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Giurisprudenza
n. 11-2002 - © copyright.

 TAR ABRUZZO, SEZ. PESCARA - Sentenza 25 ottobre 2002 n. 1023 - Pres. Catoni, Est. Di Giuseppe - Simeone e c.ti (Avv. M. Russo) c. Comune di Ortona (Av. B. Profeta), Regione Abruzzo (n.c.) e Consorzio Buzzelli(Avv. S. Civitarese Matteucci).

1. Edilizia ed urbanistica - Strumenti urbanistici - Piani di recupero - Ex L. n. 457/1978 - Natura - Individuazione - Termine per l’impugnazione - Per i soggetti in essi contemplati - Dalla data di pubblicazione del piano.

2. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Impugnativa - Termine per l’impugnazione - Decorrenza - Dalla data di ultimazione dei lavori, a meno che non emerga una conoscenza anticipata.

3. Edilizia ed urbanistica - Distanze - Distanza di 10 metri tra pareti finestrate - Ex D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 - Deroga prevista dall’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. citato - Applicabilità solo alle distanze tra edifici facenti parte della stessa lottizzazione.

4. Edilizia ed urbanistica - Distanze - Distanza di 10 metri tra pareti finestrate - Ex D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 - Disciplina prevista da quest’ultimo decreto - Integra l’art. 872 cod. civ. - Contrasto tra la disciplina del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 e strumento urbanistico - Prevalenza della prima - Ragioni.

5. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Rilascio in violazione  delle distanze - Diritto dei proprietari dei terreni interessati di agire per la riduzione in pristino - Sussiste.

6. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva del G.A. - In materia urbanistica ed edilizia - Poteri del giudice - Nel caso di concessione edilizia rilasciata in violazione delle distanze minime prescritte - Risarcimento del danno in forma specifica mediante ordine di riduzione in pristino - Può essere disposto.

1. I piani di recupero, disciplinati dagli artt. 28 e 30 della L. 5 agosto 1978 n. 457, sono da considerare degli strumenti di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo, ai quali si riconnettono obblighi di trasformazione edilizia e urbanistica per i proprietari e per il comune, per cui non hanno natura meramente programmatica; pertanto, vale per i piani di recupero il principio secondo il quale il termine per l’impugnazione dei piani esecutivi da parte dei soggetti non direttamente contemplati in essi, quali i confinanti, decorre dalla data della pubblicazione della delibera approvativa (1).

2. Il termine per impugnare una concessione edilizia decorre dalla data in cui i terzi hanno avuto consapevolezza dell’esistenza delle violazioni della disciplina urbanistica derivanti dal progetto assentito; tale data è da individuare nel momento dell’ultimazione dei lavori, salvo che non emerga una conoscenza anticipata (2).

3. In tema di distanze tra fabbricati disciplinate dall’art 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, l’ultimo comma dell’art. 9 cit., che consente una deroga alle distanze tra fabbricati, può trovare applicazione solo relativamente alle distanze tra edifici facenti parte della stessa lottizzazione, per cui tale deroga può trovare applicazione solo tra edifici compresi nel perimetro del piano stesso, ma non per la distanza dagli immobili esterni ad esso (3).

4. La distanza di 10 metri tra pareti finestrate rappresenta quella minima inderogabile prestabilita dall’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, decreto che, in quanto emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell’art. 41 quinquies della L. 17 agosto 1942 n.1150, introdotto dalla L. 6 agosto 1967 n. 765, ripete dal rango della stessa legge delegante la forza di norma legislativa capace di integrare l’art. 872 cod. civ. (4); ne consegue che, in presenza di contrasto tra norma legislativa e norma regolamentare, deve ritenersi disapplicabile la seconda, giacché, pur in difetto di specifica doglianza di parte, è consentito al Giudice amministrativo sindacare gli atti di normazione secondaria, incidenti su diritti soggettivi di terzi, al fine di accertarne l’idoneità ad innovare l’ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa (5) (in applicazione del principio nella specie, il T.A.R. Abruzzo, constatato che la norma del piano di recupero - la quale consentiva di edificare a distanza inferire a 10 metri - era in contrasto con la norma di rango legislativo di cui all’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444, ha ritenuto che essa andava disapplicata).

5. La concessione edilizia viene rilasciata dal Comune fatti salvi i diritti dei terzi ed è priva di rilevanza nei rapporti tra privati i quali, ove lesi dalla costruzione realizzata senza il rispetto delle disposizioni sulle distanze, conservano il diritto ad ottenere la riduzione in pristino (6).

6. Ai sensi dell’art. 35, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dall’art. 7, comma 1 lett. c), della L. 21 luglio 2000 n. 205, se emerga la circostanza che la costruzione di un edificio viola le distanze e si trova ancora nella fase iniziale, si può disporre il risarcimento dei danni attraverso la reintegrazione in forma specifica, ordinando la riduzione in pristino mediante la demolizione delle opere edilizie realizzate a distanza inferiore a quella prescritta (nella specie è stato imposto a carico della parte controinteressata di provvedere alla demolizione delle opere edilizie eventualmente realizzate in violazione della distanza di mt. 10 tra pareti finestrate rispetto agli immobili dei ricorrenti).

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(1) Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 1995 n. 1080; 30 luglio 1993 n. 812.

(2) Cfr. ex multis: Cons. Stato, sez. VI, 11 agosto 2000 n. 4471. Sulla decorrenza del termine di impugnazione della concessione edilizia v. in questa Rivista da ult. TAR Abruzzo-Pescara, 28 giugno 2002 n. 595, nonchè TAR Lombardia-Brescia, 11 marzo 2002 n. 476, secondo cui in particolare "il termine per l’impugnazione di una concessione edilizia decorre, per i soggetti terzi rispetto a tale provvedimento, dalla data di intervenuta ultimazione dei lavori assentiti, dovendosi ritenere che da tale data sorga una presunzione iuris et de iure di piena conoscenza del provvedimento.

(3) Cass., SS.UU., 18 febbraio 1997 n. 1486.

(4) V. tuttavia in senso opposto da ult. Cass., S.U., 1 agosto 2002 n. 11489, in questo numero della Rivista, pag. Sentenza 1 agosto 2002 n. 11489 ed ivi ulteriori riferimenti, secondo cui, in particolare, "la disciplina in materia di distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1444/1968, non è immediatamente precettiva nei rapporti tra privati, poiché nell’imporre determinati limiti edilizi nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, si rivolge solo ai comuni (2), sicchè, nell’ipotesi che lo strumento urbanistico, pur approvato, non provveda in tema di distanze, ipotesi sostanzialmente equipollente a quella della mancanza dello strumento urbanistico, resterà operante il precetto dettato dalla norma suppletiva di cui all’art. 17 della L. n. 765 del 1967".

(5) Cons. Stato, sez. V, 26 febbraio 1992 n. 154; 24 luglio 1993 n. 799; 7 aprile 1995 n. 531; sez. IV, 29 febbraio 1996, n. 222.

(6) Cass., sez. II, 13 ottobre 2000 n. 13639.

 

 

FATTO

Con ricorso notificato il 6.4.2002 e depositato il 17.4.2002 i signori Simeone Giovanni, Cupaiolo Ida, Di Tollo Carmelita, Di Grande Valerio e Costanzo Ida, proprietari di appartamenti nell’edificio condominiale Caldora, sito in via Caldora del capoluogo di Ortona, hanno impugnato la concessione edilizia 29.11.2001 n.240 rilasciata dal Comune di Ortona al Consorzio Buzzelli per l’attuazione del comparto edilizio compreso tra largo Farnese, piazza della Repubblica, via Caldora e corso Garibaldi del capoluogo.

Con lo stesso ricorso sono state impugnate le deliberazioni del Consiglio comunale 29.4.1999 n.40 e 28.9.1999 n.68, relative ad approvazione del piano di recupero ad iniziativa pubblica del predetto comparto, nonché la deliberazione di Giunta 22.11.2001 n.385, relativa ad approvazione dello schema di convenzione tra il Consorzio ed il Comune predetti, oltrechè il parere 21.1.1999 del Servizio amministrativo per l’urbanistica della Regione Abruzzo.

I ricorrenti hanno chiesto anche il risarcimento dei danni in forma specifica e/o generica.

A sostegno del ricorso sono stati dedotti i motivi di seguito sintetizzati:

I- violazione degli artt. 9,17,18,20,21 e 27 della legge reg. n.18 del 1983 e succ. modif.; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione e per travisamento dei fatti; violazione degli artt. 7 e 8 del D.M. n.1444 del 1968 e degli artt. 2,27 e 28 delle NTA del PRG; erroneità e manifesta illogicità del parere regionale, difetto di istruttoria. A norma dell’art.20 cit., come novellato dalla legge reg. n.70 del 1995, i piani di recupero possono variare il PRG entro determinati limiti, con espressa e congrua motivazione circa la necessità delle nuove scelte. In tal caso vanno sottoposti all’approvazione provinciale, cosa che non si è verificata nella specie, in quanto il piano di che trattasi è stato approvato e trasmesso come semplice piano attuativo. Le varianti apportate con il piano di recupero in discorso esulano dai limiti posti dal comma 8 dell’art.20 cit. poiché modificano non solo i parametri edilizi, ma anche quelli urbanistici inderogabili. In particolare sono violati: l’art.7 del D.M. n.1444 del 1968, poiché si consente una densità edilizia di circa 15 mc/mq (peraltro da nessun elaborato si evince la volumetria dei fabbricati preesistenti); l’art.27 delle NTA di PRG, laddove nelle zone FM esclude incrementi dei volumi preesistenti; l’art.8 del D.M. n.1444 del 1968, in quanto sono superate le altezze degli edifici preesistenti e circostanti pur non essendo rispettati i limiti di densità fondiaria; l’art.9 del D.M. cit., poiché non sono rispettate le distanze tra fabbricati; le norme concernenti gli standards relativi ai parcheggi, poiché sono stati previsti locali ad uso commerciale e direzionale senza quantificare, né indicare, né verificare adeguati spazi asseverati a parcheggio; l’art.2, lett.b), delle NTA del PRG, poiché non si rinviene la prevista piazza coperta che si affacci su piazza della Repubblica. Tanto trova conferma nelle osservazioni della Provincia cui il piano di recupero è stato trasmesso ai sensi dell’art.20, comma 4, della legge reg. n.18 del 1983, osservazioni che sono state respinte dal Comune, con deliberazione consiliare 29.4.1999 n.40, sulla base del parere 21.1.1999 del Servizio amministrativo per l’urbanistica della Regione Abruzzo assolutamente incomprensibile.

II- Violazione dell’art.9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444, poiché il piano di recupero in questione prevede la possibilità di costruire a distanza di soli m.6 dall’edificio dei ricorrenti, pur essendo finestrate le pareti di entrambi gli edifici frontistanti, mentre dallo strumento urbanistico è prescritta la distanza minima di m.10. Detta norma è vincolante per i privati anche se il Comune manchi di applicarla, né soccorre la deroga prevista dall’ultimo comma, in quanto valevole solo per le costruzioni interne alla lottizzazione.

III- Illegittimità (altresì violazione) delle norme del piano di recupero, nonché eccesso di potere per ingiustizia manifesta e violazione della normativa (legge n.122 del 1989) sui parcheggi, poiché il progetto assentito prevede n.34 posti di parcheggio anziché n.40 come prescritto dal piano predetto.

IV- Violazione delle norme (artt.7 e segg. legge n.241 del 1990) sulla trasparenza amministrativa, nonché dell’art.3 legge cit. e dell’art.21 della legge reg. n.18 del 1983, poiché il piano di recupero non è stato sottoposto all’approvazione provinciale e non è stato notificato ai proprietari degli immobili assoggettati a servitù (pedonalizzazione della strada d’accesso al loro condominio), né sono stati indicati i termini per ricorrere e l’Autorità da adire. Diversamente opinando si potrebbero creare servitù senza indennizzo in violazione degli artt.3,42 e 97 Cost..

Per corroborare le censure dedotte in ricorso e la domanda di risarcimento danni, i ricorrenti hanno depositato in data 17.9.2002 una consulenza tecnica di parte.

Per resistere si è costituito in giudizio il Comune di Ortona la cui difesa, con memoria depositata il 22.4.2002, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso nella parte relativa ai primi due motivi, concernenti censure nei riguardi del piano di recupero, le cui delibere di approvazione sono state pubblicate all’albo pretorio del Comune ben oltre sessanta giorni prima della notifica del ricorso stesso; ha inoltre controdedotto nel merito degli altri motivi, concludendo per la reieizione del ricorso.

Si è costituito in giudizio anche il Consorzio Buzzelli la cui difesa, con memoria depositata il 20.4.2002, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso per la parte (motivi primo, secondo e terzo) diretta a censurare il piano di recupero, risultando la delibera d’approvazione n.68 del 1999 pubblicata nel B.U.R.A. n.51 del 30.12.1999 ed affissa all’albo pretorio fino al 14.10.1999, nonché per la parte (terzo motivo) diretta a censurare la concessione edilizia, essendone il Simeone a conoscenza sin dal 17.12.2001, giorno in cui chiese il rilascio di copia conforme; ha inoltre controdedotto nel merito delle varie censure, concludendo per la reiezione del ricorso.

Con distinte memorie depositate il 28.9.2002 sia parte ricorrente che parte controinteressata hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle rispettive difese.

DIRITTO

Il ricorso in esame è diretto all’annullamento di una concessione edilizia rilasciata per attuare un comparto edilizio previsto da un piano di recupero ad iniziativa pubblica, nonché dello stesso piano di recupero, con domanda di risarcimento dei danni anche in forma specifica.

Le parti resistente e controinteressata eccepiscono l’irricevibilità del ricorso (notificato il 6.4.2002) nella parte in cui impugna e censura il piano di recupero, evidenziandone la tardività rispetto alla data di pubblicazione della delibera (28.9.1999 n.68) d’approvazione, sia all’albo pretorio (fino al 14.10.1999) che nel B.U.R.A. (n.51 del 30.12.1999).

Ad avviso del Collegio l’eccezione deve essere condivisa.

Secondo la giurisprudenza, invero, i piani di recupero disciplinati dagli artt. 28 e 30 della L. 5 agosto 1978 n. 457 (com’è quello in discorso) sono strumenti di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo, ai quali si riconnettono obblighi di trasformazione edilizia e urbanistica per i proprietari e per il comune, per cui non hanno natura meramente programmatica; pertanto, vale per i piani di recupero il principio secondo il quale il termine per l’impugnazione dei piani esecutivi da parte dei soggetti non direttamente contemplati in essi, quali i confinanti (come sono i ricorrenti), decorre dalla data della pubblicazione della delibera approvativa (Cons. St., Sez.V, 14 luglio 1995 n.1080; 30 luglio 1993 n.812).

Nel caso in esame risulta (dagli atti depositati in causa) che la delibera 28.9.1999 n.68 approvativa del piano di recupero di che trattasi è stata affissa all’albo pretorio dal 4.10.1999 per 15 giorni ed è stata pubblicata nel bollettino ufficiale della Regione Abruzzo n.51 del 30.12.1999, sicchè la relativa impugnazione, avvenuta con ricorso notificato il 6.4.2002, è, come eccepito e dimostrato dalle controparti, irrimediabilmente tardiva.

Consegue che per tale parte il ricorso deve essere dichiarato irricevibile, sicchè non vanno esaminate le censure elevate con il primo motivo di ricorso, in quanto tutto diretto a censurare il piano di recupero, nè quelle dedotte nell’ambito dei motivi secondo, terzo e quarto laddove censurano il piano di recupero.

D’altra parte, il Collegio rileva l’inammissibilità del quarto (ed ultimo) motivo di ricorso laddove sostiene, in estrema sintesi, che il piano di recupero doveva essere notificato ai proprietari dei beni assoggettandi a servitù, giacchè il ricorso stesso (a pag.13, ultimo cpv.) ammette che la disciplina censurata non riguarda direttamente gli immobili dei ricorrenti; da tanto consegue la carenza d’interesse in capo ai ricorrenti alla specifica impugnazione.

Restano da esaminare le censure rivolte nei confronti della concessione edilizia, elevate nell’ambito dei motivi secondo e terzo.

La difesa di parte controinteressata eccepisce l’irricevibilità del ricorso per la parte impugnatoria della concessione in discorso, avendone avuto il ricorrente Simeone conoscenza sin dal 17.12.2001, giorno in cui egli ne ha chiesto il rilascio di copia conforme.

Ad avviso del Collegio, l’eccezione non può essere condivisa.

Secondo la giurisprudenza, invero, il termine per impugnare una concessione edilizia decorre dalla data in cui i terzi hanno avuto consapevolezza dell’esistenza delle violazioni della disciplina urbanistica derivanti dal progetto assentito; tale data è individuata nel momento dell’ultimazione dei lavori, salvo che non emerga una conoscenza anticipata (fra le tante: Cons. St., Sez.VI, 11 agosto 2000 n.4471).

Nel caso in esame non può sostenersi che il predetto ricorrente abbia acquisito conoscenza anteriore dei vizi della concessione edilizia impugnata in relazione alla circostanza che ne aveva chiesto il rilascio di copia conforme, giacchè tanto non è sufficiente a dimostrare che l’interessato conosceva il progetto e, d’altra parte, quest’ultimo può anche essere variato in corso di costruzione dell’edificio.

Possono, quindi, esaminarsi le censure riguardanti solo la concessione edilizia e può sgombrarsi subito il campo dal terzo motivo, giacchè esso risulta infondato in fatto, laddove sostiene che il numero dei parcheggi previsti dal progetto assentito ammonta a 34 anziché 40 come prescritto dal piano di recupero: infatti, secondo quanto controdedotto dalla difesa di parte controinteressata e non smentito (in memoria) dalla difesa di parte ricorrente, nelle tavole grafiche di quest’ultimo risultano disegnati 34 posti auto.

Infine, va esaminato il secondo motivo di ricorso, laddove censura la concessione edilizia impugnata per violazione dell’art.9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444, in quanto il progetto assentito non rispetta la distanza di m.10 tra le pareti finestrate dell’erigendo edificio e le pareti finestrate degli immobili dei ricorrenti.

La censura è, ad avviso del Collegio, fondata.

Secondo la giurisprudenza, invero, l’ultimo comma dell’art. 9 cit., che consente una deroga alle distanze tra fabbricati, può trovare applicazione solo relativamente alle distanze tra edifici facenti parte della stessa lottizzazione (Cass., SS.UU., 18 febbraio 1997 n.1486), sicché, nel caso di che trattasi, concernente un piano di recupero, avente natura attuativa alla stessa stregua del piano di lottizzazione, tale deroga può trovare applicazione solo tra edifici compresi nel perimetro del piano stesso, mentre gli immobili dei ricorrenti sono esterni ad esso.

Peraltro, in tema di distanze tra costruzioni, l’esistenza di un’autorizzazione da parte del Comune all’edificazione fa salvi i diritti dei terzi, pertanto è priva di rilevanza nei rapporti tra privati i quali, ove lesi dalla costruzione realizzata senza il rispetto delle disposizioni sulle distanze, conservano il diritto ad ottenere la riduzione in pristino (Cass., Sez.II, 13 ottobre 2000 n.13639).

Né giova a far ritenere legittima, sul punto, la concessione edilizia in discorso l’esistenza del presupposto piano di recupero, divenuto inoppugnabile, che prevede la possibilità di derogare alle norme sulle distanze, previste in m. 10 tra pareti finestrate dal PRG vigente.

Infatti, deve ricordarsi che tale distanza rappresenta quella minima inderogabile prestabilita dall’art.9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444, decreto che, in quanto emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell’art.41 quinquies della L. 17 agosto 1942 n.1150, introdotto dalla L. 6 agosto 1967 n. 765, ripete dal rango della stessa legge delegante la forza di norma legislativa capace di integrare l’art.872 cod.civ..

Tanto comporta che, in presenza di contrasto tra norma legislativa e norma regolamentare, deve ritenersi disapplicabile la seconda, giacchè, secondo la giurisprudenza, pur in difetto di specifica doglianza di parte, è consentito al Giudice Amministrativo sindacare gli atti di normazione secondaria, incidenti su diritti soggettivi di terzi, al fine di accertarne l’idoneità ad innovare l’ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa (Cons. St., Sez.V, 26 febbraio 1992 n.154; 24 luglio 1993 n.799; 7 aprile 1995 n.531; Sez.IV, 29 febbraio 1996 n.222).

Nel caso in esame la norma del piano di recupero di che trattasi è in contrasto con la norma di rango legislativo di cui all’art.9 più volte citato, sicchè deve essere disapplicata.

Pertanto, la concessione edilizia impugnata deve essere annullata nella parte in cui consente l’edificazione di pareti finestrate a distanza inferiore a m.10 dalle pareti finestrate degli immobili dei ricorrenti.

Per quanto riguarda la domanda di risarcimento dei danni, tenuto conto della circostanza che la costruzione dell’edificio di che trattasi si trova nella fase iniziale (secondo quanto asserito in udienza dai difensori delle parti costituite) e che il TAR, in sede di trattazione del ricorso, ha concesso la misura cautelare invocata, nei limiti di cui sopra, il Collegio ritiene di poter disporre il risarcimento dei danni attraverso la reintegrazione in forma specifica, ai sensi dell’art.35, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998 n.80, come sostituito dall’art.7, comma 1 lett. c), della L. 21 luglio 2000 n.205.

Tanto comporta che la parte controinteressata dovrà provvedere alla demolizione delle opere edilizie eventualmente realizzate in violazione della distanza di m.10 tra pareti finestrate rispetto agli immobili dei ricorrenti (Cass., Sez.II, 13 ottobre 2000 n.13639).

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, possono essere per metà compensate e per la restante parte seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo-Sezione Staccata di Pescara dichiara in parte irricevibile ed in parte inammissibile il ricorso in epigrafe indicato, e per la restante parte lo accoglie e, per l’effetto, annulla la concessione edilizia impugnata, limitatamente alla parte in cui viola la distanza di m. 10 tra pareti finestrate.

Condanna il Consorzio Buzzelli al risarcimento dei danni attraverso la reintegrazione in forma specifica, mediante demolizione delle opere edilizie eventualmente costruite in violazione di detta distanza.

Liquida le spese di giudizio in complessivi € 4.000,00 (quattromila/00), di cui dispone la compensazione per metà tra le parti in causa, e condanna, in solido, il Comune di Ortona ed il Consorzio Buzzelli al pagamento, in ragione della metà a carico di ciascuna parte soccombente, della restante somma di € 2.000,00 (duemila/00), in favore dei ricorrenti con ripartizione interna in ragione di un quinto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 Depositata in Segreteria il 25 ottobre 2002.

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