TAR LAZIO, SEZ. I TER – Sentenza 14 maggio 2002 n. 4261 - Pres. Tosti, Est. Riggio - Sista (Avv. L. Selmi) c. Ministero dell’Interno ed altro (Avv. Stato Cesaroni) - (accoglie).
Autorizzazione e concessione - Licenza di P.S. - Per attività di recupero crediti per conto terzi - Limitazione dell’efficacia alla provincia di riferimento - Illegittimità.
In tema di rilascio della autorizzazione di pubblica sicurezza ad agenzia di recupero crediti per conto terzi, l’art. 115 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 ha inteso imporre al soggetto interessato di richiedere l’autorizzazione alla Questura del capoluogo della Provincia di residenza, senza alcun altro vincolo in ordine all’esercizio dell’attività, la quale può essere svolta sull’intero territorio nazionale, anche mediante collaboratori, salva l’ipotesi che costoro non assumano la veste di rappresentanti, rendendosi allora necessaria l'apposita procedura prevista dagli artt. 115 e 8 del T.U.L.P.S. (possesso dei requisiti soggettivi, approvazione del Questore). Resta ferma, in ogni caso, la responsabilità del soggetto titolare della licenza e la necessità che la documentazione faccia sempre capo ai locali indicati nel provvedimento autorizzatorio.
E’ pertanto illegittimo il provvedimento di integrazione della licenza per lo svolgimento di attività di recupero crediti, nella parte in cui vieta di operare in province diverse da quella in cui è stato rilasciato il titolo abilitativo (1).
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(1) V. tuttavia in senso contrario Cons. Stato, Sez. IV, sent. 30 ottobre 2000 n. 5795, in questa rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds4_2000-5795.htm
Come risulta dal testo della sentenza in rassegna, il T.A.R. Lazio, pur non ignorando tale precedente (che anzi viene espressamente menzionato), tuttavia ritiene che le argomentazioni su cui cui esso si fonda non paiono pienamente convincenti per i motivi indicati nella sentenza.
per l'annullamento
- del provvedimento di integrazione della licenza per lo svolgimento di attività di recupero crediti, nella parte in cui vieta di operare in province diverse da quella in cui è stato rilasciato il titolo abilitativo;
- della circolare del Ministero degli Interni n. 559/C 2210312015 in data 2 luglio 1996;
(omissis)
FATTO
Con provvedimento in data 15 dicembre 1997 il Questore di Roma ha integrato la licenza rilasciata al ricorrente per lo svolgimento della attività di recupero crediti, prescrivendo il divieto di operare al di fuori della Provincia, in conformità a quanto stabilito dal Ministero dell’Interno con circolare n. 559/C 2210312015 in data 2 luglio 1996.
Avverso i suindicati atti, nella parte in cui contengono la menzionata prescrizione, ha proposto impugnativa l’interessato, deducendo il seguente motivo:
1)- Violazione dell’art. 115 T.U.L.P.S., dell’art. 205 R.D. n. 635/1940, della legge n. 241/1990 e degli artt. 3, 4, 16, 35, 41 della Costituzione e principi generali. Violazione dell’art. 3, lett. C) del Trattato U.E. -. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, ingiustizia manifesta, irrazionalità, erroneità, falsità dei presupposti.
La normativa sopra richiamata non prevede la limitazione imposta dal Questore, che risulta immotivata e non preordinata alla tutela di specifici interessi pubblici, ponendosi altresì in contrasto con il divieto di ostacolare la libera circolazione dei beni e dei servizi.
A conclusione è chiesto l’annullamento in "parte qua" degli atti impugnati, previa sospensione della loro esecuzione.
Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione dell’Interno che ha depositato documenti ed una memoria difensiva con la quale ha confutato le dedotte censure chiedendo il rigetto del gravame, siccome infondato nel merito.
Con ordinanza n. 424/1998 è stata accolta la domanda di sospensiva.
Alla pubblica udienza del 15 novembre 2001 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
La questione da decidere riguarda l’efficacia territoriale dell’autorizzazione di pubblica sicurezza rilasciata ad agenzia di recupero crediti per conto terzi ex art. 115 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 e, più in particolare, la facoltà del suo titolare di effettuare le relative operazioni fuori della Provincia in cui sono ubicati i locali indicati nell’autorizzazione medesima.
Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire con precedenti pronunce (Cfr. Sentt. nn. 3125 e 3128 del 3-11-1998; n. 961 dell’8-2- 2001) che la norma di cui al menzionato art.115 ha carattere generale, nel senso che si riferisce indistintamente a tutte le autorizzazioni di polizia, onde la sua interpretazione deve essere soprattutto coerente con la possibilità di effettivo esercizio dell’attività autorizzata.
Ora non sembra possibile dubitare che l’espressione contenuta nel comma terzo del ridetto art. 115, secondo cui "la licenza vale esclusivamente per i locali in essa indicati" significa letteralmente che l'attività autorizzata non potrebbe svolgersi se non nei locali stessi. Ma così interpretata la norma sarebbe irrazionale poiché l’attività autorizzata ha spesso necessità (e a maggior ragione nel caso di specie, ove si tratta di procedure di recupero crediti) di dover essere esplicata anche e soprattutto all’esterno, sicchè secondo un criterio logico non può ritenersi che la disposizione in esame abbia inteso confinare l’attività autorizzata nell’ambito dei citati immobili.
L’Amministrazione dell’Interno ha dato al riguardo una interpretazione più estesa, ma sempre spazialmente vincolata, nel senso che il recupero crediti si deve svolgere nell’ambito del territorio provinciale di riferimento rispetto all’autorità che ha rilasciato la licenza, collegando tale motivazione al fatto che solo così è possibile un controllo proficuo dell’attività svolta, che altrimenti verrebbe meno per la mancanza di elementi conoscitivi del soggetto titolare da parte dell’autorità di polizia delle altre Province.
Il cennato orientamento è, tuttavia, privo di concreto fondamento perché non spiega le ragioni che consentirebbero di esercitare un più penetrante controllo sull’attività di recupero crediti svolta dal soggetto autorizzato se questi opera nella sola Provincia di rilascio dell’autorizzazione; e ciò in quanto i controlli di polizia in ordine al non corretto uso del titolo autorizzatorio si effettuano con attività investigative o di repressione, che non hanno alcun collegamento con la sede amministrativa di rilascio della licenza.
Diversamente argomentando si dovrebbe concludere che chiunque, allontanandosi dal luogo di residenza, possa agire illecitamente con buone probabilità di non essere individuato dagli organi di polizia.
La localizzazione del rilascio delle licenze risponde, dunque, ad un criterio di territorialità, collegato con il decentramento dell'attività di polizia amministrativa, che fa capo istituzionalmente al Ministero dell’Interno, per cui, se è necessario che l’emissione del titolo venga effettuata dall’autorità territorialmente competente, più nessun vincolo può trarsi da tale competenza e tanto meno quello di una limitazione territoriale all’esercizio dell’attività.
Deve conseguentemente ritenersi che menzionata locuzione secondo cui "la licenza vale esclusivamente per i locali in essa indicati" non possa avere altro significato se non quello della individuazione della sede dell’agenzia cui deve fare riferimento la documentazione ed a cui tutto deve giuridicamente riferirsi.
Tale interpretazione, del resto, appare aderente al dettato dell’art. 41 della Costituzione in ordine alla libertà di iniziativa economica, che non ammette l’esistenza di barriere provinciali, le quali si porrebbero come grave ostacolo allo sviluppo della imprenditorialità, specialmente in presenza di un mercato ormai aperto a tutta l’Unione europea, ove gli stessi confini nazionali tendono ad annullarsi.
Sulla base delle considerazioni svolte può affermarsi che l’art.115 ha inteso imporre al soggetto interessato di richiedere l’autorizzazione alla Questura del capoluogo della Provincia di residenza, senza alcun altro vincolo in ordine all’esercizio dell’attività che può essere svolta sull’intero territorio nazionale, anche mediante collaboratori, salva l’ipotesi che costoro non assumano la veste di rappresentanti, rendendosi allora necessaria l'apposita procedura prevista dagli artt. 115 e 8 del T.U.L.P.S. (possesso dei requisiti soggettivi, approvazione del Questore). Resta ferma, in ogni caso, la responsabilità del soggetto titolare della licenza e la necessità che la documentazione faccia sempre capo ai locali indicati nel provvedimento autorizzatorio.
Il Collegio non ignora che le suesposte osservazioni di recente non sono state condivise dal giudice di appello (Cfr. C.d.S., Sez. IV, 16-10-2000, n. 5494). Tuttavia le argomentazioni sulle quali si fonda il diverso avviso espresso nella suindicata decisione non appaiono pienamente convincenti.
Ha ritenuto in particolare il Consiglio di Stato che se può convenirsi sul fatto che l’indicazione dei locali da parte della licenza ha come primario scopo di individuare la sede dell’agenzia, non essendo possibile limitare entro tali confini l’ambito operativo del recupero crediti, non può comunque ritenersi consentito inferire da questi dati la prova di una sostanziale estensione della licenza a tutto il territorio nazionale.
A ciò osterebbe in primo luogo l’impossibilità di dilatare oltre misura il disposto del comma terzo dell’art. 115 T.U.L.P.S., attesa la esplicita delimitazione della portata normativa di quel testo.
In secondo luogo le evidenziate restrizioni alla libera circolazione dei servizi ben possono essere giustificate da motivi di pubblica sicurezza, certamente esistenti nella specie.
Sotto altro profilo ha osservato il predetto Consesso che in linea generale l’efficacia spaziale di un provvedimento non può superare i limiti di competenza assegnati al suo autore, a meno che non vi sia apposita previsione espressa al riguardo. Nella specie una norma derogatoria di tal genere non sussiste nel comparto del recupero crediti e la peculiare delicatezza che riveste lo svolgimento di detta attività, esposta a difficili rapporti con le problematiche dei tassi usurari e ad infiltrazioni di ogni tipo, richiede una particolare vigilanza sulle agenzie autorizzate che verrebbe meno ove il limite di efficacia provinciale della licenza fosse superato, con grave frustrazione delle connesse istanze di pubblico interesse.
In proposito non può farsi a meno di rilevare che dall’esame delle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano le autorizzazioni di polizia non sembra agevole ricavare il principio che queste abbiano valore esclusivamente nel territorio in cui esercita il suo potere l’autorità che rilascia la licenza, dal momento che tale perfetta coincidenza non è sempre ravvisabile.
Giova considerare, sul punto, che le autorizzazioni in argomento hanno nella maggior parte dei casi validità limitatamente ad un luogo determinato. Ciò, però, non costituisce applicazione di un principio di carattere generale ma dipende dal fatto che esse riguardano attività il cui esercizio è legato ad un determinato locale o ad una zona ben precisata, come nel caso di esercizio di alberghi, locande, pensioni, locali di pubblico spettacolo ecc. (artt. 71, 93, 111 del T.U. n. 773/1931). Ne consegue che la limitazione della validità territoriale delle autorizzazioni di polizia non è in relazione con la circostanza che la licenza viene rilasciata da un organo locale e non centrale dell’amministrazione dello Stato ma è conseguente alla stretta interdipendenza esistente tra l’attività autorizzata e le caratteristiche strutturali e ambientali dell’immobile o della località in cui l’attività stessa si svolge.
Ora, una volta chiarito che l’espressione contenuta nel terzo comma dell’art. 115 T.U. n. 773/1931, secondo cui "la licenza vale esclusivamente per i locali in essa indicati", non ha nel caso di specie alcun riferimento al luogo di svolgimento della attività autorizzata non sussistono a livello normativo elementi che impediscano di ritenere valida la relativa autorizzazione su tutto il territorio nazionale.
Non mancano, invero, esempi del genere nel citato Testo Unico.
Si pensi alla licenza di porto d’armi (art. 11 T.U. citato) che, pur essendo rilasciata da una autorità locale, dispiega i suoi effetti su tutto il territorio nazionale anche in assenza di una esplicita disposizione in tal senso.
Si pensi ancora alla fattispecie contemplata dall’art. 36 T.U.L.P.S. -. Detto articolo stabilisce che colui il quale va in giro con un campionario di armi deve avere la licenza del Questore della Provincia dalla quale si muove e nelle altre Province è tenuto solamente a richiedere una vidimazione della licenza stessa. Orbene, ad avviso del Collegio, la disposizione in esame non autorizza l’estensione della efficacia spaziale della licenza all’intero territorio nazionale ma, piuttosto, la presuppone, limitandosi ad introdurre restrizioni a tale efficacia costituite dall’obbligo di vidimare il relativo titolo in ciascuna Provincia attraversata dal suo titolare.
Identica norma vige per il venditore degli strumenti da punta e taglio atti ad offendere (art. 56 del Regolamento al citato T.U. approvato con. R.D. 6 maggio 1940, n. 635).
Né può sostenersi che, attesa la peculiare delicatezza del recupero crediti (la quale richiede una specifica vigilanza sulle agenzie per le possibili infiltrazioni di natura criminale), le esigenze di tutela dell’interesse pubblico connesso sarebbero frustrate "se venisse meno la delimitazione territoriale dell’attività e i dipendenti dell’agenzia di recupero fossero legittimati a operare su tutto il territorio nazionale, sottraendoli così alla vigilanza della locale Questura e, di fatto, svincolandoli da qualsivoglia controllo".
Nel sistema della legislazione vigente (artt. 8 e segg. T.U.L.P.S.) la fondamentale garanzia per lo Stato è costituita dal fatto che le autorizzazioni di polizia sono personali, vengono concesse solo a chi possiede i requisiti necessari e non possono essere trasmesse. Inoltre i titoli autorizzatori hanno ordinariamente la durata di un anno e, in caso di abuso, possono essere revocati o sospesi in qualsiasi momento per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico.
L’art. 120 del T.U.L.P.S. stabilisce, poi, che "gli esercenti le pubbliche agenzie sono obbligati a tenere un registro giornale degli affari, nel modo determinato dal Regolamento, ed a tenere permanentemente affissa nei locali dell’agenzia, in modo visibile, la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.
"Tali esercenti non possono fare operazioni diverse da quelle indicate nella tabella predetta, ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa né compiere operazioni o accettare commissioni da persone non munite della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia proveniente dall’amministrazione dello Stato".
Come è possibile constatare la vigente normativa tende ad evitare ogni possibile rischio connesso all’esercizio della attività di recupero crediti attraverso un opportuno sistema di prescrizioni e di controlli in relazione al quale non appare sufficiente, al fine di introdurre limiti all’iniziativa economica privata, l’indicazione vaga ed indimostrata di esigenze di sicurezza pubblica e di prevenzione di fenomeni di usura.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, non sussistendo ragioni per mutare l’indirizzo della Sezione, meritano adesione le censure dedotte ed il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte in cui limitano l’esercizio della attività di recupero crediti nell’ambito della sola Provincia in cui sono ubicati i locali indicati nella licenza.
Quanto alle spese, sussistono giuste ragioni per disporne l’integrale compensazione tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I ter, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei limiti indicati in motivazione.
Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 15 novembre 2001, con l’intervento dei Magistrati:
Luigi TOSTI Presidente
Italo RIGGIO Consigliere est.
Carlo VISCIOLA Consigliere
Depositata il 14 maggio 2002.