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n. 5-2003 - © copyright.

TAR LAZIO, SEZ. I – Sentenza 6 maggio 2003 n. 3921 - Pres. Calabrò, Est. Polito - Romano (Avv.ti Spagnolo e Biondi) c. Presidenza Consiglio Ministri e Corte dei Conti (Avv.ra Stato) – (accoglie in parte).

1. Silenzio della P.A. – Silenzio-rifiuto – Impugnazione ex art. 2 L. n. 205/2000 – Natura – Individuazione - Oggetto del giudizio – Riguarda la sola verifica della sussistenza o meno dell’obbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto - Accertamento della fondatezza sul piano sostanziale della pretesa dell’istante – Impossibilità.

2. Silenzio della P.A. – Silenzio-rifiuto – Impugnazione ex art. 2 L. n. 205/2000 – Richiesta di annullamento di provvedimenti amministrativi o di accertamento di diritti nei confronti della P.A. – Inammissibilità – Fattispecie.

3. Silenzio della P.A. – Silenzio-rifiuto – Impugnazione ex art. 2 L. n. 205/2000 – Natura giuridica della pretesa fatta valere – Irrilevanza – Proposizione del ricorso avverso il silenzio anche per la tutela di diritti soggettivi pieni e perfetti – Ammissibilità.

4. Pubblico impiego – Stipendi, assegni ed indennità – Istanza di determinazione del trattamento stipendiale o di riconoscimento del diritto all’applicazione di determinati istituti retributivi – Obbligo di provvedere per la P.A. – Sussiste – Fattispecie.

1. Il ricorso avverso il silenzio della P.A., previsto dall’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205, configura un mezzo processuale di carattere speciale ed urgente teso a reagire all’inerzia dell’Amministrazione ad adottare un provvedimento esplicito nelle ipotesi in cui sussista un diritto o interesse del privato all’emissione della determinazione dell’organo interpellato. L’accertamento giudiziale deve pertanto essere limitato, anche nelle ipotesi di atto vincolato, alla sola verifica della sussistenza o meno dell’obbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto e non si estende all’accertamento della fondatezza sul piano sostanziale della pretesa dell’istante con esercizio da parte del giudice adito di potestà riservate agli organi di amministrazione attiva (1).

2. E’ inammissibile il ricorso ex art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205 con il quale si avanzano istanze di annullamento di provvedimenti amministrativi, ovvero di accertamento di diritti nei confronti della P.A., che vanno invece proposte avvalendosi del rito ordinario disciplinato dagli artt. 19 e segg. della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (alla stregua del principio nella specie è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso ex art. 2 L. n. 205/2000 proposto, nella parte in cui si chiedeva l’accertamento del diritto del ricorrente alla percezione del più elevato trattamento economico nella posizione di Consigliere della Corte dei Conti ed alla conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle differenze retributive maturate, con relativi accessori per interessi e rivalutazione monetaria).

3. Il rito accelerato introdotto dall’art. 2 della legge n. 205/2000 è da ritenere ammissibile anche per tutelare situazioni di diritto soggettivo perfetto nei confronti della P.A., atteso che lo stesso art. 2 individua l’oggetto del procedimento d’urgenza ivi previsto con riferimento al "silenzio dell’amministrazione", e cioè con riferimento ad una nozione che, nella sua ampia accezione, è comprensiva di ogni condotta omissiva, in presenza dell’interesse del privato ad una determinazione esplicita dell’organo pubblico interpellato, che può coinvolgere posizioni sia di diritto soggettivo che di interesse legittimo. La norma processuale non introduce quindi, quanto alla legittimazione al ricorso, alcuna discriminazione con riguardo alla situazione soggettiva sostanziale che il privato ha inteso tutelare.

4. L’Amministrazione pubblica, in base al principio sancito dall’art. 2 della legge n. 241/1990, è tenuta a pronunziarsi esplicitamente sull’istanza con la quale un dipendente, in costanza del rapporto di pubblico impiego, abbia chiesto il riconoscimento del diritto all’applicazione di determinati istituti retributivi (segnatamente nei casi di passaggio di amministrazione ovvero in presenza di successione nel tempo di norme che regolino il rapporto) (alla stregua del principio il T.A.R. Lazio ha accolto il ricorso ex art. 2 L. n. 205/2000, nella parte in cui l’Amministrazione non aveva provveduto sull’istanza/diffida del ricorrente, intesa alla determinazione del trattamento economico spettante nella qualifica a seguito del suo passaggio presso l’Amministrazione stessa).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., dec. 19 gennaio 2002, n. 1, in questa Rivista n. 1-2002, con commento di G. BACOSI ed ivi ult. riferimenti.

 

 

(omissis)

per l’accertamento

del diritto a percepire nella posizione di Consigliere della Corte dei Conti un trattamento economico pari ad euro 154.937,07, od alla somma ritenuta di giustizia, corrispondente al trattamento fondamentale percepito nell’incarico di Direttore dell’Agenzia delle Entrate all’atto passaggio di amministrazione, come da richiesta diffida notificata alla Corte dei Conti ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 13.09.2002;

e per la condanna

delle amministrazioni intimate ad emanare i provvedimenti di competenza agli effetti di cui innanzi ed al pagamento delle differenze retributive maturate a partire dalla nomina a Consigliere della Corte dei Conti con maggiorazione per interessi e rivalutazione monetaria;

(omissis)

FATTO

Con ricorso proposto avvalendosi del rito speciale introdotto dall’art. 2 della legge 21.07.2000, n. 205, per reagire all’inerzia a provvedere dell’Amministrazione il dott. ROMANO Massimo - già dirigente di 1^ fascia del ruolo unico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato con incarico di Direttore dell’Agenzia delle Entrate e nominato con D.P.R. 13.04.2000 Consigliere della Corte dei Conto –espone che nella nuova posizione impiego gli è stato riconosciuto un trattamento economico di euro 82.496,21, oltre indennità integrativa, di misura inferiore a quello percepito in qualità di dirigente dello Stato pari ad euro 154.937,07. Aggiunge di aver notificato in data 13.09.2002 atto di diffida all’adozione del provvedimento di riconoscimento del trattamento di attività in misura pari a quello percepito presso l’Amministrazione di provenienza.

Non essendo intervenute determinazioni esplicite formula in via principale domanda tesa all’accertamento del diritto a percepire il maggior trattamento retributivo in relazione al divieto di "reformatio in pejus" sancito dagli artt. 202 del t.u. 10.01.1957, n. 3, e 3, comma 57°, della legge n. 537/1993.

Deduce, inoltre, l’illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione in ordine all’istanza/diffida per violazione dell’art. 2 della legge 07.08.1990, n. 241, e del termine stabilito con deliberazione della Corte dei Conti del 07.06.1995 per la conclusione del procedimento.

Si sono costituite in giudizio la Corte dei Conti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili e l’infondatezza nel merito della domanda di accertamento del diritto al più elevato trattamento retributivo.

Alla camera di consiglio del 16 aprile 2003 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1). E’ noto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 1 del 19.01.2002 – a conferma di orientamenti ripetutamente espressi dai giudici di prime e seconde cure – ha chiarito che il ricorso proposto avverso il silenzio rifiuto avvalendosi dall’art. 21 bis della legge 21.07.2000, n. 205, configura un mezzo processuale di carattere speciale ed urgente teso a reagire all’inerzia dell’Amministrazione ad adottare un provvedimento esplicito nelle ipotesi in cui sussista un diritto o interesse del privato all’emissione della determinazione dell’organo interpellato.

L’accertamento giudiziale deve pertanto essere limitato, anche nelle ipotesi di atto vincolato, alla sola verifica della sussistenza o meno dell’obbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto e non si estende all’accertamento della fondatezza sul piano sostanziale della pretesa dell’istante con esercizio da parte del giudice adito di potestà riservate agli organi di amministrazione attiva.

E’ pertanto incompatibile con il modello processuale introdotto dall’art. 2 della legge n. 205/2000 - caratterizzato dalla brevità dei termini per la sua definizione, dalla limitazione del contraddittorio e dell’istruttoria alla sola verifica dell’assolvimento dell’obbligo a provvedere e da una decisione con motivazione succinta – nonché con lo stesso oggetto del giudizio come innanzi individuato, la formulazione di istanze di annullamento di provvedimenti amministrativi, ovvero di accertamento di diritti nei confronti della P.A., che vanno invece proposte avvalendosi del rito ordinario disciplinato dagli artt. 19 e segg. della legge 06.12.1971, n. 1034.

Per quanto su esposto, conformemente a quanto eccepito dalle resistenti amministrazioni, va dichiarata l’inammissibilità della domanda dal ricorrente tesa all’accertamento del diritto alla percezione del più elevato trattamento economico nella posizione di Consigliere della Corte dei Conti ed alla conseguente condanna delle amministrazioni predette al pagamento delle differenze retributive maturate con relativi accessori per interessi e rivalutazione monetaria.

2). Non va condivisa l’eccezione formulata in via subordinata dalla resistente difesa secondo la non sarebbe consentito il ricorso al rito accelerato introdotto dall’art. 2 della legge n. 205/2000 per tutelare situazioni di diritto soggettivo perfetto nei confronti della P.A.

Il menzionato art. 2 individua l’oggetto del procedimento d’urgenza ivi regolamentato con riferimento al "silenzio dell’amministrazione". Si tratta di nozione che nella sua ampia accezione è comprensiva di ogni condotta omissiva, in presenza dell’interesse del privato ad una determinazione esplicita dell’organo pubblico interpellato, che può coinvolgere posizioni sia di diritto soggettivo che di interesse legittimo. La norma processuale non introduce quindi, quanto alla legittimazione al ricorso, alcuna discriminazione con riguardo alla situazione soggettiva sostanziale che il privato ha inteso tutelare.

Del resto lo strumento processuale di cui si discute è indirizzato a rendere effettivo il principio di certezza dei termini del procedimento amministrativo, recepito sul piano ordinamentale dall’art. 2, secondo comma, della legge 07.08.1990, n. 241. L’esigenza di conclusione del procedimento con un provvedimento esplicito entro termine congruo deve pertanto essere garantita, avvalendosi dello speciale mezzo di gravame all’uopo apprestato, quale che sia la natura della situazione soggettiva in base alla quale sia stato sollecitato l’intervento dell’organo pubblico.

Non va condivisa la tesi, articolata sempre a sostegno dell’inammissibilità del ricorso, secondo la quale, nei casi di inerzia a provvedere della P.A. in ordine a pretese sostanziali di diritto soggettivo, il giudice adito dovrebbe in ogni caso preliminarmente verificarne la fondatezza, perché contrasta con il contenuto del giudizio che segue al ricorso proposto ai sensi dell’art. 2 della legge n. 205/2000, che ha carattere esterno ed investe i presupposti per la qualificazione ed identificazione degli estremi del comportamento omissivo della P.A. (rituale produzione dell’istanza da parte dell’interessato; competenza a provvedere dell’organo interpellato; sussistenza del diritto alla pronunzia esplicita; decorso dei termini di legge o regolamentari per provvedere) e non si estende al merito del provvedimento che l’Amministrazione è tenuta ad emettere.

3). Ciò posto in costanza del rapporto di pubblico impiego, in presenza di domanda del dipendente che prospetti il diritto all’applicazione di determinati istituti retributivi (segnatamente nei casi di passaggio di amministrazione ovvero in presenza di successione nel tempo di norme che regolino il rapporto) l’Amministrazione, in base al principio sancito dall’art. 2 della legge n. 241/1990, è tenuta a pronunziarsi esplicitamente sull’istanza.

Nella specie nessuna determinazione è intervenuta in ordine all’istanza/diffida notificata dal dott. ROMANO in data 13.09.2002, intesa alla determinazione del trattamento economico spettante nella qualifica di Consigliere della Corte dei Conti in base al trattamento economico fondamentale percepito nella qualità di Direttore dell’agenzia delle Entrate. Il comportamento omissivo si configura illegittimo essendo decorso, alla data di chiamata in decisione del ricorso, sia il termine di trenta giorni fissato in via generale dall’art. 2 della legge n. 241/1990 per la conclusione del procedimento con un provvedimento espresso, sia il più ampio termine di 120 giorni stabilito in via regolamentare dalla Corte dei Conti per la definizione di procedimenti analoghi.

Il ricorso merita pertanto accoglimento nei limiti di cui innanzi; per l’effetto, va dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di pronunzia sulla domanda di determinazione del trattamento economico avanzata dal dott. ROMANO.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in favore del ricorrente in complessivi euro 800,00 (ottocento)

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Sezione I^, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara illegittimo il silenzio impugnato e per l’effetto

ORDINA

alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla Corte dei Conti di pronunziarsi, per quanto di rispettiva competenza, sull’istanza/diffida notificata dal ricorrente in data 13.09.2002 entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla data di notifica se anteriore.

Condanna in solido le Amministrazioni intimate al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in motivazione in euro 800,00 (ottocento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 aprile 2003:

-CALABRO’ Corrado, Presidente;

-POLITO Bruno Rosario, Consigliere estensore.

Depositata in segreteria il 6 maggio 2003.

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