Giustizia amministrativa

Articoli e note

MICHELE DE PALMA

Brevi osservazioni sul riparto di giurisdizione
in tema di appalto di opere pubbliche

La sentenza del Tar Marche del 12 marzo 1999, n. 260 affronta due questioni di particolare interesse. La prima concerne la natura dell'atto di rescissione (rectius risoluzione) di cui all'art. 340 della legge n. 2248/1865, all. F., la seconda l'individuazione della linea di confine entro cui opera la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 33, comma 2, lett. e) del decreto legislativo n. 80/1998.

Relativamente alla prima questione il giudice amministrativo di prime cure afferma che nonostante l'art. 340 della citata legge abbia attribuito alla pubblica amministrazione un <<potere discrezionale autoritativo…in deroga al divieto dell'autotutela in materia di rapporti di diritto privato>>, la controversia relativa all'esercizio di tale potere <<è soggetta alla cognizione dell' A.G.O. in quanto il relativo provvedimento amministrativo è inidoneo ad incidere sulle posizioni soggettive inerenti ad un contratto di natura privatistica>>.

Sebbene la soluzione adottata sia condivisibile, il percorso argomentativo tracciato dal Tar desta perplessità nella parte in cui sostiene che l'art. 340 ha rimesso alla amministrazione committente il <<potere discrezionale autoritativo>> di incidere sulle sorti del contratto. Invero, muovendo da una siffatta asserzione sarebbe stato più coerente concludere per la sussistenza in capo al contraente privato di un posizione di interesse legittimo che radica la giurisdizione del giudice naturale degli interessi.

L'art. 340 della legge n. 2248/1865, all. F e l'art. 345 della stessa legge, che conferisce all'amministrazione la facoltà di recedere dal contratto di appalto, hanno dato luogo ad un dubbio interpretativo circa la natura degli atti emanati nell'esercizio dei poteri riconosciuti dagli stessi. Sul punto sono ipotizzabili due divergenti soluzioni: o si ritiene che, pur trattandosi della fase esecutiva, il legislatore ha attribuito alla amministrazione una pubblica potestà con conseguente devoluzione della vertenza al giudice amministrativo, stante il carattere formalmente e sostanzialmente amministrativo del relativo provvedimento (del resto, sussistono altre ipotesi in cui l'autorità amministrativa durante l'esecuzione del contratto esercita poteri autoritativi, come accade ad esempio per gli atti che respingono l'istanza di autorizzazione al subappalto) oppure si ritiene che questi atti sono meri atti amministrativi provenienti dalla pubblica amministrazione, ma privi di autoritatività, di guisa che le relative controversie sono conosciute dal giudice ordinario.

Il giudice del riparto e la giurisprudenza amministrativa prevalente hanno sposato la seconda tesi, rimarcando che le controversie nascenti dalla esecuzione di contratti di appalto di opere pubbliche hanno ad oggetto posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti contrattuali di natura privatistica nelle quali non hanno alcuna incidenza i poteri discrezionali e autoritativi della pubblica amministrazione anche quando essa si avvalga della facoltà, conferitale dalla legge, di risolvere o di recedere dal rapporto, spettando al giudice ordinario l'accertamento dei fatti legittimanti la risoluzione o il recesso, che non comportano l'esplicazione di poteri pubblicistici.

In altre parole, si ritiene che una volta concluso il contratto, la decisione dell'amministrazione appaltante di risolverlo o di recedere, anche se adottata con un atto amministrativo, non costituisce estrinsecazione di un potere amministrativo, ma opera esclusivamente nell'ambito delle paritetiche posizioni contrattuali delle parti, essendo una manifestazione di volontà adottata nell'espletamento di poteri di autonomia negoziale (cfr., in ordine alla risoluzione del contratto ex art. 340, oltre alle decisioni ricordate in motivazione, Cass., sez. un., 26 luglio 1985, n. 4342 e in ordine al recesso ex art. 345, ex plurimis, Cass., sez. un., 11 novembre 1994, n. 9409; Cass., sez. un., 4 gennaio 1993, n. 2; Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 1996, n. 41).

Nella seconda parte della motivazione il Tar Marche si sofferma sulla previsione di cui all'art. 33, comma 2, lett. e) del decreto legislativo n. 80/1998. Come è noto, la dottrina prevalente e la giurisprudenza ritengono che, ad onta del tenore letterale di tale disposizione, dalla quale si potrebbe prima facie dedurre che la giurisdizione esclusiva riguardi i procedimenti posti in essere da qualsiasi soggetto pubblico o privato tenuto all'applicazione delle previsioni comunitarie o della normativa interna in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, l'ambito di operatività della norma deve essere circoscritto alle sole ipotesi di procedure contrattuali svolte da gestori, pubblici o privati, di un servizio pubblico. Si è, dunque, inteso circoscrivere la giurisdizione esclusiva alle sole controversie che riguardano gare di appalto necessarie al gestore per procurarsi gli strumenti funzionali allo svolgimento dell'attività. Questa lettura si impone al fine di scongiurare l'incostituzionalità della norma per violazione dell'art. 76 Cost., dal momento che l'art. 11, comma 4, lett. g) della legge delega n. 59/1997 prevede l'estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alla materia dei <<servizi pubblici>> e non anche dei lavori e delle forniture (per una disamina delle ragioni che sorreggono la soluzione appena prospettata cfr. F. Caringella e R. Garofoli, Il rito degli appalti e la tutela risarcitoria degli interessi legittimi dopo il decreto legislativo n. 80/1998, in Urbanisticaa e appalti, 1999, 299, nota a Tar Piemonte, sez. II, 21 gennaio 1999, n. 17).

Nell'apparato motivazionale non v'è alcun riferimento all'opzione interpretativa appena descritta. Sembra, invece, che con la sentenza in epigrafe il Tar Marche abbia, sia pur implicitamente, aderito all'indirizzo dottrinale per cui l'art. 33, comma 2, lett. e) devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le vertenze relative all'espletamento di gare per l'aggiudicazione di commesse pubbliche non solo di servizi ma anche di lavori e forniture. Ciò lo si evince dalla circostanza che pur trattandosi nel caso di specie di un appalto di opera pubblica stipulato al termine di una apposita procedura da una amministrazione (l'I.A.C.P. di Macerata) che non eroga un servizio pubblico, il giudice di prima istanza riproduce fedelmente in motivazione il testo della citata lett. e) depurandolo del riferimento agli appalti di servizi e forniture e prescindendo del tutto dalla considerazione che la maggior parte degli interpreti, come visto, si sono orientati nel senso di ritenere implicito nell'art. 33, comma 2, lett. e) il riferimento ai gestori di pubblici servizi.

In altri termini, il Tar Marche, se avesse voluto accogliere l'opzione ermeneutica dominante, avrebbe potuto dichiarare in radice il proprio difetto di giurisdizione sottolineando che la norma in esame si riferisce soltanto alle procedure esperite dai gestori di pubblici servizi, per poi precisare, al fine di dare una risposta alla tesi difensiva del ricorrente, che comunque la giurisdizione esclusiva riguarda solo le liti afferenti alle fasi della procedura concorsuale e non a quelle inerenti all'esecuzione del contratto. Quest'ultima puntualizzazione sarebbe, infatti, risultata del tutto irrilevante ai fini del decidere, assumendo nel contesto della parabola argomentativa sottesa alla decisione il valore di obiter dictum. Il Tar, invece, presupponendo verosimilmente la riferibilità della disposizione di cui alla lett. e) del citato articolo anche ad enti pubblici che non gestiscono servizi, si è preoccupato di chiarire ciò che risulta ictu oculi dalla lettura del teso normativo e cioè che esso non riguarda le controversie attinenti all'esecuzione del contratto di appalto (dubita della sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 33, comma 2, lett. e) nelle controversie in materia di rescissione del contratto di appalto, senza, peraltro, esplicitarne le ragioni, Tar Abruzzo, sez. Pescara, ord. 29 aprile 1999, n. 184 che ha respinto una richiesta di sospensiva con riferimento ad un appalto indetto da un Comune).

 

La tesi a cui sembra aver aderito la sentenza in epigrafe intende rimediare all'irragionevole soluzione introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 80/1998 secondo cui se la procedura di evidenza pubblica è posta in essere da un ente gestore di un servizio pubblico sussiste, ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. e), la giurisdizione amministrativa esclusiva nell'ambito della quale il giudice è dotato degli ampi poteri istruttori e decisori di cui all'art. 35 dello stesso decreto, diversamente, nelle ipotesi in cui la procedura concorsuale è indetta da un soggetto non gestore, opera l'ordinario criterio di riparto di giurisdizione, con la conseguenza che anche laddove dovesse essere riconosciuta la giurisdizione amministrativa (di legittimità) il giudice non potrebbe disporre delle facoltà previste dal citato art. 35, prima fra tutte quella di condannare l'amministrazione al risarcimento del danno. E' proprio questa evidente discrasia, lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza desumibili dall'art. 3 Cost, che ha indotto una parte della dottrina a muoversi nelle maglie della legge per sostenere l'infondatezza dei dubbi circa l'eccesso di delega della lett. e) ai quali si è fatto cenno in precedenza.

In particolare questo indirizzo dottrinale fa leva sulla genericità della locuzione <<servizi pubblici>> utilizzata dalla legge delega, potenzialmente idonea a comprendere sia i lavori pubblici, sia i servizi pubblici veri e propri, sia le pubbliche forniture.

La genericità della nozione di servizi pubblici, inoltre, è stata ribadita dall'art. 33, comma 2, lett. e) della legge delegata per ricomprendere anche il <<"servizio" pubblico di gestione delle gare, secondo lo schema logico in passato tante volte utilizzato per costruire, prima dell'avvento della normativa comunitaria in tema di affidamento di concessioni, la figura della cd. "concessione di committenza">> (in questo senso L.V. Moscarini, Risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi e nuovo riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm., 1998, 803, spec. 814 ss.).

Nonostante l'apprezzabile tentativo di attribuire al sistema processuale maggiore organicità, sintomatico di una comprensibile insofferenza dell'interprete verso una produzione legislativa frammentaria e mal coordinata con la previgente normativa, a parere di chi scrive, nessuna delle due argomentazioni appena esposte coglie nel segno.

Quanto alla prima, è appena il caso di osservare che per quanto indeterminato sia il concetto di servizio pubblico, oggetto di opinioni dottrinali e giurisprudenziali eterogenee, non sembra, se le parole hanno un senso, che il legislatore delegato abbia voluto attribuire alla formula <<servizi pubblici>> una valenza così ampia. D'altra parte, la stessa Cassazione per estendere la giurisdizione esclusiva ex art. 5 della legge n. 1034/1971 sulle concessioni di servizi pubblici alle controversie tra amministrazione concedente e privato concessionario di opera pubblica non ha certo dilatato la nozione di pubblico servizio al punto da ricomprendervi anche i lavori pubblici, ma ha qualificato la concessione di opera pubblica come concessione di pubbliche funzioni per poi effettuare una applicazione analogica del suddetto articolo, attività che francamente sembra preclusa al legislatore delegato che deve muoversi negli stretti ambiti disegnati dal delegante, pena l'aggiramento del principio di separazione dei poteri.

Anche il secondo argomento non sembra essere persuasivo. Infatti, il servizio pubblico, sia che lo si intenda in senso oggettivo che in senso soggettivo, si caratterizza per il fatto di essere una attività non autoritativa, che si contrappone a quella funzionale (per una pronuncia del giudice amministrativo che ha escluso la riconducibilità al concetto di servizio pubblico del servizio di accertamento e riscossione dei tributi, poiché non si svolge su di un piano paritario, trattandosi di una delle più tipiche ed incisive manifestazioni di potestà autoritativa dell'ente pubblico v. Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 1995, n. 240). Viceversa, nell'ambito della pubblica gara è configurabile un rapporto di sovraordinazione tra l'amministrazione ed i partecipanti. La prima agisce in veste di autorità in quanto titolare di una pubblica potestà rispetto alla quale, come è a tutti noto, la situazione soggettiva dei secondi ha consistenza di interesse legittimo.

L'evidente discrasia creata dalla lett. e) dell'art. 35 potrà, dunque, essere superata, non essendo percorribile la strada di una declaratoria di incostituzionalità di carattere additivo invasiva della discrezionalità del legislatore, solo attraverso un intervento legislativo. Al riguardo, sono da segnalare i commi 1 e 2 dell'art. 5 del d.d.l. n. 2934 di riforma del processo amministrativo. Il primo attribuisce al giudice amministrativo il potere di condannare la pubblica amministrazione al risarcimento del danno in tutte materie deferite alla sua giurisdizione Il secondo devolve expressis verbis allo stesso giudice tutte le controversie relative alle gare di pubblico appalto di lavori, servizi e forniture espletate da qualsiasi ente pubblico, anche economico, o privato tenuto al rispetto delle previsioni comunitarie o della normativa interna (il testo di questo articolo e dell'intero d.d.l. approvato dal Senato il 22 aprile 1999 è possibile leggerlo in questa Rivista, con nota introduttiva di G. Virga).