C.G.A., SEZ. GIURISDIZIONALE - Sentenza 29 novembre 2002 n. 629 - Pres. Virgilio, Est. Carboni - Comune di Messina (Avv. Tigano) c. S.R.L. Studio 2000 (n.c.) - (conferma T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. II, sent. 29 gennaio 2002, n. 148, in questa Rivista, n. 2-2002, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarct2_2002-01-29.htm).
Contratti della P.A. - Bando - Impugnativa in s.g. - Successiva mancata partecipazione alla gara del ricorrente - Rende di regola inammissibile il ricorso avverso il bando - Inapplicabilità del principio nel caso in cui venga contestato il prezzo indicato dall'Amministrazione.
Di regola, affinché sia ritenuto procedibile un ricorso avverso le clausole di un bando di gara o di concorso che impongano determinati requisiti di partecipazione, occorre che sia stata presentata domanda di partecipazione, atteso che chi non ha presentato domanda di partecipazione non solo non può dimostrare di avere un concreto interesse all'eliminazione della clausola (che pone determinati requisiti dei quali egli è privo), ma non ha effettivamente interesse, perché la pronuncia d'annullamento della clausola non lo rimetterebbe in termini per presentare la domanda di partecipazione.
Tale principio generale, tuttavia, non è applicabile nel caso in cui l'interessato, che vanta i requisiti di partecipazione senza che sussista prova in contrario, abbia impugnato il bando di una gara d'appalto con offerte al ribasso, deducendo che il prezzo a base d'asta non copre i costi delle prestazioni richieste. In tale ipotesi non può richiedersi, ai fini della procedibilità del ricorso, che l'interessato abbia anche presentato domanda di partecipazione alla gara, atteso che l'interessato stesso, presentando la domanda di partecipazione, si troverebbe nell'alternativa o di offrire un prezzo in aumento o di presentare un prezzo in perdita (1).
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(1) Con la sentenza in rassegna viene confermata la innovativa sentenza del T.A.R. Catania (Sez. II, sent. 29 gennaio 2002, n. 148, in questa Rivista, n. 2-2002), con la quale era stato affermato analogamente che:
a) deve in generale ritenersi inammissibile, per difetto di interesse, un ricorso diretto contro il bando di gara con il quale si contestino delle clausole impeditive della partecipazione stessa, ove l'impresa interessata, che aveva proposto ricorso contro il bando, non abbia poi partecipato alla gara;
b) tale regola, tuttavia, non è applicabile al caso in cui l'impresa abbia contestato, in sede di impugnativa del bando, la legittimità del prezzo indicato dall'Amministrazione, ritenendolo sottostimato e quindi insufficiente a coprire i costi obbligatori (quali quelli relativi agli oneri retributivi e previdenziali dei lavoratori) da sostenersi dall'aggiudicatario. In tal caso, ritenere necessaria - ai fini della legittimazione processuale - la presentazione della domanda di partecipazione alla gara porterebbe a risultati del tutto illogici ed aberranti, mentre deve ritenersi sufficiente che l'impresa che ha impugnato il bando dia dimostrazione di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti dal bando (quali quelli attinenti alla capacità economico - finanziaria ed alla capacità tecnica) per partecipare alla gara stessa.
FATTO
Il comune ha indetto la gara d'appalto sopra indicata, con importo a base d'asta di lire 2.592.000.000, con offerte solo in diminuzione e con termine alle ore 9 del 4 novembre 1999 per presentare la domanda di partecipazione. La società Studio 2000, che non aveva presentato domanda di partecipazione, con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Sicilia notificato il 9 ottobre 1999 ha impugnato il bando, deducendone l'illegittimità e chiedendone l'annullamento per due motivi. Con il primo motivo, ampiamente articolato, ha dedotto che il comune aveva, illogicamente, determinato la base d'asta in una somma che non era neppure sufficiente a coprire le spese che l'aggiudicatario avrebbe dovuto sostenere per l'esecuzione dell'appalto; con il secondo motivo ha dedotto che l'appalto, così come configurato nel bando e dal capitolato - che prevedeva la gestione di mezzi di proprietà del comune imponendo il numero e la qualifica dei lavoratori da impiegare e faceva obbligo all'aggiudicatario di assumere il personale già addetto al servizio - dava vita a un'intermediazione nell'assunzione di manodopera, vietata dalla legge 23 ottobre 1960 n. 1969.
Il tribunale amministrativo regionale, fatta eseguire una verificazione sul costo del personale, con la sentenza indicata in epigrafe ha accolto il ricorso, stimando il costo dell'esecuzione dell'appalto in lire 3.252.715.012, di cui lire 3.172.715.012 per il personale, e giudicando perciò fondato il primo motivo; ha giudicato invece infondato il secondo motivo.
Preliminarmente il tribunale amministrativo ha respinto l'eccezione d'inammissibilità del ricorso formulata dal comune di Messina sul rilievo che la ricorrente non aveva presentato domanda di partecipazione argomentando che, sebbene effettivamente occorra aver presentato domanda di partecipazione quando si voglia impugnare un bando per contestare le clausole relative ai requisiti d'ammissione alla procedura concorsuale (che siano tali da comportare l'esclusione del ricorrente), nel caso peculiare di un'impresa avente i requisiti per la partecipazione, che in una gara con offerte solo in ribasso voglia contestare la legittimità del prezzo, la legittimazione all'impugnazione del bando sussiste indipendentemente dalla presentazione della domanda di partecipazione.
Il tribunale ha anzi osservato che l'impresa che voglia contestare la congruità del prezzo a base d'asta non ha altra scelta che quella d'astenersi dal presentare la domanda di partecipazione, perché se la presentasse si troverebbe nell'alternativa o di offrire un prezzo in aumento, facendosi legittimamente escludere dalla gara, o di presentare un prezzo in perdita, facendo acquiescenza alla base d'asta; e che siffatti inconvenienti possono essere evitati appunto solo ammettendo che l'inadeguatezza del prezzo a base d'asta possa esser contestato in sede giurisdizionale anche dalle imprese in possesso dei requisiti di partecipazione (qual è, pacificamente, la ricorrente, che era stata giudicata idonea in altra precedente gara), che non abbiano presentato domanda.
Appella il comune di Messina, il quale ripropone, criticando la motivazione della sentenza, l'eccezione d'inammissibilità del ricorso in primo grado perché proposto da soggetto che non aveva presentato domanda di partecipazione alla gara; sostiene, a questo riguardo, che l'omessa presentazione della domanda equivale a rinuncia alla partecipazione. Nel merito, richiama i propri conteggi e sostiene che, al più, potrebbe ritenersi sussistente una differenza rispetto al prezzo a base d'asta di appena 50.000.000 di lire, non rilevante ai fini dell'accoglimento delle contestazioni formulate dallo Studio 2000 s.r.l.
DIRITTO
La questione principale sottoposta all'esame del Collegio è quella dell'ammissibilità o meno, sotto il profilo dell'interesse e della legittimazione a ricorrere, di un ricorso proposto contro un bando di gara d'appalto, con offerte al ribasso da un'impresa che contesti la congruità del prezzo a base d'asta e che non abbia presentato domanda di partecipazione, semprechè la ricorrente abbia i requisiti di partecipazione, o per lo meno non risulti il contrario.
Al riguardo il Collegio condivide appieno la decisione del giudice di primo grado, di ammissibilità del ricorso, e la relativa motivazione.
L'appellante ribadisce, richiamando i precedenti giurisprudenziali citati nella sentenza (tra i quali la decisione n. 572 del 1999 di questo Consiglio) che per impugnare le clausole di un bando di gara o di concorso che impongano determinati requisiti di partecipazione occorre aver presentato domanda di partecipazione. Ma in quel caso chi non abbia presentato domanda di partecipazione non solo non può dimostrare di avere un concreto interesse all'eliminazione della clausola (che pone determinati requisiti dei quali egli è privo), ma non ne ha effettivamente, perché la pronuncia d'annullamento della clausola non lo rimetterebbe in termini per presentare la domanda di partecipazione.
Ma quando un imprenditore, che vanti i requisiti di partecipazione senza che sussista prova in contrario, impugni invece il bando di una gara d'appalto con offerte al ribasso deducendo che il prezzo a base d'asta non copre i costi delle prestazioni richieste, la situazione è ben diversa: presentando la domanda di partecipazione egli si troverebbe nell'alternativa o di offrire un prezzo in aumento o di presentare un prezzo in perdita; in ambo i casi sussiste un'elevata probabilità che il ricorso contro il bando venga dichiarato inammissibile, nel primo caso perché il ricorrente verrebbe escluso legittimamente, alla stregua di norme sulla gara di diverse dalla clausola contestata con il ricorso, nel secondo caso potendosi sensatamente sostenere che la partecipazione alla gara costituisce acquiescenza al prezzo posto a base d'asta; e non è ragionevole che i possibili aspiranti all'aggiudicazione dell'appalto si debbano trovare nella prospettiva di vedersi in ogni caso dichiarare inammissibile il ricorso.
Perciò, benché nel caso anzidetto non si possa esser certi del concreto interesse all'impugnazione (perché non si può sapere né se l'amministrazione rifarà la gara né se il ricorrente vi parteciperà e neppure se egli possiede effettivamente tutti i requisiti), nell'inevitabile alternativa tra l'ammettere un ricorso che potrebbe non essere sorretto da effettivo interesse e il negare giustizia si deve ammettere la legittimazione a ricorrere.
Del resto tale esclusione presenta profili analoghi a quelli relativi alla legittimazione oggi costantemente ammessa (vedasi: Consiglio di Stato, sesta sezione, 7 maggio 2001 n. 2541) degli imprenditori del settore che contestino la decisione di una pubblica amministrazione di affidare un appalto a trattativa privata anziché mediante gara.
Nel merito, il Collegio rileva che l'argomento sul quale insiste il comune appellante, e cioè che la base d'asta ammontava a lire 3.110.400.000 comprensivo d'imposta sul valore aggiunto anziché a lire 2.592.000.000 al netto dell'imposta sul valore aggiunto, è inconsistente, dal momento che i due importi si equivalgono. Esso sostiene poi che la differenza rispetto al prezzo a base d'asta potrebbe, al più, ritenersi sussistente per un importo limitato ad appena 50.000.000 di lire.
Con ciò l'appellante intende dire che il costo delle prestazioni richieste dall'appaltatore è certamente superiore alla base d'asta di almeno 50.000.000 di lire: si legge infatti nella relazione di verificazione di primo grado che anche il comune, rifatti i conteggi tenendo conto di un certo contratto collettivo di lavoro del quale non aveva tenuto conto redigendo il bando, perviene a un prezzo, comprensivo dell'utile d'impresa, di lire 2.636.1448.341, superiore alla base d'asta.
Il motivo, con il quale l'appellante stessa conferma che la base d'asta non è congrua, è perciò infondato.
In conclusione l'appello dev'essere respinto. Non si deve provvedere sulla spesa in giudizio, non essendosi costituita la parte appellata.
Per questi motivi
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana il sede giurisdizionale, respinge l'appello indicato in epigrafe. Nulla sulle spese di giudizio.
Così deciso in Palermo, il 10 ottobre 2002, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana il sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei signori: Riccardo Virgilio, presidente, Raffaele Carboni, estensore, Paolo Turco, Vittorio Mammana e Andrea Parlato, componenti.
Depositata il 29 novembre 2002.