CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 26 giugno 2002 n. 282 – Pres. RUPERTO, Red. ONIDA – (giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 17 gennaio 2002, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2002).
1. Sanità pubblica – Trattamenti terapeutici – Trattamenti chirurgici di malati di mente - Disciplina prevista dalla legge Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26 – Questione di legittimità costituzionale – Fondatezza.
2. Sanità pubblica – Tutela della salute - Competenza regionale in materia – A seguito della riforma dal Titolo V della Costituzione – Potestà legislativa concorrente - Rispetto dei principi fondamentali previsti in sede statale – Necessità.
3. Sanità pubblica – Tutela della salute - Competenza regionale in materia – A seguito della riforma dal Titolo V della Costituzione – Regime transitorio – Rispetto dei principi risultanti dalla legislazione statale già in vigore – Necessità.
4. Sanità pubblica – Tutela della salute – Pratiche terapeutiche – Limiti di intervento del legislatore in materia – Individuazione.
1. E’ costituzionalmente illegittima della legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26, recante "Sospensione della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia", atteso che al legislatore è senz’altro preclusa ogni possibilità di intervenire sulle pratiche terapeutiche ammesse, sui limiti di esse e sulle loro condizioni di ammissibilità (1).
2. La legge regionale delle Marche 13 novembre 2001, n. 26, concerne l’ambito materiale della "tutela della salute", che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla L. cost. n. 3/2001, costituisce oggetto della potestà legislativa concorrente delle Regioni, la quale si esplica nel rispetto della competenza riservata allo Stato per la "determinazione dei principi fondamentali".
3. La nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., rispetto a quella previgente dell’art. 117, primo comma, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina. Ciò non significa però che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore.
4. Salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali, di norma al legislatore non compete il potere di stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione; autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto di incrocio dei principi di questa materia (2).
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(1) Come risulta dalla motivazione della sentenza in rassegna, la legge della Regione Marche impugnata dal Governo, dopo avere, all’art. 1, enunciato generiche finalità di tutela della salute e di garanzia della integrità psicofisica delle persone – finalità che lo stesso ricorrente riconosce come condivisibili, pur sostenendo che il loro perseguimento non è riservato alla Regione –, all’art. 2 dispone che "è sospesa, su tutto il territorio della regione", da un lato "l’applicazione della terapia elettroconvulsivante (TEC)" (comma 1), dall’altro lato "la pratica della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia" (comma 2): in entrambi i casi "fino a che il Ministero della salute non definisca in modo certo e circostanziato le situazioni cliniche per le quali tale terapia [rispettivamente la TEC, o c.d. elettroshock, e la pratica degli accennati interventi di psicochirurgia], applicata secondo protocolli specifici, è sperimentalmente dimostrata efficace e risolutiva e non è causa di danni temporanei o permanenti alla salute del paziente".
Tale legge prevede la obbligatoria "sospensione" – cioè il divieto, sia pure temporaneo – di determinate pratiche terapeutiche in tutto il territorio regionale. Essa non ha come destinatarie le strutture del servizio sanitario regionale, ma si riferisce alla pratica clinica, dovunque e da chiunque svolta. – nel quadro del nuovo sistema di riparto della potestà legislativa risultante dalla riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 – non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale
La legge de quo non riguarda tanto livelli di prestazioni, quanto piuttosto l’appropriatezza, sotto il profilo della loro efficacia e dei loro eventuali effetti dannosi, di pratiche terapeutiche, cioè di un’attività volta alla tutela della salute delle persone, e quindi pone il problema della competenza a stabilire e applicare i criteri di determinazione di tale appropriatezza, distinguendo fra ciò che è pratica terapeutica ammessa e ciò che possa ritenersi intervento lesivo della salute e della personalità dei pazienti, come tale vietato.
Sono coinvolti fondamentali diritti della persona, come il diritto ad essere curati e quello al rispetto della integrità psico-fisica e della personalità del malato nell’attività di cura, ma, più che in termini di "determinazione di livelli essenziali", sotto il profilo dei principi generali che regolano l’attività terapeutica.
(2) Ha aggiunto la Corte che al legislatore è senz’altro preclusa ogni possibilità di intervenire sulle le pratiche terapeutiche ammesse, sui limiti di esse e sulle loro condizioni di ammissibilità. Così, ad esempio, secondo la Corte, sarebbe certamente possibile dettare regole legislative dirette a prescrivere procedure particolari per l’impiego di mezzi terapeutici "a rischio", onde meglio garantire – anche eventualmente con il concorso di una pluralità di professionisti – l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie. Ma un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati, dato l’"essenziale rilievo" che, a questi fini, rivestono "gli organi tecnico-scientifici" (cfr. Corte Cost., sentenza n. 185 del 1998); o comunque dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica.
Nella specie, ha osservato il Giudice delle leggi, la legge reg. Marche soggetta a scrutinio di legittimità costituzionale non si fonda né pretende di fondarsi su specifiche acquisizioni tecnico-scientifiche verificate da parte degli organismi competenti, ma si presenta come una scelta legislativa autonoma, dichiaratamente intesa a scopo cautelativo, in attesa di futuri accertamenti che dovrebbero essere compiuti dall’autorità sanitaria nazionale (in ordine ai quali, peraltro, il legislatore regionale non stabilisce, né avrebbe potuto stabilire alcunché): e ciò, per di più, riferendosi non già a terapie "nuove" o sperimentali (anzi, nella relazione della commissione consiliare al disegno di legge, è detto che l’ultimo trattamento di TEC praticato nelle Marche risale al 1992, e da allora esso "risulterebbe essere stato abbandonato"), bensì a pratiche conosciute e utilizzate da tempo (la citata nota 15 febbraio 1999 del Ministero della sanità riconduce al 1938 l’epoca in cui "fu inventata e proposta la TEC"), ancorché oggetto di considerazioni non sempre omogenee fra gli specialisti.
Sulla riforma del Titolo V della Costituzione v. l'apposita pagina di approfondimento.
SENTENZA N. 282
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26, recante "Sospensione della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale e altri simili interventi di psicochirurgia", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 17 gennaio 2002, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2002.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
3.– Nell’imminenza dell’udienza ha depositato memoria la sola Regione resistente, allegando alcuni documenti.
La difesa regionale ricorda innanzitutto che alla base della legge impugnata c’è la necessità di sospendere, in base al principio di precauzione, che in ambito comunitario si intende applicabile particolarmente nei settori della protezione della salute e dell’ambiente, l’utilizzo di terapie circondate da ampi e controversi margini di incertezza, tanto in relazione all’efficacia terapeutica quanto in relazione ai possibili effetti collaterali dannosi per la salute del paziente, come lo stesso Ministro della sanità avrebbe riconosciuto (quanto alla terapia elettroconvulsivante).
La legge regionale interviene quindi, secondo la difesa regionale, in materia di tutela della salute, nella quale non vi è dubbio che la Regione disponga di una potestà legislativa concorrente, salvi naturalmente i limiti derivanti dall’esistenza di alcune materie "trasversali" di potestà legislativa statale, come quelle di cui alle lettere l ed m del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione. Tuttavia, la censura relativa alla violazione della competenza statale in materia di "determinazione dei livelli essenziali" sarebbe infondata anche per la constatata assenza di una legge statale che fissi il livello essenziale delle prestazioni in questione, o comunque di un qualunque riferimento sul piano della legislazione statale all’adozione delle pratiche elettroconvulsivanti. Anche infatti ad ammettere, in ipotesi, che lo Stato possa definire in concreto i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali in un atto sub-legislativo o in un atto amministrativo, non si potrebbe dubitare che tali atti dovrebbero necessariamente rispettare il principio di legalità sostanziale, per il quale alla legge statale si impone l’obbligo di circoscrivere adeguatamente nei contenuti l’ambito di intervento delle fonti sub-legislative o delle determinazioni amministrative nell’ipotesi che queste intendano vincolare la legge regionale. Solo così, del resto, potrebbe ritenersi rispettato il modello di riparto delle funzioni legislative definito nel nuovo art. 117 della Costituzione, che non ammetterebbe alcuna limitazione della potestà legislativa regionale proveniente da atti dello Stato diversi dalle fonti primarie.
Non si avrebbe neanche lesione della potestà legislativa statale in materia di "ordinamento civile e penale", in quanto le figure di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale legate all’adozione delle terapie non verrebbero in alcun modo alterate. In particolare, la legge regionale non modificherebbe il regime giuridico di quelle responsabilità, che continuerebbe ad essere disciplinato dalla legge statale, ma semplicemente ne limiterebbe l’insorgenza, come farebbe qualsiasi altra legge regionale che sospendesse o vietasse alcuni servizi rientranti in funzioni amministrative relative a materie su cui la Regione ha competenza legislativa. Inoltre, la legge regionale impugnata risponderebbe ad entrambi i requisiti da ultimo individuati dalla giurisprudenza costituzionale per escludere la violazione del limite del diritto privato, e cioè che l’adattamento operato dalla legge regionale sia in stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda al criterio di ragionevolezza, che vale a soddisfare il rispetto del principio di eguaglianza.
Non sarebbe fondata neppure la censura relativa alla violazione dei principi fondamentali della materia, perché la legislazione dello Stato non conterrebbe, al momento attuale, alcun principio ostativo alla sospensione disposta dalla legge regionale, né tale principio potrebbe ritrovarsi nella previsione, contenuta nel piano sanitario nazionale, dell’erogazione delle prestazioni sanitarie sospese, in quanto il piano sanitario ha natura di fonte sub-legislativa, mentre ora l’art. 117, terzo comma, della Costituzione prevede espressamente che la determinazione dei principi fondamentali avvenga con fonte statale di rango legislativo. Né si potrebbe dire che la Regione sia tenuta, in base al principio di leale collaborazione, all’osservanza del piano, in quanto adottato dallo Stato d’intesa con la Conferenza unificata; o che la Regione non possa intervenire con propria normativa legislativa in tale materia, senza che siano stati fissati preventivamente i principi fondamentali da parte della legislazione statale. Non si potrebbe infatti ritenere che la Regione debba attendere l’intervento dello Stato prima di applicare, con riferimento al suo territorio, una misura cautelare ritenuta indispensabile, perché si tratterebbe di una inammissibile compressione delle competenze del legislatore regionale determinata da una semplice inerzia del legislatore statale.
Infondata sarebbe anche la censura relativa all’art. 33, primo comma, della Costituzione, in quanto la legge regionale si limiterebbe a sollecitare la ricerca scientifica al fine di consentire un’adeguata valutazione degli effetti di queste particolari terapie sui pazienti. Il valore costituzionale dell’autonomia della ricerca scientifica verrebbe anzi presupposto dalla legge regionale che, sospendendo l’applicazione delle terapie, mostra di volere subordinare – per lo meno cronologicamente – la scelta organizzativa in ordine alla prestazione dei relativi servizi sanitari ai risultati che la ricerca stessa saprà offrire.
Infine, la difesa regionale rileva che, in un sistema quale quello vigente a seguito della riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, negare alla Regione la facoltà, nell’organizzazione del servizio sanitario regionale, di sospendere alcune terapie, rispetto alle quali è in corso una sperimentazione volta ad escluderne gli eventuali effetti lesivi, significa comprimere inammissibilmente l’autonomia finanziaria di spesa della Regione, che si vedrebbe altrimenti costretta a sopportare i costi di un servizio relativo a pratiche terapeutiche di cui lo stesso Stato, a mezzo della sperimentazione disposta e non terminata, non ha ancora escluso la potenziale dannosità; e, inoltre, in un caso come quello di specie, la sospensione disposta dalla legge regionale impugnata risponderebbe all’insopprimibile esigenza di evitare l’insorgenza in capo alla Regione di pesanti disavanzi di bilancio derivanti dalla necessità di risarcire i pazienti del Servizio sanitario per i danni causati dall’erogazione delle relative prestazioni.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, ai sensi dell’art. 127, primo comma, della Costituzione, ed entro il termine ivi stabilito, decorrente dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 2, 32, 33, primo comma, 117, secondo comma, lettere l ed m, e terzo comma, nonché ai principi ricavati da norme contenute in leggi statali – della legge regionale delle Marche 13 novembre 2001, n. 26, recante "Sospensione della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia".
La legge impugnata, dopo avere, all’art. 1, enunciato generiche finalità di tutela della salute e di garanzia della integrità psicofisica delle persone – finalità che lo stesso ricorrente riconosce come condivisibili, pur sostenendo che il loro perseguimento non è riservato alla Regione –, all’art. 2 dispone che "è sospesa, su tutto il territorio della regione", da un lato "l’applicazione della terapia elettroconvulsivante (TEC)" (comma 1), dall’altro lato "la pratica della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia" (comma 2): in entrambi i casi "fino a che il Ministero della salute non definisca in modo certo e circostanziato le situazioni cliniche per le quali tale terapia [rispettivamente la TEC, o c.d. elettroshock, e la pratica degli accennati interventi di psicochirurgia], applicata secondo protocolli specifici, è sperimentalmente dimostrata efficace e risolutiva e non è causa di danni temporanei o permanenti alla salute del paziente".
Secondo il ricorrente tale disciplina, attinente alla qualità e "appropriatezza" delle cure, e non all’organizzazione e gestione del servizio sanitario, invaderebbe l’area della legislazione statale "esclusiva" definita dall’art. 117, secondo comma, lettera l (ordinamento civile e penale) e lettera m (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale), incidendo sui diritti fondamentali della persona "paziente" (artt. 2 e 32 Cost.) e sulle responsabilità, anche civilistiche, degli esercenti le professioni sanitarie (oltre che, "in qualche misura", sulla ricerca medica, al cui proposito si cita l’art. 33, primo comma, Cost.). La decisione circa l’ammissione o il divieto di singole terapie si collocherebbe in un momento "logicamente preliminare" anche rispetto alla determinazione, di competenza statale, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza sanitaria. Sarebbero perciò tuttora conformi alla Costituzione l’art. 115, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, che conserva in capo allo Stato le funzioni relative alla adozione del piano sanitario nazionale (lettera a), alla adozione di "norme, linee-guida e prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria" relative fra l’altro ad "attività" (lettera b), alla approvazione di istruzioni tecniche su tematiche di interesse nazionale (lettera d), alla definizione dei criteri per l’esercizio delle attività sanitarie (lettera f : è menzionata anche, ma evidentemente per errore, la lettera e, in tema di ispezioni); nonché l’art. 47-ter del d.lgs. n. 300 del 1999, aggiunto dall’art. 11 del d.l. n. 217 del 2001, convertito dalla legge n. 317 del 2001, che attribuisce al Ministero della salute gli indirizzi generali e il coordinamento in materia di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie umane (lettera a), e l’adozione di norme, linee guida e prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria (lettera b). Per quanto non disposto dallo Stato, dovrebbero valere solo le regole dell’arte e della scienza medica, eventualmente convalidate da documenti ufficiali delle autorità sanitarie.
In subordine, il ricorrente ritiene che la legge impugnata, ove ritenuta afferente a materia di competenza concorrente della Regione, sarebbe ugualmente illegittima in quanto contrastante con i principi fondamentali che si desumerebbero dalle leggi statali vigenti, e in particolare dagli articoli 1, 2, 3 e 5 della legge n. 180 del 1978 e dagli articoli 33, 34 e 35 della legge n. 833 del 1978, in tema di trattamenti sanitari obbligatori, dagli articoli 1 (in tema di programmazione sanitaria e livelli essenziali e uniformi di assistenza) e 14 (in tema di diritti dei cittadini utenti del servizio sanitario) del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni, e ancora dagli articoli 112, 113, 114 e 115 del d.lgs. n. 112 del 1998, in tema di riparto delle funzioni in materia di tutela della salute.
2. – La legge impugnata, nel suo contenuto dispositivo sostanziale, prevede la obbligatoria "sospensione" – cioè il divieto, sia pure temporaneo – di determinate pratiche terapeutiche in tutto il territorio regionale. Essa non ha come destinatarie le strutture del servizio sanitario regionale, ma si riferisce alla pratica clinica, dovunque e da chiunque svolta.
Il divieto – che il legislatore regionale risulta avere sancito anche sulla base di una iniziativa popolare, sfociata pure in altre Regioni nell’adozione di discipline in parte analoghe (cfr. ordinanza n. 228 del 2002, che dichiara improcedibile il giudizio già instaurato nei confronti di una delibera legislativa della Regione Piemonte in argomento), e motivata dall’assunto per cui le pratiche terapeutiche in questione non sarebbero di provata efficacia e potrebbero invece essere causa di danni ai pazienti – non si correla ad un autonomo accertamento, effettuato o recepito dal legislatore regionale, circa gli effetti delle pratiche terapeutiche considerate, né muove dal presupposto che siffatti accertamenti possano o debbano essere compiuti da organi o strutture regionali: il divieto sarebbe, secondo la stessa previsione legislativa, destinato a durare solo fino a quando l’organo statale competente, cioè il Ministero della salute, non definisca le situazioni cliniche per le quali dette terapie risultino sperimentalmente efficaci e non dannose per i pazienti, e non determini i protocolli specifici per la loro applicazione.
La Regione in sostanza ha ritenuto di poter sancire il divieto a titolo precauzionale, in attesa di indicazioni ministeriali (che peraltro, per quanto riguarda la terapia elettroconvulsivante, non sono del tutto assenti: la stessa relazione al disegno di legge regionale poi approvato ricorda la nota 15 febbraio 1999 del Ministero della sanità, in cui, fra l’altro, si specificano le limitate indicazioni d’uso per questa che viene considerata "ancora oggi un’opzione terapeutica", nonché controindicazioni, modalità di attuazione, necessità di protocolli esecutivi, procedure di consenso informato).
3. – La risposta al quesito, se la legge impugnata rispetti i limiti della competenza regionale, ovvero ecceda dai medesimi, deve oggi muovere – nel quadro del nuovo sistema di riparto della potestà legislativa risultante dalla riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 – non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale.
Il ricorrente lamenta la invasione di aree che apparterrebbero alla legislazione statale esclusiva, ai sensi del nuovo testo dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione. Precisamente, da un lato, si tratterebbe di una disciplina incidente sull’"ordinamento civile" (lettera l), in quanto altererebbe indirettamente le regole della responsabilità civile degli operatori sanitari; dall’altro lato, si verterebbe in materia di diritti fondamentali dei pazienti, con decisioni che sarebbero logicamente preliminari alla "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (lettera m).
Con riguardo a queste censure, si deve escludere che ogni disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l’opera dei sanitari, e in quanto tale sia suscettibile di produrre conseguenze in sede di accertamento delle loro responsabilità, rientri per ciò stesso nell’area dell’"ordinamento civile", riservata al legislatore statale. Altro sono infatti i principi e i criteri della responsabilità, che indubbiamente appartengono a quell’area, altro le regole concrete di condotta, la cui osservanza o la cui violazione possa assumere rilievo in sede di concreto accertamento della responsabilità, sotto specie di osservanza o di violazione dei doveri inerenti alle diverse attività, che possono essere disciplinate, salva l’incidenza di altri limiti, dal legislatore regionale.
Quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una "materia" in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle.
Nella specie la legge impugnata non riguarda tanto livelli di prestazioni, quanto piuttosto l’appropriatezza, sotto il profilo della loro efficacia e dei loro eventuali effetti dannosi, di pratiche terapeutiche, cioè di un’attività volta alla tutela della salute delle persone, e quindi pone il problema della competenza a stabilire e applicare i criteri di determinazione di tale appropriatezza, distinguendo fra ciò che è pratica terapeutica ammessa e ciò che possa ritenersi intervento lesivo della salute e della personalità dei pazienti, come tale vietato.
Sono coinvolti bensì fondamentali diritti della persona, come il diritto ad essere curati e quello al rispetto della integrità psico-fisica e della personalità del malato nell’attività di cura, ma, più che in termini di "determinazione di livelli essenziali", sotto il profilo dei principi generali che regolano l’attività terapeutica.
4. – Il punto di vista più adeguato, dunque, per affrontare la questione è quello che muove dalla constatazione che la disciplina in esame concerne l’ambito materiale della "tutela della salute", che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, costituisce oggetto della potestà legislativa concorrente delle Regioni, la quale si esplica nel rispetto della competenza riservata allo Stato per la "determinazione dei principi fondamentali".
E’ proprio il contrasto della legge impugnata con i principi fondamentali della materia, a norma dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, ad essere denunciato, in via subordinata, dal ricorrente.
La questione è fondata.
La nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell’art. 117, primo comma, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina. Ciò non significa però che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore.
Non può ingannare la circostanza che non si rinvengano norme di legge statale esplicitamente volte a disciplinare l’ammissibilità delle pratiche terapeutiche in esame, o delle pratiche terapeutiche in generale. Anzi l’assenza di siffatte statuizioni legislative concorre a definire la portata dei principi che reggono la materia, e che, nella specie, non possono non ricollegarsi anzitutto allo stesso sistema costituzionale.
La pratica terapeutica si pone, come già si è accennato, all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l’art. 32, secondo comma, secondo periodo, della Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica. Questi diritti, e il confine fra i medesimi, devono sempre essere rispettati, e a presidiarne l’osservanza in concreto valgono gli ordinari rimedi apprestati dall’ordinamento, nonché i poteri di vigilanza sull’osservanza delle regole di deontologia professionale, attribuiti agli organi della professione.
Salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali, non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione.
Autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto di incrocio dei principi di questa materia.
A questi principi si riconduce anche il codice di deontologia medica (3 ottobre 1998), che l’organismo nazionale rappresentativo della professione medica si è dato come "corpus di regole di autodisciplina predeterminate dalla professione, vincolanti per gli iscritti all’Ordine che a quelle norme devono quindi adeguare la loro condotta professionale". Come afferma l’art. 12 (Prescrizione e trattamento terapeutico) di tale codice, "al medico è riconosciuta piena autonomia nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico (…), fatta salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso"; ma "le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche (…), sempre perseguendo il beneficio del paziente"; e "il medico è tenuto ad una adeguata conoscenza (…) delle caratteristiche di impiego dei mezzi terapeutici e deve adeguare, nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate", mentre "sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete".
5. – Tutto ciò non significa che al legislatore sia senz’altro preclusa ogni possibilità di intervenire. Così, ad esempio, sarebbe certamente possibile dettare regole legislative dirette a prescrivere procedure particolari per l’impiego di mezzi terapeutici "a rischio", onde meglio garantire – anche eventualmente con il concorso di una pluralità di professionisti – l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie. Ma un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati, dato l’"essenziale rilievo" che, a questi fini, rivestono "gli organi tecnico-scientifici" (cfr. sentenza n. 185 del 1998); o comunque dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica.
A indirizzi e indicazioni di tal natura alludono del resto talune norme di legge che configurano in capo a organi statali compiti di "adozione di norme, linee guida e prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria" (art. 114, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 112 del 1998; art. 47-ter, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 300 del 1999), o di "approvazione di manuali e istruzioni tecniche" (art. 114, comma 1, lettera d, del d.lgs. n. 112 del 1998), o di "indirizzi generali e coordinamento in materia di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie umane" (art. 47-ter, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 300 del 1999): norme che, indipendentemente dall’attualità del riparto di funzioni che esse realizzavano nel quadro dell’assetto costituzionale dei rapporti fra Stato e Regioni precedente alla legge costituzionale n. 3 del 2001, concorrono tuttora a configurare i principi fondamentali della materia.
6. – Nella specie, l’intervento regionale contestato dal Governo non si fonda né pretende di fondarsi su specifiche acquisizioni tecnico-scientifiche verificate da parte degli organismi competenti, ma si presenta come una scelta legislativa autonoma, dichiaratamente intesa a scopo cautelativo, in attesa di futuri accertamenti che dovrebbero essere compiuti dall’autorità sanitaria nazionale (in ordine ai quali, peraltro, il legislatore regionale non stabilisce, né avrebbe potuto stabilire alcunché): e ciò, per di più, riferendosi non già a terapie "nuove" o sperimentali (anzi, nella relazione della commissione consiliare al disegno di legge, è detto che l’ultimo trattamento di TEC praticato nelle Marche risale al 1992, e da allora esso "risulterebbe essere stato abbandonato"), bensì a pratiche conosciute e utilizzate da tempo (la citata nota 15 febbraio 1999 del Ministero della sanità riconduce al 1938 l’epoca in cui "fu inventata e proposta la TEC"), ancorché oggetto di considerazioni non sempre omogenee fra gli specialisti.
7. – La legge impugnata è dunque costituzionalmente illegittima.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve estendersi all’intera legge, in quanto, anche tenendo conto di ciò che risulta dal titolo della medesima, l’articolo 1, contenente una generica enunciazione di finalità, di per sé non eccedente la competenza della Regione, è privo di autonoma portata normativa, costituendo solo la premessa per l’adozione della misura sancita dall’articolo 2.
Restano assorbiti gli altri profili di incostituzionalità denunciati, senza che questa Corte debba proporsi il problema della loro ammissibilità in base al nuovo articolo 127, primo comma, della Costituzione.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26 (Sospensione della terapia elettroconvulsivante, della lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2002.