CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 14 febbraio 2003 n. 2 - Pres. De Roberto, Est. Barbagallo - Comune di Catania (Avv. P. Patanè) c. Dusty s.r.l. (Avv. N. D'Alessandro) - (conferma T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 12 agosto 2000, n. 1559; la questione era stata rimessa all'Ad.Plenaria con ord. del C.G.A 8 maggio 2002, n. 267, in questa Rivista n. 5-2002).
1. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Sentenza di condanna - Impugnazione autonoma del capo delle sentenza riguardante gli interessi e la rivalutazione monetaria - Nel caso in cui non sia stato impugnato il capo riguardante l'ammontare del risarcimento - Inammissibilità.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Determinazione del danno - Maggior durata del processo - Per motivi istruttori - Non può essere ex se ritenuta imputabile al ricorrente.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Determinazione del danno - Compensatio lucri cum damno - Presupposti per l'applicabilità - Individuazione.
4. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Determinazione del danno - Danni derivanti dalla inattività dell'impresa - Specifica dimostrazione - Necessità.
1. L'obbligo di pagamento della rivalutazione e degli interessi maturati sulle somme dovute a titolo di risarcimento dei danni, è inscindibilmente collegato alla dichiarazione dell'obbligo al risarcimento; è pertanto inammissibile l'impugnativa del capo della sentenza con il quale è stato disposto il pagamento degli interessi e delle rivalutazione monetaria ove non sia stata contestualmente impugnata anche la dichiarazione dell'obbligo al risarcimento (1).
2. Ai fini della determinazione del danno derivante da lesione di interessi legittimi (nella specie si trattava di un illegittimo provvedimento di esclusione da una gara di appalto), la maggior durata del giudizio, determinata dalla esigenza di disporre incombenti istruttori, non può costituire un motivo imputabile al ricorrente.
3. La compensatio lucri cum damno richiede che lo stesso fatto sia produttivo del danno e del vantaggio; pertanto, tale compensazione non è operabile nel caso il vantaggio (nella specie derivante dalla qualificazione tecnica per l'esecuzione del servizio, sia pure per un tempo limitato), non sia derivato dallo stesso fatto (aggiudicazione illegittima) produttivo del denunciato danno.
4. Ai fini della determinazione del danno derivante da lesione di interessi legittimi, non può tenersi conto dei danni derivanti dalla inattività dell'impresa, nel caso in cui non sia stata data alcuna prova (ad esempio attraverso l'esibizione di libri contabili e bilanci) di questa inattività.
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(1) Nella motivazione della sentenza in rassegna si richiama l'orientamento della Corte di cassazione: v. da ultimo, sez. I, 9 febbraio 2000, n. 1422, concernente la inammissibilità dell'impugnazione del capo dipendente in mancanza di impugnazione del capo principale presupposto.
La ordinanza del C.G.A. 8 maggio 2002, n. 267, che aveva rimesso la questione all'Adunanza Plenaria era stata pubblicata nel n. 5-2002 di questa Rivista.
Commento di
GIULIO BACOSI
Quale responsabilità per la p.a. ? L'Adunanza, "tentata", (al momento) non risponde.
1. Il fatto
Nel capoluogo etneo l'Amministrazione municipale indice un appalto triennale per l'affidamento del servizio pubblico di spazzatura, raccolta e trasporto della nettezza urbana.
Aggiudicato il contratto, una compagine sociale già partecipante alla gara ed all'esito risultata pretermessa, impugna gli atti della gara e la relativa esclusione dalla stessa, ottenendo l'annullamento della competizione ad opera del locale Tar con sentenza (n. 2120 del 1995) dipoi confermata in appello dal Consiglio di Giustizia amministrativa peloritano (decisione n.23 del 1999) ed alfine passata in giudicato. Ne consegue l'affidamento alla medesima, per la restante parte, dell'anelato servizio pubblico (gestito dal novembre 1996 al marzo 1997).
Non paga del successo in sede demolitoria, la società in parola (Dusty srl) decide di invocare nuovamente la "grazia" del risarcimento del danno, intentando un nuovo giudizio (ad astra doloribus itur !) e rivolgendosi all'uopo ancora al Tar Catania, che ne accoglie solo in parte le pretese.
Più nel dettaglio:
- il lamentato danno da presunto mancato conseguimento, in capo alla ricorrente, di taluni contributi (previsti dalla Regione Sicilia per il caso di assunzione di manodopera) viene ritenuto nel concreto insussistente dal Tribunale, che scongiura in tal modo una deprecabile abiogenesi dei pregiudizi risarcibili;
- tanto il danno correlato ad asserite spese generali conseguenti a forzata inattività dell'impresa, quanto quello, ulteriore, riconnesso a presunte inattività dei mezzi meccanici destinati alla concreta gestione del servizio - abiurate le prospettazioni di parte ricorrente - vengono invece assunti dal Tar come dalla stessa non provati;
- attingendo al noto e appagante humus precettivo in materia di lavori pubblici (art.345 della legge 2248 del 1865, allegato F, concernente per vero la diversa fattispecie dell'indennizzo dovuto all'appaltatore in caso di recesso non iure della p.a. dal contratto di appalto di opera pubblica) trova, all'opposto, pieno riconoscimento il lamentato danno da lucro cessante per illegittimo mancato espletamento parziale del servizio, liquidato in misura pari al 10% dell'importo a base d'asta ribassato;
- infine, viene riconosciuto - sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno - il diritto creditorio della società ricorrente agli interessi e alla rivalutazione monetaria, decorrenti dal giorno in cui l'appalto fu illegittimamente affidato a terzi, con connessa fissazione al Comune di Catania di un termine di 180 giorni dalla notificazione della sentenza per provvedere alla erogazione delle somme dovute.
Il Comune di Catania, non condividendo le opzioni decisorie abbracciate dal Tar catanese, si grava allora in appello innanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa, chiedendo la riforma della pronuncia di prime cure sulla scorta di 5 motivi di doglianza:
a) erroneamente il Tar - disattendendo la relativa, civica eccezione - avrebbe ritenuto inapplicabile alla fattispecie vagliata l'art.1227 c.c. in materia di evitabilità del danno da parte del creditore-danneggiato; quest'ultimo (la Dusty srl), del resto, aveva palesemente indugiato nelle proprie iniziative giurisdizionali avverso la relativa esclusione dall'appalto (e la conseguente aggiudicazione del servizio al terzo controinteressato), così aggravando oltremodo un pregiudizio che, depurato da tale colposa inazione, avrebbe potuto assumere tratti di assai minor consistenza;
b) il giudice di prime cure avrebbe poi liquidato alla Dusty srl un danno maggiore rispetto a quanto effettivamente spettantele in rapporto al pregiudizio concretamente subito, stante la qualificazione tecnica ed il connesso vantaggio patrimoniale dalla medesima ritratti a seguito del comunque ottenuto affidamento (ancorchè limitatamente ad una frazione diacronica, dal novembre 1996 al marzo 1997) del servizio in gara;
c) peraltro, nel contratto siglato in data 17 giugno 1996 tra la Dusty srl ed il Comune appellante il Tar, affrancandosi da una logica interpretativa semplicistica, avrebbe dovuto esegeticamente scorgere - ciò che in concreto non sarebbe avvenuto - una clausola implicante rinuncia della Dusty medesima al ristoro dei danni patiti a seguito della originaria, illegittima mancata aggiudicazione del servizio;
d) il pregiudizio in parola sarebbe poi stato liquidato dai giudici etnei alla Dusty senza tenere conto (e palesando di non averne pertanto vaghezza alcuna) del noto quadrimestre in costanza del quale la società stessa aveva effettivamente espletato l'agognato servizio;
e) infine, gli accessori (interessi e rivalutazione) rispetto al capitale riconosciuto alla Dusty a titolo risarcitorio, erroneamente e con approccio motivazionale decisamente insoddisfacente sarebbero stati fatti decorrere dal Tar Campania a partire dalla data di (illegittima) aggiudicazione del servizio al terzo controinteressato, piuttosto che dalla data della spiccata domanda giudiziale risarcitoria.
Chiesti dalla Dusty originaria ricorrente ed ormai appellata, con gravame incidentale all'uopo, quei danni che il Tar aveva alla stessa denegato con la pronuncia impugnata dal Comune, è proprio il quinto motivo di ricorso interposto dall'Amministrazione municipale (quello afferente agli accessori) a convincere il Consiglio di Giustizia della opportunità di una rimessione in toto dell'appello al vaglio decisionale dell'Adunanza Plenaria.
Ciò movendo dal (per vero, difficilmente negabile) possibile profilarsi di contrasti giurisprudenziali in ordine alla natura, aquiliana o "contrattuale", della responsabilità della stazione appaltante che abbia illegittimamente affidato l'appalto al controinteressato, pretermettendo contra ius il ricorrente.
La rilevanza della questione viene dall'Organo d'appello palermitano riconnessa alla circostanza onde il regime degli interessi e della rivalutazione, ove riferito al danno aquiliano, differirebbe da quello riconducibile, invece, al pregiudizio derivante da inadempimento dell'obbligazione, imponendo pertanto all'interprete di scegliere la miglior qualificazione della responsabilità pubblica nel caso in cui l'appalto venga affidato a chi non avrebbe dovuto risultarne aggiudicatario.
L'argomento appare dunque pronto per venir gessato, l'Adunanza palesandosi chiamata a statuire se ".la responsabilità patrimoniale dell'ente pubblico per mancato, illegittimo affidamento di contratto costituisca responsabilità contrattuale, cioè discendente da inadempimento dell'obbligazione, oppure responsabilità extracontrattuale, discendente da atto illecito diverso dall'inadempimento dell'obbligazione, considerato che dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità per danno discendono conseguenze diverse in materia di rivalutazione e interessi" (con specifico riguardo alla decorrenza dei ridetti accessori).
2. La decisione della Plenaria.
Il Supremo Consesso Amministrativo, come ormai d'abitudine, disvela tosto - additandone l'infausto destino della repulsione - le sorti di entrambe le impugnazioni, principale (del Comune) e incidentale (della società).
Liquidate, scongiurando prolisse circonlocuzioni, le censure pubbliche investenti
- da un lato la presunta rinuncia alle pretese risarcitorie asseritamente riconducibile alla Dusty srl in sede di stipula del contratto quadrimestrale con la civica Amministrazione appellante (rinuncia, per l'Adunanza, non configurabile già ad un esame letterale della clausola "sospetta");
- e dall'altro la pur denunciata insignificanza che il Tar Campania avrebbe riservato - in sede di concreta liquidazione dei danni - ai quattro mesi di effettivo espletamento del servizio ad opera della società appellata, periodo del quale il giudice di prime cure ha fatto - all'opposto - evidente mostra di tener conto
il Collegio entra in medias res decisoria, movendo dalla mancata impugnazione - imputabile al Comune appellante - di quel capo della sentenza gravata con il quale i giudici catanesi ebbero a dichiarare l'obbligo della locale Amministrazione di risarcire alla Dusty i danni dalla stessa patiti in conseguenza della relativa, illegittima mancata aggiudicazione del servizio.
Rammentando un recente arresto della I Sezione della Cassazione (n.1422 del 2000) - con il quale la Suprema Corte aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione di un capo di sentenza avente natura "dipendente" al cospetto della mancata impugnazione del capo "principale" di quella medesima pronuncia - l'Adunanza assume di non poter affrontare la questione concernente la natura ("contrattuale" o extracontrattuale) del pregiudizio sofferto dal partecipante ad una gara nel caso di illegittima aggiudicazione a terzi dell' appalto.
Nel caso di specie era difatti emerso come né il Comune né il controinteressato avessero impugnato quel capo ("principale") della pronuncia di prime cure nell'economia del quale era stato consacrato - previa relativa qualificazione, evidentemente in termini aquiliani - l'obbligo stesso del risarcimento dei danni a carico dell'Amministrazione municipale, facendovi conseguentemente discendere il regime dei relativi accessori (interessi e rivalutazione).
Altrimenti detto, il capo concernente l'obbligo del pagamento di rivalutazione e interessi è da intendersi - nell'ottica abbracciata dal Collegio - "inscindibilmente connesso" a quello, presupposto, che cristallizza lo stesso obbligo risarcitorio, qualificandone la relativa natura; ciò stante la indubbia accessorietà delle obbligazioni per rivalutazione e interessi rispetto all'obbligo ("principale") di erogare al danneggiato la pecunia damni.
Non può pertanto il Giudice d'appello individuare autonomamente la più autentica natura giuridica dell'obbligo accessorio in difetto di tempestivo gravame interposto, ex latere actoris, avverso l'obbligo risarcitorio principale, di già qualificato dal competente Tar in sede cognitoria (e, nel caso di specie, anche dal medesimo giudice chiamato, di seguito, a garantire la puntuale esecuzione della sentenza di prime cure).
Nella sostanza il busillis in rapporto al quale il Consiglio di Giustizia aveva generosamente invocato l'autorevole presa di posizione dell'Adunanza si mostra - ancora una volta - di rilievo inconsistente in rapporto al singolo caso di specie.
Non resta allora al Supremo Consesso che dirigere il proprio baricentro decisionale verso i primi due motivi di censura avanzati dal Comune di Catania, per acclararne l'indiscussa infondatezza.
In primo luogo viene demolita l'imbastitura argomentativa del Comune ridetto onde erroneamente il Tar avrebbe omesso di considerare il concorso di colpa della danneggiata Dusty srl ex art.1227 c.c. in relazione a quella porzione di pregiudizio che la medesima avrebbe asseritamente potuto scongiurare assumendo una condotta processuale più immediata e pressante.
Nel caso di specie, rileva l'Adunanza, il prolungarsi del giudizio di prime cure è stato imputabile esclusivamente alla decisione dello stesso Tribunale di far luogo ad una istruttoria volta ad acquisire lo statuto della Dusty srl; la quale, per parte sua, non solo si era immediatamente rivolta al Giudicante partenopeo al fine di ottenere l'annullamento tanto della relativa esclusione dalla gara quanto dell'aggiudicazione dell'appalto alla controinteressata, ma, all'esito del giudizio e come già riferito, si era financo zelantemente attivata al fine di ottenere la pronta esecuzione della ridetta pronuncia.
Anche la censura investente la denunciata, mancata considerazione ad opera del Tar Napoli d'una presunta compensatio lucri cum damno viene agevolmente accantonata sulla scorta della palmare considerazione - diretto precipitato delle emergenze fattuali di cui al caso di specie - onde l'elemento dal quale è concretamente gemmato il noto pregiudizio alla Dusty (damnum: illegittima aggiudicazione a terzi e relativa pretermissione dall'appalto) non è assumibile, ad un tempo e come vuole costante giurisprudenza, quale diretta, contestuale e immediata cagione d'un presunto pari vantaggio ascrivibile alla compagine sociale medesima (lucrum: qualificazione tecnica scaturente dalla esecuzione di parte dell'appalto di servizi in competizione).
Alfine, col far luogo ad un ritmico ed incalzante "crescendo" di rigetti, l'Adunanza zittisce la stessa Dusty (appellata e) appellante incidentale, assumendo non degne di conforto - perché non corroborate da idonei supporti istruttori - le coevamente avanzate istanze di risarcimento d'ulteriori danni, quali quelli riconducibili all'anticipo di non meglio precisate "spese generali", o all'ammortamento di capitali rimasti inattivi, ovvero ancora alla mancata percezione di contributi regionali accordati per il solo caso di manodopera concretamente occupata nell'impresa
3. Spunti di riflessione.
Nuovamente, dunque, quel che rileva per le Sezioni semplici e, in via astratta e generalissima, per il macrocosmo degli addetti ai lavori non assume pari significanza, nel caso concreto, per l'Adunanza Plenaria, chiamata a qualificare la natura - aquiliana o "contrattuale" - della responsabilità pubblica con riguardo ad un'ipotesi in cui dirimere tale questione appare (condivisibilmente) ultroneo ai fini della decisione dello specifico appello.
Si tratta della terza declaratoria di irrilevanza consecutiva, apoteosi d'una triade
- aperta dalla nota decisione n. 8 del 2002 (in materia di c.d. "pregiudizialità amministrativa");
- confermata dalla del pari emblematica pronuncia n.1 del 2003 (in materia, tra gli altri, di sorte dei contratti "a valle" in caso di annullamento in sede giurisdizionale dell'aggiudicazione),
- ed alfine ribadita e chiusa dalla pronuncia epigrafata, lungo un itinerario di fondo non privo di stringente coerenza come anche d'una certa, casuale consequenzialità logica.
Balza agli occhi, a dimostrazione di ciò, la stretta connessione tra il reale oggetto della prima decisione del 2003 - come rammentato, investente i rapporti tra annullamento dell'aggiudicazione e contratto c.d. "a valle" (semplicemente annullabile ovvero nullo ?) - e fattispecie vagliata dalla pronuncia in commento, compendiantesi in una aggiudicazione di servizio pubblico "per tranche", dapprima alla originaria affidataria e quindi, cronologicamente de residuo, all'aspirante ab ovo pretermessa.
Viene allora da pensare che
- se da un lato, come ha recentemente più volte esplicitato la VI Sezione del Consiglio (confortata in tal senso da parte della dottrina), nel diritto amministrativo la regola di cui all'art.2058 cc va letta nel senso opposto rispetto alla più tradizionale opzione ermeneutica civilistica (è dunque, "in area g.a.", la reintegrazione in forma specifica la regola, e quella per equivalente l'eccezione, anche al fine di far pienamente salvo l'effetto conformativo che connota le pronunce del ridetto giudice);
- dall'altro sono proprio gli appalti di servizi (e forniture), più e meglio di quelli di lavori pubblici, a garantire in (quantomeno potenziale) maggior misura le chances di "staffetta" tra chi fu illegittimo affidatario e chi lo diviene a seguito di sentenza giurisdizionale, palesandosi più semplice (oltrechè più agevolmente concepibile) procedere - anche per il breve frangente temporale rimanente (nel caso di specie, appena 4 mesi) - nel già avviato espletamento del servizio (o nella già intrapresa erogazione della fornitura) piuttosto che sostanzialmente "rifinire" un opera già pressoché per intero concepita e realizzata dall'originario, illegittimo affidatario del relativo appalto.
Detto altrimenti, l'esegesi "progressista" e sempre più "quotata" che vede nel contratto "a valle", seguito ad aggiudicazione illegittima, un accordo da dichiararsi nullo su generalizzata istanza di qualsivoglia interessato (in primis l'aspirante pretermesso) più che annullabile a domanda della sola p.a. appare pregna di ben maggiori ricadute pratiche sotto il profilo garantistico (concreto affidamento dell'appalto originariamente denegato contra ius) nelle ipotesi di servizi e forniture piuttosto che nel caso in cui la gara sia funzionale alla realizzazione di un'opera pubblica.
Peraltro, il fatto di vedersi aggiudicata una "frazione", quella finale, del servizio pubblico in un primo momento illegittimamente affidato a terzi non esclude - lo dimostra proprio la fattispecie vagliata dalla pronuncia epigrafata - la complementare operatività del risarcimento per equivalente con riguardo a quella porzione prestazionale ormai irreversibilmente attuata dal terzo originario affidatario.
La questione della natura della responsabilità ascrivibile alla stazione appaltante - aquiliana ex art.2043 cc o "contrattuale" ex art.1218 cc ?- pur irrilevante nel caso di specie, appare allora sempre in agguato, non già tanto al fine di valutare la effettiva consistenza della obbligazione risarcitoria pubblica che ne deriva (in ogni caso, proprio perché tale, sempre di valore, mai di mera valuta), quanto piuttosto proprio allo scopo di determinare la decorrenza degli accessori dovuti al danneggiato creditore in origine pretermesso dall'appalto.
A seconda dell'opzione abbracciata, invero, interessi e rivalutazione (nel noto, relativo combinarsi quantitativo sulla scorta degli insegnamenti tanto della stessa Adunanza Plenaria quanto della Suprema Corte di Cassazione, via via succedutisi negli anni) sono infatti rispettivamente dovuti
dal momento del fatto illecito aquiliano (illegittima aggiudicazione a terzi),
ovvero dal momento della diffida o della domanda giudiziale con la quale si fa valere il preteso "inadempimento" della stazione appaltante.
Forgiare - con lo scalpello d'un giudice o quello, non sempre parimenti rassicurante, del legislatore - la reale natura giuridica della responsabilità pubblica con riferimento alla lesione di interessi (specie) pretensivi (ma anche oppositivi) si appalesa poi - e come noto - tutt'affatto significativo pur nella considerazione dei ben distinti precipitati che se ne possono ritrarre in punto tanto di regime prescrizionale quanto di prevedibilità del danno risarcibile.
Nell'attesa che l'Adunanza sia chiamata ad autorevolmente dire la "sua" con riguardo ad un caso in cui prendere posizione apparirà esiziale onde statuire sul gravame concretamente sottopostole, gioverà forse cercare di scongiurare inveterati equivoci terminologici.
Così, si discorre di responsabilità "contrattuale" con riferimento ad una disposizione, l'art.1218 cc, con la quale il sistema sanziona l'inadempimento di un obbligo precostituito (a differenza di quanto accade nella ipotesi dell'illecito aquiliano), tanto che esso nasca da contratto (come pure sovente accade), quanto che costituisca l'effetto di un "fatto atipico" previsto come fonte di obbligazione dall'ordinamento (cfr. art.1173 cc.).
E' una considerazione suggerita dallo stesso ordito codicistico, che colloca la responsabilità comunemente definita "contrattuale" (art.1218 cc.) nell'ambito della disciplina delle obbligazioni in generale, e non già nell'economia delle disposizioni dedicate al contratto siccome genericamente inteso (articoli 1321 e ss. cc); onde, meno equivoco e fuorviante parrebbe in tali casi discorrere di responsabilità da inadempimento di obbligo precostituito, qualunque poi sia la fonte dalla quale tale obbligo è sorto (contratto evidentemente in primis, ma non solo).
Movendo da questa premessa, è noto come tra i "fatti atipici" fonte di obbligazioni (e di possibile responsabilità ex art.1218 cc in caso di relativo inadempimento) vieppiù vada collocandosi il c.d. "contatto" socialmente rilevante: lo palesano
non solo talune recenti sentenze della Suprema Corte in materia di mediazione, di amministratori sociali di fatto, di responsabilità del medico incardinato in una struttura ospedaliera per i danni subiti dal paziente operato nonché, da ultimo, dell'insegnante incardinato in un plesso scolastico per il pregiudizio di cui sia rimasto vittima l'allievo,
ma financo talaltri, del pari recenti arresti del Consiglio di Stato, intesi a progressivamente scorgere proprio nel procedimento amministrativo - e specie in quello ove indubbiamente campeggino soggetti portatori di interessi pretensivi (emblematici gare e concorsi) - quale sede d'un "contatto" socialmente (e, ormai, anche "giuridicamente", in virtù dell'art.1173 cc) rilevante tra parte privata e pubblica amministrazione.
Sono questioni (cui qui può, peraltro, appena accennarsi) che sospingono nel senso di far ritenere "contrattuale" (secondo il noto, equivoco epiteto) la responsabilità pubblica (e non solo quella delle stazioni appaltanti) nei confronti del privato cittadino, giungendo financo con l'additare come sostanzialmente evanescente, pur fermi taluni trascurabili distinguo, lo stesso inveterato discrimen tra diritto soggettivo e interesse legittimo (alle ridette questioni peraltro è ex professo dedicato un lavoro monografico di imminente pubblicazione: lo si è voluto simbolicamente intitolare L'interesse legittimo "verso" il diritto soggettivo, e vi si rinvia sin d'ora per ogni eventuale approfondimento).
Né, sotto altro profilo, vanno trascurate le sempre maggiori emergenze - più volte oggetto di modesta segnalazione anche da queste colonne - d'una costante marcia di avvicinamento del diritto amministrativo, tanto sostanziale quanto processuale, al diritto civile, specie con riferimento allo "zoccolo duro" dei principi (e fatto salvo ogni più opportuno aggiustamento ritraibile, in termini di "specialità", dalla dirompente presenza dell'interesse pubblico da perseguire, latitante nei puri rapporti tra privati).
Un appropinquarsi progressivo che l'Adunanza contribuisce a palesare con la decisione in commento, giusta i riferimenti dalla medesima affioranti ad istituti quali
la compensatio lucri cum damno, che per giurisprudenza costante della Cassazione presuppone un unico fatto generativo tanto del vantaggio quanto del pregiudizio in capo al creditore danneggiato;
il concorso del fatto colposo del creditore ex art.1227 cc, che, secondo un recente arresto ancora della Suprema Corte, si atteggerebbe a norma sulla causalità, complementare al precedente art.1223 cc, e la cui operatività non sarebbe comunque predicabile nel caso di insufficiente solerzia del danneggiato quanto ad esercizio del diritto d'azione costituzionalmente riconosciutogli (art.24 Cost.).
Dallo ius commune a quello singulare, per risalire a quello comune: ferma la trasversalità del congegno penale, il sistema pare scindersi in due ben distinti sottoinsiemi precettivi, l'uno inteso a regolare (disciplinandoli) e a garantire (attraverso sanzioni all'uopo) rapporti precostituiti; l'altro a reprimere illecite interferenze ab externo nelle sfere giuridiche altrui.
A questo schema neppure il segmento ordinamentale amministrativo pare potersi seriamente sottrarre.
(omissis)
per l'annullamento
della sentenza n.1559 del 12 agosto 2000, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia - seconda sezione interna della sezione staccata di Catania, ha condannato il comune al risarcimento dei danni per mancata aggiudicazione d'appalto, a seguito dell'ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia n.267 dell'8 maggio 2002 con la quale il ricorso in appello è stato deferito alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Società appellata;
Vista l'ordinanza n.267/2002 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'Adunanza del 20/1/2003 il Cons. Giuseppe Barbagallo.
Uditi l'avv. Patanè e l'avv. D'Alessandro;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Il comune di Catania e la società Dusty, con rituali ricorsi, rispettivamente, principale e incidentale, hanno impugnato la sentenza del tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sezione staccata di Catania, seconda sezione interna, n. 1559 del 2000, innanzi al Consiglio di giustizia per la Regione siciliana.
Con tale sentenza il giudice di primo grado ha parzialmente accolto la domanda della società Dusty di risarcimento del danno derivante dalla sua esclusione da una gara indetta dal comune di Catania per l'appalto triennale di un lotto del servizio di spazzatura, raccolta e trasporto di nettezza urbana e dall'aggiudicazione dell'appalto ad altro concorrente; tali atti erano stati ritenuti illegittimi e annullati, in accoglimento di un precedente ricorso della società, con sentenza, n. 2120 dello stesso tribunale amministrativo della Sicilia - sezione staccata di Catania, in data 13 settembre 1995, passata in giudicato in conseguenza della reiezione dell'appello proposto dalla contro-interessata (decisione n. 23 del 15 febbraio 1999 del Consiglio di giustizia).
Con la sentenza impugnata il giudice di primo grado ha ritenuto inesistente il danno per il mancato conseguimento di contributi previsti dalla regione siciliana per l'assunzione di manodopera per periodi di tempo annuali o superiori all'anno; ha giudicato non provato il danno per spese generali richiesto dalla società Dusty in base alla " forzata inattività dell'impresa ", nonché quello derivante dall'inattività dei mezzi meccanici destinati all'appalto; inoltre il tribunale ha indicato, quale misura per la liquidazione del danno per mancato guadagno, quella del 10% dell'importo a base d' asta ribassato, secondo il criterio di cui all'articolo 345 della legge sui lavori pubblici, 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, in materia di indennizzo dell'appaltatore in caso di recesso della pubblica amministrazione committente; ha ritenuto dovuti gli interessi e la rivalutazione, da calcolare dalla data della aggiudicazione ad altri dell'appalto (14 febbraio 1994) ed ha fissato al comune il termine di centottanta giorni dalla notificazione della sentenza per l'adempimento dell'obbligo, ai sensi dell'articolo 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall'articolo 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205.
Il comune appellante lamenta che il giudice di primo grado:
1 ) non abbia considerato, ai fini della riduzione della liquidazione del danno, che la società avrebbe potuto evitare parte di tale danno con un comportamento più sollecito nel giudizio di impugnazione della propria esclusione e della aggiudicazione dell'appalto ad altro concorrente e abbia in proposito considerato che la norma di cui all'articolo 1227, secondo comma, del codice civile non si estenda alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito;
2 ) abbia respinto l'eccezione, da esso formulata, secondo la quale, poiché la società Dusty, in conseguenza dell'annullamento degli atti di gara, aveva ottenuto la aggiudicazione ( contratto di appalto, in data 17 giugno 1996 ) ed aveva sostituito il precedente soggetto aggiudicatario per l'ultima parte del triennio nello svolgimento del servizio (dal 6 novembre 1996 al 15 marzo 1997 ), essa aveva conseguito elementi di qualificazione tecnica costituenti un vantaggio patrimoniale, che avrebbe dovuto comportare una riduzione del danno liquidato;
3 ) abbia rigettato l'eccezione di avvenuta rinuncia della società al ristoro dei danni, rinuncia documentata nello strumento contrattuale del 17 giugno 1996, all'articolo 2;
4 ) non abbia tenuto conto, nel liquidare il danno, del periodo nel quale la società aveva svolto il servizio (dal 6 novembre 1996 al 15 marzo 1997 );
5 ) abbia accolto la domanda di rivalutazione interessi, fissandone la decorrenza dalla data di aggiudicazione dell'appalto in favore di altra impresa, mentre tale decorrenza non poteva essere anteriore alla data della domanda giudiziale di risarcimento e non abbia specificato a quale titolo fosse dovuta la rivalutazione.
La società Dusty si è costituita in giudizio confutando i motivi dell'appello principale e riproponendo, con appello incidentale, la domanda relativa alle voci di danno, rispetto alle quali vi era stata la reiezione da parte
del giudice di primo grado.
Con successiva memoria il comune ha prodottolo documentazione tendente a provare che la società Dusty, nel periodo di mancato espletamento dell'appalto, aveva svolto una normale attività di impresa.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha deferito il ricorso all'adunanza plenaria, ritenendo che il punto di diritto relativo al quinto motivo di ricorso del comune di Catania, concernente interessi e rivalutazione, potesse dar luogo a contrasti di giurisprudenza. Il Consiglio di giustizia ha quindi deferito la soluzione della questione relativa alla natura della responsabilità patrimoniale dell'ente pubblico per mancato, illegittimo affidamento di contratto (responsabilità patrimoniale introdotta nell'ordinamento dagli artt. 33 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80) ed ha dato una compiuta illustrazione dello stato della questione in dottrina e giurisprudenza.
È stato così posto il quesito se la responsabilità patrimoniale dell'ente pubblico per mancato, illegittimo affidamento di contratto costituisca responsabilità contrattuale, cioè discendente da inadempimento di obbligazione, oppure responsabilità extracontrattuale, discendente da compimento di atto illecito diverso dall'inadempimento di obbligazione, considerato che dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità per danno discendono conseguenze diverse in materia di rivalutazione e di interessi.
DIRITTO
I motivi posti a base dei ricorsi sono o infondati o non possono essere esaminati nel merito; entrambi i ricorsi, pertanto, sono da respingere.
Muovendo dall'esame della terza censura avanzata dal comune di Catania, che ha carattere logicamente preliminare, il collegio ritiene che non sia intervenuta alcuna rinuncia al risarcimento dei danni da parte della società Dusty; infatti, come ha deciso il giudice di primo grado, nel contratto di appalto, concluso fra il comune di Catania e la società, non è contenuta alcuna rinuncia al diritto al risarcimento del danno; nè tale può ritenersi la clausola richiamata dal comune di Catania, pur interpretata alla luce delle premesse, le quali riportano l'intero svolgersi della vicenda; tale clausola ha per oggetto soltanto l'esclusione di vincoli o condizioni e l'accettazione delle clausole contrattuali; in tale ambito non può ritenersi rientrare il diritto al risarcimento del danno, elemento estraneo al rapporto di appalto sorto con quell'atto.
Per quanto riguarda il quarto motivo di appello proposto dal comune di Catania, non sussiste l'interesse alla sua proposizione; infatti la sentenza di primo grado va interpretata nel senso che essa ha fissato il criterio per la liquidazione del danno, il quale va, quindi, commisurato alla parte dei tre anni in cui la società non ha espletato il servizio.
In ordine alla censura concernente il punto della sentenza avente ad oggetto l'obbligo di pagamento di rivalutazione e interessi, che ha determinato la rimessione del ricorso all'adunanza plenaria, va premesso che sullo specifico capo della sentenza, con il quale è stato dichiarato l'obbligo del comune di Catania al risarcimento del danno in favore della società Dusty per la lesione del suo interesse pretensivo ad ottenere la aggiudicazione del contratto di appalto del servizio di spazzatura, raccolta e trasporto di rifiuti solidi urbani nel comune di Catania, di cui al bando di gara pubblicato nella G.U.R.S. N. 44 del 30 ottobre 1993, non vi è alcuna specifica impugnazione e, pertanto, tale capo non può essere oggetto di esame da parte del giudice di appello.
Per quanto riguarda, quindi, tale punto della sentenza concernente l'obbligo di pagamento di rivalutazione e interessi, il collegio ritiene che esso sia inscindibilmente collegato al capo avente ad oggetto la dichiarazione dell'obbligo al risarcimento; di tale capo la pronuncia su interessi e rivalutazione costituisce un punto necessariamente conseguente; pertanto tale punto non può essere autonomamente impugnato attraverso la contestazione del presupposto logico, sul quale è fondato il capo principale. Il giudice di primo grado, attraverso una serie di passaggi logici, ha qualificato il caso in una fattispecie; da questa qualificazione scaturisce una determinata disciplina di interessi e rivalutazione (tale disciplina consequenziale è, di regola, ritenuta applicabile dal giudice dell'ottemperanza senza pronuncia espressa contenuta nella sentenza da eseguire). Il collegio ritiene che non sia ammissibile la censura del punto consequenziale nei suoi presupposti logici (diverso è il caso di contestazione del punto per erronea applicazione della disciplina consequenziale), senza l'impugnazione del capo principale, il quale su tali presupposti logici è basato.
Se l'adunanza plenaria nulla può dire sulla qualificazione del caso nella fattispecie, non può neanche intervenire su un elemento accessorio e necessario di tale fattispecie (analogo orientamento è ravvisabile nella giurisprudenza della Corte di cassazione: da ultimo, sezione prima, n. 1422 del 9 febbraio 2000, concernente la inammissibilità dell'impugnazione del capo dipendente in mancanza di impugnazione del capo principale presupposto, e ivi richiami a precedenti decisioni).
Per quanto concerne la prima e la seconda delle censure avanzate dal comune di Catania, prescindendosi da un esame della loro ammissibilità sulla base delle stesse argomentazioni sopra svolte in relazione al quinto motivo dedotto dal comune, esse sono infondate.
Per quanto riguarda la prima di esse, correttamente il giudice di primo grado ha affermato non potersi imputare alla società una mancata diligenza, produttiva di un accresciuto danno; la società Dusty, infatti si è con immediatezza rivolta al giudice amministrativo per ottenere l'annullamento della propria esclusione dalla gara per l'aggiudicazione dell'appalto, nonché l'avvenuta aggiudicazione ad un altro soggetto ed ha ottenuto una sentenza favorevole, decisa all'esito di due camere di consiglio ( 11 ottobre e 23 novembre 1994 ).
Non può, cioè, riferirsi alla mancata diligenza della società la maggior durata del giudizio, determinata dalla ritenuta esigenza istruttoria da parte del tribunale amministrativo di richiedere l'atto costitutivo dello statuto della società ricorrente ( sentenza interlocutoria 2002 del 1994 ).
Non può, quindi, nel complesso, definirsi la condotta processuale della società, produttiva di un maggior danno, in quanto non sufficientemente accorta. Del resto, una volta ottenuta la sentenza favorevole, pubblicata il 19 settembre 1995, la società ha posto in essere un comportamento pressante e continuo per ottenerne l'esecuzione, che è avvenuta con la conclusione del contratto ( 17 maggio 1996 ) e la consegna dei lavori (6 novembre 1996 ). Per tali, esposte ragioni, precisate rispetto a quelle a base della pronuncia di primo grado sul punto, la censura va ritenuta infondata.
Quanto alla dedotta mancata applicazione, da parte del giudice di primo grado, della compensazione tra il vantaggio ottenuto dalla società per la qualificazione tecnica derivantele dall'esecuzione del servizio, sia pure per un tempo limitato, e il danno subito (compensatio lucri cum damno), va rilevato che il dedotto vantaggio non è derivato dallo stesso fatto (aggiudicazione illegittima) produttivo del denunciato danno e quindi non può essere effettuata la richiesta compensazione, che richiede che lo stesso fatto sia produttivo del danno e del vantaggio.
Con l'appello incidentale la società Dusty ripropone le domande di risarcimento del danno respinte dal primo giudice, perché non provate.
Tali componenti del danno, la cui sussistenza il giudice di primo grado ha ritenuto non provata, sono quelle derivanti dall'aliquota di spese generali inutilmente sopportate, dall'aliquota di ammortamento di attrezzature e macchinari destinati all'esecuzione del contratto d'appalto, quelle derivanti dal maggior costo della manodopera per mancato conseguimento dei contributi previsti dalla legislazione regionale siciliana, nonché quelle derivanti dall'impossibilità del conseguimento del contributo regionale previsto dall'articolo 9 della legge regionale n. 27 del 1991.
Il collegio ritiene che anche in relazione a tali domande debba essere confermata la decisione del giudice di primo grado.
La appellante incidentale, infatti, nel formulare tali domande, muove dal presupposto di una sua inattività, determinata dalla sua decisione di non acquisire altri contratti per poter essere disponibile ad iniziare il rapporto di appalto, del quale sarebbe dovuta essere la legittima titolare.
Sulla base di tale presupposto la società richiede il pagamento di una quota delle spese generali e dell'ammortamento di una serie di macchinari. In relazione a tale domanda ha rilievo assorbente, anche della stessa questione della risarcibilità di tali danni, così configurati, e della valutazione degli elementi di prova contraria offerti dal comune, la circostanza che nessuna prova è stata data dalla società, ad esempio attraverso l'esibizione di libri contabili e bilanci, di questa sua inattività fra il 1994 e il 1996. La domanda è, quindi, da respingere.
Anche le domande relative al danno da mancata acquisizione dei contributi regionali sono da respingere, in quanto anche in questo caso il danno è configurato come direttamente dipendente da una inattività, non provata, della società, nel periodo precedente e successivo all'esecuzione dell'appalto (6 novembre 1996- 15 marzo 1997); tale inattività avrebbe comportato una durata di soli quattro mesi, circa, del rapporto di lavoro dei dipendenti impegnati nell'esecuzione dell'appalto in questione. D'altro canto, tali domande, così come prospettate, in relazione al periodo del rapporto triennale d'appalto svolto da altra società, equiparano erroneamente il danno al mancato rimborso di spese non effettuate.
Anche l'appello incidentale deve pertanto essere respinto.
Tenuto conto del contenuto della pronuncia, le spese sono da compensare anche per questo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) rigetta l'appello principale e quello incidentale;
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 gennaio 2003, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l'intervento dei Signori:
Giuseppe BARBAGALLO Consigliere Relatore
Alessandro PAJNO Consigliere
Pier Giorgio TROVATO Consigliere
Raffaele CARBONI Consigliere
Costantino SALVATORE Consigliere
Giuseppe FARINA Consigliere
Paolo TURCO Consigliere
Corrado ALLEGRETTA Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Paolo BUONVINO Consigliere
Presidente
Estensore Segretario
Depositata in segreteria in data 14 febbraio 2003.