CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 12 novembre 2002 n. 445 - Pres. RUPERTO, Red. ONIDA - (giudizio promosso con ordinanza del 15 gennaio 2002 dal T.A.R. del Lazio, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2002; l'ordinanza di rimessione del T.A.R. Lazio è stata altresì pubblicata in questa Rivista alla pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarlazio2_2002-01-15.htm).
Pubblico impiego - Guardia di Finanza - Reclutamento - Requisito del celibato, nubilato o vedovanza - Previsto dall’art. 7, punto 3, L. n. 64/1942 e dall’art. 2, comma 2°, D.L.vo n. 24/2000 - Irragionevole limitazione di diritti fondamentali della persona - Illegittimità costituzionale - Va dichiarata.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7, numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza) e dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380), i quali, rispettivamente, prevedono il requisito dell’essere celibe o vedovo per essere reclutati nel Corpo della guardia di finanza (eccetto che nel caso di riammissione di militari del corpo in congedo che abbiano superato i ventotto anni di età) e che la partecipazione ai concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e degli istituti e delle scuole di formazione della Guardia di finanza "è consentita ai cittadini e alle cittadine italiani, celibi o nubili, vedovi o vedove".
Le norme in questione, stabilendo il celibato o nubilato o la vedovanza come requisito per il reclutamento nella Guardia di finanza, violano il diritto di accedere in condizioni di eguaglianza agli uffici pubblici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge (articolo 51, terzo comma, della Costituzione), poiché l’assenza di vincolo coniugale non può configurarsi come legittimo requisito attitudinale per l’accesso agli impieghi in questione. Esse incidono altresì indebitamente, in via indiretta ma non meno effettiva, sul diritto di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (e vedi oggi anche l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000).
Non è più possibile configurare lo stato di celibe o nubile o vedovo come un "requisito attitudinale" per l’accesso a impieghi militari: rientra nelle libere scelte del singolo valutare se e come conciliare le situazioni e le esigenze derivanti dal matrimonio con le esigenze, gli impegni e i doveri discendenti dallo status militare cui egli aspira (1).
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(1) Cfr. in prec. Corte cost., sentenza 24 luglio 2000 n. 332, in questa Rivista, n. 7/8-2000, pag. http://www.giustamm.it/corte/ccost_2000-332.htm, avente ad oggetto le medesime disposizioni esaminate con la sentenza in rassegna, ma nella parte in cui includevano tra i requisiti necessari per il reclutamento “l’essere senza prole”.
Con questa prima sentenza, la Corte aveva affermato che la compressione della sfera privata e familiare della persona non può, “sul piano dei principi costituzionali, ritenersi giustificata dall’intensità e dall’esigenza di tendenziale esclusività del rapporto di dedizione che deve legare il militare in fase di istruzione al corpo di appartenenza”; che “la Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e riconduce anche quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini” (v. anche Corte Cost., sentenza n. 278 del 1987); e che “la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli «cittadini militari» non recede di fronte alle esigenze della struttura militare” (v. anche Corte Cost., sentenza 17 dicembre 1999 n. 449, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/corte/cortecost_1999-449.htm).
Con la sentenza in rassegna la Corte si occupa invece del requisito di celibe o nubile o vedovo, affermando che tali stati non possono essere più configurati come requisiti attitudinali per l’accesso a posti di pubblico impiego, anche se riguardanti il settore militare, atteso che rientra nelle libere scelte del singolo valutare se e come conciliare le situazioni e le esigenze derivanti dal matrimonio con le esigenze, gli impegni e i doveri discendenti dallo status militare cui egli aspira.
Stante l’ampia portata del principio riaffermato nella sentenza in rassegna, la Corte costituzionale, come già ha fatto con la citata sentenza n. 332 del 2000 per quanto riguarda il requisito dell’assenza di prole, ha esteso, ai sensi dell’articolo 27 della legge n. 87 del 1953, la dichiarazione di illegittimità costituzionale a disposizioni, diverse da quelle impugnate, recanti norme di analogo contenuto.
In applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è stata pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni:
– art. 11, primo comma, lettera b, della legge 10 giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica e nuovi organici dei sottufficiali in servizio permanente delle stesse forze armate);
– art. 35, primo comma, della predetta legge n. 447 del 1964, nella parte in cui richiede, come condizione per l’ammissione ai vincoli annuali di ferma, l’essere celibi o vedovi;
– art. 11, comma 2, lettera a, numero 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate);
– art. 5, comma 1, lettera e, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 83 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri);
– art. 15, comma 2, lettera b, numero 4, del predetto decreto legislativo n. 198 del 1995;
– art. 6, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza), come modificato dall’art. 2, comma 2, lettera b, del d.lgs. 28 febbraio 2001, n. 67 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza);
– art. 36, comma 1, lettera b, numero 3, del predetto decreto legislativo n. 199 del 1995, come modificato dall’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 67 del 2001.
SENTENZA N. 445
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza), e 2, comma 2, del d.lgs. 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380), promosso con ordinanza del 15 gennaio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso del giudizio amministrativo, promosso da una aspirante al concorso per l’arruolamento di duecento allievi nel Corpo della guardia di finanza, per l’annullamento del provvedimento del Comando provinciale di Napoli della Guardia di finanza di “archiviazione” della domanda per difetto del requisito del nubilato o della vedovanza, nonché del relativo bando di concorso, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1° settembre 2000, che tale requisito stabilisce all’art. 2, punto 10, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 15 gennaio 2002, pervenuta il 27 febbraio 2002, ha sollevato, su eccezione della ricorrente, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31, 35, 51 e 97 della Costituzione, degli artt. 7, numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza), e 2, comma 2, del d.lgs. 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380).
La prima disposizione censurata pone tra i requisiti per il reclutamento nel Corpo della “regia guardia di finanza” l’essere celibe o vedovo senza prole; la seconda, contenuta nell’art. 2 del d.lgs. n. 24 del 2000, in tema di reclutamento del personale femminile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza, stabilisce che è consentita la partecipazione ai concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e a quelli degli istituti e delle scuole di formazione “ai cittadini e alle cittadine italiane, celibi o nubili, vedovi o vedove”.
Il remittente premette, in ordine alla rilevanza, che le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla ricorrente vanno esaminate con priorità rispetto agli altri motivi di impugnazione dedotti (riguardanti la perplessità del provvedimento di “archiviazione” adottato e l’incompetenza della autorità amministrativa procedente), in quanto nelle disposizioni legislative indicate trovano il presupposto logico e giuridico, nonché l’esclusivo fondamento positivo, sia il bando di concorso che il provvedimento di esclusione.
Quanto alla non manifesta infondatezza, osserva anzitutto che l’art. 7, numero 3, della legge n. 64 del 1942, nell’includere fra i requisiti necessari per il reclutamento nel Corpo della guardia di finanza lo stato di “celibe [o nubile] o vedovo”, impone una decisiva limitazione al diritto di contrarre matrimonio, priva di ragionevole giustificazione, che costituisce grave interferenza nella sfera privata e familiare di chi aspiri all’ammissione nella struttura militare; l’altra norma denunciata, dettata dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 24 del 2000 ed avente contenuto analogo, apparterrebbe, secondo il remittente, al “novero di una serie di disposizioni legislative” “tralatiziamente iterative del requisito” in esame.
Una siffatta limitazione, che, sia pure ai soli fini dell’arruolamento militare, si risolve in un divieto di contrarre il vincolo coniugale, si porrebbe in contrasto con i fondamentali diritti della persona, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, garantiti dall’art. 2 della Costituzione, diritti insuscettibili di essere degradati da esigenze, sia pur socialmente rilevanti, come quelle connaturate alla delicata fase del reclutamento e dell’addestramento militare.
In proposito, il giudice a quo ricorda che questa Corte, con la sentenza n. 332 del 2000, avente ad oggetto le medesime disposizioni ora denunciate ma nella parte in cui includevano tra i requisiti necessari per il reclutamento “l’essere senza prole”, ha affermato che la compressione della sfera privata e familiare della persona non può, “sul piano dei principi costituzionali, ritenersi giustificata dall’intensità e dall’esigenza di tendenziale esclusività del rapporto di dedizione che deve legare il militare in fase di istruzione al corpo di appartenenza”; che “la Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e riconduce anche quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini” (sentenza n. 278 del 1987); e che “la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli «cittadini militari» non recede di fronte alle esigenze della struttura militare” (sentenza n. 449 del 1999).
Osserva il remittente che, per un verso, il livello di evoluzione sociale ha raggiunto un grado di maturazione tale da superare logiche e impostazioni tradizionali che pongano una qualche limitazione alla concreta possibilità per le donne coniugate, madri e non, di esercitare attività pubbliche, e che, per altro verso, l’incompatibilità dello stato di coniugato non può ritenersi rispondente ad un’esigenza di razionalità del sistema normativo inteso a garantire l’inserimento del neo-arruolato in una realtà peculiare come quella militare.
Sarebbe, infatti, da dimostrare, sotto il profilo della logica comune, prima che giuridica, che l’assenza di legami familiari possa costituire un requisito tipico della formazione e dell’addestramento iniziale del personale militare, dovendo la pur affermata e necessaria continuità nella frequenza dei corsi di addestramento trovare assicurazione e garanzia in regole e rimedi diversi dalla limitazione al diritto di contrarre matrimonio.
Nella richiamata sentenza n. 332 del 2000, prosegue il remittente, nell’espungere dalle disposizioni in esame, ai fini del reclutamento nel Corpo della guardia di finanza, il requisito dell’essere senza prole, questa Corte ha fatto esplicito riferimento anche alla legittimità costituzionale dell’ulteriore “requisito del celibato o dello stato di vedovo”, escludendo tuttavia di poter estendere la pronuncia di incostituzionalità “all’intera disposizione denunciata”, in quanto il giudice a quo, in quell’occasione, non “aveva prospettato dubbi di costituzionalità in merito”.
Ciò autorizzerebbe a ritenere, secondo il remittente, che le argomentazioni di fondo svolte allora dal Giudice delle leggi siano riferibili in toto alle medesime disposizioni legislative anche nella specifica parte ora denunciata. Tanto nella fattispecie in esame, quanto nella precedente fatta oggetto di scrutinio di costituzionalità, è posta, infatti, una grave limitazione di status al cittadino, la quale, lungi dall’apparire come ragionevole requisito attitudinario ai fini dell’arruolamento nell’istituzione militare, si traduce in un’indebita limitazione dei fondamentali diritti della persona e della sua libertà di autodeterminarsi nella vita privata.
2.- Non vi è stata costituzione di parti né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio solleva questione di legittimità costituzionale di due disposizioni legislative – l’articolo 7, numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza), e l’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento, su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380) – le quali, rispettivamente, prevedono il requisito dell’essere celibe o vedovo per essere reclutati nel Corpo della guardia di finanza (eccetto che nel caso di riammissione di militari del corpo in congedo che abbiano superato i ventotto anni di età), e che la partecipazione ai concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e degli istituti e delle scuole di formazione della Guardia di finanza "è consentita ai cittadini e alle cittadine italiani, celibi o nubili, vedovi o vedove".
Le disposizioni in questione, secondo il remittente, prevedendo una limitazione, priva di ragionevole giustificazione, del diritto di contrarre matrimonio, sia pure al solo fine dell’arruolamento nella Guardia di finanza, contrasterebbero con i diritti fondamentali della persona e con la libertà di autodeterminazione nella vita privata e familiare; né l’assenza di legami familiari potrebbe costituire un requisito per la formazione iniziale del personale militare, dovendo la continuità nella frequenza dei corsi di addestramento trovare garanzia in regole diverse dalla limitazione del diritto di contrarre matrimonio. Di qui il contrasto con i principi desumibili dagli articoli 2, 3, 4, 29, 30, 31, 35, 51 e 97 della Costituzione.
2. – La prima delle due disposizioni denunciate - l’articolo 7, numero 3, della legge n. 64 del 1942 - stabilisce (come già prima l’articolo 9, secondo comma, lettera b, del regio decreto legge 14 giugno 1923, n. 1281) il requisito dell’essere celibe o vedovo ai fini, genericamente, del reclutamento nel Corpo della guardia di finanza. Ad essa hanno fatto seguito, per quanto attiene all’ammissione ai concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli "appuntati e finanzieri" e "ispettori"della Guardia di finanza, gli articoli 6, comma 1, lettera c, e 36, comma 1, lettera b, numero 3, del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199 (modificati poi, rispettivamente, dall’articolo 2, comma 2, e dall’articolo 5, comma 5, del d.lgs. n. 67 del 2001); per quanto riguarda i concorsi di ammissione al corso di reclutamento dell’Accademia della Guardia di finanza, l’articolo 4, lettera a, della legge n. 371 del 1967 (lettera ora abrogata dall’articolo 67, comma 3, del d.lgs. n. 69 del 2001); per quanto riguarda in generale i concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e a quelli degli istituti e delle scuole di formazione delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza (e nel contesto del provvedimento che ha disciplinato il reclutamento di personale femminile nelle Forze armate e nella Guardia di finanza), l’articolo 2, comma 2, del d.lgs. n. 24 del 2000, vale a dire la seconda delle disposizioni denunciate. Tutte le statuizioni sopravvenute alle più antiche hanno confermato o stabilito, per uomini e donne, il requisito del celibato o nubilato o vedovanza per l’accesso ai concorsi in questione.
A prescindere, dunque, dalla esatta individuazione della o delle disposizioni applicabili nella specie dedotta davanti al giudice a quo (il legislatore ha infatti per lo più omesso di coordinare formalmente fra loro le numerose disposizioni succedutesi nel tempo; a sua volta il bando di arruolamento impugnato davanti al giudice a quo cita nelle premesse solo il secondo dei provvedimenti legislativi censurati dal Tribunale), non vi sono dubbi sulla esistenza e sulla applicabilità alla specie della norma denunciata, che riserva il diritto di accedere ai concorsi in questione a uomini e donne celibi o nubili o vedovi o vedove, escludendone i soggetti, come la ricorrente nel giudizio a quo, che siano sposati. Ed è su tale norma che deve appuntarsi lo scrutinio di costituzionalità, salvo poi riferire la pronuncia, anche ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, a tutte le disposizioni in cui questa regola è incorporata, con riguardo vuoi alla Guardia di finanza, vuoi ad altri corpi militari.
3. – La questione è fondata, per ragioni analoghe a quelle che hanno già condotto la Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale di queste e di altre disposizioni nella parte in cui richiedevano come requisito di accesso a corpi militari l’essere "senza prole" (sentenza n. 332 del 2000, nella quale la Corte non estese la dichiarazione di illegittimità al requisito dell’essere celibe o nubile o vedovo sol perché il giudice allora remittente non aveva prospettato dubbi in merito: cfr. punto n. 2.4 del Considerato in diritto).
La norma ora censurata, stabilendo il celibato o nubilato o la vedovanza come requisito per il reclutamento nella Guardia di finanza, viola il diritto di accedere in condizioni di eguaglianza agli uffici pubblici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge (articolo 51, terzo comma, della Costituzione), poiché l’assenza di vincolo coniugale non può configurarsi come legittimo requisito attitudinale per l’accesso agli impieghi in questione. Essa incide altresì indebitamente, in via indiretta ma non meno effettiva, sul diritto di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (e vedi oggi anche l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000).
L’uso della discrezionalità del legislatore nella determinazione dei requisiti per l’accesso ai pubblici uffici deve essere soggetto a scrutinio più stretto di costituzionalità quando non è in discussione solo la generica ragionevolezza delle scelte legislative, in relazione ai caratteri dell’ufficio, ma l’ammissibilità di un requisito la cui imposizione si traduce, indirettamente, in una limitazione all’esercizio di diritti fondamentali: quali, nella specie, oltre al diritto di contrarre matrimonio, quello di non essere sottoposti ad interferenze arbitrarie nella vita privata (proclamato nell’articolo 12 della Dichiarazione universale e nell’articolo 8 della Convenzione europea; e vedi oggi anche l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
4. – La previsione, tralaticia ma costantemente confermata anche dal legislatore del 2000 e del 2001, del requisito dell’assenza di vincolo coniugale per accedere a impieghi militari – come pure le norme che, in passato, sottoponevano ad autorizzazione il matrimonio dei militari (poi abrogate dall’articolo unico, primo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 908), e che tuttora stabiliscono speciali requisiti di età o di anzianità di servizio per il matrimonio dei militari – appaiono il residuo di una concezione tradizionale, per cui il giovane che accede ad una carriera nell’ambito di un corpo armato metterebbe, almeno in un primo tempo, tutta la sua persona, per così dire, a totale disposizione della istituzione militare, la quale potrebbe avvalersi della totalità del suo tempo e delle sue energie e capacità, con conseguente tendenziale "incompatibilità" di tale posizione con la sussistenza di impegni e responsabilità familiari. Ma si tratta, come ha osservato la Corte nella sentenza n. 332 del 2000, di una concezione dell’ordinamento militare del tutto estranea e contrastante con i principi della Costituzione, nel cui ambito la garanzia dei diritti fondamentali della persona "non recede (…) di fronte alle esigenze della struttura militare" (sentenza n. 449 del 1999).
Superata siffatta concezione, non è più possibile configurare lo stato di celibe o nubile o vedovo come un "requisito attitudinale" per l’accesso a impieghi militari: rientra nelle libere scelte del singolo valutare se e come conciliare le situazioni e le esigenze derivanti dal matrimonio con le esigenze, gli impegni e i doveri discendenti dallo status militare cui egli aspira. Onde la norma che dispone nel senso che si è detto deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima. Con riguardo all’art. 7 della legge n. 64 del 1942, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve investire l’intero testo del numero 3, come risultante dopo la parziale caducazione disposta con la sentenza n. 332 del 2000.
5. – Stante l’ampia portata del principio riaffermato nella presente sentenza, la Corte ritiene, come già ha fatto nella sentenza n. 332 del 2000 per quanto riguarda il requisito dell’assenza di prole, di estendere, ai sensi dell’articolo 27 della legge n. 87 del 1953, la dichiarazione di illegittimità costituzionale a disposizioni, diverse da quelle impugnate, recanti norme di analogo contenuto: l’art. 11, primo comma, lettera b, della legge 10 giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica e nuovi organici dei sottufficiali in servizio permanente delle stesse forze armate), relativa al trattenimento o richiamo in servizio a domanda dei sergenti di complemento dell’esercito, nonché l’art. 35, primo comma, della stessa legge n. 447 del 1964, relativo ai vincoli annuali di ferma degli avieri in servizio di leva; l’art. 11, comma 2, lettera a, numero 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate), relativa al concorso per il reclutamento nel ruolo dei marescialli dell’esercito; l’art. 5, comma 1, lettera e, del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 83 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), relativa all’arruolamento volontario come carabiniere, nonché l’art. 15, comma 2, lettera b, numero 4, dello stesso decreto legislativo n. 198 del 1995, relativa al concorso per l’ammissione al corso di ispettore; l’art. 6, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza), come modificato dall’art. 2, comma 2, lettera b, del d.lgs. 28 febbraio 2001, n. 67 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza), relativa all’ammissione al corso per la promozione a finanziere, nonché l’art. 36, comma 1, lettera b, numero 3, dello stesso decreto legislativo n. 199 del 1995, come modificato dall’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 67 del 2001, relativa al concorso per l’ammissione al corso di ispettore.
Per quanto riguarda le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 1, lettera e, e 15, comma 2, lettera b, numero 4, del decreto legislativo n. 198 del 1995, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve estendersi all’intero testo, comprensivo della parte di esse che richiede, come requisito alternativo all’essere celibe o nubile o vedovo, quello, nel caso di persona coniugata, di avere compiuto ventisei anni di età. Infatti, nel contesto di tali disposizioni, lo speciale limite minimo di età aveva senso solo in presenza dell’altra norma che stabiliva il requisito del celibato, nubilato o vedovanza.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7, numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza);
b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380), nella parte in cui limita ai cittadini o cittadine italiani "celibi o nubili, vedovi o vedove" la partecipazione ai concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e a quelli degli istituti e delle scuole di formazione;
c) dichiara, in applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni:
– art. 11, primo comma, lettera b, della legge 10 giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica e nuovi organici dei sottufficiali in servizio permanente delle stesse forze armate);
– art. 35, primo comma, della predetta legge n. 447 del 1964, nella parte in cui richiede, come condizione per l’ammissione ai vincoli annuali di ferma, l’essere celibi o vedovi;
– art. 11, comma 2, lettera a, numero 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate);
– art. 5, comma 1, lettera e, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 83 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri);
– art. 15, comma 2, lettera b, numero 4, del predetto decreto legislativo n. 198 del 1995;
– art. 6, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza), come modificato dall’art. 2, comma 2, lettera b, del d.lgs. 28 febbraio 2001, n. 67 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza);
– art. 36, comma 1, lettera b, numero 3, del predetto decreto legislativo n. 199 del 1995, come modificato dall’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 67 del 2001.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2002.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2002.