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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 9 settembre 2002 n. 5579 - Pres. Giovannini, Est. Montedoro - Varone (Avv. R. Liberatore) c. Inail (Avv. G. Guarino) - (conferma T.A.R. Lazio, Sez. III, 26 maggio 1998, n. 1190).

1. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Recupero di indebito - E' atto dovuto - Previsione di modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze di vita del dipendente - Nel caso di buona fede di quest'ultimo - Necessità.

2. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Recupero di indebito - Buona fede del percipiente - Non esclude ex se il recupero - Valutazione degli interessi implicati e della lesione che il recupero produce al dipendente - Necessità - Fattispecie.

3. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Recupero di indebito - Prescrizione - Nel caso in cui l'amministrazione non abbia alcun potere discrezionale - E' decennale - Decorrenza - Dal momento in cui gli emolumenti sono stati erogati.

1. Il recupero di somme indebitamente erogate dalla p.a. ai propri dipendenti ha carattere di doverosità, nascendo direttamente dal disposto dell'art. 2033 c.c., salvo l'onere di procedervi con modalità tali da non incidere soverchiamente sulle esigenze di vita in caso di buona fede del debitore (1).

2. La buona fede del percipiente non rappresenta di per sé un ostacolo al recupero di emolumenti indebitamente corrisposti, ma comporta la necessità di una più approfondita valutazione e ponderazione degli interessi implicati, rapportata peraltro anche all'entità delle lesioni dell'interesse del dipendente; pertanto, nonostante la percezione in buona fede, può ritenersi legittimo l'atto che disponga la ripetizione dell'indebito quando risulti che il detto interesse, per la tenuità del sacrificio connesso al recupero, non può considerarsi prevalente su quello pubblico, per sua natura sempre attuale e concreto (2).

3. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia alcun potere discrezionale di decidere in merito all'applicabilità immediata o meno di disposizioni che prevedono l'erogazione di stipendi, assegni od indennità nei confronti dei dipendenti pubblici (nella specie si trattava delle modalità applicative del d.p.r. n. 411/76), per la ripetizione degli emolumenti non dovuti si applica la prescrizione decennale, il cui termine decorre dal momento in cui gli emolumenti sono stati erogati (3).

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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 1990, n. 390; sez. IV, 26 luglio 1978, n. 762; sez. IV, 4 luglio 1978, n. 649.

Ha osservato in proposito la sez. VI che l'amministrazione ha il diritto, che trova il suo fondamento nell'art. 2033 del cod. civ., di recuperare le somme indebitamente corrisposte ai pubblici impiegati. Il recupero ha carattere di doverosità, si tratta di un'eccezione al divieto di atti di autotutela privata (art. 406 del regolamento di contabilità generale dello Stato di cui al r.d. 23/5/1924 n. 827); l'amministrazione fa valere in fondo una posizione di diritto soggettivo, l'interesse legittimo dell'amministrato soggetto all'atto di recupero è, al più, relativo alla verifica della legittimità delle modalità della disposta ripetizione.

(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 settembre 1998, n. 1330.

Nella specie la sez. VI ha ritenuto insussistente la buona fede, tenuto conto del fatto che non solo l'amministrazione aveva effettuato costantemente delle riserve di ripetizione all'atto del pagamento degli acconti, sottoscritte dagli interessati, ma anche dell'accessorietà e dell'entità non elevata delle somme in contestazione, le quali consentivano di ritenere che non vi era stata alcuna lesione di diritti fondamentali della persona umana, costituzionalmente garantiti.

(3) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 1979 n. 607; Sez. II, 18 dicembre 1996 n. 2612; Comm. spec., 3 maggio 1993 n. 279.

Sull'illegittimità del recupero di emolumenti a seguito di rettifica del precedente inquadramento, ove, per effetto della qualifica precedentemente attribuita, il dipendente pubblico abbia legittimamente svolto le corrispondenti funzioni v. in questa Rivista Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 2001 n. 3077.

 

FATTO

L'avv. Pasquale Varone appartenente al ruolo professionale legale dell'INAIL, ha impugnato il provvedimento 3/1/1986 con cui l'Istituto medesimo gli comunica che avrebbe proceduto al recupero della somma di lit. 8.656.793 (euro 4470,86) in occasione della liquidazione quadrimestrale degli onorari.

A sostegno del gravame ha dedotto:

1) Violazione di norme di diritto con riferimento al principio generale dell'irripetibilità delle somme percepite in buona fede dai dipendenti pubblici.

Secondo il ricorrente, l'INAIL, considerate le difficoltà interpretative alle quali aveva dato luogo l'art. 30 comma 2 del D.P.R. n.411/76, in relazione sia al disposto dell'art.31 della legge n.70/75 (che salvaguardava i diritti quesiti) sia in relazione alla situazione di fatto (atteso che l'ordinamento per gradi degli appartenenti al ruolo legale avrebbe continuato ad operare presso l'Istituto anche dopo l'emanazione del d.p.r. n.411/1976 e fino al 30/11/78, pur non conciliandosi tale ordinamento con il nuovo sistema di riparto degli onorari e delle competenze previsto dal citato art.30), avrebbe adottato nel tempo provvedimenti contraddittori, ripartendo, dapprima, le competenze accessorie relative agli anni 1976 e parte del 1977 in base ai nuovi criteri di cui al medesimo art.30, e, poi, a decorrere dal marzo 1978, operando conguagli e provvedendo ad erogare competenze (fino a quasi tutto il 1978) sulla base dei criteri previsti dal "regolamento per le competenze accessorie" che, dal 1934, disciplinava tale riparto, tenendo conto del grado del singolo legale e della sede di appartenenza.

Con il provvedimento impugnato (provvedimento datato 31/1/1986 con cui l'INAIL comunicava al ricorrente che avrebbe proceduto al recupero della somma di lit. 8.656.793, in occasione della liquidazione quadrimestrale degli onorari legali nei limiti di un quinto delle spettanze), qualificato dall'ente come ripartizione definitiva, viene operata una ripetizione a carico del ricorrente, ritenendo immediatamente operante, dalla data di entrata in vigore (15/6/1976) del d.p.r. n.411/76, il sistema di riparto dal medesimo previsto nell'art.30 comma 2; con ciò, peraltro, ignorando, che l'ordinamento interno dell'INAIL è stato adeguato a tale d.p.r. a decorrere dal 30/11/1978.

Pertanto il ricorrente, quale percettore in buona fede di un elemento della retribuzione corrisposta asseritamente in misura superiore al dovuto, non sarebbe tenuto alla restituzione.

Né la buona fede potrebbe escludersi per il fatto che tutte le erogazioni effettuate a tale titolo, recavano la riserva in favore dell'INAIL di ripetere eventuali somme che fossero risultate non dovute all'atto della ripartizione definitiva degli onorari e delle competenze, risolvendosi tale riserva in una formula di stile inserita in ogni foglio stipendiale.

Con tali riserve l'INAIL avrebbe inteso attribuire carattere provvisorio al pagamento per evitare il rischio (dell'irripetibilità delle somme percepite in buona fede dal dipendente), incombente sulla pubblica amministrazione allorché la stessa preferisca effettuare i pagamenti, pur esistendo perplessità sulla spettanza dei medesimi.

Nella specie poi il debito di notevole importo insisterebbe in modo insostenibile sul bilancio familiare del ricorrente.

2) Eccesso di potere per difetto di motivazione.

L'INAIL non ha compiuto alcuna comparazione fra l'interesse pubblico al recupero ed il pregiudizio subito dal soggetto privato gravato dall'obbligo di restituzione e non ha indicato i pagamenti e le date precise in cui sono stati effettuati, in tal modo precludendo all'interessato di verificare con esattezza l'entità delle somme di cui l'istituto pretende la restituzione e di contestarne il quantum.

3) Eccesso di potere per carenza di istruttoria, erroneità dei presupposti e manifesta ingiustizia.

Nella specie il provvedimento di recupero sarebbe stato adottato senza alcuna istruttoria diretta ad individuare nella sua effettività l'ipotetico credito che l'Istituto pretende di recuperare, omissione che non consentirebbe all'istante di verificare con precisione ciò che dovrebbe restituire, tant'è che non si sa se le somme richieste siano state considerate al netto o al lordo dei contributi previdenziali e delle imposte, che hanno gravato sulle stesse nel momento dell'erogazione al ricorrente, esposto a duplicazioni di imposizione.

4) Insussistenza della pretesa creditizia per intervenuta prescrizione ex art.2948 n.4 del cod. civ..

All'epoca degli atti interruttivi, avuto riguardo alla data degli effettivi pagamenti erano decorsi cinque anni.

L'INAIL ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per omessa impugnativa dell'atto 17/2/1983 e l'infondatezza nel merito.

Il Tar del Lazio Sez.III, con la sentenza impugnata, trascurando l'eccezione di inammissibilità del ricorso dedotta dall'INAIL per omessa impugnativa della nota 17/2/1983, ha respinto il ricorso nel merito.

Il giudice di primo grado ha rilevato che l'INAIL riserva in favore dei propri legali una quota parte degli onorari e delle competenze riscossi nel corso dell'anno, in aggiunta al trattamento economico già percepito da tali dipendenti, secondo quanto attualmente disposto dal d.p.r. n. 411/76.

L'ammontare e la stessa esistenza di tale erogazione ha carattere incerto e variabile in quanto legata a fatti mutevoli (numero dei percettori ed entità degli onorari riscossi).

In relazione a tale variabilità la corresponsione di dette competenze viene fatta dall'istituto prima in via provvisoria, con espressa riserva di liquidazione definitiva e di eventuale recupero o conguaglio in tale sede, e poi viene fissata (periodicamente) nel suo ammontare definitivo, con la conseguente ripetizione di quanto eventualmente corrisposto in eccedenza al rispetto alla quota di spettanza di ciascun beneficiario.

In particolare maggiore incertezza era legata al passaggio da un vecchio ad un nuovo regime di calcolo di detti benefici, in conseguenza della prima applicazione dell'art.30 del d.p.r. n.411/76.

Ciò premesso in vie generale il Tar ha respinto l'eccezione di prescrizione per esservi prescrizione decennale e non quinquennale dell'indebito oggettivo ex art.2946 cod. civ., mentre, nel merito, ha ritenuto, sulla scorta di giurisprudenza del Consiglio di Stato, che l'art.30 del d.p.r. n.411/76 era normativa di immediata applicazione e quindi rilevante senza che fosse invocabile il meccanismo di salvaguardia vigente prima del periodo di entrata in vigore della predetta normativa contrattuale.

In presenza delle riserve di ripetizione dell'ente il Tar ha escluso la buona fede del percipiente, ed in considerazione della natura accessoria degli emolumenti ha escluso la compromissione di esigenze fondamentali della vita.

Il ricorso in appello ha precisato in punto di fatto che, nel sistema previgente l'entrata in vigore della legge 20 marzo 1975, l'erogazione dell'accessorio economico dovuto per onorari e competenze avveniva secondo la disciplina dettata dall'art.20 del regolamento per le competenze accessorie, secondo una ripartizione annua del 100% degli incassi, previa formazione di una quota base e di quote individuali stabilite in relazione alla gerarchia degli appartenenti al ruolo legale.

Successivamente all'entrata in vigore della legge n.70/75 la materia veniva contrattualizzata ed il primo contratto recante previsioni di nuova disciplina era il d.p.r. n.411/76 (art.30) il quale stabiliva che: "ai funzionari del ruolo professionale che svolgono effettivamente attività legale è attribuita una quota pari all'80% delle somme riscosse dall'ente a titolo di competenze di procuratore ed onorari di avvocato. Tale quota è ripartita tra gli avvocati abilitati al patrocinio in Cassazione con almeno quindici anni di servizio, gli avvocati e procuratori con più di tre anni di servizio e gli altri avvocati e procuratori rispettivamente secondo i seguenti coefficienti: 2; 1,5; 1."

In fase di prima applicazione della normativa, in un primo momento, l'INAIL erogava acconti sulle competenze legali, salvo conguaglio, sul presupposto che la normativa fosse immediatamente operativa (delibere del 9/11/76, del 5/4/77 e corresponsione di acconto del 27/10/77).

Successivamente, con determinazione del Direttore Generale del 17/2/78 l'INAIL riteneva necessaria una normativa di attuazione dell'art.30 cit., ed in attesa di tale normativa adottava criteri provvisori di riparto, prevedendo la ripartizione al 100% delle competenze maturate prima dell'entrata in vigore del d.p.r. n.411/76 (25/6/76), mentre per le somme maturate successivamente, ferma la riduzione alla quota dell'80% complessivo degli incassi distribuibili, considerava quale regola distributiva quella delle quote di ripartizione previste dal regolamento delle competenze accessorie.

Quindi l'Istituto fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento del personale e del nuovo ordinamento dei servizi, operava applicando le quote di ripartizione del vecchio regolamento per le competenze accessorie, ciò perché il nuovo criterio era considerato collegato all'abolizione effettiva del vecchio ruolo gerarchico.

Nel frattempo l'avv. Varone riceveva acconti salvo conguaglio e con riserva espressa di ripetizione, fino al provvedimento definitivo di liquidazione e recupero per cui è processo.

Ciò premesso in punto di fatto e ripercorso lo svolgimento processuale, l'appello propone i seguenti motivi di diritto:

Violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 cod. civ..

Si sostiene che il credito per cui si controverte non costituirebbe un indebito oggettivo ma il frutto di una scelta discrezionale dell'INAIL in materia di retribuzione. Si insiste per l'irrilevanza della lettera 17/2/1983 ai fini dell'interruzione della prescrizione.

Omessa motivazione su un punto essenziale ai fini del decidere.

Il Tar del Lazio non ha tenuto conto del dato di fatto che l'INAIL non ha immediatamente abolito il preesistente ordinamento gerarchico per gradi e quindi della necessità di mantenere il criterio di riparto fissato dal preesistente regolamento per le competenze accessorie.

Violazione del principio generale del diritto dell'irripetibilità delle somme percepite in buona fede.

Essendo gli onorari conformi al grado la loro percezione era sicuramente in buona fede, mentre le riserve di ripetizione avevano natura puramente cautelativa, in presenza di incertezza applicative dell'istituto.

4) Violazione sotto altro profilo dei principi generali in tema di ripetizione di indebito.

Si lamenta la violazione del criterio di giustizia e di esatta comparazione degli interessi in giuoco.

L'INAIL si è costituito ed ha riproposto l'eccezione di tardività del ricorso di primo grado, nonché gli argomenti a sostegno della tesi dell'infondatezza del ricorso.

DIRITTO

L'appello è infondato.

La prima questione è quella di inammissibilità del ricorso per omessa impugnativa di atto presupposto (la nota del 17/2/1983).

La nota in questione si appalesa un semplice atto interruttivo della prescrizione e di comunicazione dell'intento dell'amministrazione di procedere alla ripetizione di somme corrisposte indebitamente, ma senza precisazione né degli importi, né delle modalità della ripetizione.

L'amministrazione ha il diritto, che trova il suo fondamento nell'art.2033 del cod. civ., di recuperare le somme indebitamente corrisposte ai pubblici impiegati. Il recupero ha carattere di doverosità, si tratta di un'eccezione al divieto di atti di autotutela privata (art.406 del regolamento di contabilità generale dello Stato di cui al r.d. 23/5/1924 n.827); l'amministrazione fa valere in fondo una posizione di diritto soggettivo, l'interesse legittimo dell'amministrato soggetto all'atto di recupero è, al più, relativo alla verifica della legittimità delle modalità della disposta ripetizione (per l'ipotesi dell'esistenza di atti paritetici CdS IV 17/5/1990 n.390; per l'ipotesi di atti di recupero aventi rilievo di provvedimenti formali, ma in presenza di tutti gli elementi della fattispecie CdS IV 26/7/1978 n.762; CdS IV 4/7/1978 n.649).

Non è configurabile quindi una ipotesi d'inammissibilità per omessa impugnativa di atto presupposto in presenza di una nota, non impugnata, che si limita a preannunciare l'esercizio dell'atto di autotutela.

Nel merito ed in relazione al primo motivo di ricorso, giova rilevare che l'indebito oggettivo sussiste, trattandosi di diritto soggettivo nascente dal pagamento di somme in eccedenza al dovuto, rispetto al dettato di cui all'art.30 del d.p.r. n.411/76.

L'amministrazione non aveva alcun potere discrezionale di decidere in merito all'applicabilità immediata o meno del d.p.r. n.411/76, trattandosi di una mera questione interpretativa di una norma di relazione, avente ad oggetto la misura di alcuni diritti patrimoniali.

Da ciò l'applicabilità della prescrizione decennale il cui termine decorre dal momento in cui gli emolumenti sono stati erogati (CdS VI 26/7/1979 n.607; CdS Sez.II 18/12/1996 n.2612; CdS comm. spec. 3/5/1993 n.279). Tale termine decennale non è decorso nella specie poiché l'atto interruttivo della prescrizione del credito, che riguarda l'arco temporale compreso fra il 1/7/1976 ed il 30/11/1978, reca la data del 17/2/1983 mentre l'atto di recupero è del 3/1/1986.

Quanto al secondo motivo, si deve rilevare che la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l'art.30 del d.p.r. n.411/76 è atto di normazione secondaria immediatamente applicabile dalla data della sua entrata in vigore (CdS VI 12/3/1982 n.114; CdS VI 8/7/1980 n.706).

Quindi l'Istituto ha operato legittimamente quando ha effettuato la liquidazione definitiva delle spettanze accessorie per onorari e competenze professionali dei legali, nel periodo decorrente dall'entrata in vigore della normativa di cui al d.p.r. n.411/76 fino al nuovo regolamento organico del personale che ha abolito il previdente sistema gerarchico, sulla base delle quote direttamente stabilite dall'art.30 cit. in relazione alla qualifica di cassazionista o all'anzianità di servizio.

In relazione agli ultimi due motivi di appello deve ricordarsi che " il recupero di somme indebitamente erogate dalla p.a. ai propri dipendenti ha carattere di doverosità, nascendo direttamente dal disposto dell'art.2033 c.c., salvo l'onere di procedervi con modalità tali da non incidere soverchiamente sulle esigenze di vita in caso di buona fede del debitore; ciò posto, la buona fede del percipiente non rappresenta di per sé un ostacolo al recupero di emolumenti indebitamente corrisposti al pubblico dipendente, comportando la necessità di una più approfondita valutazione e ponderazione degli interessi implicati, rapportata peraltro anche all'entità delle lesioni dell'interesse del dipendente; pertanto, nonostante la percezione in buona fede, può ritenersi legittimo l'atto che disponga la ripetizione dell'indebito quando risulti che il detto interesse, per la tenuità del sacrificio connesso al recupero, non può considerarsi prevalente su quello pubblico, per sua natura sempre attuale e concreto (C. Stato, sez.V, 25/9/1998, n.1330).

Nella specie non solo l'istituto ha effettuato costantemente delle riserve di ripetizione all'atto del pagamento degli acconti, sottoscritte dagli interessati, ma l'accessorietà e l'entità non elevata delle somme in contestazione consentono di ritenere che non vi sia alcuna lesione di diritti fondamentali della persona umana, costituzionalmente garantiti.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI Presidente

Alessandro PAJNO Consigliere

Giuseppe ROMEO Consigliere

Giuseppe MINICONE Consigliere

Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.

Depositata in cancelleria in data 9 settembre 2002.

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