sull'esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale cooperazione o con gli altri principi sulla legittimità dell'azione amministrativa (3) (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto legittimo il provvedimento di annullamento statale, atteso che esso si fondava su considerazioni di legittimità, trattandosi di un invaso per l'allevamento ittico e la pesca sportiva, da realizzare alla confluenza di due antichi corsi d'acqua, il quale - come rilevato in sede statale - veniva a modificare il regime delle acque, profilo questo non esaminato in sede regionale).

4. Il sede di rilascio di una autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497/1939, si richiede un'adeguata motivazione anche in caso di provvedimenti positivi, i quali, nel caso di interventi incidenti in zone paesaggistiche protette, debbono essere congruamente motivati con l'indicazione della ricostruzione dell'iter logico seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettive che possano, ove sussistenti, consentire tutti i progettati lavori, considerati nella loro globalità; tale principio, peraltro, ha trovato esplicita conferma nell'art. 3, primo comma, della legge n. 241 del 1990, che ha introdotto l'obbligo di motivazione per ogni atto amministrativo, sia esso positivo o negativo (4).

------------------------

(1) Cfr., di recente, Cons. Stato, Ad. Plen., dec. 14 dicembre 2001 n. 9, in questa Rivista, n. 11/2001, con commento di G. BACOSI, Limiti del potere statale di annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato in sede regionale.

(2) Ha precisato in particolare la Sez. VI che i poteri del Ministro si caratterizzano per le seguenti peculiari soluzioni procedimentali:

a) il Ministro può esercitare un potere tecnico discrezionale sul "se" annullare l'autorizzazione, nel senso che può gestire il vincolo prestando il proprio consenso (anche quando l'autorizzazione non risulti adeguatamente motivata), qualora l'originaria domanda risulti di per sé accoglibile e non lesiva per i valori salvaguardati (salva la tutela giurisdizionale di chi sia legittimato ad impugnare l'autorizzazione illegittima);

b) qualora ritenga di non prestare il proprio consenso e di avvalersi del potere di annullamento (a salvaguardia del principio di legalità ovvero per evitare il pregiudizio all'area tutelata), il Ministro può svolgere l'ampio sindacato di legittimità consentito dall'ordinamento (corrispondente a quello che potrebbe esercitare il giudice amministrativo nel caso di impugnazione dell'autorizzazione non annullata in sede amministrativa);

c) in questo secondo caso, il Ministro (a differenza di quanto avviene in sede giurisdizionale, in cui la legittimità dell'autorizzazione divenuta efficace va esaminata nei limiti dei motivi dell'impugnazione) può esaminare d'ufficio tutte le questione e porre a base dell'annullamento ogni riscontrato vizio (con una motivazione che non può dunque ridursi ad una mera clausola di stile del pregiudizio ai valori ambientali).

(3) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., dec. 14 dicembre 2001 n. 9, cit.

(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 1997, n. 952.

 

 

FATTO

Il sig. Renzo Riccò adiva il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, chiedendo l'annullamento del decreto del Ministro per i Beni culturali ed ambientali del 17 maggio 1994, concernente l'annullamento del decreto del 27 dicembre 1993 con cui l'Amministrazione provinciale di Verona lo aveva autorizzato, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497/1939, a realizzare un invaso per l'allevamento ittico e di pesca sportiva in un fondo di sua proprietà in località Corte Sacco del Comune di Trevenzuolo.

Con sentenza n. 874 del 29 maggio 1995, il T.A.R. accoglieva il ricorso, osservando che il Ministro aveva effettivamente compiuto un riesame nel merito del provvedimento autorizzatorio provinciale.

Ad avviso del giudice di prime cure, ciò emerge in particolare laddove si è considerato che ".l'intervento presenta caratteri di notevole alterazione ambientale in quanto si verrebbe a creare un grave sconvolgimento in un punto particolarmente significativo del territorio, trattandosi della confluenza di due antichi corsi d'acqua, con possibile turbativa del regime delle acque in tempo di piena" e che "l'autorizzazione in esame, qualora attuata, comporterebbe l'alterazione di tratti paesistici-ambientali caratterizzanti l'attuale morfologia del territorio tutelato ex lege e che pertanto la stessa è da ritenersi data in violazione della relativa specifica disposizione normativa di tutela paesistica attualmente vigente contenuta nell'art. 82, V comma, lett. c), del D.P.R. n. 616/1977".

Sempre secondo il suddetto giudice, è pur vero che nel provvedimento impugnato si censura l'autorizzazione provinciale anche sotto il profilo della carenza di motivazione, ma tale motivazione, anche se scarna, esiste ed inoltre la Provincia ha attivato anche una fase istruttoria, per cui la surriferita esclusione del pregiudizio alla tutela dell'ambiente deve essersi necessariamente fondata sui risultati di tale istruttoria e sulla documentazione acquisita; infine, nell'autorizzazione provinciale vengono date specifiche prescrizioni da osservare, giustificate, nella premessa, "al fine del più armonico inserimento delle nuove opere nel paesaggio".

Di qui la conseguenza che nel provvedimento impugnato il vizio di carenza di motivazione sarebbe stato dedotto in modo assolutamente generico, senza alcun riferimento all'istruttoria compiuta e alle prescrizioni imposte e, soprattutto, senza collegare tale vizio alla mancanza - nel decreto provinciale annullato - di ragioni idonee ad evidenziare la compatibilità del progetto autorizzato con il vincolo paesistico.

Avverso la summenzionata sentenza ha proposto appello il Ministero per i beni e le attività culturali.

Ad avviso della difesa dell'Amministrazione, le considerazioni contenute nel provvedimento di annullamento altro non rappresentano che l'esplicitazione dei profili di carente motivazione che inficiavano il provvedimento annullato, sicché il potere di annullamento è stato mantenuto nell'ambito del controllo di legittimità.

Il motivo di censura è stato ribadito ed ulteriormente illustrato nella memoria depositata il 5 aprile 2002.

La parte appellata non si è costituita in giudizio.

Alla pubblica udienza del 23 aprile 2202, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso in appello è fondato.

2. Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso sotto il profilo che il decreto ministeriale 17 maggio 1994, di annullamento del nulla osta paesaggistico previsto dall'art. 7 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 e rilasciato dall'Amministrazione provinciale di Verona con decreto n. BA/3253/93 del 27 dicembre 1993, sarebbe illegittimo per avere compiuto un riesame nel merito del provvedimento autorizzatorio.

In particolare ciò risulterebbe dalla considerazione, espressa nel decreto ministeriale, che ".l'intervento presenta caratteri di notevole alterazione ambientale in quanto si verrebbe a creare un grave sconvolgimento in un punto particolarmente significativo del territorio, trattandosi della confluenza di due antichi corsi d'acqua, con possibile turbativa del regime delle acque in tempo di piena" e che "l'autorizzazione in esame, qualora attuata, comporterebbe l'alterazione di tratti paesistici-ambientali caratterizzanti l'attuale morfologia del territorio tutelato ex lege e che pertanto la stessa è da ritenersi data in violazione della relativa specifica disposizione normativa di tutela paesistica attualmente vigente contenuta nell'art. 82, V comma, lett. c), del D.P.R. n. 616/1977".

Tali rilievi non possono essere condividersi.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr., di recente, C.d.S., A.P. 14 dicembre 2001, n.9), il potere riconosciuto al Ministro per i beni culturali ed ambientali dall'art.1, quinto comma, della legge n.431 del 1985 (integrativo dell'art.82, nono comma, del D.P.R. 24 luglio 1977 n.616) deve intendersi quale espressione, non già di un riesame nel merito del provvedimento regionale (o subregionale), bensì di un potere di annullamento di ufficio per motivi di legittimità, riconducibile al più generale potere di vigilanza, che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei confronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle Regioni in materia di gestione del vincolo.

La stessa giurisprudenza è, però, altrettanto ferma nel sottolineare che l'annullamento, potendo riguardare tutti i vizi di legittimità, comprese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, consente al Ministro di espletare un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio di cui all'art.7 della L. 29 giugno 1939 n.1497. In particolare, i poteri del Ministro si caratterizzano per le seguenti peculiari soluzioni procedimentali:

- il Ministro può esercitare un potere tecnico discrezionale sul "se" annullare l'autorizzazione, nel senso che può gestire il vincolo prestando il proprio consenso (anche quando l'autorizzazione non risulti adeguatamente motivata), qualora l'originaria domanda risulti di per sé accoglibile e non lesiva per i valori salvaguardati (salva la tutela giurisdizionale di chi sia legittimato ad impugnare l'autorizzazione illegittima);

- qualora ritenga di non prestare il proprio consenso e di avvalersi del potere di annullamento (a salvaguardia del principio di legalità ovvero per evitare il pregiudizio all'area tutelata), il Ministro può svolgere l'ampio sindacato di legittimità consentito dall'ordinamento (corrispondente a quello che potrebbe esercitare il giudice amministrativo nel caso di impugnazione dell'autorizzazione non annullata in sede amministrativa);

- in questo secondo caso, il Ministro (a differenza di quanto avviene in sede giurisdizionale, in cui la legittimità dell'autorizzazione divenuta efficace va esaminata nei limiti dei motivi dell'impugnazione) può esaminare d'ufficio tutte le questione e porre a base dell'annullamento ogni riscontrato vizio (con una motivazione che non può dunque ridursi ad una mera clausola di stile del pregiudizio ai valori ambientali).

Come pure precisato dalla giurisprudenza (cfr. A.P. n.9/2001, cit.), il provvedimento statale di annullamento dell'autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sull'esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale cooperazione o con gli altri principi sulla legittimità dell'azione amministrativa.

Nella specie, le considerazioni espresse dal Ministero costituiscono espressione di un sindacato che, contrariamente, a quanto ritenuto dal primo giudice, si è mantenuto nell'alveo della legittimità.

Infatti, l'Amministrazione provinciale ha ritenuto che il progettato intervento, costituito da un invaso per l'allevamento ittico e la pesca sportiva, non recasse "sostanzialmente pregiudizio per la tutela dell'ambiente" e che fosse soltanto conveniente, al fine del più armonico inserimento delle nuove opere nel paesaggio, introdurre alcune modificazioni al progetto (messa a dimora di piante più folte e diverse rispetto al progetto presentato con un'altezza della nuova arginatura non superiore a cm. 60), ma non ha tenuto conto delle caratteristiche paesistico-ambientali del territorio e della possibilità, trattandosi della confluenza di due antichi corsi d'acqua, che fosse pregiudicato il regime delle acque, secondo quanto, invece, argomentato dall'Amministrazione statale.

In proposito, va ribadito che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, che assume specifico rilievo in una fattispecie di siffatta delicatezza, in sede di autorizzazione a norma dell'art.7 della legge n.1497 del 1939, si richiede un'adeguata motivazione anche in caso di provvedimenti positivi i quali, nel caso di interventi incidenti in zone paesaggistiche protette, devono essere congruamente motivate con l'indicazione della ricostruzione dell'iter logico seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettive che possano, ove sussistenti, consentire tutti i progettati lavori, considerati nella loro globalità (cfr., ad es., questa Sezione, 20.6.1997, n.952).

E, d'altra parte, il richiamato indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale l'autorizzazione paesaggistica deve essere adeguatamente motivata in ragione della sua specialità, a differenza di quanto si riteneva per gli altri atti autorizzatori di contenuto positivo, ha trovato esplicita conferma nell'art. 3, primo comma, della legge n. 241 del 1990 che ha introdotto l'obbligo di motivazione per ogni atto amministrativo, sia esso positivo o negativo.

In conclusione, va confermato il rilievo di carenza di motivazione che vizia l'atto provinciale.

3. Alla stregua delle considerazioni svolte, l'appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza appellata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese e competenze di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto da Riccò Renzo. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA Presidente

Alessandro PAJNO Consigliere

Giuseppe ROMEO Consigliere

Guido SALEMI Consigliere Est.

Roberto CHIEPPA Consigliere

Depositata in cancelleria il 7 agosto 2002.

Copertina Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico