TAR ABRUZZO-L’AQUILA – Sentenza 25 ottobre 2002 n. 540 – Pres. Balba, Est. De Leoni - Provincia di Teramo ed Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga (Avv.ti Dragone, Cerulli Irelli, Pace, Zecchino e Pelillo) c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed altri (Avv.ra Stato),Comune di Teramo (Avv. Cussago), Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Teramo (Avv.ti Gebbia e De Ambroiis), Associazione Verdi Ambiente e Società Onlus-VAS (Avv.ti Di Raimondo, Passalacqua e Montini), Associazione Nazionale Italia Nostra Onlus (Avv. Lorizio), Ente di Ambito Territoriale Ottimale Tramano n. 5 (Avv. Di Giannatale) e Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature O.N.L.U.S. (Avv.ti Rossi e Petretti) (previa riunione dei ricorsi, li accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002 n. 1339/02; con ordinanza 24 luglio 2002 n. 230, in questa Rivista n. 7/8-2002, il T.A.R. Abruzzo aveva accolto la domanda di sospensione avanzata con i ricorsi in questione).
1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse all’impugnazione - Provincia - Interesse ad impugnare atti relativi ad una opera pubblica - Ancorché tale opera non riguardi materialmente il territorio provinciale - Nel caso in cui tuttavia l’opera abbia qualche incidenza sul territorio stesso - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse all’impugnazione - Delibera del CIPE - Adottata ai sensi della legge n. 443 del 2001 - Riguardante l’inserimento di una opera pubblica tra quelle strategiche e di preminente interesse nazionale - Interesse ad impugnare tale delibera - Sussiste.
3. Atto amministrativo - Procedimento - Disciplina applicabile - Disciplina prevista da una legge promulgata nelle stesso giorno di adozione dell’atto - Applicabilità - Fattispecie.
4. Opere pubbliche - Programma delle infrastrutture - Ex
L. 21 dicembre 2001 n. 443 - Delle opere pubbliche strategiche e di preminente interesse nazionale - Inserimento nel programma - Previsione di un progetto - Non occorre.5. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Ricorso per motivi aggiunti - Nuova disciplina prevista dall’art. dall’art. 1, comma 1, della L. n. 205/2000 - Atto successivo emesso da una autorità amministrativa diversa ma connesso a quello impugnato col ricorso principale - Impugnativa mediante motivi aggiunti - Ammissibilità.
6. Atto amministrativo - Conferenza di servizi - Funzione - Individuazione - Deroga alla normativa o alla pianificazione vigenti - Impossibilità.
7. Atto amministrativo - Conferenza di servizi - Ex art. 3 del d.P.R. n. 383/1994 - Dissenso di una o più amministrazioni convocate - Necessità dell’indizione - Sussiste - Avvenuta intesa tra Stato e Regione per gli aspetti urbanistici - Irrilevanza.
8. Atto amministrativo - Conferenza di servizi - Dissenso di uno degli enti preposti alla tutela ambientale - Applicabilità della procedura di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990 - Mancanza - Illegittimità - Fattispecie.
9. Ambiente - Valutazione di impatto ambientale - Nuova valutazione - Nel caso in cui la precedente riguardi un progetto in parte diverso o siano emerse nuove problematiche (come ad es. il pericolo di inquinamento della falda acquifera ed il rischio sismico) non considerate in sede di prima valutazione del progetto - Sussiste.
1. E’ da ritenere ammissibile un ricorso proposto da una Provincia in relazione ad un progetto di opere pubbliche che, quantunque non interessi materialmente il territorio della Provincia stessa, tuttavia su di esso incida notevolmente (nella specie l’incidenza sul territorio provinciale è stata ravvisata nell’impatto idrogeologico ed ambientale che i progettati lavori di realizzazione di una galleria potevano avere sulla falda acquifera del massiccio del Gran Sasso, da cui vengono captate le acque destinate all’uso civile del territorio della Provincia ricorrente).
2. Sussiste l’interesse concreto ed attuale ad impugnare una deliberazione adottata dal CIPE che prevede l’inserimento di una opera pubblica nell’ambito di quelle strategiche e di preminente interesse nazionale, atteso che i ricorrenti hanno interesse ad escludere in radice la possibilità di attuazione della iniziativa in questione e tale interesse è stato ipoteticamente leso con l’inserimento dell’iniziativa stessa nella delibera CIPE, in mancanza della quale il procedimento relativo alla realizzazione dell’opera non può avere corso con le previste modalità.
3. Il momento della promulgazione della legge è quello che conferisce ad essa l’efficacia, cioè l’idoneità a prodotte effetti giuridici, nonché l’esecutività, mentre la pubblicazione della stessa attiene unicamente alla obbligatorietà ed alla presunzione di conoscenza ufficiale da parte dei cittadini; deve pertanto ritenersi legittima una delibera (nella specie una delibera del CIPE) adottata con la procedura prevista da una legge che sia stata pubblicata lo stesso giorno di adozione della delibera stessa.
4. Il programma delle infrastrutture da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese – la cui approvazione, in sede di prima applicazione della L. 21 dicembre 2001 n. 443, era demandata al CIPE – non deve far riferimento ai progetti delle singole infrastrutture considerate; trattandosi infatti di "programma" ed in mancanza di qualsiasi indicazione nella disposizione di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 443/2001, non può ritenersi che il programma debba contenere un quid pluris rispetto alla semplice indicazione delle opere (1).
5. L’art. 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1974, n. 1034, come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 21 luglio 2000 n. 205, nella parte in cui stabilisce che tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso in connessione con l’oggetto del ricorso stesso sono impugnati mediante la presentazione di motivi aggiunti, mira a rendere tecnicamente possibile la concentrazione dei processi in tutti i casi in cui i procedimenti e provvedimenti diversi siano tuttavia connessi e teleologicamente collegati da una comune finalità dell’azione amministrativa; deve pertanto ritenersi ammissibile l’impugnativa mediante ricorso per motivi aggiunti di un provvedimento che, pur essendo stato emanato da una autorità diversa da quella che ha adottato il provvedimento impugnato con il ricorso principale, tuttavia sia connesso al primo da un collegamento teleologico e funzionale, che rende il primo prodromico al fine dell’azione del successivo.
6. La conferenza di servizi è un modello procedimentale di cui una delle funzioni principali è quella di coordinamento ed organizzazione di fini pubblici e risponde al canone costituzionale del buon andamento dell’Amministrazione pubblica, attribuendo dignità di criteri normativi ai concetti di economicità, semplicità, celerità ed efficacia della sua attività. La conferenza di servizi è, in sostanza, uno strumento di coordinamento e di semplificazione della procedura, ma non può essere configurata come strumento di deroga alla normativa o alla pianificazione vigenti.
7. L’art. 3 del d.P.R. 18 aprile 1994 n. 383, prevede una conferenza di servizi qualora l’accertamento di conformità di cui al precedente art. 2 dia esito negativo oppure l’intesa tra Stato e Regione non si perfezioni. Tale conferenza di servizi è dunque necessaria, ancorchè si sia realizzata tra Stato e Regione una intesa per i problemi di natura urbanistica, per tutti gli altri aspetti coinvolti dall’opera pubblica, per i quali, in caso di dissenso di una o più amministrazioni convocate, l’ordinamento ha apprestato la soluzione prevista dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.
8. Nel caso di parere negativo da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale (nella specie si trattava dell’Ente parco) in ordine ad una opera pubblica, è applicabile l’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990; non assolve a tale compito il fatto che le Autorità sanitarie siano state invitate, ma sono risultati assenti, poiché è necessario comunque investire le predette Autorità, richiedendo loro quanto meno dei pareri scritti (alla stregua del principio nella specie il T.A.R. Abruzzo ha ritenuto illegittima la conferenza di servizi finale, sia per la mancata conclusione del procedimento ai sensi dell’art. 14-quater, terzo comma, della legge n. 241 del 1990, che, comunque, per non essersi dato conto, nel relativo verbale, delle ragioni di dissenso espresse dagli organi competenti).
9. Occorre una nuova valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) nel caso in cui l’opera pubblica abbia subito rilevanti variazioni nonché nel caso in cui siano emerse problematiche (nella specie, circa la possibilità di inquinamento acquifero e di rischio sismico) non considerate in sede di valutazione del progetto. In tale ipotesi, la necessaria nuova valutazione di impatto ambientale non può essere rimessa alla fase esecutiva della progettazione, dato che solo nella prima fase è consentito di attuare la strategia ad effetto anticipato, alla quale si ispira la procedura di VIA (2).
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(1) Ha aggiunto il T.A.R. Abruzzo che sarebbe arbitrario ammettere la necessità di un progetto (di cui la legge, non prevedendolo, ovviamente neanche specifica il tipo), laddove l’art. 1 della L. n. 443 del 2001 prevede la semplice individuazione delle infrastrutture.
(2) Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 1995, n. 754.
per l’annullamento
della deliberazione CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001 "legge obiettivo: 1° Programma delle infrastrutture strategiche", pubblicata sulla G.U. n. 68 del 21 marzo 2002, Supplemento ordinario n. 51, nella parte in cui prevede, tra le infrastrutture strategiche da realizzare ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, la "galleria di messa in sicurezza del traforo autostradale del Gran Sacco", nonché del Decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002, prot. n. 1339/02, di autorizzazione alla realizzazione delle opere previste dalla legge 29 novembre 1990, n. 366, "limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN", ricevuto dalla Provincia di Teramo in data 30 maggio 2002;
Tale ultimo decreto viene impugnato dall’Ente Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga, con il ricorso sopra ubicato, insieme all’avviso, pubblicato nella parte II della G.U. n. 119 del 23.05.2002 nella rubrica Bandi di Gara;
(omissis)
FATTO
Con ricorso notificato il 19 aprile 2002, la Provincia di Teramo impugna gli atti specificati in epigrafe, nella parte in cui viene previsto, tra le infrastrutture strategiche da realizzare ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, la realizzazione della "galleria di messa in sicurezza del Traforo autostradale del Gran Sasso".
Deduce, all’uopo:
1) – illegittimità per difetto dei presupposti di legge; violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), poiché la deliberazione impugnata è stata adottata prima della pubblicazione della legge n. 443 del 2001, attributiva della relativa competenza;
2) – violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria e nazionale in tema di Valutazione di Impatto Ambientale e, specificatamente della Delibera CEE 27 giugno 1985, n. 85/337, così come modificata dalla Direttiva CEE 3 marzo 1997, n. 97/11; dell’art. 6 della l. 8 luglio 1986, n. 349; dei DD.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377 e 27 dicembre 1988; del d.P.R. 12 aprile 1996, nonché dell’art. 1 comma 2, della legge 29 novembre 1990, n. 366; dell’art. 16, comma 4, della l. 11 febbraio 1994, n. 109 e succ. mod. e dell’art. 29 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; eccesso di potere, difetto di istruttoria, irragionevolezza, erroneità dei presupposti, poiché il giudizio di compatibilità ambientale sull’opera in questione risale al 1991, mentre il progetto della galleria reperito dalla deliberazione CIPE impugnata è stato completamente riformulato, sia in relazione al diametro degli scavi sia in relazione ad altri vari aspetti, conseguentemente l’opera de qua risulterebbe priva della verifica di compatibilità ambientale, tenuto, peraltro conto, che il progetto originario, adeguato alla nuova normativa sui lavori pubblici nel frattempo intervenuto, è stato specificato a livello di progetto definitivo. In tale fase va introdotto, ai sensi della legge n. 109 del 1994, lo studio di impatto ambientale;
3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 29 e 30 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 e del d.P.R. 5 giugno 1995 recante "Istituzione dell’Ente Parco nazione del Gran Sasso e Monti della Laga"; violazione dell’art. 14-quater l. 241 del 1990; dell’art. 32 della Cost. sotto il profilo della omessa considerazione dell’interesse pubblico alla tutela della salute; eccesso di potere sotto vari profili, poiché non si è tenuto in alcun conto il parere negativo espresso dall’Ente Parco sia con atto formale n. 1999/9363, sia in sede di Conferenza di servizi del maggio 2000 e del gennaio 2002, malgrado l’opera ricada in un’area del parco di massima protezione;
4) – violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della l. 5 gennaio 1994, n. 36 e dell’art. 21 del d.d.vo 11 maggio 1999, n. 152; mancata valutazione dell’interesse pubblico alla tutela dell’acqua ed al mantenimento dell’equilibrio idrogeologico della montagna; eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto la zona interessata dall’intervento è caratterizzata da un assetto idrogeologico complesso e di difficile classificazione, ove non è possibile escludere che gli scavi in sotterraneo vadano ad interferire con la falda acquifera, la quale, peraltro, ha già subito, in occasione dei precedenti lavori di realizzazione del traforo, un notevole abbattimento.
L’opera realizzando si porrebbe, altresì, in contrasto con la normativa sulla tutela delle acque dall’inquinamento, poiché essa rientra certamente nella zona di rispetto, collocandosi a meno di 200 mt dai punti di captazione;
5) – eccesso di potere sotto altro profilo – perplessità dell’azione amministrativa – violazione dei principi del procedimento amministrativa – violazione delle norme in tema di conferenza di servizi stabilite dalla l. 241 del 1990; violazione dell’art. 32 della Cost., sotto il profilo della omessa considerazione dell’interesse pubblico alla tutela della salute; irragionevolezza, sviamento, in quanto le amministrazione preposte alla tutela della salute non hanno potuto esprimere il proprio parere non essendo state invitate alle conferenze di servizi. Queste ultime, peraltro, in presenza di dissenso, si sarebbero dovute concludere con una decisione del Consiglio dei Ministri;
6) – in subordine, illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge n. 443 del 2001 per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. e conseguente illegittimità del provvedimento impugnato, poiché si è inteso regolare con legge una materia, la quale, in base al nuovo assetto di competenze costituzionali introdotto dalla riforma del Titolo V, parte II, Cost., non rientrerebbero più nella sfera di potestà legislativa statale;
7) – in ulteriore subordine: illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della l. n. 443 del 2001 per contrasto con l’art. 3 Cost. Tale norma, secondo l’assunto della provincia ricorrente,si appaleserebbe irrazionale, poichè prevede, da un lato, che l’individuazione delle infrastrutture pubbliche e private vada effettuata dal Governo a seguito di una complessa procedura; dall’altro, che in sede di prima applicazione, tale individuazione possa essere effettuata dal Cipe senza, peraltro, richiedere lo stesso iter procedimentale.
Con motivi aggiunti, la provincia di Teramo impugna, altresì, il decreto del Capo del Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002, prot. 1339/02, di autorizzazione alla realizzazione delle opere previste dalla legge 29 novembre 1990, n. 366, "limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN".
All’uopo deduce:
1) – illegittimità derivata dalla deliberazione CIPE;
2) – violazione e falsa applicazione del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383 e dell’art. 81. comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1977, n. 616; violazione e falsa applicazione delle norme in tema di conferenza di servizi stabilite dalla l. 241 del 1990, così come modif. dalla l. 340 del 2000; dell’art. 16, comma 4, l. 109/1994 e dell’art. 25 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; illegittimità derivata; eccesso di potere; falsità nei presupposti; contraddittorietà e irragionevolezza; perplessità dell’azione amministrativa, sviamento, poiché non tutti i pareri espressi dalle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza di servizi sono stati valutati; in particolare, non è stato tenuto conto del parere negativo espresso dall’Ente Parco ed è stato omesso di valutare l’interesse della tutela della salute non invitando le amministrazioni ad essa preposte. A fronte dei pareri sfavorevoli di alcune amministrazioni, l’Amministrazione procedente avrebbe dovuto attivare la procedura prevista dall’art. 14 quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 e non dichiarare, tali pareri, resi da amministrazioni non "competenti territorialmente";
3) – violazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241/90; eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e per difetto di motivazione, poiché l’amministrazione procedente non ha assolto l’obbligo generale di motivare in ordine ai dissensi espressi da alcune delle amministrazioni convenute;
4) – violazione dell’art. 32 Cost., sotto il profilo della omessa considerazione dell’interesse pubblico alla tutela della salute - mancata valutazione dell’interesse pubblico alla tutela delle acque ed al mantenimento dell’equilibrio idrogeologico della montagna – carenza assoluta di istruttoria; eccesso di potere sotto vari profili, violazione e falsa applicazione delle leggi n. 36/1994, d.l.vo n. 152/1999, d.P.R. 236/1988, nella parte ancora in vigore e delle norme tecniche approvate con D.M. Sanità 26 marzo 1991, d.l.vo n. 31/2001, in quanto è stato omesso l’interesse pubblico alla tutela della salute ed alla tutela delle acque. Sostanzialmente si deduce che il provvedimento impugnato avrebbe contemplato un intervento che, allo stato, non sarebbe realizzabile a causa della incompletezza del procedimento approvativo del relativo progetto per la presenza del parere negativo della Provincia di Teramo e di altri enti locali della provincia, del diniego di nulla osta dell’Ente Parco del Gran Sasso e dei monti della Laga, nonché per la mancata ponderazione di primari interessi coinvolti dalla realizzazione dell’intervento, ivi compreso quello igienico-sanitario. Le relazioni al progetto, peraltro, prospettano la possibilità di inquinamento della falda e di riduzione della portata degli acquedotti, ma non prevedono alcun rimedio. Tali carenze progettuali erano state evidenziate anche dal parere del 31 luglio 1998, n. 265 espresso dal Consiglio Superiore dei lavori pubblici, che aveva segnalato la necessità di un approfondimento delle indagini "finalizzato all’accertamento dei livelli piezometrici e dei flussi idrici nelle zone direttamente interessate dai nuovi lavori";
5) – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 13, 29 e 30 della legge n. 394/1991, del d.P.R. 5 giugno 1995, nonché delle direttive CEE 92/43 e 79/409; eccesso di potere, poiché non è stato tenuto in alcun conto che l’Ente parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a cui è stata attribuita – con normativa speciale in materia di aree naturali protette del tutto differenziata rispetto alla normativa generale in materia di tutela ambientale – una competenza specifica ed un potere autorizzatorio, abbia negato il nullaosta alla realizzazione dell’opera. La Provincia ricorrente, in proposito, pone l’accento sulla particolarità del parere negativo espresso dall’Ente parco, differenziandolo dai pareri di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 340 del 2000, espressi dalle Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, configurandolo quale atto del tutto autonomo, previsto da normativa speciale. Da ciò trae la conseguenza che, nelle aree protette nell’ambito del parco, nessuna trasformazione territoriale possa essere realizzata senza il nulla-osta del parco medesimo;
6) – violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria e nazionale in tema di Valutazione di Impatto Ambientale e, specificatamente, della Direttiva CEE 27 giugno 1985, n. 85/337, come modif. dalla Direttiva Cee 3 marzo 1997, n. 97/11; dell’art. 6 L. 349/1986; dei DD.P.C.M. n. 377/1988 e 27 dicembre 1988, del 12 aprile 1996, nonché dell’art. 1, comma 4, ò. 109/1994 e succ. modif. e degli artt. 29 e 35 l. 554/1999; eccesso di potere sotto vari profili, in quanto il progetto originario, avendo subito delle sostanziali modificazioni, avrebbe dovuto essere di nuovo sottoposto al giudizio di compatibilità ambientale. Peraltro, nello studio di compatibilità ambientale del 1992 non sono state valutate le problematiche relative al possibile inquinamento dell’acquifero, come evidenziato dal Servizio geologico Nazionale nella relazione del 1998, né è stato affrontato il problema del rischio sismico. Viene sottolineata, inoltre, la contraddittorietà del parere espresso dal Ministero dell’Ambiente in sede di conferenza di servizi:
7) – violazione e falsa applicazione della legge n. 366/1990; violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990; sviamento; perplessità manifesta; contraddittorietà, in quanto, secondo la previsione legislativa, l’opera, strettamente correlata alla realizzazione dei nuovi laboratori, i quali non verrebbero più realizzati, non avrebbe ragion d’essere; mentre se si tratta di un’opera a servizio della sicurezza stradale dell’attuale traforo, a maggior ragione non potrebbe essere realizzata, mancando una base normativa e, comunque, non sussistendone l’esigenza, essendo il collegamento viario interessato uno dei più sovradimensionati rispetto alle esigenze dell’utenza.
Conclude per l’accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed onorari di giudizio.
Le amministrazioni intimate, costituitesi, in giudizio, eccepiscono preliminarmente vari profili di inammissibilità, sia in relazione al ricorso principale che con riferimento ai motivi aggiunti, nonché concludono per il rigetto del ricorso.
Ricorso n. 419 del 2002:
Con ricorso notificato il 22 luglio 2002 l’Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, impugna gli atti specificati in epigrafe, con cui è stata autorizzata la realizzazione delle opere previste dalla legge n. 366 del 1990, limitatamente alla galleria di accesso ai laboratori.
All’uopo deduce:
1) – violazione dei principi generali in tema di aree protette di cui alla legge quadro n. 394 del 6 dicembre 1991 in relazione al d.P.R. 5 giugno 1995, per errata applicazione del disposto di cui agli artt. 2 e 3 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, in tema di riparto di competenze funzionali legislativamente attribuite; eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà; elusione del principio di certezza ed organizzazione dell’attività amministrativa; illogicità; carenza di motivazione sui punti; sviamento, poiché non è stato tenuto in alcun conto, peraltro senza alcun onere di motivazione, il diniego espresso dall’Ente parco ricorrente, organo tenuto, in via esclusiva, alla salvaguardia ed alla disciplina del territorio, che avrebbe, di contro imposto un ulteriore ed articolato procedimento di approvazione;
2) – violazione di principi in tema di giusto procedimento e di certezza dell’azione amministrativa in termini di coerenza e consequenzialità; eccesso di potere sotto il profilo della inidoneità della motivazione anche in violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; sviamento, contraddittorietà, pretestuosità, illogicità, perplessità, poiché l’intervento avrebbe dovuto riguardare le opere previste dalla legge n. 366 del 1990, mentre nell’atto impugnato si perviene ad un fuorviante elemento nuovo e ad effetto quale quello della "messa in sicurezza" degli impianti, peraltro, privo di riscontro;
3) – errata valutazione dei presupposti riguardo alle risultanze istruttorie e segnatamente ai fini della compatibilità ambientale, violazione dei principi in tema di VIA e segnatamente della direttiva n. 85/337/Cee e succ. modif. e integr. della legge n. 349 del 1986; della legge n. 109/1994 e relativo regolamento e dell’art. 1 della legge n. 366/1990; eccesso di potere sotto vari profili, in quanto il decreto interministeriale impugnato ha posto a fondamento le risultanze dello studio di compatibilità ambientale effettuato nel lontano 1992, in una situazione ambientale di natura dinamica, soggetta a frequenti mutazioni ed in cui è in discussione la protezione delle acque;
4) – violazione dei principi generali in tema di protezione delle risorse idriche; violazione della legge n. 36 del 1994 e del decreto legislativo n. 152 del 1999; violazione dei principi generali di diritto comunitario e di diritto interno sulla tutela della salute; violazione dell’art. 32 della Cost., eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento della inidoneità, della contraddittorietà della motivazione anche in relazione all’art. 3 della legge n. 241/1990; violazione della legge comunitaria e segnatamente della direttiva 2000/60 CEE e della precedente n. 85/337 CEE; violazione del d.lgv. n. 27 del 2002, in quanto l’iniziativa mal si concilia con i principi rubricati in materia di protezione delle acque, sia in relazione all’ordinamento comunitario, sia in relazione al quadro normativo interno. In particolare, non si è tenuto conto dei vari studi effettuati, che hanno evidenziato la possibilità di incidere notevolmente sulle risorse idriche;
5) – illegittimità intrinseca e derivata dall’"avviso" a firma del Capo compartimentale dell’A.N.A.S. dell’Abruzzo, pubblicato tra le inserzioni a pagamento dei "bandi di gara" sulla G.U. parte II n. 119 del 23.5.2002; violazione artt. 79 e 80 d.P.R. 21.12.1999, n. 554, dell’art. 14 ter, comma 10, l. n. 241/1990 come novellato dall’art. 11 l. n. 340/2000; eccesso di potere sotto vari profili. Con tale "avviso", secondo la ricorrente, è stata resa nota l’autorizzazione alla realizzazione delle opere in questione, con valenza di "comunicazione di preinformazione", di cui all’art. 80 del d.P.R. n. 554 del 1999, senza che sia stato approvato il progetto esecutivo.
Conclude per l’accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed onorari di giudizio.
Le amministrazioni intimate, costituitesi in giudizio, eccepiscono, in via preliminare, l’inammissibilità e la intempestività del ricorso; nel merito concludono per la infondatezza dello stesso.
I vari soggetti intervenuti deducono motivi adesivi ai ricorsi principali.
DIRITTO
Il Collegio dispone la riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, stante la palese connessione oggettiva.
In via preliminare, deve, altresì, dichiararsi la inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato, nel ricorso n. 245 del 2002, dall’Associazione Italiana per il Wordl Wide Fund for Nature O.N.L.U.S., poiché l’atto risulta depositato successivamente al termine perentorio previsto dall’art. 22 della legge n. 1034 del 1971.
Venendo all’esame delle eccezioni formulate dall’Avvocatura distrettuale dello Stato deve dichiararsi infondata l’eccezione che poggia sul rilievo della errata evocazione in giudizio dell’Amministrazione interessata, essendo stato il ricorso notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze e non direttamente al CIPE, organo distinto rispetto ai Ministri che lo compongono e dotato di una propria soggettività e, quindi, soggetto di imputazione diretta.
Osserva il Collegio che l’Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 24 giugno 2002, una memoria nell’interesse del CIPE, costituita da una relazione la quale, ancorché redatta dal Direttore generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze Servizio centrale di Segreteria del CIPE viene fatta propria dall’Avvocatura stessa e finalizzata alla difesa del Comitato suddetto.
Tale relazione può essere considerata una costituzione per l’Organo anzidetto, che sana la irregolarità della notificazione, effettuata al Ministero dell’economia e delle Finanze. A tale conclusione si può giungere sulla base dell’art. 156, 3° comma, cod. proc. Civ.
Va disattesa anche l’eccezione relativa alla mancata impugnativa del parere del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici n. 265 del 31 luglio 1998.
Ed invero, il suddetto parere, a prescindere da quanto si osserverà in prosieguo nell’esame del merito con riguardo al contenuto della delibera CIPE impugnata, è stato reso da Organo consultivo in ordine al progetto e riveste carattere preparatorio, privo, quindi, di autonomia funzionale e non è direttamente operativo sull’effetto previsto dalle norme, che consegue soltanto dall’atto finale.
Ulteriore profilo di inammissibilità poggia sul rilievo secondo cui la Provincia ricorrente non avrebbe evidenziato l’interesse all’annullamento della deliberazione del CIPE impugnata, atteso che nessuna delle opere graverebbe sul territorio della Provincia di Teramo.
Tale eccezione va disattesa, in quanto le opere, ancorché non gravino materialmente sul territorio della provincia ricorrente, tuttavia su di essa incidono notevolmente. Basti considerare che la galleria di servizio corre per la maggior parte della sua lunghezza ad una quota superiore a quella della falda, che risulta, tuttavia, interessata direttamente dal tratto terminale della galleria stessa (cfr. parere Cons. Sup. LL.PP. n. 265 del 1998). Ne consegue che è ragionevole ritenere che conseguenze pregiudizievoli potrebbero derivare dall’impatto idrogeologico ed ambientale dei lavori di realizzazione della galleria sulla falsa acquifera del massiccio del Gran Sasso, da cui vengono captate le acque destinate all’uso civile del territorio provinciale.
Un ultimo profilo di inammissibilità poggia sul rilievo che la deliberazione CIPE ha natura di atto di indirizzo programmatico di individuazione delle opere da qualificare strategiche e di preminente interesse nazionale.
Essa è impressione della funzione di indirizzo della politica economica nazionale ed indica le direttive generali per l’attuazione del programma economico-nazionale.
Tale natura, quindi, escluderebbe l’esistenza di un interesse attuale, in capo all’Ente ricorrente, all’annullamento dell’atto.
Nei limiti consentiti dall’esame dell’eccezione pregiudiziale concernente la sussistenza o meno dell’interesse debbono riconoscersi sia la sussistenza dell’interesse che l’attualità dello stesso.
Deve infatti, ritenersi che sia la ricorrente Comunità locale che gli interventori abbiano un interesse ad escludere in radice la possibilità dia attuazione della iniziativa in questione e che tale interesse sia stato ipoteticamente leso con l’inserimento dell’iniziativa stessa nella delibera CIPE, in mancanza della quale il procedimento relativo alla realizzazione dell’opera non avrebbe potuto avere corso con le previste modalità.
Nel merito, tuttavia, i motivi dedotti avverso questo primo provvedimento sono infondati.
La prima censura attiene alla violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa, poiché la delibera CIPE sarebbe stata adottata prima della pubblicazione della legge n. 443 del 2001, che attribuisce all’Organo anzidetto la relativa competenza.
In proposito, va osservato – come esattamente deduce la difesa delle Amministrazioni intimate – che il momento della promulgazione della legge è quello che conferisce ad essa l’efficacia, cioè l’idoneità a prodotte effetti giuridici, nonché l’esecutività, mentre la pubblicazione della stessa attiene unicamente alla obbligatorietà ed alla presunzione di conoscenza ufficiale da parte dei cittadini.
Nel caso di specie, la legge è stata approvata in data 6 dicembre 2001 ed è stata pubblicata lo stesso giorno in cui è stata emanata la deliberazione del CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001. Tale contemporaneità, pertanto, vale a rendere legittimo il potere esercitato con il provvedimento de quo.
Tutti gli altri motivi, in quanto rivolti avverso il progetto dell’opera, sono infondati.
Invero, dal testo all’epoca vigente della legge n. 443 del 2001 non risulta in alcun modo che il programma delle infrastrutture da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese – la cui approvazione, in sede di prima applicazione della legge, era demandata al CIPE – dovesse far riferimento ai progetti delle singole infrastrutture considerate.
Proprio perché si tratta di "programma" ed in mancanza di qualsiasi indicazione nella disposizione di cui all’art. 1, comma 1, della legge stessa, non può ritenersi che il programma dovesse contenere un quid pluris rispetto alla semplice indicazione delle opere.
Sarebbe, infatti, arbitrario ammettere la necessità di un progetto (di cui la legge, non prevedendolo, ovviamente neanche specifica il tipo), laddove la disposizione in esame prevede la semplice individuazione delle infrastrutture. Prescrizione questa che deve ritenersi assolta dalla deliberazione del CIPE impugnata.
Vanno di contro accolte le censure formulate con i motivi aggiunti e con il ricorso n. 419 del 2002 dell’Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga avverso la determinazione dirigenziale n. 1339/02 del 6 maggio 2002, con la quale viene autorizzata la realizzazione delle opere previste dalla legge n. 366 del 1990, limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN e rilevata la infondatezza delle relative eccezioni formulate dall’Avvocatura.
In primo luogo i motivi aggiunti devono ritenersi ammissibili, poiché deve ravvisarsi un nesso di consequenzialità funzionale tra l’atto profromico, costituito dall’impugnata deliberazione CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, e il successivo decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territori del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002.
Ed invero, la deliberazione del CIPE prevede la individuazione di quelle opere che potranno, poi, in virtù della inclusione nel programma, giovarsi di un regime derogatorio rispetto al sistema normativo ordinario e che consente all’Amministrazione di seguire la procedura acceleratoria e di renderla, con proprio decreto, immediatamente realizzabile.
D’altro canto, l’art. 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1974, n. 1034, come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 21 luglio 2000 n. 205, nella parte in cui stabilisce che tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso in connessione con l’oggetto del ricorso stesso sono impugnati mediante la presentazione di motivi aggiunti, mira a rendere tecnicamente possibile la concentrazione dei processi in tutti i casi in cui i procedimenti e provvedimenti diversi siano tuttavia connessi e teleologicamente collegati da una comune finalità dell’azione amministrativa.
Nella specie, ancorché i due provvedimenti non siano stati emanati dalla medesima autorità, tuttavia non può non riconoscersi l’esistenza tra di essi, di un collegamento teleologico e funzionale, che rende il primo prodromico al fine dell’azione del successivo, che contempla opere, le quali, proprio perché inserite nel programma possono godere di corsie preferenziali in relazione alla loro esecuzione ed al relativo finanziamento.
Per quanto concerne le eccezioni di inammissibilità formulate nei confronti del ricorso promosso dall’Ente Parco, occorre rilevarne la infondatezza.
In riferimento alla dedotto tardività del ricorso per non aver l’Ente impugnato l’assenso espresso dalle autorità competenti, basta osservare che tali atti di assenso si inseriscono nel procedimento di approvazione del progetto, rivestendo, quindi, il carattere di atti infraprocedimentali con finalità preparatoria e privi, quindi, di autonomia funzionale.
In relazione alla eccezione di inammissibilità per carenza di interesse dell’Ente ricorrente all’annullamento dell’atto de quo, deve, altresì, esserne dichiarata la fondatezza, posto che l’Ente è istituzionalmente preposto alla conservazione ed alla valorizzazione del patrimonio naturale del territorio, intendendosi per patrimonio naturale le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno rilevante valore naturalistico ed ambientale. La presenza di tali elementi assicura al territorio ove essi sono presenti uno speciale regime di tutela e di gestione al fine di raggiungere le finalità previste dalle legge. Tanto è sufficiente per riconoscere in capo all’Ente un interesse attuale e concreto all’annullamento dell’atto de quo.
Passando all’esame del merito, vanno esaminati i motivi che presentano particolare rilevanza ai fini del decidere, restando gli altri assorbiti.
Con il secondo dei motivi aggiunti viene dedotta la violazione della normativa in materia di conferenza di servizi di cui alla legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni.
La dedotta censura può essere condivisa.
Le due conferenze di servizi, quella del 16 maggio 2000 e quella successiva del 21 gennaio 2002, trovano il proprio fondamento normativo – come espressamente riportato nei verbali – sia nell’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 che nell’art. 14 della legge n. 241 del 1990.
Al riguardo, occorre preliminarmente sgomberare il campo dal riferimento all’art. 81 del d.P.R. 616 del 1977, come modificato dal d.P.R. 18 aprile 1994 n. 383.
Infatti, l’art. 3 del d.P.R. n. 383 del 1994 prevede una conferenza di servizi qualora l’accertamento di conformità di cui al precedente art. 2 dia esito negativo oppure l’intesa tra Stato e Regione non si perfezioni.
Nella specie, deve ritenersi verificata, fin dalla prima conferenza di servizi, l’intesa Stato-Regione, ma tale intesa vale ad escludere soltanto, ai sensi della citata normativa, problemi di natura urbanistica.
Per tutti gli altri aspetti coinvolti occorreva convocare una conferenza di servizi e tanto non è stato fatto con le conferenze di cui si discute, che sono quelle previste dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990, richiamato dai relativi verbali, ancorchè – per la seconda – sarebbe stato corretto riferirsi all’art. 14-bis, 2° comma, della legge n. 241 del 1990, nel testo di cui all’art. 10 della legge 24 novembre 2000, n. 340, che è uno strumento previsto specificamente per la procedura diretta alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico.
Tuttavia, va precisato che la conferenza di servizi prevista dalla citata normativa è un modello procedimentale di cui una delle funzioni principali è proprio quella di coordinamento ed organizzazione di fini pubblici e risponde al canone costituzionale del buon andamento dell’Amministrazione pubblica, attribuendo dignità di criteri normativi ai concetti di economicità, semplicità, celerità ed efficacia della sua attività.
Il compito della conferenza di servizi è sempre quello della composizione delle discrezionalità amministrative e dei poteri spettanti alle amministrazioni partecipanti, nonché di contestuale esame degli interessi pubblici coinvolti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà delle singole amministrazioni.
La conferenza di servizi è, in sostanza, uno strumento di coordinamento e di semplificazione della procedura, ma non può essere configurata come strumento di deroga alla normativa o alla pianificazione vigenti.
Ne consegue che il rilievo mosso dall’Avvocatura, secondo cui la conferenza dei servizi sarebbe stata convocata ai sensi dell’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977, come modificato dal d.P.R. n. 383 del 1994 al fine di inserire le opere progettate nel contesto urbanistico della zona interessata non è condivisibile.
Infatti, posto che – come si è detto, l’aspetto urbanistico è stato risolto dall’intesa intervenuta tra lo Stato e la Regione, per un’opera di tali dimensioni e di grande impatto ambientale, quello che rileva, ad avviso del Collegio, è la valutazione nonché la ponderazione di tutti gli altri interessi coinvolti, per i quali, in caso di dissenso di una o più amministrazioni convocate, l’ordinamento ha apprestato la soluzione prevista dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.
Tale disposizione prevede, infatti, una particolare procedura nel caso di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute.
Nella specie, è sufficiente considerare – e si passa così ad esaminare il quinto motivo nonché il primo motivo dedotto dall’Ente Parco – il particolare ruolo assegnato a quest’ultimo dalla legge istitutiva.
Ora, prescindendo dalle considerazioni svolte dai ricorrenti secondo cui il parere dell’Ente Parco sarebbe configurabile quale atto del tutto autonomo, previsto dalla normativa in materia di aree naturali protette e da quella specifica concernente l’Ente Parco, con la conseguenza che nessun intervento sul territorio sarebbe possibile senza il nulla osta dell’Ente stesso e, quindi, il diniego espresso dall’Ente non sarebbe superabile neanche mediante la procedura avanti al Consiglio dei Ministri, prevista dalla stessa legge n. 340 del 2000 – non si può non rilevare che, a fronte del parere negativo dell’Ente avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 14-quater, comma 3, della ripetuta legge n. 241 del 1990, essendo il dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo all’omessa considerazione dell’interesse pubblico alla tutela della salute e della normativa sulle acque destinate al consumo umano (quarto motivo aggiunto e quarto motivo dell’Ente Parco).
Infatti, nessuna delle amministrazioni intervenute alla conferenza ha escluso in maniera certa come pure sarebbe stato necessario – la possibilità che le opere possano incidere sul sistema idrico. Anzi, la relazione depositata dalla provincia di Teramo afferma che si possono verificare probabili fenomeni di intorbidimento delle acque di falda, con conseguente contaminazione dell’acquifero o, quanto meno, la modificazione delle caratteristiche fisico-qualitative delle acque stesse. Tale possibilità è stata confermata anche dal Servizio Geologico Nazionale nella relazione del marzo 1999.
Sarebbe stato, quindi, ragionevole convocare alle due conferenze di servizi, luogo ove concentrare un unico contesto temporale le valutazioni e le posizioni delle singole amministrazioni portatrici degli interessi pubblici coinvolti in tale procedimento, anche le Autorità preposte alla tutela della salute, come peraltro, aveva raccomandato già nel 1992 l’Istituto Superiore di Sanità.
Non assolve a tale compito il fatto che le Autorità sanitarie siano state invitate, come è riportato nel verbale della seconda conferenza di servizi del 21 gennaio 2002, ma sono risultati assenti, poiché sarebbe stato necessario comunque investire le predette Autorità, richiedendo loro quanto meno dei pareri scritti.
Ciò senza considerare che gli elementi negativi o almeno problematici, emersi nel corso dell’istruttoria (cfr. le relazioni dell’istituto Superiore di Sanità del 9 aprile 1992 e del Servizio Geologico Nazionale del Marzo 1999) avrebbero richiesto, prima di considerare definitivo il procedimento concernente la fattibilità dell’opera, un esame ben più accurato ed avrebbero, comunque, richiesto la espressa indicazione, sul piano motivazionale, delle ragioni per cui i dissensi espressi pertinenti all’oggetto e congruamente motivati, non fossero idonei a scalfire, sul piano della legittimità e dell’opportunità, la statuizione conclusiva della conferenza.
In conclusione, la conferenza di servizi finale deve ritenersi illegittima sia per la mancata conclusione del procedimento ai sensi dell’art. 14-quater, terzo comma, della legge n. 241 del 1990, che, comunque, per non essersi dato conto, nel relativo verbale, delle ragioni di dissenso espresse agli organi competenti.
Tali illegittimità non possono non ripercuotersi sulla determinazione ministeriale impugnata.
Sono ugualmente fondati il sesto motivo aggiunto ed il terzo motivo dedotto dall’Ente Parco, che si riferiscono alla circostanza che il decreto impugnato ha posto a fondamento le risultanze di uno studio di compatibilità ambientale effettuato nel lontano 1992 senza considerare le variazioni progettuali intervenute ed, inoltre, che in tale studio, non sarebbero state valutate le problematiche relative al possibile inquinamento dell’acquifero né risulterebbe affrontato il problema del rischio sismico.
Va rilevato che il progetto, (come si evince anche dal parere reso dall’Assemblea generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del 17 maggio 1996, n. 112, che conclude affermando testualmente che "il progetto… così come presentato… debba essere rielaborato… sulla base dei precedenti "considerato") abbia subito notevoli variazioni.
Tanto è confermato dall’ANAS nei "criteri di progetto" allegati al progetto definitivo (aggiornamento del progetto originario in attuazione del parere del Consiglio Superiore dei LL.PP. n. 112 del 17 maggio 1996) in risposta ai rilievi del Consiglio in relazione alla "sezione trasversale", che "appare insufficiente allo svolgimento di tutti i compiti ad essa assegnati…", ove afferma chiaramente che "la galleria è stata interamente riprogettata".
Sulla base di tale esplicita affermazione e, comunque dall’analisi delle variazioni intervenute, non può none vincersi che le caratteristiche sostanziali dell’intervento, già oggetto di valutazione nel 1992, siano stata alterate ed incidono in senso peggiorativo sull’ambiente, così da giustificare anzi da imporre una nuova verifica della sua compatibilità ambientale.
D’altro canto, la VIA si pone al centro di una gamma di strumenti contenenti le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità, che consentono un’azione anticipatrice di salvaguardia dell’ambiente, mediante una politica preventiva diretta a ricercare un punto di equilibrio tra le esigenze sottese all’intervento progettato e l’interesse della collettività a non subire pregiudizi del proprio habitat.
La necessità di una nuova valutazione dell’opera in relazione all’ambiente si impone anche in considerazione delle problematiche emerse circa la possibilità di inquinamento dell’acquifero, come era stato evidenziato dal Servizio geologico Nazionale nel marzo del 1999 (pag. 10 della relazione), nonché in relazione al problema del rischio sismico, evidenziato dall’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente nel giugno 1999.
Deve sottolinearsi che la necessaria nuova valutazione di impatto ambientale deve essere effettuata in questa fase progettuale e non può essere rimessa alla fase esecutiva della progettazione, dato che solo nella prima fase è consentito di attuare "la strategia ad effetto anticipato" (CdS, IV sez., 18 luglio 1995, n. 754), alla quale si ispira la procedura di VIA.
Per quanto osservato è altresì illegittima, perché comporta una inammissibile inversione logica e cronologica nel procedimento, la previsione contenuta nel decreto impugnato (art. 4) di rimettere all’ANAS la possibilità di rendere compatibili con l’intervento stesso le problematiche emerse in sede di conferenza di servizi, "soprattutto riguardanti la tutela del sistema dell’acquifero del Gran Sasso d’Italia".
In definitiva, i ricorsi vanno accolti, per quanto di ragione, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo-l’Aquila, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati, previa riunione degli stessi, li accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002 n. 1339/02.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in L’Aquila dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo nella Camera di Consiglio del 9 ottobre 2002, con la partecipazione dei magistrati:
Santo BALBA Presidente
Luciano RASOLA Consigliere
Maria Luisa DE LEONI Consigliere estensore
Depositata il 25 ottobre 2002.