CONSIGLIO DI STATO, COMMISSIONE SPECIALE PUBBLICO IMPIEGO - Parere 1 luglio 2002 n. 511/02
- Pres. Salvatore, Est. Lodi - Oggetto: Ministero della giustizia. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor Mario ARIANO avverso il silenzio-rifiuto dell'Amministrazione in materia di retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) di cui all'art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44.1. Giustizia amministrativa - Ricorso straordinario - Avverso il silenzio-rifiuto - Ammissibilità.
2. Giustizia amministrativa - Ricorso straordinario - Generalità - Ricorso avverso il silenzio-rifiuto - Presupposti per la formazione del silenzio - Diffida ad adempiere - Notifica all'amministrazione mediante ufficiale giudiziario - Nel caso di impugnativa del silenzio mediante ricorso straordinario - Non occorre - Presentazione diretta della diffida ovvero suo invio mediante raccomandata a.r. - Sufficienza - Ragioni.
3. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Retribuzione individuale di anzianità - Ex art. 9 del D.P.R. n. 44/1990 ed art. 25 D.P.R. n. 335/1990 - Funzione - Individuazione - Computo dei periodi di servizio in diversi comparti del pubblico impiego - Necessità.
1. E' impugnabile mediante lo strumento del ricorso straordinario il silenzio-rifiuto serbato dalla P.A. su di una istanza, anche assenza di una specifica determinazione esplicita dell'Autorità amministrativa (1).
2. La diffida all'Amministrazione, necessaria per la formazione del silenzio-rifiuto, nel caso di successiva impugnativa di quest'ultimo con ricorso straordinario al Capo dello Stato, può essere presentata direttamente alla P.A. competente, ovvero mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, dovendosi invece ritenere ormai facoltativa, per preminenti esigenze di semplificazione e di coerenza procedimentale, la formale notificazione della diffida stessa mediante ufficiale giudiziario, alla stregua di quanto previsto dall'articolo 9, secondo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (2).
3. La retribuzione individuale di anzianità è stata prevista dall'art. 25 del d.P.R. 4 agosto 1990, n. 335, per compensare l'esperienza professionale maturata dal singolo dipendente e non rileva, quindi, che l'anzianità sia stata acquisita attraverso servizi prestati in diversi comparti del pubblico impiego, salvo il limite di duplicazioni di benefici derivanti da diversi regimi contrattuali (3) (alla stregua del principio nella specie il Consiglio di Stato, constatato che, nel determinare la misura dell'emolumento in parola l'Amministrazione aveva illegittimamente omesso di computare anche gli anni del servizio pregresso del ricorrente che erano stati prestati in altri comparti della P.A., ha dichiarato l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in tal senso, con la corresponsione della somma dovuta a titolo di emolumenti arretrati, maggiorati di interessi legali e rivalutazione monetaria).
--------------------------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Comm. Spec. P.I., parere 22 aprile 2002, n. 502/02, in questa Rivista Internet.
Alla stregua del principio nella specie è stata respinta l'eccezione pregiudiziale sollevata dal Ministero della giustizia, secondo il quale il ricorso straordinario in questione, non essendo diretto all'annullamento di un atto amministrativo definitivo, sarebbe qualificabile come inteso a proporre una azione di mero accertamento del diritto vantato dal ricorrente, e risulterebbe, pertanto, inammissibile, stante la natura di rimedio di tipo impugnatorio del gravame in via straordinaria, in base a quanto stabilito dall'articolo 8, primo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
Ha rilevato la Commissione speciale che, nella specie, sulla domanda presentata dal ricorrente all'Amministrazione di appartenenza, riguardante la corresponsione della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.), non essendo intervenuta alcuna pronuncia della medesima Amministrazione, si era formato il silenzio-rifiuto, il quale è ritenuto pacificamente impugnabile anche con ricorso straordinario.
(2) Nella articolata motivazione del parere in rassegna, si ripercorre succintamente l'evoluzione dell'istituto del silenzio-rifiuto fin dal momento in cui, con decisione dell'Adunanza plenaria 10 marzo 1978, n. 10, si individuò la disciplina dell'istituto stesso nelle norme dell'art. 25 del testo unico 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto non esclusivamente dirette a regolare il rapporto d'impiego, ma anche quello d'ufficio od organico, in vista degli atti ed operazioni imposti all'ente od ufficio competente.
In adesione a tale originaria pronuncia, quindi, si è in seguito costantemente applicato il criterio, sia nella sede amministrativa che giurisdizionale, in base al quale per la rituale formazione del silenzio-rifiuto dell'Amministrazione, relativamente ad istanze su cui sussista l'obbligo di provvedere, si rende necessaria, dopo sessanta giorni dalla domanda dell'interessato (nel caso di atti od operazioni da non compiersi d'ufficio), una diffida dello stesso interessato, da notificarsi all'impiegato competente o all'Amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario, per intimare all'Amministrazione di provvedere nel termine di trenta giorni, secondo quanto previsto, appunto, dal succitato articolo 25 del T.U. n. 3 del 1957.
Poichè tuttavia la procedura di cui all'art. 25 del T.U. n. 3 del 1957 è stata ritenuta applicabile all'istituto del silenzio-rifiuto in via meramente analogica, in mancanza di una specifica normativa sull'argomento, ha osservato la Commissione speciale che la disciplina relativa all'istituto stesso deve necessariamente adattarsi alle diverse ed eterogenee fattispecie nell'ambito delle quali essa può trovare concreta applicazione.
Ciò vale in particolare per la notifica della diffida "a mezzo di ufficiale giudiziario".
Secondo la Commissione, tale particolare adempimento, che prevede l'utilizzo dell'ufficiale giudiziario, può trovare congrua giustificazione in rapporto alle rilevanti conseguenze dell'atto di diffida, che deve mettere formalmente l'Amministrazione (o l'impiegato inadempiente) di fronte alle responsabilità di vario ordine che potrebbero conseguire dal protrarsi di un comportamento omissivo, tenuto conto che l'inutile decorso dell'indicato termine di trenta giorni comporta la possibilità di devoluzione dell'esame della vicenda ad un terzo soggetto, quale è il giudice cui l'interessato intenda rivolgersi. In altri termini, in vista di una possibile lite da risolvere in sede giurisdizionale, in cui il rispetto delle forme procedimentali e dei relativi termini assume rilievo primario ed inderogabile, non potrebbero coerentemente ammettersi iniziative per l'avvio della relativa procedura, su istanza della parte interessata, senza che venga fornita, da parte di quest'ultima, la prova inconfutabile dell'effettivo intendimento dell'Amministrazione di persistere nel proprio comportamento inerte, nonché del pieno rispetto, da parte dell'istante, dei modi e dei tempi prescritti per l'impugnativa.
La questione si pone in termini diversi nel caso in cui l'interessato, invece di adire la via giurisdizionale, ritenga di avviare un procedimento contenzioso in via amministrativa, mediante la proposizione di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; in questa situazione, le cautele formali connesse alla necessaria notifica della diffida a mezzo ufficiale giudiziario, ai fini della successiva proposizione di un ricorso straordinario, secondo il parere in rassegna, risultano eccessive e superflue ove si consideri, da un lato, che in base alle nome in vigore non ci si deve rivolgere all'ufficiale giudiziario neppure per proporre il ricorso, e, dall'altro lato, che in sede istruttoria l'Amministrazione è in grado di valutare con il massimo agio tutte le pretese avanzate dal ricorrente, e di porre rimedio, se del caso, alle omissioni e manchevolezze che potrebbero dare adito a responsabilità dell'Amministrazione stessa o di suoi funzionari ed impiegati, prima ancora di sottoporre l'esame dell'affare al Consiglio di Stato.
In relazione a ciò è stato pertanto affermato il principio secondo cui "ai fini della legale constatazione del silenzio-rifiuto, in vista della successiva impugnativa mediante ricorso straordinario al Capo dello Stato, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie, può risultare idonea e sufficiente la presentazione della diffida prevista dall'articolo 25 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 10, direttamente al Ministero competente, ovvero mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, qualificandosi come meramente facoltativa la formale notificazione della stessa al menzionato Ministero, alla stessa stregua di quanto previsto dall'articolo 9, secondo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199".
(3) Cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 21 agosto 2000, n. 4504; Sez. III, 9 aprile 2002, n. 1645/01; Comm. Spec. P.I., 17 maggio 1999, n. 438.
N° 2119/01 - Sezione III
N° 511/02 - Comm. Spec. P.I.
La Commissione Speciale
Viste la relazione trasmessa con nota prot. n. 57/01 RS, in data 30 novembre 2001, con la quale il Ministero della giustizia - Direzione generale della organizzazione giudiziaria e degli affari generali - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine al ricorso straordinario indicato in oggetto;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 511, in data 27 maggio 2002, con cui l'esame dell'affare è stato devoluto alla Commissione speciale per il pubblico impiego;
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore cons. Pier Luigi Lodi;
Premesso:
Con il ricorso straordinario in oggetto il signor Mario Ariano, operatore amministrativo già in servizio presso il Ministero della giustizia, espone di aver presentato in data 3 dicembre 1999 istanza all'Amministrazione per ottenere la maggiorazione della retribuzione individuale d'anzianità (R.I.A.), ai sensi dell'art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44, nell'importo corrispondente ad un'anzianità di circa trentatré anni, maturata il 31 dicembre 1990, ricomprendendo anche il servizio prestato in qualità di agente di custodia.
Intendendo la mancata risposta dell'Amministrazione come silenzio-rifiuto, il predetto ha quindi proposto, con atto in data 5 maggio 2001, il ricorso straordinario in esame, con il quale chiede il riconoscimento del suo diritto alla maggiorazione in parola, con le competenze arretrate maggiorate degli interessi legali e della rivalutazione monetaria.
Il riferente Ministero della giustizia ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso, trattandosi della proposizione di una azione di mero accertamento e difettando l'impugnazione di un atto amministrativo di diniego della pretesa fatta valere dall'interessato.
Nel merito il medesimo Ministero richiama talune recenti pronunce giurisprudenziali che conforterebbero le tesi del ricorrente; eccepisce, tuttavia, che i crediti retributivi ed i relativi accessori vantati dal ricorrente sono soggetti alla prescrizione quinquennale relativamente ai periodi anteriori al quinquennio antecedente la data di presentazione del ricorso.
Il ricorso in questione è stato sottoposto, in data 7 maggio 2002, all'esame della competente Sezione III, la quale ha osservato che la disciplina del silenzio-rifiuto fino ad oggi applicata non risulterebbe pienamente aderente alla evoluzione normativa in materia di procedimento amministrativo, nonché alle peculiarità della impugnativa mediante ricorso straordinario, ed ha pertanto prospettato al Presidente del Consiglio di Stato l'opportunità di demandare l'esame dell'affare alla Commissione speciale per il pubblico impiego, per un approfondimento al riguardo.
Considerato:
1. - Va, anzitutto, superata l'eccezione pregiudiziale sollevata dal riferente Ministero della giustizia, secondo il quale il ricorso straordinario in esame, non essendo diretto all'annullamento di un atto amministrativo definitivo, sarebbe qualificabile come inteso a proporre una azione di mero accertamento del diritto vantato dal ricorrente, e risulterebbe, pertanto, inammissibile, stante la natura di rimedio di tipo impugnatorio del gravame in via straordinaria, in base a quanto stabilito dall'articolo 8, primo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
Rileva, infatti, la Commissione speciale che, nella specie, secondo l'assunto del ricorrente, sulla domanda da esso presentata all'Amministrazione di appartenenza, riguardante la corresponsione della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.), non essendo intervenuta alcuna pronuncia della medesima Amministrazione, si sarebbe formato il silenzio-rifiuto.
Ne consegue l'ammissibilità, in detta prospettiva, del ricorso in esame, dovendosi condividersi l'orientamento giurisprudenziale che ammette pacificamente, ormai, l'impugnabilità del silenzio-rifiuto mediante lo strumento del ricorso straordinario, pur in assenza di una specifica determinazione esplicita dell'Autorità amministrativa, come di recente ribadito anche da questa stessa Commissione (Cfr. Cons. Stato, Comm. Spec. P.I. parere n. 502/02 del 22 aprile 2002).
2. - Il problema che deve essere ora affrontato, per il quale, d'altronde, la questione è stata devoluta all'esame di questa Commissione speciale, è quello relativo ai criteri che al momento attuale debbono considerarsi validi e vincolanti per la rituale constatazione del formarsi del silenzio-rifiuto, con particolare riferimento all'ipotesi in cui l'interessato intenda proporre impugnativa, come nella fattispecie di cui si tratta, mediante lo strumento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
In proposito giova rammentare che il Consiglio di Stato, con decisione dell'Adunanza plenaria 10 marzo 1978, n. 10, sul presupposto che il regime del silenzio-rifiuto regolato dall'articolo 5 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383, era ormai venuto meno, per effetto del sopravvenuto d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, non avendo rinvenuto altra norma idonea, aveva ritenuto, in via analogica, che la disciplina della diffida, nell'inerzia della Pubblica amministrazione in ordine al compimento di atti dovuti, dovesse individuarsi nelle norme dell'art. 25 del testo unico 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto non esclusivamente dirette a regolare il rapporto d'impiego, ma anche quello d'ufficio od organico, in vista degli atti ed operazioni imposti all'ente od ufficio competente.
In adesione a tale pronuncia, quindi, si è in seguito costantemente applicato il criterio, sia nella sede amministrativa che giurisdizionale, in base al quale per la rituale formazione del silenzio-rifiuto dell'Amministrazione, relativamente ad istanze su cui sussista l'obbligo di provvedere, si rende necessaria, dopo sessanta giorni dalla domanda dell'interessato (nel caso di atti od operazioni da non compiersi d'ufficio), una diffida dello stesso interessato, da notificarsi all'impiegato competente o all'Amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario, per intimare all'Amministrazione di provvedere nel termine di trenta giorni, secondo quanto previsto, appunto, dal succitato articolo 25 del T.U. n. 3 del 1957.
3. - Osserva, peraltro, il Collegio che tali regole non appaiono, allo stato, pienamente ed integralmente applicabili in ogni caso, tenuto conto della evoluzione normativa e giurisprudenziale verificatasi nel frattempo.
4. - Deve richiamarsi, in primo luogo, la legge 7 agosto 1990, n. 241, che, nel dettare nuove norme in materia di procedimento amministrativo, ha fissato in via generale il principio della semplificazione, con il divieto di aggravamento del procedimento stesso, posto dall'articolo 1, comma 2, nonché il principio della doverosità di una pronuncia espressa da parte della Pubblica amministrazione, previsto dall'articolo 2, sia che il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio.
Da ciò deriva che, in piena coerenza con i principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell'attività amministrativa, nell'applicazione della normativa vigente deve sempre tenersi conto dell'imprescindibile esigenza di evitare l'imposizione di adempimenti, a carico degli amministrati, che non risultino essenziali per il corretto svolgimento della procedura e per la piena salvaguardia degli interessi, pubblici e privati, che nella stessa siano coinvolti.
Inoltre, debbono opportunamente valorizzarsi le possibilità offerte dall'ordinamento per la difesa del cittadino di fronte ad una delle forme più temibili di comportamento illegittimo della Pubblica amministrazione, costituito proprio dall'inerzia e dal "silenzio" della stessa, anche in presenza di uno specifico obbligo di sua tempestiva attivazione.
Con la recente legge 21 luglio 2000, n. 205, è stato espressamente introdotto un nuovo strumento di tutela avverso l'inerzia dell'Amministrazione, destinato ad operare con modalità semplificate ed accelerate, valevoli, peraltro, soltanto in sede giurisdizionale e, comunque, come sembra emergere dai primi orientamenti giurisdizionali, non applicabili a tutte le pretese azionabili dinanzi al giudice amministrativo.
Va sottolineato che detto strumento risulta specificamente preordinato alla dichiarazione dell'obbligo di provvedere nel termine di trenta giorni, da parte dell'Amministrazione, salva la nomina di un commissario perché provveda in luogo di essa, nell'ipotesi di protrazione dell'inadempienza. Sembra logico, ritenere, quindi, che resti comunque ferma la facoltà dell'amministrato di attivare il meccanismo del silenzio-rifiuto ai fini della successiva impugnazione con rito ordinario, atteso che una simile impugnativa, secondo un orientamento giurisprudenziale generalmente condiviso, può permettere di conseguire una pronuncia sulla fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere dal ricorrente (cfr. Cons. Stato Sez. V, 25 settembre 2000, n. 5081).
5. - Per quanto concerne propriamente la disciplina procedimentale relativa al ricorso straordinario al Capo dello Stato, negli ultimi anni si sono registrate diverse pronunce giurisprudenziali le quali, in quanto evidentemente ispirate ai principi sopra enunciati, oltre ad ammettere di frequente la scusabilità dell'errore procedimentale commesso dall'istante, hanno anche espressamente riconosciuto la possibilità di una effettiva semplificazione delle regole per la proposizione di tali gravami, tenuto specialmente conto delle loro caratteristiche peculiari e dell'imprescindibile esigenza di assicurare, anche in tale sede, il massimo grado di tutela al ricorrente, allo stesso modo di come avviene nella sede giurisdizionale, di cui costituisce l'alternativa.
Una speciale menzione in proposito può farsi con riguardo a pareri che, nel mettere in evidenza la circostanza che il ricorso straordinario è uno strumento giustiziale che può essere redatto dal diretto interessato, senza l'assistenza di un avvocato, hanno interpretato estensivamente le norme dell'articolo 9, secondo comma, del citato d.P.R. n. 1199 del 1971, nel senso di ritenere ammissibile il ricorso, ancorché presentato - in termini - non già direttamente al Ministero competente, bensì inviato, rispettivamente, alla Presidenza della Repubblica, ovvero alla Avvocatura Generale dello Stato, e poi da queste trasmesso - fuori termini - al predetto Ministero competente (cfr. Cons. Stato Comm. Spec. n. 71/97 del 29 ottobre 1997; Sez. I, n. 688/98 dell'11 novembre 1998).
Proprio nell'ottica di impedire un inutile aggravamento procedurale, e per non far ricadere comportamenti intempestivi di Organi pubblici sul soggetto interessato, oltretutto spesso privo di adeguate conoscenze tecniche in materia, si è affermato, pertanto, che in tali casi il ritardo della suddetta trasmissione del gravame al Ministero non deve essere addebitabile al ricorrente.
6. - In ordine al meccanismo del silenzio-rifiuto sembra opportuno ribadire che, come già si è notato, la procedura di cui all'art. 25 del T.U. n. 3 del 1957 è stata ritenuta applicabile in via meramente analogica, in mancanza di una specifica normativa sull'argomento. Da ciò deriva che detta disciplina deve necessariamente adattarsi alle diverse ed eterogenee fattispecie nell'ambito delle quali essa può trovare concreta applicazione.
In particolare va considerata la norma che, come si è ricordato, prevede la notifica della diffida "a mezzo di ufficiale giudiziario".
Osserva in proposito il Collegio che tale rigoroso precetto può, invero, trovare congrua giustificazione in rapporto alle rilevanti conseguenze dell'atto di diffida, che deve mettere formalmente l'Amministrazione (o l'impiegato inadempiente) di fronte alle responsabilità di vario ordine che potrebbero conseguire dal protrarsi di un comportamento omissivo, tenuto conto che l'inutile decorso dell'indicato termine di trenta giorni comporta la possibilità di devoluzione dell'esame della vicenda ad un terzo soggetto, quale è il giudice cui l'interessato intenda rivolgersi.
In altri termini, in vista di una possibile lite da risolvere in sede giurisdizionale, in cui il rispetto delle forme procedimentali e dei relativi termini assume rilievo primario ed inderogabile, non potrebbero coerentemente ammettersi iniziative per l'avvio della relativa procedura, su istanza della parte interessata, senza che venga fornita, da parte di quest'ultima, la prova inconfutabile dell'effettivo intendimento dell'Amministrazione di persistere nel proprio comportamento inerte, nonché del pieno rispetto, da parte dell'istante, dei modi e dei tempi prescritti per l'impugnativa.
7. - La Commissione speciale ritiene che la predetta questione debba porsi in una luce diversa, con riferimento alle fattispecie in cui l'interessato, invece di adire la via giurisdizionale, ritenga di avviare un procedimento contenzioso in via amministrativa, mediante la proposizione di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Come è noto, infatti, in tale ipotesi, ove si contenda su presunte omissioni di Amministrazioni statali, il gravame deve essere di norma presentato al Ministero competente "direttamente o mediate notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento", secondo quanto stabilito dal già citato articolo 9, secondo comma del d.P.R. n. 1199 del 1971. Inoltre è lo stesso Ministero che provvede alla relativa istruttoria, ai sensi del successivo articolo 11, primo comma, e che propone al Presidente della Repubblica il decreto decisorio, ancorché sulla base del parere parzialmente vincolante del Consiglio di Stato, secondo quanto stabilito dai primi due commi dell'articolo 14 dello stesso provvedimento normativo.
E' evidente, dunque, che in questa situazione le cautele formali connesse alla necessaria notifica della diffida a mezzo ufficiale giudiziario, ai fini della successiva proposizione di un ricorso straordinario, risultano eccessive e superflue ove si consideri, da un lato, che in base alle nome in vigore non ci si deve rivolgere all'ufficiale giudiziario neppure per proporre il ricorso, e, dall'altro lato, che in sede istruttoria l'Amministrazione è in grado di valutare con il massimo agio tutte le pretese avanzate dal ricorrente, e di porre rimedio, se del caso, alle omissioni e manchevolezze che potrebbero dare adito a responsabilità dell'Amministrazione stessa o di suoi funzionari ed impiegati, prima ancora di sottoporre l'esame dell'affare al Consiglio di Stato.
8. - Ciò posto ritiene il Collegio che, nel caso in questione, pur dandosi applicazione, in via analogica, delle disposizioni dell'articolo 25 del T.U. n. 3 del 57, non possa omettersi di tenere adeguato conto, nel contempo, di preminenti esigenze di semplificazione e di coerenza procedimentale, in relazione alle peculiarità della fattispecie particolare in cui detta disciplina viene chiamata ad operare, sicchè appare corretto enucleare dalla regola di cui viene fatta applicazione quello che è il nucleo essenziale rispettoso "dell'eadem ratio" e nel contempo congruente con la fattispecie da regolare.
In questa prospettiva ai fini della legale constatazione del silenzio-rifiuto, in vista della successiva impugnativa mediante ricorso straordinario al Capo dello Stato, sembra possibile concludere, pertanto, nel senso che possa risultare idonea e sufficiente la presentazione di detta diffida direttamente al Ministero competente, ovvero mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, qualificandosi come meramente facoltativa - costituendo una mera modalità della presentazione della diffida - la formale notificazione della stessa al menzionato Ministero, alla stessa stregua di quanto previsto dal ripetuto articolo 9, secondo comma, del d.P.R. n. 1199 in parola.
9. - Tanto premesso, può ora passarsi all'esame del merito del ricorso in oggetto.
La pretesa del ricorrente riguarda la corresponsione della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) computata in relazione all'intero periodo di servizio prestato, ivi compreso quello a suo tempo svolto come agente di custodia, prima di essere assunto dal Ministero della giustizia come operatore amministrativo.
Trattasi di emolumento che, facendo parte della retribuzione del dipendente, doveva essere corrisposto d'ufficio dall'Amministrazione, senza la necessità di alcuna istanza da parte dell'interessato.
Nel ricorso si precisa che il ricorrente, in data 3 dicembre 1999, aveva presentato istanza in proposito al competente Ufficio dell'Amministrazione, la quale, nella relazione ministeriale, non smentisce tale circostanza, anche se non trasmette al Consiglio di Stato copia di detto documento.
In ogni caso la Commissione speciale ritiene che, nel caso in esame, considerato che una apposita domanda non era necessaria, l'atto presentato dal ricorrente in data 3 dicembre 1999 può qualificarsi come equivalente, quanto agli effetti sostanziali, alla diffida prevista per la formazione del silenzio-rifiuto, atteso che in base ad essa l'Amministrazione era certamente in grado di far fronte, immediatamente, a tutti gli obblighi posti a suo carico dalla legge.
Non avendo l'Amministrazione provveduto a trasmettere il documento in questione non è possibile compiere alcuna verifica in ordine alle effettive modalità di presentazione del documento stesso, da parte dell'interessato, ma il Collegio è dell'opinione che, nel caso di specie, possa omettersi un ulteriore approfondimento della questione di fatto, potendosi, comunque, riconoscere la scusabilità di un errore eventualmente commesso in proposito dall'interessato, stante la novità e complessità dei problemi connessi con la individuazione della corrette modalità di presentazione dell'atto di diffida in questione.
Per le stesse ragioni, e considerato, altresì, che lo stesso Ministero riferente si pronuncia per la fondatezza nel merito del ricorso, il Collegio prescinde da ogni valutazione in ordine alla tempestività del gravame, che reca la data del 5 maggio 2001.
Ciò posto, nella sostanza il ricorso appare fondato, dovendosi condividere l'orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo cui, come sottolineato anche dal Ministero riferente, la retribuzione individuale di anzianità è stata prevista dall'art. 25 del d.P.R. 4 agosto 1990, n. 335, per compensare l'esperienza professionale maturata dal singolo dipendente, e non rileva, quindi, che l'anzianità sia stata acquisita attraverso servizi prestati in diversi comparti del pubblico impiego, salvo il limite di duplicazioni di benefici derivanti da diversi regimi contrattuali, che non risultano, però, prospettabili nel caso che ci occupa (cfr. da ultimo: Cons. Stato, Sez. VI, 21 agosto 2000, n. 4504; Sez. III, 9 aprile 2002, n. 1645/01; Comm. Spec. P.I., 17 maggio 1999, n 438).
Poiché risulta che, invece, nel determinare la misura dell'emolumento in parola l'Amministrazione ha omesso di computare anche gli anni del servizio pregresso dell'odierno ricorrente, la pretesa del medesimo ad una integrazione dell'emolumento medesimo risulta fondata e va, conseguentemente, dichiarato l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in tal senso, con la corresponsione della somma dovuta a titolo di emolumenti arretrati, maggiorati di interessi legali e rivalutazione monetaria, in accoglimento del ricorso straordinario in esame.
10. - Nella relazione ministeriale si eccepisce, peraltro, la intervenuta prescrizione, relativamente ai periodi anteriori al quinquennio antecedente alla data di presentazione del ricorso, in applicazione dell'articolo 2948 del codice civile.
L'eccezione appare fondata e va accolta, con la precisazione, tuttavia, che il computo della prescrizione stessa dovrà farsi decorrere dal primo atto interruttivo della prescrizione stessa, ossia dalla presentazione, da parte del ricorrente, dell'atto in data 3 dicembre 1999, già sopra menzionato.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Per estratto dal verbale
Il Segretario
(Pier Maria Costarelli)
Visto
Il Presidente
(Paolo Salvatore)