Michele De Palma
Denuncia di inizio attività e tutela del terzo(nota a T.A.R. Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, ordinanza 28 maggio 1999 n. 179)
L'ordinanza del Tar Emilia Romagna è particolarmente interessante poiché, accogliendo l'istanza cautelare di sospensione della denuncia di inizio attività, riconosce l'impugnabilità della stessa dinanzi al giudice amministrativo.
E' a tutti noto che il passaggio dal regime di autorizzazione preventiva a quello della mera denuncia, caratterizzato da una verifica successiva della conformità dell'attività intrapresa dal privato alle previsioni normative di settore, ha ingenerato un deficit di tutela per il terzo al quale l'attività del denunciante arrechi un pregiudizio. Infatti, nella vigenza del sistema autorizzatorio il terzo poteva impugnare il provvedimento di autorizzazione che assumeva essere lesivo della propria sfera giuridica. Nel sistema attuale, invece, manca un provvedimento formale attaccabile da parte di chi ha interesse a che la prosecuzione dell'attività intrapresa in seguito alla denuncia venga inibita.
La dottrina e la giurisprudenza (cfr. Tar Abruzzo, L'Aquila, 14 febbraio 1995, n. 30) hanno escluso che la denuncia di inizio attività ex art. 19 della l. n. 241/1990 possa essere equiparata in toto ad un provvedimento amministrativo ed essere conseguentemente oggetto di autonoma impugnativa, trattandosi di un atto di un soggetto privato che ha solo il valore di autorizzazione, assimilato a questa esclusivamente quoad effectum. Ciò lo si evince dal tenore letterale dell'articolo in questione che non ha eccezionalmente attribuito al privato l'esercizio di una pubblica funzione, ma si è limitato ha prevedere che << l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio attività dell'interessato >>.
Né avrebbe pregio obiettare che l'assimilazione della denuncia all'autorizzazione è desumibile dall'art. 21 della legge citata che nel sanzionare penalmente le dichiarazioni mendaci o le false attestazioni contenute nella stessa ha richiamato l'art. 483 c.p. che punisce il falso ideologico del privato in atto pubblico, dal momento che si tratta chiaramente di un rinvio quoad poenam.
Tuttavia, la sostituzione del sistema autorizzatorio col diverso sistema della denuncia di inizio attività non preclude il ricorso ad altre forme di tutela sia sul piano amministrativo che su quello giurisdizionale. Innanzitutto il terzo conrtointeressato a fronte dell'attività intrapresa deve essere, ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241/1990, coinvolto nel procedimento con il quale l'amministrazione competente accerta la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti (la natura di questo procedimento è discussa, allo stato sembra comunque prevalere, sia pure con diversità di accenti, la tesi dell'autotutela, cfr. Cons. Stato., parere n. 27/1992; V. Cerulli Irelli, Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazioni, in Dir. amm., 1993, 61 ss.; F. G. Scoca - M. D'orsogna, Silenzio, clamori di novità, in Dir. proc. amm., 1995, 437, nota 74).
In secondo luogo il terzo può essere parte necessaria, in qualità di controinteressato, nel giudizio proposto dinanzi al giudice amministrativo dal privato denunciante che agisce per l'annullamento del provvedimento repressivo illegittimo oppure intervenire nel processo ad opponendum qualora non sia titolare di un interesse qualificato alla reiezione del ricorso.
Il terzo, inoltre, può instaurare un giudizio davanti al giudice ordinario nei confronti del privato che sulla base della mera denuncia ha intrapreso l'attività, quante volte questa sia lesiva dei suoi interessi giuridicamente protetti. Egli potrà, dunque, agire in sede petitoria, possessoria oppure proporre una azione volta ad inibire immissioni nocive per la salute, come nel caso in esame possono essere considerate le onde elettromagnetiche emesse dalla stazione radio base per la telefonia cellulare, secondo l'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale a mente del quale l'azione ex art. 844 c.c. può essere esperita anche a tutela della salute e non solo della proprietà (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 15 ottobre 1998, n. 10186).
Infine, non sembra che il terzo, deducendo in concreto l'insussistenza dei requisiti di legge, possa diffidare l'amministrazione ad adottare misure repressive per poi impugnare l'eventuale silenzio dinanzi al giudice amministrativo al fine di ottenere la declaratoria dell'obbligo di provvedere, atteso che, come desumibile dalla locuzione <<se del caso>>, la potestà di verifica prevista dall'art. 19 della l. n. 241/1990 non ha carattere vincolato dovendo l'amministrazione, nel caso in cui l'accertamento sortisca un esito negativo, ponderare la sussistenza dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla repressione dell'attività esercitata dal denunciante. L'amministrazione, in altri termini, è titolare di un potere repressivo discrezionale nell'an, di talché è difficilmente configurabile in capo alla stessa un obbligo di provvedere che legittimi l'esperimento della procedura del silenzio-rifiuto o inadempimento.
Siffatta conclusione non è parimenti prospettabile relativamente alla denuncia di inizio attività prevista per gli interventi edilizi minori dall'art. 2 della l. n. 662/1996 che ha modificato l'art. 4 della l. n. 493/1993. In questo caso, invero, il provvedimento inibitorio, emesso dal dirigente del competente ufficio comunale per il fatto che l'intervento edilizio denunciato non è in regola, è, a differenza del provvedimento repressivo di cui all'art. 19 della l. 241/1990, doveroso. Ciò lo si desume dal tenore letterale del comma 15 secondo cui il Sindaco (ora, in forza della l. n. 127/1997, il dirigente) riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite <<notifica agli interessati l'ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni>>.
E', dunque, evidente che l'organo competente non è titolare di una potestà amministrativa discrezionale. Si è in presenza di un procedimento di controllo (preventivo) nell'ambito del quale l'applicazione della misura sanzionatoria o restrittiva per l'accertata difformità dell'attività al modello legale ha carattere doveroso. Una volta riscontrata la difformità del progetto edilizio dagli strumenti urbanistici ed edilizi il dirigente è tenuto a comunicare al denunciante l'ordine inibitorio, non essendoci spazio alcuno, come, invece, accade nella denuncia disciplinata dall'art. 19 della l. 241/1990, per una ponderazione comparativa tra l'interesse pubblico e l'affidamento ingenerato in capo al privato con il consentirgli di iniziare l'attività. In questo caso, difatti, nelle more della verifica l'interessato non può intraprendere i lavori, dovendo attendere il decorso dei venti giorni di cui al comma 11 dell'art. 4 della l. n. 493/1993.
Non si può, inoltre, dimenticare che l'attività di rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni edilizie è considerata dai più una attività vincolata (secondo altri espressione di discrezionalità tecnica in cui comunque è assente il profilo della valutazione comparativa degli interessi in gioco), volta all'accertamento della conformità dell'intervento proposto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, di guisa che questo carattere non può ritenersi smarrito col passaggio dal regime sanzionatorio a quello di denuncia di inizio attività.
Chiarito il carattere doveroso dell'attività di verifica propria dell'amministrazione locale, si può ritenere che legittimamente il terzo che ritenga di subire un pregiudizio dall'attività del denunciante in contrasto con le previsioni di piano e di regolamento, possa esperire la procedura del silenzio inadempimento per esortare l'amministrazione ad adottare la doverosa misura restrittiva, sia pur successiva all'intrapresa attività.
Ma v'è di più. Trattandosi di un procedimento di verifica vincolato non solo nell'an, ma anche nel suo esito laddove si riscontrino irregolarità, è possibile invocare quel controverso orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui quando si è in presenza di una attività in toto vincolata il giudice amministrativo accertata l'inerzia dell'amministrazione può, nell'ottica del giudizio sul rapporto, pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa avanzata dal ricorrente, non limitandosi a dichiarare l'obbligo di provvedere, ma ordinando all'amministrazione di emanare il provvedimento richiesto e ciò anche in sede cautelare al fine di ottenere, sia pure a titolo provvisorio, una immediata declaratoria dell'obbligo di emanare il provvedimento richiesto dal privato.
A parere di chi scrive le diffidenze mostrate da una parte della dottrina e della giurisprudenza avverso siffatto orientamento possono ritenersi superate alla luce dell'art. 35 del d. lgs. n. 80/1998 la cui portata operativa involge anche la materia che ci occupa, visto che l'art. 34 dello stesso decreto prevede la giurisdizione amministrativa esclusiva anche per le controversie aventi per oggetto comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, alla quale sono riconducibili quelle afferenti alle varie ipotesi di silenzio in materia edilizia.
L'art. 35, com'è noto, attribuisce al giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli artt. 33 e 34, il potere di disporre il risarcimento del danno anche attraverso la reintegrazione in forma specifica che comporta la diretta rimozione del danno e delle sue conseguenze mediante una pronuncia di condanna dal contenuto atipico, cioè di volta in volta determinabile da parte del giudice a seconda delle esigenze del caso concreto sia pur nei limiti ci cui all'art. 2058 c.c.(per la tesi secondo cui l'art. 35 ha introdotto nel nostro ordinamento l'azione di adempimento avverso l'attività vincolata dell'amministrazione, sia consentito rinviare a M. De Palma, Alcune riflessioni sulla reintegrazione in forma specifica di cui all'art. 35 del d. lgs. n. 80/1998, nota a Tar Veneto, sez. I, 9 febbraio 1999, n.119, in questa Rivista).
La reintegrazione in forma specifica, quindi, ove si riconosca la risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo, consente al terzo di adire l'autorità giudiziaria amministrativa per ottenere, qualora dimostri di aver subito un danno per effetto della attività posta in essere in seguito alla denuncia di inizio attività difforme dalla normativa urbanistica ed edilizia, la condanna della pubblica amministrazione ad inibire l'attività denunciata.