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TAR FRIULI VENEZIA GIULIA – Sentenza 8 marzo 2002 n. 112 - Pres. Sammarco, Est. Di Sciascio - Malalan (Avv. Močnik) c. Provincia di Trieste (Avv.ti Dapas e D’Alessandro) - (dichiara inammissibile il ricorso, che era diretto ad ottenere l’esecuzione della sentenza dello stesso T.A.R. 28 maggio 2001, n. 296, non ancora passata in giudicato).

1. Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – Inapplicabilità di tutte le norme ed i principi in materia di giudizio di ottemperanza – Ragioni - Osservanza delle forme previste per il giudizio ordinario - Necessità – Sussiste.

2. Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – Proposto con le forme del ricorso per ottemperanza - Conversione del ricorso stesso in ricorso ordinario - Nel caso in cui sussistano i requisiti di forma - Possibilità.

3. Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – Osservanza delle norme previste per il giudizio ordinario - Necessità – Sussiste - Preventiva diffida all’Amministrazione - Non occorre - Termine dilatorio previsto dall’art. 14, 1° comma, del D.L. n. 669/96 - Non va osservato.

4. Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – E’ esperibile non solo per l’esecuzione delle sentenze di condanna, ma anche di quelle di accertamento.

5. Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – In materia di pubblico impiego - Termine del 15 settembre 2000 - Fissato dall’art. 69, 7° comma, del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165 - Oltre il quale non possono essere proposti ricorsi in materia innanzi al G.A. - Inapplicabilità al ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000.

6. Giustizia amministrativa – Sentenze di primo grado – Esecuzione – Ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 – Mancante del mandato del ricorrente - Inammissibilità.

1. Il ricorso diretto ad ottenere la esecuzione della sentenza di primo grado non ancora passata in autorità di cosa giudicata, previsto dall’art. 10, 1° comma, della L. n. 205/00, va proposto utilizzando non già le forme e le procedure previste per il ricorso per l’esecuzione del giudicato, ma quelle per il giudizio ordinario, dato che il giudizio in questione si avvicina assai di più, per sua natura, a quello per l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, che a quello per l’esecuzione del giudicato.

2. Nel caso in cui un ricorso per l’esecuzione della sentenza di primo grado previsto dall’art. 10, 1° comma, della L. n. 205/00, sia proposto con le forme del ricorso per ottemperanza e tuttavia possieda i requisiti prescritti per il ricorso ordinario, deve operarsi la "conversione" del ricorso stesso in ricorso ordinario.

3. Poichè il ricorso col quale si chiede esecuzione della sentenza di primo grado previsto dall’art. 10, 1° comma, della L. n. 205/00 va proposto nelle forme del ricorso ordinario e non già in quelle previste per il giudizio di ottemperanza, per la proposizione dello stesso non occorre una preventiva diffida (così come invece previsto dagli artt. 90 e 91 del R.D. n. 642/1907 per il ricorso per ottemperanza) e non occorre osservare il termine dilatorio previsto dall’art. 14, 1° comma, del D.L. n. 669/96 per l’esecuzione dell’obbligo del pagamento di somme di denaro riconosciuto da provvedimenti giurisdizionali, dato che la norma citata si riferisce esclusivamente all’esecuzione forzata, che nulla ha a che vedere con la fase esecutiva di una sentenza del giudice amministrativo (2).

4. La disciplina positiva del giudizio amministrativo prevede l’esecutività di tutte le sentenze del T.A.R. (art. 33, 1° comma, della L. n. 1034/71), sia che conseguano a ricorsi in cui l’interessato vanti una situazione soggettiva di interesse legittimo sia di diritto soggettivo, anche di carattere patrimoniale e anche consistenti nel mero accertamento di tale diritto; onde l’esecuzione di una sentenza del Giudice amministrativo non ancora passata in autorità di cosa giudicata è possibile, diversamente da quanto accade nel processo civile, non solo nel caso di sentenze di condanna, ma anche nel caso di sentenze di accertamento.

5. Il termine del 15 settembre 2000, fissato dall’art. 69, 7° comma, del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165, riproduttivo dell’art. 45 del D. Lgs. n. 80/98, oltre il quale non è possibile proporre ricorsi in materia di pubblico impiego innanzi al G.A. non è applicabile ai ricorsi per l’esecuzione delle sentenze di primo grado già emesse; la suddetta norma infatti introduce un termine decadenziale (peraltro, come rilevato dallo stesso TAR Friuli, incostituzionale: v. l'ordinanza di quest'ultmo Tribunale n. 107 del 31.8.2001) per la proposizione del giudizio per ricorsi in materia di pubblico impiego, mantenuti nella giurisdizione esclusiva del T.A.R. purché relativi a periodi di servizio anteriori al 30 giugno 1998.

6. E’ inammissibile un ricorso per l’esecuzione delle sentenza di primo grado non ancora passata in autorità di cosa giudicata ove risulti assente il mandato conferito al difensore, dovendosi per tale ricorso osservare le forme del ricorso ordinario, ancorché riferito a una fase integrativa della precedente vicenda processuale; in ogni caso il mandato è richiesto anche nel caso di ricorso per l’esecuzione del giudicato (3).

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(1-2) In senso opposto, ritenendo invece che debbono osservarsi per il ricorso ex art. 10 L. n. 205/2000 le forme e le procedure previste per il giudizio di ottemperanza, v. da ult. TAR Veneto, Sez. I, sent.14 febbraio 2002 n. 639, in www.giustamm.it, n. 3/2002, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarveneto1_2002-02-14-1.htm  (che ha in particolare dichiarato inammissibile un ricorso ex art. 10 L. 205/00 non preceduto da apposito atto di messa in mora).

Sul ricorso previsto dall’art. 10 della l. 21 luglio 2000, n. 205, v. in questa rivista: C. ADAMO, Giudizio di ottemperanza delle sentenze non passate in giudicato, pag. http://www.giustamm.it/articoli/adamo_ottemperanza.htm .

(3) Cfr. T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 17 dicembre 1991 n. 507; 12 ottobre 2000 n. 767; Cons. Stato, Ad. Plen., 24 novembre 1980 n. 43

 

 

FATTO

Con il ricorso in esame si chiede che venga data esecuzione alla sentenza di primo grado, di cui in epigrafe, con cui l’adito T.A.R. ha riconosciuto a parte dei ricorrenti l’indennità di bilinguismo, già notificata all’allora resistente Provincia di Trieste il 23.8.2001, previa richiesta, inoltrata in data 25.7.2001, di adempiere quanto da essa statuito.

L’amministrazione provinciale, che ha interposto appello nei confronti della citata pronuncia, senza peraltro nemmeno chiederne la sospensione, non vi ha dato in alcun modo esecuzione, onde si rende necessario che il giudice adito provveda a’sensi dell’art. 33, 5° comma, della L. 6.12.1971 n. 1034, così come modificato e integrato dall’art. 10 della L. 21.7.2000 n. 205.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che ha preliminarmente eccepito:

· l’inammissibilità del ricorso per difetto di diffida, nell’assunto che, dovendosi applicare al giudizio de quo gli artt. 90 e 91 del R.D. 17.8.1907 n. 642 (e avendo ad essi dato applicazione la stessa Segreteria dell’adito T.A.R.), che prescrivono le formalità per il ricorso per ottemperanza al giudicato, preliminare al deposito del gravame avrebbe dovuto essere la notificazione alla P.A. di un atto di diffida e messa in mora;

· l’inammissibilità del ricorso per difetto di mandato alle liti nell’assunto che, introducendo il presente gravame un autonomo giudizio (come dimostrerebbe l’attribuzione, da parte della Segreteria del T.A.R., ad esso di un diverso numero del registro generale) il difensore avrebbe dovuto previamente munirsi di una nuova procura da parte dei ricorrenti per poterlo instaurare, mancando, diversamente, di ius postulandi;

· la nullità del ricorso per mancata indicazione delle generalità dei ricorrenti dal momento che risultano averlo promosso, come si legge nell’intestazione, "Malalan David + 17, tutti con l’avv. Moč· nik" e non sarebbe quindi possibile, mancando il mandato, identificare gli istanti;

· l’inammissibilità del ricorso per mancata instaurazione del contraddittorio dal momento che il ricorso non è stato notificato alle parti costituite in primo grado, ma soltanto depositato in Segreteria;

· l’improcedibilità del ricorso, dal momento che non è ancora trascorso il termine di 120 giorni dalla notificazione del provvedimento esecutivo concesso, a’sensi dell’art. 14, 1° comma, del D.L. 31.12.1996 n. 669, alle pubbliche amministrazioni per dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali, comportanti l’obbligo del pagamento di somme di danaro;

· l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione nella parte in cui esso è proposto da soggetti che non hanno visto riconosciuto il loro diritto all’indennità di bilinguismo nei confronti dell’intimata Provincia;

· l’inammissibilità del ricorso per insuscettibilità di esecuzione della sentenza dal momento che non si tratterebbe di sentenza di condanna ma di mero accertamento, non suscettibile ex se di dar luogo ad attività esecutiva;

· decadenza dal ricorso considerato che l’azione esecutiva, relativa a un pregresso rapporto di pubblico impiego, sarebbe sostitutiva di un’azione di condanna, che peraltro non è stata iniziata entro il termine decadenziale, di cui all’art. 45, 17° comma, del D. Lgs. 31.3.1998 n. 80 (ora art. 69, 7° comma, del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165);

· inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione in quanto i ricorrenti, cui la contestata indennità è stata riconosciuta in primo grado, non avrebbero titolo ad ottenerne l’ammontare con un’azione esecutiva, costituendo ciò, in via definitiva e anticipata, l’effetto del giudicato, che non si è ancora formato;

L’amministrazione intimata richiede, a’sensi dell’art. 27, 2° comma, della L. 6.12.1971 n. 1034, che la causa sia trattata in pubblica udienza.

DIRITTO

Poiché la difesa dell’amministrazione consiste esclusivamente in eccezioni preliminari in rito, relative ai più diversi aspetti del ricorso per l’esecuzione di una sentenza, ritiene il Collegio che, per un loro migliore esame, sia opportuno ricostruire le modalità, procedimentali e giudiziali, attraverso cui detta esecuzione e, in mancanza, la relativa azione, debbano svilupparsi.

Invero, contrariamente a quanto ritenuto da entrambe le parti, detto giudizio non si instaura, ad avviso del Collegio, nelle forme tipiche del giudizio di ottemperanza, né ciò è prescritto dall’art. 33, 5° comma, della L. n. 1034/71, nel testo introdotto dall’art. 10, 1° comma, della L. n. 205/00.

Detta disposizione stabilisce che "per l’esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato il Tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza" cioè, per quanto qui interessa, agisce con i poteri propri della giurisdizione di merito, in cui detto giudizio è inserito, e non con quelli della giurisdizione di legittimità, con la possibilità di nominare, ove occorra, un commissario che si sostituisca all’amministrazione inerte per l’attività esecutiva che, a questo punto, si estende anche all’effetto conformativo della sentenza.

Nulla dice la norma in esame circa la procedura da seguire per tale giudizio ed anzi il suo stesso silenzio induce a ritenere che debba essere quella dell’ordinario ricorso di legittimità.

Invero quella del giudizio di ottemperanza è di carattere del tutto eccezionale nel sistema, e perciò di per sé non suscettibile di estensione ad altri giudizi, diversi da quelli contemplati dalle norme che la regolano.

Inoltre un’ulteriore ragione per non interpretare estensivamente, nel senso che possano regolare anche il diverso ricorso per l’esecuzione, dette norme è il contraddittorio assai imperfetto che, in loro applicazione, si istituisce.

Com’è noto il giudizio di ottemperanza, dopo la fase stragiudiziale della diffida, si inizia con una domanda diretta al Presidente del Collegio giurisdizionale competente (art. 90 R.D. 17.8.1907 n. 642), che è soltanto depositata e non notificata, provvedendo la Segreteria dell’organo adito a chiedere su di essa, sempre peraltro in via stragiudiziale, le eventuali deduzioni della sola amministrazione, potendo il Collegio decidere, senza che sia nemmeno necessario udire, se non dietro loro richiesta, le parti diverse dal ricorrente, dato che la decisione avviene in camera di consiglio e che la costituzione è solo facoltativa.

Tale forma sommaria del giudizio è comprensibile solo se si pone mente che esso ha di mira il limitato fine di far eseguire le ormai indiscutibili e immodificabili statuizioni del giudicato.

Le norme che la regolano appaiono, per giunta, assai datate.

Non ritiene il Collegio che l’art. 10, 1° comma, della L. n. 205/00 abbia inteso proporne l’estensione alle assai più delicate questioni, che sorgono per la provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado non sospesa, relative pertanto ad un assetto interinale e non consolidato.

Tale conclusione, in base al fondamentale canone ermeneutica per cui, tra due interpretazioni possibili va seguita quella conforme a Costituzione, si impone in vigenza dell’art. 111, 2° comma, Cost. il quale stabilisce che "ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizione di parità", la quale non sembra pienamente assicurata all’amministrazione e agli eventuali controinteressati da un processo, che si svolgesse con le forme dell’ottemperanza.

Ancora più radicalmente ritiene il Collegio che il giudizio di esecuzione della sentenza di primo grado si avvicini assai di più, per sua natura, a quello per l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, così come definito dalla giurisprudenza (cfr. C.D.S. A.P. 27.4.1982 n. 6) che a quello per l’esecuzione del giudicato.

Invero in entrambi i casi si tratta di dare attuazione, qualora l’amministrazione la ritardi o eluda, a una pronunzia giurisdizionale esecutiva, per natura o per espressa disposizione di legge (v. art. 33, 1° comma, della L. n. 1034/71), che peraltro ha un carattere condizionato, potendo essere impugnata e quindi annullata (o, nel caso della sentenza, a sua volta sospesa), e transitorio, venendone meno l’efficacia rispettivamente al momento della pronuncia di primo grado o del formarsi del giudicato.

Come già si è rilevato, in ciò l’esecuzione ha un presupposto diverso da quella del giudicato, diretta ad attuare una statuizione ormai definitiva e indiscutibile.

Peraltro sia la misura cautelare che la sentenza di primo grado, sia nel processo civile che in quello amministrativo (diversamente dalla situazione considerata dall’Adunanza Plenaria nella pronunzia citata) comportano direttamente l’obbligo di esecuzione come elemento indefettibile.

Nel caso della cautela, senza differenze, si può affermarne la naturale esecutività, senza distinzioni fra cognizione ed esecuzione. Da ciò deriva la concentrazione presso il giudice della cognizione delle eventuali questioni relative alla fase esecutiva.

Più in particolare per quanto concerne il giudizio cautelare amministrativo, detta concentrazione è ora normativamente sancita dall’art. 21, 13° comma, della L. 1034/71, nel testo introdotto dall’art. 3, 1° comma, della L. n. 205/2000, secondo cui "nel caso in cui l’amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure cautelari … la parte interessata può, con istanza motivata e notificata alle altre parti chiedere al tribunale amministrativo regionale (che è quello stesso che ha adottato la misura) le opportune disposizioni attuative".

Detta disposizione può estensivamente applicarsi, nella parte in cui richiede la previa instaurazione di un completo contraddittorio ed individua nel giudice, che ha svolto la fase di cognizione, quello dell’esecuzione, al procedimento per eseguire le sentenze di primo grado, dal momento che:

· nulla dice in ordine alla procedura applicabile, come si è già rilevato, la norma dell’art. dall’art. 33, 5° comma, della L. n. 1034/71, nel testo introdotto dall’art. 10, 1° comma, della L. n. 205/00 che regola questa fase processuale;

· fra l’esecuzione della misura cautelare e quella della sentenza di primo grado si ha la già sottolineata analogia nel fatto che entrambi gli istituti, a differenza del giudizio di ottemperanza, regolano la fase esecutiva del processo, relativo a una pronuncia giurisdizionale di carattere transitorio e condizionato.

Rafforza la conclusione finora raggiunta il fatto che, come può rilevarsi dalla norma dell’art. 3, 1° comma della L. n. 205/00, anche nella fase esecutiva del giudizio cautelare il T.A.R. "esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato" senza che ciò impedisca che all’esecuzione del relativo provvedimento giurisdizionale si debba provvedere nel pieno rispetto del contraddittorio fra le parti, che è anzi espressamente prescritto, e quindi il giudice amministrativo opera con una procedura del tutto distinta da quella prevista per l’esecuzione del giudicato, e dinanzi allo stesso giudice di primo grado.

Deve pertanto ritenersi che analoghe forme di instaurazione del contraddittorio debbano seguirsi nella presente fattispecie, dove l’art. 3, 5° comma, della L. n. 205/00, come si è rilevato, non regola la procedura per l’esecuzione della sentenza del T.A.R.

Non è d’ostacolo all’assunto, fatto proprio dal Collegio, in ordine all’individuazione del giudice competente il fatto che nel caso della sentenza, permane tuttora una differenza fra giudizio civile e giudizio amministrativo, in ordine alla sua attuazione, che, nel primo, trova il suo luogo nella diversa fase dell’esecuzione forzata, cosicché permane, per le controversie relative, un giudice dell’esecuzione non necessariamente coincidente con quello della cognizione, come del resto nel giudizio di ottemperanza (almeno nei casi di cui all’art. 37, 1° e 2° comma, della L. n. 1034/71).

Nel secondo invece, non sussistendo tale distinzione di fasi non sussiste nemmeno la necessità di affidare eventuali controversie in sede di esecuzione ad un diverso giudice.

Tale concentrazione fra cognizione ed esecuzione è tipica, come si è visto, anche del processo cautelare, né risulta modificata dalla L. n. 205/00.

Nel giudizio di merito dinanzi al T.A.R. la diversa disciplina rispetto a quello civile dipende dal fatto che la sentenza, chiamata ad adeguare al perseguimento della legalità e del pubblico interesse l’azione della P.A. che se ne sia eventualmente allontanata, qualora accerti il fondamento del ricorso e l’illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato o il diritto del ricorrente, non può consentire, nemmeno nelle more della formazione del giudicato, che l’assetto delle situazioni soggettive coinvolte rimanga quello precedente al giudizio di primo grado, giudicato difforme dall’obiettivo che l’amministrazione è tenuta, per legge e dettato costituzionale, a perseguire.

Non è pertanto necessaria, a differenza di quanto nel caso di esecuzione delle sentenze del giudice civile, alcuna istanza di parte per l’attuazione delle sentenze di primo grado del giudice amministrativo, cui conseguono non solo l’effetto demolitorio, consistente nell’annullamento dell’atto impugnato, o quello ripristinatorio delle situazione soggettive da esso modificate o estinte, ma altresì il c.d. effetto conformativo, cioè il vincolo, che la pronunzia del giudice impone alla successiva attività della P.A., che permane fino al giudicato, a meno di intervenuta sospensione della sentenza stessa, di indirizzarsi senza ritardo al perseguimento dell’interesse pubblico nel rispetto di quanto da essa stabilito.

Tale vincolo sorge immediatamente dalla sentenza, senza necessità di una richiesta di parte, come può dedursi dal disposto dell’art. 88 del R.D. 17.8.1907 n. 642, che stabilisce che "l’esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa, eccetto che per la parte relativa alle spese" (l’unica per cui è prevista, dal seguente art. 89, la previa formazione di un titolo esecutivo) attraverso la comunicazione, a’sensi del precedente art. 87, 1° comma, all’amministrazione della pronunzia giurisdizionale, la cui ricevuta dev’essere conservata, a’ sensi dell’art. 24 n. 4) del D.P.R. 21.4.1973 n. 214, dalla Segreteria.

Un’applicazione della disciplina delineata può rinvenirsi nell’art. 119 del T.U. 10.1.1957 n. 3 che, ancorché intitolato "Rapporto fra procedimento disciplinare e giudicato amministrativo" disciplina in realtà le conseguenze dell’annullamento del provvedimento disciplinare "per l’accoglimento di ricorso giurisdizionale o straordinario" e dispone che l’eventuale rinnovazione del procedimento a partire dal primo degli atti annullati dev’essere iniziata "entro trenta giorni dalla data in cui sia pervenuta … la comunicazione della decisione giurisdizionale a’sensi dell’art. 87 comma primo del R.D. 17 agosto 1907 n. 642".

Tale comunicazione, prevista da norma collocata nel Titolo IX "Della notificazione e dell’esecuzione delle decisioni" del R.D. n. 642/1907, disciplina proprio la fase esecutiva della sentenza di primo grado e nulla ha a che vedere con l’esecuzione del giudicato, che è regolata dal seguente Titolo X "Della procedura per i ricorsi relativi all’art. 23 n. 5 della legge".

Poiché dunque l’obbligo di esecuzione della sentenza di primo grado, così come quello della misura cautelare, deriva direttamente dalla pubblicazione e dalla comunicazione della pronunzia, senza necessità di seguire le forme dell’esecuzione forzata, si verifica per la prima, così come per la seconda "la concentrazione della competenza normalmente propria del giudice dell’esecuzione a dettare le misure occorrenti all’esecuzione e al suo corretto e spedito svolgimento, nonché della competenza a risolvere ogni contestazione o difficoltà insorta nel corso dell’esecuzione medesima" (cfr. C.D.S. A.P. 30.4.1982 n. 6) onde allorquando il provvedimento giurisdizionale non sia di per sé sufficiente "a garantire l’effettività della tutela dell’interesse fatto valere dal ricorrente ovvero l’amministrazione ne rifiuti o eluda l’esecuzione l’interessato ben può adire nuovamente il giudice chiedendo l’emanazione dei provvedimenti ritenuti idonei". Tale fondamentale pronunzia aggiunge significativamente che "tale domanda non può avvenire … nelle forme previste dagli artt. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, 90 e 91 del regolamento di procedura, che oltretutto non sono idonee a garantire il rispetto dell’integrità del contraddittorio nei confronti di tutti gli interessati ma, in virtù del ritenuto principio di concentrazione … deve essere proposta davanti allo stesso giudice che ha emanato il provvedimento … della cui esecuzione si tratta" con le forme stabilite per il giudizio ordinario.

In queste conclusioni detta autorevole ma risalente giurisprudenza e le nuove norme, dettate dalla legge n. 205/00 coincidono, come si è visto, per quanto riguarda l’attuazione delle misure cautelari e, ad avviso del Collegio, anche per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze dei T.A.R., dove si esplicano gli stessi poteri (quelli "inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato") assicurando una procedura, che rispetti la piena esplicazione del contraddittorio fra le parti.

Da qui la giurisprudenza consolidata da tempo di questo Tribunale amministrativo (a partire da T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 27.4.1984 n. 126) secondo cui l’esecutività della sentenza di primo grado consente al ricorrente, ove l’amministrazione ne rifiuti o eluda l’esecuzione, di adire nuovamente il giudice nelle forme ordinarie del giudizio di cognizione, chiedendo l’emanazione dei provvedimenti idonei, e consentiti dal sistema per assicurare l’esecuzione delle statuizioni giudiziali contenute nella pronuncia di primo grado, non potendosi dar luogo all’azione per l’esecuzione del giudicato, che ne presuppone l’immutabilità, mentre dette statuizioni, nella sentenza di primo grado, in quanto soggette al riesame, in sede cautelare e di merito, da parte del giudice d’appello, hanno efficacia limitata allo spazio temporale intercorrente fino alla pronunzia d’appello.

Tutto ciò premesso il Collegio deve passare all’esame del presente ricorso, che è stato promosso nelle forme del giudizio di ottemperanza, anziché di quello di cognizione.

Nel presente caso ciò non costituisce un elemento di inammissibilità del gravame, contrariamente all’eccezione proposta sub 4) dalla difesa provinciale, che esso ritiene di esaminare per prima.

Invero, sotto un profilo sostanziale, i ricorrenti richiedono l’esecuzione di una sentenza di primo grado, gravata, secondo la loro stessa ammissione, da appello.

Sotto il profilo formale sussistono tutti i requisiti perché si possa operare la c.d. "conversione" del ricorso per ottemperanza in ricorso ordinario, di cui l’azione esecutiva costituisce, come si è visto, una fattispecie, dal momento che la domanda risulta chiaramente enunciata nell’atto introduttivo e il ricorso, ancorché non notificato all’amministrazione ma solo depositato in Segreteria, che peraltro ne ha dato avviso e comunicazione alla P.A. a’sensi dell’art. 91 del R.D. n. 642/1907, ha egualmente sortito l’effetto dell’integrale e regolare instaurazione del contraddittorio, con la costituzione in giudizio della Provincia di Trieste, unica parte necessaria, avendo la sentenza eseguenda estromesso dal giudizio quella citata in primo grado come controinteressata, onde esso è ammissibile come ricorso per l’esecuzione di una sentenza del T.A.R. (cfr. T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 20.9.1994 n. 334).

Il Collegio deve ora affrontare le altre eccezioni proposte dall’amministrazione resistente, più sopra distintamente elencate.

Quelle elencate sub 1), 5), 7) 8) e 9) debbono essere del pari disattese.

Invero l’eccepita mancanza di previa notificazione di diffida muove da un presupposto, l’applicabilità al presente giudizio degli artt. 90 e 91 del R.D. n. 642/1907, in materia di ricorso per ottemperanza, che risulta smentito dalle considerazioni che precedono in ordine all’instaurazione dell’azione esecutiva della sentenza di primo grado, tramite ordinario ricorso al T.A.R., che non prevede detta formalità, e in ordine all’attività officiosa, e non di parte, per rendere effettivo l’obbligo normativamente previsto di eseguire le pronunzie giurisdizionali, né può trarsi un canone ermeneutica dall’operato della Segreteria del T.A.R.

Del pari va disattesa l’eccezione di improcedibilità (intesa in senso processualcivilistico) per mancato rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 14, 1° comma, del D.L. n. 669/96 per l’esecuzione dell’obbligo del pagamento di somme di denaro riconosciuto da provvedimenti giurisdizionali, dato che la norma citata si riferisce esclusivamente all’esecuzione forzata, che, come si è sopra evidenziato, nulla ha a che vedere con la fase esecutiva di una sentenza del giudice amministrativo.

Non merita miglior sorte l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata sotto il profilo che solo le sentenze di condanna, e non quelle di accertamento, qual è la pronunzia della cui attuazione si controverte, sarebbero suscettibili di esecuzione.

Se ciò è vero per il giudizio civile, la disciplina positiva del giudizio amministrativo prevede l’esecutività di tutte le sentenze del T.A.R. (art. 33, 1° comma, della L. n. 1034/71), sia che conseguano a ricorsi in cui l’interessato vanti una situazione soggettiva di interesse legittimo sia di diritto soggettivo, anche di carattere patrimoniale e anche consistenti nel mero accertamento di tale diritto, né le norme procedimentali più sopra citate, volte a rendere effettivo l’obbligo di esecuzione, né quelle processuali, volte a risolvere le eventuali controversie, introducono alcuna differenza al riguardo, onde ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus.

Infine non può essere attesa l’ulteriore eccezione, secondo cui i ricorrenti sarebbero decaduti dall’azione esecutiva, essendo decorso il termine previsto, per l’instaurazione, mediante deposito, di controversie relative a questioni attinenti a periodi del rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998, fissato dall’art. 69, 7° comma, del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165, riproduttiva dell’art. 45 del D. Lgs. n. 80/98, nel 15 settembre 2000.

Detta disposizione all’evidenza non si riferisce, come vorrebbe l’amministrazione, ai ricorsi per l’esecuzione delle sentenze di primo grado già emesse, ma introduce un termine decadenziale (peraltro, ad avviso di questo T.A.R. – v. ordinanza n. 107 del 31.8.2001 – incostituzionale) per la proposizione del giudizio per ricorsi in materia di pubblico impiego, mantenuti nella giurisdizione esclusiva del T.A.R. purché relativi a periodi di servizio anteriori al 30 giugno 1998.

Nella fattispecie, con ricorso proposto nel 1999, e quindi anteriormente al termine decadenziale suindicato, si facevano valere diritti, che si assumevano sorti fra il 1987 e il 1994, cioè nel periodo in cui dette controversie erano sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il termine del 15 settembre 2000, in quanto la norma dell’art. 45, 17° comma, del D. Lgs. n. 29/93 lo riferisce testualmente alla proposizione del ricorso, non può essere applicato alle fasi ulteriori, successive alla sentenza che detto ricorso ha deciso, quale l’esecuzione, altrimenti dovrebbe per coerenza inferirsi che anche l’appello è, in casi analoghi a quello in esame, precluso perché successivo a detto termine decadenziale, con una interpretazione non solo contraria al dettato letterale della norma, ma altresì a cogenti principi costituzionali.

Nel caso specifico dell’esecuzione poi l’interpretazione dell’amministrazione farebbe dipendere la possibilità di far valere un diritto, legislativamente garantito, dall’operato dell’amministrazione giudiziaria e non da quello dei loro titolari, come invece vuole la norma invocata.

Invero la sentenza, di cui si chiede l’esecuzione, è stata depositata in data 28.5.2001, ben successiva a quella prevista come limite dalla norma citata, ed è stata comunicata per l’esecuzione alla Provincia in data ancora successiva, onde non si vede come possa farsi discendere una conseguenza così grave come la decadenza dal diritto d’azione da avvenimenti non imputabili ai ricorrenti, che per giunta nulla avrebbero potuto fare a quel punto, onde va rifiutata l’interpretazione proposta e disattesa l’eccezione.

Va inoltre disattesa l’eccezione di inammissibilità, dedotta sotto il profilo che, con l’azione esecutiva, i ricorrenti otterrebbero in via definitiva e anticipata l’effetto del giudicato, che non si è ancora formato.

L’eventuale accoglimento del ricorso comporterebbe invero soltanto l’erogazione della contestata indennità di bilinguismo, il cui ammontare, in caso di accoglimento dell’appello contro la sentenza da eseguire andrà recuperato a carico dei ricorrenti.

Le eventuali difficoltà o impossibilità di detto recupero vanno dedotte, sotto il profilo del danno grave e irreparabile, con l’istanza cautelare in appello, che non risulta nella specie proposta, ma non costituiscono elemento per sostenere che, in linea di principio, la dovuta erogazione, in seguito a sentenza, di una somma di denaro anticipi il risultato del giudicato.

Il Collegio invece condivide, in tutto o in parte, le eccezioni di cui ai punti 2), 3) e 6).

Invero non tutti i ricorrenti in primo grado hanno visto riconosciuto il proprio diritto dal T.A.R. ma solo alcuni, ed anche in termini differenti, eppure sembra (con le riserve di cui poi si dirà) che tutti agiscano per l’esecuzione, essendo all’evidenza inammissibile questa azione per chi non è risultato, almeno in parte, vittorioso.

Il Collegio, inoltre, non è in grado, come correttamente eccepito, di identificare i ricorrenti, dal momento che il ricorso per l’esecuzione è intestato a "Malalan David + 17" onde esso deve ritenersi nullo, e quindi inammissibile, per tutti i ricorrenti, salvo quello di cui risultano le generalità.

Peraltro nessun mandato risulta conferito da detto ricorrente, e neppure dagli altri, al difensore che, dovendo proporre un autonomo ricorso nelle forme di quello di primo grado, ancorché riferito a una fase integrativa della precedente vicenda processuale, doveva esserne provvisto.

Non rileva al riguardo l’erronea convinzione di dover agire nelle forme del giudizio di ottemperanza, perché secondo la giurisprudenza di questo Tribunale e del Consiglio di Stato, che il Collegio condivide, anche questo richiede apposito mandato (cfr. T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 17.12.1991 n. 507; 12.10.2000 n. 767; C.D.S. A.P. 24.11.1980 n. 43).

In conseguenza di quanto precede il ricorso, nel suo complesso, dev’essere dichiarato inammissibile.

Sussistono motivi per compensare le spese di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo dichiara inammissibile.

Dispone la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 23 gennaio 2002.

Vincenzo Sammarco - Presidente

Enzo Di Sciascio – Estensore

Depositata nella segreteria del Tribunale il 8 marzo 2002

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