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CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA - Ordinanza 8 maggio 2002 n. 267 - Pres. Virgilio, Est. Turco - Comune di Catania (Avv. De Mauro) c. Dusty (Avv. D'Alessandro) - (deferisce all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la decisione dell'appello avverso la sentenza del T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. II, 12 agosto 2000 n. 1559).

1. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi Determinazione del danno - Rilevanza del momento in cui la domanda è stata avanzata dal creditore - Ex art. 1227, comma 2°, cod. civ. (secondo cui "il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza") - Ai fini di escludere o limitare l'ammontare del risarcimento - Non sussiste.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi Determinazione del danno - Principio della compensatio lucri cum damno - Applicabilità - Limiti - Indiretti vantaggi derivanti dall'adempimento - Non possono giustificare la compensazione - Fattispecie.

3. Giustizia amministrativa - Generalità - Interesse legittimo - Ha natura sostanziale - Conseguenze - Individuazione.

4. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Peculiarità e differenze rispetto al risarcimento del danno derivante da lesione di diritti soggettivi - Sussistenza di un "rapporto amministrativo" che dà luogo ad una ipotesi di "contatto sociale" tra la amministrazione e l'amministrato - Affidamento che su di esso fa l'amministrato - Rilevanza.

5. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Responsabilità patrimoniale dell'ente pubblico per mancato ed illegittimo affidamento di contratto - Determinazione della sua natura contrattuale od extracontrattuale - Rimessione della questione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

1. Il principio, stabilito dall'art. 1227, 2° comma, del codice civile, secondo cui «il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza», non può intendersi riferito anche alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito; non può ritenersi quindi che il debitore possa pretendere una riduzione del danno da risarcire in ragione della durata per la quale il creditore ha atteso lo spontaneo adempimento prima di agire in giudizio, atteso che la regola dell'art. 1227, 2° comma, cod. civ. tende ad imporre comportamenti atti a prevenire ulteriori danni facilmente evitabili e non obbliga ad intentare rapide azioni giudiziarie contro il debitore (1).

2. In materia di risarcimento dei danni, il principio della compensatio lucri cum damno (e cioè della compensazione del danno con il guadagno del danneggiato) trova applicazione quando un medesimo fatto abbia prodotto sia un danno sia un vantaggio, e non già per gl'indiretti vantaggi derivanti dall'adempimento, da parte del danneggiante o del debitore inadempiente, dell'obbligazione risarcitoria (2).

3. Allo stato attuale della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, è da ritenere che l'interesse legittimo abbia natura sostanziale ed esso preesista al processo nel quale è stato fatto valere (in questo senso è molto significativa una pronuncia, sia pure obiter dictum, della Corte Costituzionale nella ordinanza n. 867/1988). E' ormai quindi chiaro ed indiscutibile che, attraverso il processo amministrativo, il ricorrente non fa valere un interesse dell'amministrazione tramite il quale, e solo se coincidente con il proprio, trova soddisfazione indirettamente anche il suo, ma fa valere direttamente un interesse proprio ben individuato e riconosciutogli direttamente dall'ordinamento (3).

4. Nel caso di lesione di interesse legittimo non sussiste un preesistente contratto o un rapporto obbligatorio in senso civilistico tra amministrazione e privato, ma deve ritenersi la esistenza di un "rapporto amministrativo" che dà luogo ad una ipotesi di "contatto sociale" tra la amministrazione e l'amministrato da cui scaturisce un affidamento di consistenza maggiore rispetto alle aspettative di mero fatto poiché l'interesse legittimo, a differenza di quello di fatto, rappresenta pur sempre una posizione già individuata e differenziata dall'ordinamento. In forza di esso l'amministrato può pretendere che l'amministrazione adegui nei propri confronti il suo comportamento alle norme che ne disciplinano la attività e ciò sia che si tratti di procedimento di ufficio che su istanza di parte.

5. Va rimessa alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, per la sua novità e per la possibilità di possibili contrasti giurisprudenziali tra le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, la questione se la responsabilità patrimoniale dell'ente pubblico per mancato ed illegittimo affidamento di contratto (responsabilità patrimoniale introdotta nell'ordinamento dagli articoli 33 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80) costituisca una responsabilità contrattuale, cioè discendente da inadempimento di obbligazione, oppure una responsabilità extracontrattuale, discendente quindi dal compimento di un atto illecito diverso dall'inadempimento di obbligazioni (4).

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(1) Cfr. Corte costituzionale, ordinanza 14 luglio 1999 n. 308, secondo cui «l'onere di diligenza che l'art. 1227 cod.civ. fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione».

(2) Alla stregua del principio il C.G.A. ha ritenuto infondato il secondo motivo, con il quale il comune appellante aveva chiesto che il risarcimento da esso dovuto fosse ridotto tenendo conto del vantaggio ("compensatio lucri cum damno") che la società appellata aveva ricevuto, in termini di qualificazione per la partecipazione a pubbliche gare d'appalto, dal fatto d'aver eseguito, per i circa quattro mesi finali e in forza della sentenza del tribunale amministrativo, l'appalto di servizi oggetto del giudizio.

(3) Sulla natura sostanziale dell'interesse legittimo v. per tutti M. Nigro, Ma che cos'è questo interesse legittimo?, in Foro amm. 1988, p. 331 ss.; A. Romano, Diritto soggettivo, interesse legittimo ed assetto costituzionale, Firenze 1980, p. 47 ss.; F.G. Scoca, Contributo allo studio dell'interesse legittimo, Milano, p. 33 ss. e S. Giacchetti, L'interesse legittimo alle soglie del 2000, riportato in questa rivista Internet.

(4) Come rilevato nell'ampia motivazione dell'ordinanza in rassegna, la soluzione della questione assume grande rilevanza, atteso che la giurisprudenza della Corte di Cassazione fa discendere, dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità per danno, conseguenze diverse in materia di rivalutazione e interessi.

Più precisamente, secondo la S.C., nel caso di responsabilità extracontrattuale gl'interessi non decorrono dalla data della domanda, ma da quella del fatto illecito (Cassazione, I sezione, 29 aprile 1999 n. 4299); inoltre, sempre per il danno extracontrattuale, la giurisprudenza della S.C. è nel senso della concorrenza degl'interessi con la rivalutazione; non però calcolando gl'interessi sulla somma finale rivalutata, bensì calcolando gl'interessi legali sulle somme via via rivalutate con riferimento ai periodi di tempo considerati dagl'indici dell'Istituto centrale di statistica sul costo della vita (Cassazione, I sezione, 3 gennaio 1998 n. 13, III sezione, 24 febbraio 1996 n. 1456 e 10 marzo 2000 n. 2796).

In materia di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, viceversa, la rivalutazione costituisce un "maggior danno" che, nei casi di dimostrata possibilità di fruttuoso impiego del denaro, assorbe gl'interessi legali e vi si sostituisce (Cassazione, II sezione, 1 ottobre 1999 n. 10876).

Dopo aver premesso ciò (per evidenziare la rilevanza della questione), secondo il C.G.A. appare legittimo porsi l'interrogativo se, in caso di lesione di interessi legittimi, il risarcimento sia da ascrivere ad una fattispecie di responsabilità contrattuale ovvero a quella aquiliana.

La responsabilità aquiliana corrisponde invero alla violazione del generalissimo precetto del neminem laedere posto dall'ordinamento a salvaguardia della stessa esistenza della società civile e tale precetto prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto giuridico con il soggetto danneggiato.

L'opposto, ovviamente, si verifica nell'ipotesi di responsabilità contrattuale che presuppone appunto la preesistenza di una precisa regola di condotta dei rapporti tra danneggiante e danneggiato, regola di condotta consacrata in un contratto o comunque in un preesistente rapporto obbligatorio e violata da una delle parti.

Nella grande maggioranza dei casi la affermazione della responsabilità dell'amministrazione per lesione di interessi legittimi passa attraverso l'accertamento della violazione delle regole che disciplinano l'attività dell'amministrazione e ciò sia che si tratti di regole giuridiche, sia che si tratti di norme tecniche, sia che si tratti in fine dei canoni di correttezza ed imparzialità cui si uniforma la attività discrezionale dell'amministrazione.

E' del tutto ovvio peraltro che nella ipotesi di lesione di interesse legittimo non sussiste un preesistente contratto o un rapporto obbligatorio in senso civilistico tra amministrazione e privato, ma la più recente dottrina ammette la esistenza di un "rapporto amministrativo" che da luogo ad una ipotesi di "contatto sociale" tra la amministrazione e l'amministrato da cui scaturisce un affidamento di consistenza maggiore rispetto alle aspettative di mero fatto poiché l'interesse legittimo, a differenza di quello di fatto, rappresenta pur sempre una posizione già individuata e differenziata dall'ordinamento.

In forza di esso l'amministrato può pretendere che l'amministrazione adegui nei propri confronti il suo comportamento alle norme che ne disciplinano la attività e ciò sia che si tratti di procedimento di ufficio che su istanza di parte.

Per riferimenti in materia v. la pagina di approfondimento sulla risarcibilità degli interessi legittimi.

 

 

(omissis)

per l'annullamento

della sentenza 12 agosto 2000 n. 1559, con la quale il tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, seconda sezione interna della sezione staccata di Catania, ha condannato il comune al risarcimento dei danni per mancata aggiudicazione d'appalto.

Visto il ricorso in appello, notificato il 28 novembre 2000 e depositato il 14 dicembre 2000;

visto l'atto d'appello incidentale della società Dusty, notificato il 20 dicembre 2000 e depositato il 21 dicembre 2000;

vista la propria ordinanza 18 gennaio 2001 n. 2, con la quale è stata sospesa l'esecutività della sentenza impugnata;

visti gli atti tutti della causa;

relatore, all'udienza del 3 maggio 2001, il consigliere Raffaele Carboni, e uditi altresì gli avvocati Francesco Mineo e Nicolo D'Alessandro;

ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

La società Dusty partecipò a una gara, indetta dal comune di Catania per l'appalto triennale di un lotto del servizio di nettezza urbana, classificandosi seconda, con l'offerta di ribasso del 16,71 per cento sulla base d'asta di lire 12.843.020.760. Nella seduta del 14 febbraio 1994 l'autorità di gara escluse sia la prima classificata, per anomalia dell'offerta, sia la Dusty, e aggiudicò l'appalto al concorrente terzo classificato, società cooperativa a responsabilità limitata Consorzio Nazionale Servizi. L'esclusione di Dusty era stata pronunciata per mancata dimostrazione del requisito d'avere svolto, nel triennio antecedente la gara, analogo servizio in comune con popolazione non inferiore a 50.000 abitanti non avendo l'autorità di gara ritenuto sufficiente una certificazione dello stesso comune di Catania attestante lo svolgimento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani nel marzo 1993. La società Dusty propose ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, che con sentenza 13 settembre 1995 n. 2120 della prima sezione interna della sezione staccata di Catania annullò l'esclusione della ricorrente e la conseguente aggiudicazione alla controinteressata, giudicandole illegittime, dal momento che la concorrente aveva documentato il possesso del requisito in questione. La sentenza fu poi confermata da questo Consiglio, che con decisione 15 febbraio 1999 n. 23 respinse l'appello della controinteressata.

Nel frattempo la società Dusty, con atto notificato il 28 settembre 1995, aveva diffidato il comune a dare immediata esecuzione alla sentenza del tribunale amministrativo affidandole il servizio. Seguì poi carteggio, anche per divergenze sul testo del contratto, finché il comune con deliberazione 7 maggio 1996 n. 725, in esecuzione della sentenza del tribunale amministrativo regionale, dispose che la Dusty subentrasse alla Consorzio Nazionale Servizi con effetto dalla data di consegna dei lavori. Il contratto d'appalto fu stipulato il 17 maggio 1996, con durata fino al 15 marzo 1997 (ossia per la restante durata del triennio); dopo ulteriori difficoltà dovute anche al passaggio del personale dalle dipendenze della precedente a quelle della nuova affidataria del servizio, il 6 novembre 1996 avvenne la consegna dei lavori.

La società, dopo avere chiesto i danni stragiudizialmente anche con riserva apposta al verbale di consegna dei lavori, con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Sicilia notificato il 15 novembre 1999 ha chiesto, sulla premessa che s'era formato il giudicato amministrativo d'annullamento della sua esclusione dalla gara, i danni per i circa trentadue mesi di mancato affidamento del contratto d'appalto, indicandoli in lire 155.680.000 per spese generali riferibili all'appalto, «passivamente sopportate durante il periodo di vincolo passivo» fino alla consegna dei lavori, lire 201.600.000 per aliquota d'ammortamento passivo delle attrezzature e macchinari preposti all'espletamento del servizio, lire 4.128.811.451 per mancato guadagno (di cui 4.025.131.451 per mancato conseguimento dei contributi regionali sulla manodopera che si sarebbe impiegata e 103.680.000 per lucro cessante correlato all'immobilizzo dei mezzi e del potenziale), 314.463.391 per maggior costo della manodopera da utilizzare nel contesto delle prestazioni da rendere e per impossibilità di conseguire il contributo regionale previsto dall'articolo 9 della legge regionale siciliana 15 maggio 1991 n. 27 (rimborso di retribuzioni, abolito dalla legge regionale 7 agosto 1997 n. 30).

Il comune, costituendosi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza della domanda, in particolare eccependo che la ricorrente aveva aggravato il danno trascurando l'ottenere dal tribunale amministrativo regionale (nel giudizio sull'esclusione dalla gara) un provvedimento cautelare, ed eccependo che la ricorrente, stipulando il contratto accettandone senza riserve tutte le clausole aveva implicitamente rinunciato a ogni pretesa risarcitoria.

Il tribunale amministrativo regionale, con la sentenza indicata in epigrafe, premesso che il provvedimento d'esclusione, annullato dal giudice amministrativo, integrava un comportamento ingiusto e colposo generatore di responsabilità per i danni, ha ritenuto non provato il danno per spese generali, reclamato sulla base di un'asserita e non provata "forzata inattività dell'impresa", come pure quello relativo all'inattività dei mezzi meccanici destinati all'appalto; e ha liquidato il danno per mancato guadagno determinandolo, come richiesto dalla ricorrente in via subordinata, nel dieci per cento dell'importo a base d'asta ribassato, osservando che tale criterio di quantificazione trova un riferimento nell'articolo 345 della legge sui lavori pubblici 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F, in materia d'indennizzo dell'appaltatore in caso di recesso della pubblica amministrazione committente. Ha aggiunto agl'interessi la rivalutazione, da calcolare dalla data dell'aggiudicazione ad altri dell'appalto (14 febbraio 1994), ed ha fissato al comune il termine di centottanta giorni dalla comunicazione e notificazione della sentenza per liquidare la somma secondo i criteri anzidetti e per pagarla. Appella il comune per i motivi seguenti.

1) II giudice di primo grado ha errato nel respingere l'eccezione di concorso della Dusty nel determinare l'entità del danno, e nell'affermare che il principio dell'articolo 1227, secondo comma, del codice civile (secondo cui «II risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza») «non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito».

2) La Dusty, eseguendo alla fine il contratto d'appalto per il comune di Catania, ha conseguito elementi di qualificazione tecnica idonei a consentirne la partecipazione alle gare d'appalto più importanti, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto tenerne conto, compensando quel vantaggio con il danno.

3) Il giudice di primo grado ha erroneamente respinto l'eccezione d'avvenuta rinuncia ai danni da parte della Dusty.

4) Il tribunale amministrativo non ha tenuto conto, nel liquidare il danno nel dieci per cento della base d'asta, del periodo d'espletamento dell'appalto.

5) La rivalutazione e gl'interessi debbono decorrere, non già dalla data stabilita dal tribunale amministrativo, bensì dal ricorso del 15 novembre 1999; in ogni caso la sentenza non ha specificato a quale titolo sia dovuta la rivalutazione.

La società Dusty si è costituita in giudizio confutando i motivi d'appello, e osservando che la delimitazione del danno al periodo di mancato espletamento dell'appalto, di cui al quarto motivo d'appello, era già contenuta nella sua domanda, sicché il giudice di primo grado non aveva ragione d'esplicitarla. Ha poi proposto appello incidentale, riproponendo la domanda relativa alle voci di danno respinte dal giudice di primo grado.

Con memoria del 9 aprile 2001 il comune ha prodotto tutta la documentazione - in particolare dichiarazioni rese dalla società stessa in occasione di gara d'appalti pubblici - da cui risulta che la Dusty, nel periodo cui si riferisce il mancato espletamento dell'appalto per cui è causa, ha sempre svolto attività d'impresa.

DIRITTO

Il giudice di primo grado ha correttamente affermato che la regola secondo cui «II risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza», stabilita dall'articolo 1227, secondo comma, del codice civile, non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito (vedasi l'ordinanza della corte costituzionale 14 luglio 1999 n. 308: «l'onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbigazione»). Del resto appare ovvio che il debitore non possa pretendere una riduzione del danno da risarcire, in ragione della durata per la quale il creditore ha atteso lo spontaneo adempimento prima di agire in giudizio, e che la regola dell'articolo 1227 tenda ad imporre comportamenti atti a prevenire ulteriori danni facilmente evitabili, e non già d'intentare rapide ed efficaci azioni giudiziarie contro il debitore. Il primo motivo sembrerebbe quindi destituito di fondamento.

Quanto al secondo motivo, con il quale il comune appellante chiede che il risarcimento da esso dovuto sia ridotto tenendo conto del vantaggio ("compensatio lucri cum damno") che la società Dusty ha ricevuto, in termini di qualificazione per la partecipazione a pubbliche gare d'appalto, dal fatto d'aver eseguito, per i circa quattro mesi finali e in forza della sentenza del tribunale amministrativo, l'appalto di nettezza urbana per cui è causa, si osserva che il principio della compensazione del danno con il guadagno (del danneggiato), il quale poi non è altro che un modo per determinare il danno effettivo, trova applicazione quando un medesimo fatto abbia prodotto sia un danno sia un vantaggio, e non già per gl'indiretti vantaggi derivanti dall'adempimento, da parte del danneggiante o del debitore inadempiente, dell'obbligazione risarcitoria e quindi anche il secondo motivo sembrerebbe infondato.

Quanto al terzo motivo, il Collegio ritiene che la sentenza impugnata abbia correttamente statuito che nelle clausole del contratto d'appalto stipulato in esecuzione del giudicato amministrativo non sia ravvisabile nessuna rinuncia, né espressa né implicita, a far valere il danno per il tardivo affidamento dell'appalto stesso.

Con il quarto motivo l'appellante lamenta che il tribunale amministrativo non abbia tenuto conto, nel liquidare il danno da mancato espletamento dell'appalto nel dieci per cento della base d'asta, del periodo d'espletamento dell'appalto, ossia, deve intendersi, che abbia liquidato il danno sulla base di trentasei anziché di (circa) trentadue mesi. La resistente obietta che il giudice si è limitato a dettare i criteri di liquidazione, nell'ambito dei quali il comune ben può offrire alla Dusty una somma che tenga conto della durata effettiva residua, detraendo l'utile da essa già percepito «nei limiti della corretta domanda formulata (in tal senso) dalla Dusty sin dall'atto introduttivo del giudizio». Il motivo, sul quale le parti sono sostanzialmente d'accordo, potrebbe essere accolto nel senso di precisare che il risarcimento, determinato dal giudice di primo grado nel dieci per cento della base d'asta depurata del ribasso, va rapportato proporzionalmente al periodo di mancato espletamento dell'appalto.

La società Dusty con il proprio appello incidentale ripropone la domanda di risarcimento dei danni per aliquota di spese generali passivamente sopportate, per aliquota di mantenimento passivo di attrezzature e macchinari, per mancato conseguimento dei contributi previsti dalla legislazione regionale siciliana per l'assunzione di manodopera (contributi ipotizzati in oltre quattro miliardi di lire) e per maggior costo della manodopera da utilizzare «nel contesto delle prestazioni da rendere, per impossibilità del conseguimento del contributo regionale previsto dal citato art. 9 della L.R. n. 27/1991, stante ridotta durata di espletamento dei servizi». Al riguardo dovrebbe essere confermata la statuizione del giudice di primo grado, che ha respinto le anzidette domande per mancanza di prova.

Anche a prescindere dalla prova contraria fornita soltanto in appello dal comune di Catania, la Dusty, la quale qualifica essa stessa le anzidette voci come danni da inattività, o da "fermo", ossia di forzata inattività dell'azienda in generale e dei mezzi meccanici in particolare, non solo non ha provato, ma non ha neppure affermato che la propria impresa sia rimasta inattiva fra il 1994 e il 1996; e perciò, mentre da un lato il comune non ha proposto appello sul punto della condanna ai danni da lucro cessante (mancato guadagno sul contratto non concluso), né sul criterio della sua liquidazione (dieci per cento della base d'asta depurata del ribasso offerto), dall'altro va osservato che le anzidette domande di danno, riproposte dall'appellante incidentale, non appaiono fondate. La inattività - ripetesi - non è stata neppure asserita mentre, quanto alla domanda relativa ai contributi regionali, la stessa neppure potrebbe essere accolta in quanto prospetta come mancato guadagno il mancato rimborso di una spesa (assunzione di personale per l'esecuzione dell'appalto) che non è stata neppure effettuata.

Sul quinto motivo, relativo a rivalutazione e interessi, il Collegio deve preliminarmente risolvere il quesito, se la responsabilità patrimoniale dell'ente pubblico per mancato ed illegittimo affidamento di contratto (responsabilità patrimoniale introdotta nell'ordinamento dagli articoli 33 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80) costituisca una responsabilità contrattuale, cioè discendente da inadempimento di obbligazione, oppure una responsabilità extracontrattuale, discendente dal compimento di atto illecito diverso dall'inadempimento di obbligazioni; dato che la giurisprudenza della corte di cassazione fa discendere, dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità per danno, conseguenze diverse in materia di rivalutazione e interessi. In caso di responsabilità extracontrattuale gl'interessi non decorrono dalla data della domanda, bensì da quella del fatto illecito (cassazione, I sezione, 29 aprile 1999 n. 4299); che peraltro nel caso in esame andrebbe individuata, anziché nella data dell'aggiudicazione dell'appalto a un terzo, in quella, posteriore di circa un mese, della consegna dei lavori (alla società CNS); e quanto alla rivalutazione l'indirizzo della suprema corte di cassazione, sempre per il danno extracontrattuale, è nel senso della concorrenza degl'interessi con la rivalutazione; non però calcolando gl'interessi sulla somma finale rivalutata, bensì calcolando gl'interessi legali sulle somme via via rivalutate con riferimento ai periodi di tempo considerati dagl'indici dell'Istituto centrale di statistica sul costo della vita (cassazione, I sezione, 3 gennaio 1998 n. 13, III sezione, 24 febbraio 1996 n. 1456 e 10 marzo 2000 n. 2796).

In materia di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, viceversa, la rivalutazione costituisce un "maggior danno" che, nei casi di dimostrata possibilità di fruttuoso impiego del denaro, assorbe gl'interessi legali e vi si sostituisce (cassazione, II sezione, 1 ottobre 1999 n. 10876).

Naturalmente, tutta la questione presuppone che sia assodato il nesso di causalità tra l'atto dell'amministrazione giudicato illegittimo (in questo caso: esclusione dalla gara) e la mancata aggiudicazione, ossia si pone in tutti quei casi, principalmente nelle aste e nelle licitazioni, in cui la procedura di scelta del contraente non presenta margini di discrezionalità, stante la presenza di regole che determinano minutamente le operazioni che conducono alla scelta predetta; ma nel caso in esame, tale nesso di causalità non è in discussione, perché, come si detto, non c'è appello dell'amministrazione sul punto della risarcibilità del danno da mancata aggiudicazione.

Non va trascurato che nella specie si verte in tema di procedimento di gara in relazione al quale le posizioni sono di interesse legittimo e che la nuova giurisdizione esclusiva in materia ammette espressamente la risarcibilità della lesione arrecata a tali posizioni.

Allo stato attuale della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale è stato affermato che ormai alla posizione di interesse legittimo è riconosciuta natura sostanziale e la preesistenza al processo (in questo senso è molto significativa una pronuncia, sia pure obiter dictum, della Corte Costituzionale nella ordinanza n. 867/1988). Da tale affermazione discende il superamento del tradizionale, e datato insegnamento, che attribuiva valenza solo processuale alla posizione di interesse legittimo, e che aveva trovato consacrazione definitiva nella Adunanza Plenaria n. 1/1966.

E' ormai quindi chiaro e indiscutibile che attraverso il processo amministrativo il ricorrente non fa valere un interesse dell'amministrazione tramite il quale, e solo se coincidente con il proprio, trova soddisfazione indirettamente anche il suo, ma, fa valere direttamente un interesse proprio ben individuato e riconosciutogli direttamente dall'ordinamento.

Ovviamente resta pur sempre valida la affermazione che l'interesse singolare si consegue attraverso il corretto esercizio dell'attività dell'amministrazione tendenzialmente indirizzata al soddisfacimento di un interesse pubblico generale, ma resta pur sempre la consistenza e la preesistenza al processo della posizione di interesse legittimo che, attraverso il processo medesimo, mira esclusivamente alla sua affermazione.

Si potrebbe anzi dire, che attualmente, almeno sul piano processuale, appaiono rovesciati i termini della questione nel senso che attraverso il processo la realizzazione dell'interesse generale si presenta in un certo senso conseguente, ma non necessariamente, rispetto alla realizzazione dell'interesse legittimo che costituisce l'oggetto principale del giudizio. Tale impostazione costituisce l'esatto contrario di quanto affermato dalla Adunanza Plenaria n. 1/1966 che dichiarava inammissibile il ricorso se per effetto di esso, pur realizzandosi l'interesse privato, non si conseguisse la contemporanea realizzazione di un interesse generale dell'amministrazione.

In effetti, appare difficile, nell'attuale momento storico, giustificare la reiezione di una domanda risarcitoria proposta sulla base di un atto o comportamento illegittimo dell'amministrazione, adducendo a motivo della reiezione che l'atto illegittimo risulta comunque coerente con l'interesse generale. Invero, qualora venisse accolta tale impostazione, il costo per il conseguimento dell'interesse generale, ottenuto per di più attraverso un atto illegittimo, anziché essere distribuito sulla collettività, verrebbe a ricadere sul solo titolare dell'interesse legittimo che ha subito una ingiusta lesione.

Vale la pena anche di rammentare la elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che si è consolidata in passato ai fini della distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi; ci si riferisce in particolare alle note distinzioni tra attività vincolata e discrezionale, a quella tra norme di azione e norme di relazione, all'alternativa tra esistenza del potere ed uso scorretto del medesimo. In ogni caso, e salva forse l'ipotesi della inesistenza del potere, tutti erano concordi nel ritenere che la azione dell'amministrazione non è mai avulsa da norme e canoni precisi e ciò anche nelle ipotesi in cui nel procedimento si evidenzi una fase di attività e/o valutazioni discrezionali dell'amministrazione stessa. Altre volte invece (ed attualmente sempre con maggior frequenza) l'attività dell'amministrazione risulta tutta minutamente disciplinata e preregolata vuoi da norme primarie, vuoi da atti normativi secondari o, infine, dalla stessa amministrazione autovincolatasi attraverso risoluzioni, circolari e simili.

Ciò premesso, appare legittimo l'interrogativo se, in caso di lesione di interessi legittimi, il risarcimento sia da ascrivere ad una fattispecie di responsabilità contrattuale ovvero a quella aquiliana. La responsabilità aquiliana corrisponde invero alla violazione del generalissimo precetto del neminem laedere posto dall'ordinamento a salvaguardia della stessa esistenza della società civile e tale precetto prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto giuridico con il soggetto danneggiato.

L'opposto, ovviamente, si verifica nell'ipotesi di responsabilità contrattuale che presuppone appunto la preesistenza di una precisa regola di condotta dei rapporti tra danneggiante e danneggiato, regola di condotta consacrata in un contratto o comunque in un preesistente rapporto obbligatorio e violata da una delle parti. Nella grande maggioranza dei casi la affermazione della responsabilità dell'amministrazione per lesione di interessi legittimi passa attraverso l'accertamento della violazione delle regole che disciplinano l'attività dell'amministrazione e ciò sia che si tratti di regole giuridiche, sia che si tratti di norme tecniche, sia che si tratti in fine dei canoni di correttezza ed imparzialità cui si uniforma la attività discrezionale dell'amministrazione.

E' del tutto ovvio peraltro che nella ipotesi di lesione di interesse legittimo non sussiste un preesistente contratto o un rapporto obbligatorio in senso civilistico tra amministrazione e privato, ma la più recente dottrina ammette la esistenza di un "rapporto amministrativo" che da luogo ad una ipotesi di "contatto sociale" tra la amministrazione e l'amministrato da cui scaturisce un affidamento di consistenza maggiore rispetto alle aspettative di mero fatto poiché l'interesse legittimo, a differenza di quello di fatto, rappresenta pur sempre una posizione già individuata e differenziata dall'ordinamento. In forza di esso l'amministrato può pretendere che l'amministrazione adegui nei propri confronti il suo comportamento alle norme che ne disciplinano la attività e ciò sia che si tratti di procedimento di ufficio che su istanza di parte.

Nel senso della responsabilità extracontrattuale in questa come in analoghe vicende si può osservare principalmente che si versa in ipotesi di mancata stipulazione del contratto d'appalto; e si potrebbe poi assimilare la responsabilità dell'ente pubblico per mancato ed illegittimo affidamento di contratto - pur considerando la differenza tra il generico obbligo di comportamento di buona fede incombente sui privati e l'obbligo della pubblica amministrazione di osservare le norme sulle gare - alla responsabilità precontrattuale sancita dall'articolo 1337 del codice civile (appartenente al genus extracontrattuale), che tutela l'affidamento riposto nella conclusione del contratto, e che fa sorgere l'obbligo del risarcimento del cosiddetto interesse negativo, consistente nelle spese sopportate in vista della conclusione del contratto e nella perdita di occasioni per concludere altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi (cassazione, III sezione, 18 gennaio 2000 n. 495).

Un approfondimento del problema si trova nella recente decisione della quinta sezione del Consiglio di Stato, 6 agosto 2001 n. 4239, che ha esaminato le prospettive offerte dalla teoria del "contatto sociale".

Secondo tale orientamento il qualificato rapporto, proprio degli interessi pretensivi, tra richiedente e amministrazione consentirebbe una "parziale assimilazione tra la responsabilità contrattuale e quella conseguente all'adozione di atti amministrativi illegittimi".

Questo precedente tuttavia rileva che, nonostante sia oggi attenuato il confine tra diritto civile e amministrativo, l'attività dei pubblici poteri è pur sempre connotata dal collegamento con l'interesse pubblico, e non potrebbe essere quindi ricondotta a "mero adempimento di un obbligo puntuale verso il creditore privato".

A questo potrebbe aggiungersi che il fondamento della presunzione di colpa è idealmente collegato a quelle ipotesi - per così dire "normali" - in cui l'obbigazione sorge a seguito di libera espressione dell'autonomia negoziale; in questi casi, l'affidamento dei creditori risulta rafforzato da una corretta applicazione del principio di responsabilità, che fa carico al contraente, di valutare, in via preventiva, la sua possibilità di adempiere agli impegni assunti, dai quali può liberarsi solo se la prestazione sia divenuta impossibile per causa a lui non imputabile.

Il principio generale della responsabilità per colpa risulta pertanto, attenuato, ma per un verso ciò si giustifica in virtù dei principi di affidamento e responsabilità, per altro verso si inserisce nel rischio contrattuale. Sotto quest'ultimo profilo, al contraente che assume obbligazioni è addossata l'alea dell'inadempimento (proprio), al di là dei normali limiti che pongono che agisce senza colpa al riparo da pretese risarcitorie. Questo svantaggio è compensato tuttavia dalla parallela riduzione del rischio per l'inadempimento di controparte.

In sostanza potrebbe essere invocata la natura speciale della responsabilità contrattuale, caratterizzata appunto dalla specialità dell'atto che, causando il danno ingiusto, realizza quella fattispecie. A fronte della natura atipica dell'atto lesivo di cui all'articolo 2043 del codice civile, il danno contrattuale troverebbe la sua fonte solo nell'inadempimento di una obbligazione.

La natura speciale del rapporto così costituito potrebbe perciò coniugarsi alla regola che appunto deroga al principio di responsabilità per colpa, ed al relativo regime probatorio. La "lex specialis" sulla definizione dell'elemento soggettivo (articolo 1218 del codice civile) giustificherebbe quindi una differenziata categoria giuridica (responsabilità contrattuale), costruita attorno ai descritti principi di affidamento dei creditori, responsabilità e rischio del contraente; principi che varrebbero a spiegare la regola derogatoria, e quindi la parziale autonomia di questo tipo di rapporto, rispetto all'altro, che trae origine dalla violazione di un generale dovere di comportamento (neminem laedere). Di conseguenza, anche l'ambito della pretesa risarcitoria si amplia (articolo 1218 del codice civile), sempre in funzione delle aspettative contrattuali. Andrebbe poi considerato che la specialità della fattispecie, com'è noto, è d'ostacolo a che ipotesi diverse e non previste dalla figura tipica (articolo 1218 del codice civile) siano allocate al suo interno; specie se queste possano - con analogo sforzo ermeneutico - essere ricomprese nella più ampia sfera dell'istituto di carattere generale rappresentato dall'art. 2043 del codice civile.

Il problema, in definitiva, è vedere se la posizione dell'autorità amministrativa può essere valutata alla stregua del contraente privato, anche considerando che l'agire della Amministrazione a differenza del contraente privato non risale soltanto ad una scelta propria, ma in buona parte dei casi risale all'ordinamento giuridico. Ciò appare evidente soprattutto nel conflitto tra la Amministrazione ed i titolari di interessi pretensivi, rispetto ai quali prevale l'aspetto del "dover provvedere".

Segue tale impostazione, tra le ultime, Consiglio di stato, VI sezione, 13 novembre 2001 n. 5829.

A favore invece della qualificazione del danno come contrattuale si potrebbe osservare che la responsabilità della pubblica amministrazione per la mancata aggiudicazione non è assimilabile al generico divieto di causare danni ingiusti, nella cui violazione si sostanzia la responsabilità extracontrattuale, e neppure alla particolare figura di danno extracontrattuale costituito dalla responsabilità precontrattuale sancita dall'articolo 1337 del codice civile; e che la gara appare piuttosto assimilabile, pur con tutte le differenze che in dettaglio d'analisi possono essere rilevate, all'offerta al pubblico prevista dall'articolo 1336 del codice civile, ossia a una proposta contrattuale completa, che fa sorgere il contratto non appena un soggetto qualsiasi vi aderisca. In sostanza, in presenza di una procedura minutamente regolata secondo la quale date che siano le vicende di gara, individua in modo univoco l'aggiudicatario, la violazione dell'obbligo di aggiudicare a quel determinato soggetto non sarebbe distinguibile dall'inadempimento contrattuale, e cioè dal caso in cui l'amministrazione committente, pronunciata l'aggiudicazione, omettesse di effettuare la cosiddetta consegna dei lavori (o del servizio) od ometta in qualsiasi altro modo di dare esecuzione al contratto.

Una delle maggiori difficoltà per inquadrare la responsabilità da lesione di interesse legittimo nell'ambito della responsabilità aquiliana sarebbe peraltro costituita dalla difficoltà di individuare una delle componenti essenziali della responsabilità di ogni tipo e cioè l'elemento della colpa. Secondo la nota decisione 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione la colpa deve sempre sussistere ancorché la stessa non possa essere riferita esclusivamente al soggetto agente (il quale, tra l'altro, non sempre è facilmente individuabile), bensì all'amministrazione intesa come apparato. La colpa dell'apparato si dovrebbe poi valutare verificando se lo stesso abbia seguito o meno le regole preposte all'esercizio della discrezionalità amministrativa e cioè se abbia violato o meno i canoni di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione.

La tesi anzidetta benché apparentemente esaustiva e convincente, tuttavia farebbe residuare ampi margini di opinabilità, come peraltro sottolineati da dottrina e giurisprudenza. Innanzitutto ci si è chiesto cosa si intenda per apparato e come debba essere individuata e ricercata la colpa dell'apparato in luogo di quella del soggetto che ha posto in essere il provvedimento amministrativo o il comportamento lesivo della posizione di interesse legittimo. Anche la ricerca della violazione dei canoni di imparzialità e buona amministrazione non sempre fornirebbe una sicura linea guida e ciò specie nel caso di accertata violazione di disposizioni precise e puntuali.

La prevalente giurisprudenza civile anteriore alla citata decisione SS.UU. 500/99, come è noto, assumeva la dichiarata illegittimità dell'atto amministrativo quale candido sine qua non per la azione risarcitoria senza porsi problemi sull'elemento colpa, che riteneva dimostrata in re ipsa (Cassazione Sezioni Unite 5361/1984 e 13021/97). Questa giurisprudenza rappresenta forse il polo opposto rispetto al successivo orientamento delle sezioni unite nella decisione 500/99 ma ambedue sembrerebbero non del tutto soddisfacenti e sollecitano la ricerca di altre soluzioni.

Alla prima infatti si rimprovera la troppo rigida equiparazione tra illegittimità ed imputabilità, alla seconda il fatto di aver collegato la esistenza della colpa a parametri piuttosto vaghi ed evanescenti. E' infatti evidente che mentre è agevole fornire la prova della violazione delle norme specifiche che regolano il singolo procedimento è molto più arduo dimostrare, oltre alla anzidetta violazione, anche la esistenza di una ulteriore violazione di canoni di comportamento generici ed opinabili quali la correttezza, l'imparzialità, la buona amministrazione. Ciò potrebbe rendere il più delle volte oltremodo difficoltosa la dimostrazione dell'elemento soggettivo e pregiudicare quindi l'accoglimento della domanda risarcitoria.

La citata decisione della sezione quinta n. 4239/01 potrebbe costituire una emblematica espressione del disagio del giudice amministrativo all'integrale accoglimento dei parametri indicati dalle sezioni unite e della difficoltà di accettare in toto la tesi della responsabilità aquiliana per lesione di interesse legittimo. La riprova si potrebbe ravvisare anche nel tentativo, operato nell'anzidetta decisione, di coniugare l'art. 2043 c.c. con l'istituto dell'errore scusabile assunto come indice di riconoscimento della esistenza o meno dell'elemento soggettivo della colpa della amministrazione.

Peraltro, la individuazione di ipotesi di assenza di colpa dell'amministrazione, non sembrerebbe costituire di per sé un argomento decisivo per contrastare la configurabilità della fattispecie in esame come appartenente al genus contrattuale.

E' noto che, le fattispecie che più comunemente ed in tutti i campi (amministrativo, civile, tributario, penale) vengono addotte, e a volte anche canonizzate, per escludere la responsabilità dell'amministrazione (o anche del privato) si riferiscono per lo più a fatti estranei alla volontà dell'amministrazione (o del privato stesso).

Si adducono infatti ad esempio i casi della oscurità delle norme giuridiche, quelli delle incertezze della dottrina e della giurisprudenza, quelli del mutamento di indirizzi, specie se si tratta di indirizzi giurisprudenziali di ultima istanza dell'ordinamento interno e/o di quello comunitario. A ben vedere, peraltro, tutte queste fattispecie traggono origine in fattori estranei alla azione dell'amministrazione e potrebbero essere invocate ad esimente della colpa sia nell'ipotesi di responsabilità contrattuale sia nell'ipotesi di responsabilità extracontrattuale.

Infatti, anche nell'ipotesi di responsabilità contrattuale viene in rilievo l'elemento colpa; ciò che invece la differenzia rispetto alla aquiliana è l'inversione dell'onere della prova, poiché è il debitore che deve provare che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile. In sostanza il debitore deve provare l'intervento di fattori esterni ed imprevedibili nella sequenza causale e, in questa ottica, potrebbero trovare cittadinanza anche le fattispecie più sopra ricordate tradizionalmente riconducibili all'errore scusabile, come riconosce anche la citata decisione Sez. V 6 agosto 2001 n° 4239.

Ovviamente oltre all'elemento colpa che è quello maggiormente differenziatore tra le due fattispecie non va dimenticato che nella responsabilità excontrattuale il risarcimento si estende anche ai danni imprevedibili (il che potrebbe comportare conseguenze di rilievo per l'amministrazione come dimostra la preannunciata volontà legislativa di introdurre risarcimenti automatici e forfettari per la violazione degli standards di qualità nei pubblici servizi) e che diversa è anche la durata della prescrizione (cinque anni per la extracontrattuale dieci per la contrattuale).

In conclusione il Collegio parte dalla premessa dell'interesse legittimo che ormai è emerso come posizione sostanziale legata alla valutazione di una specifica condotta dell'amministrazione, preesistente al processo e riaffermantesi nel medesimo attraverso l'accertamento della violazione di queste regole di condotta.

In tale prospettiva, ed una volta concentrato il giudizio risarcitorio presso il giudice amministrativo, appare evidente che in ogni caso, sia che si chieda l'annullamento di un atto e l'emissione del provvedimento favorevole (tipica reintegrazione in forma specifica) sia che si chieda semplicemente di sanzionare un ritardo nell'emanazione del provvedimento dovuto, che abbia arrecato uno specifico e dimostrabile pregiudizio patrimoniale (tipico risarcimento per equivalente), si chiede pur sempre al giudice di esprimere previamente un giudizio sulla correttezza o meno dell'agire dell'amministrazione alla stregua di regole di condotta preesistenti.

La soluzione non appare al momento univoca; la legge, e il diritto vivente, non danno un preciso indirizzo sull'inquadramento della responsabilità derivante da atto amministrativo illegittimo.

Trattandosi di questione nuova, nei termini generali in cui la pone la recente legislazione in materia di risarcibilità del danno da atto amministrativo illegittimo, e profilandosi la possibilità di contrasti giurisprudenziali tra le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, il Collegio giudica opportuno rimettere la questione all'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, a tal fine rimettendo ad essa il presente giudizio d'appello.

Per questi motivi

il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana in sede giurisdizionale rimette parti e causa all'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

Così deciso in Palermo, nelle camere di consiglio del 3 maggio e del 13 dicembre 2001, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, in sede giurisdizionale, con l'intervento dei signori: Riccardo Virgilio, presidente, Raffaele Carboni, Paolo Turco, estensore, Raffaelle Tommasini, Antonio Andò, componenti.

Depositata in cancelleria l'8 maggio 2002.

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