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n. 6-2003 - © copyright.

TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III – Sentenza 26 maggio 2003 n. 4690Pres. Corsaro, Est. Russo – Medica Sud s.r.l. ed altri (Avv.ti G. e G. Pellegrino) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e d altri (Avv.ra Stato), Regione Puglia (Avv.ti Portaluri ed Ancora), ad opponendum Regione Emilia Romagna (Avv. Russo Valentini) e Azienda Sanitaria Locale – ASL BA/4 di Bari (Avv. Volpe) - (previa riunione dei ricorsi, li respinge).

1. Regioni - Competenza - In materia sanitaria - A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione ex L. cost. n. 3/2001 - Potestà legislativa concorrente delle Regioni - Riguarda le materie di cui all'art. 117, III comma, Cost. - Competenza legislativa esclusiva - Riguarda solo le materie di cui all’art. 117, IV comma, Cost.

2. Sanità pubblica - Strutture private in regime di convenzionamento - Determinazione dei livelli essenziali ed uniformi d’assistenza (c.d. LEA) - Competenza dello Stato - Ex art. 117, III c., lett. m), Costituzione - Sussiste.

3. Sanità pubblica - Strutture private in regime di convenzionamento - Determinazione delle tariffe delle prestazioni rese dalle strutture sanitarie in regime d’accreditamento con il SSN - Competenza in materia - Spetta alla Giunta regionale.

1. La legge costituzionale n. 3/2001 ha determinato un evidente cambiamento dei poteri spettanti allo Stato ed alle Regioni in materia sanitaria rispetto al previdente assetto costituzionale, laddove espressamente riconosce alle Regioni, oltre ad una competenza legislativa concorrente nelle materie di cui all’art. 117, III comma, Cost., anche una competenza propria generale nei casi ex IV comma dello stesso articolo, lasciando allo Stato la competenza esclusiva soltanto per le materie elencate nel III comma dello stesso articolo; tra queste ultime, ai sensi dell’art. 117, III c., lett. m), è compresa la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (1).

2. La competenza statale in ordine alla "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", prevista dall’art. 117, III comma, lett. m), Costituzione, a seguito della modifica operata dalla legge costituzionale n. 3/2001, riguarda pure i LEA sanitari (livelli essenziali ed uniformi d’assistenza), ancorché ciò possa toccare e conformare eventuali competenze concorrenti regionali, non essendovi conflitto tra la competenza statale sui c.d. LEA sanitari e quella regionale in tema di tutela della salute; la determinazione dei LEA, pertanto, spetta solo allo Stato e non è suscettibile di regolazione differenziata a seconda delle esigenze d’autonomia sottese all’attribuzione della competenza legislativa a ciascuna Regione.

3. La Giunta regionale deve ritenersi competente a dettare le tariffe delle prestazioni rese dalle strutture sanitarie in regime d’accreditamento con il Servizio sanitario nazionale, atteso che le norme sulla competenza della Regione in materia, ed in particolare l’art. 121, III comma, Cost. (non contraddetto peraltro dalle disposizioni transitorie ex art. 5 l. cost. 22 novembre 1999 n. 1), indicano proprio nella Giunta l’organo esecutivo della Regione, senza bisogno di necessario aggiornamento degli Statuti sul punto. Invero, poiché l’art. 121 Cost. concerne la distribuzione delle funzioni istituzionali fondamentali tra i vari organi della Regione, senza rinviare a fonti subordinate, è evidente che le regole sulla competenza sono d’immediata applicabilità, indipendentemente dalla modificazione delle norme sostanziali.

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(1) Ha precisato in proposito il T.A.R. Lazio che la l. cost. n. 3/2001 ha usato, in genere, il criterio di distribuzione concorrente, tra Stato e Regioni, delle materie per blocchi unitari e verticali, tranne quando ha ritenuto di dover garantire l’uniformità delle disciplina a livello nazionale – assicurando un trattamento uguale per tutti i consociati, aldilà d’ogni differenza o specificità locale o territoriale -, nel qual caso, pur regolandone la potestà legislativa esclusiva alla stessa stregua di quella afferente a materie propriamente dette, ha individuato non vere e proprie materie, bensì clausole generali, o categorie logico-giuridiche orizzontali, che incidono trasversalmente sulle singole materie, siano esse o no anche di competenza regionale.

A tal conclusione è pervenuta pure la Corte costituzionale (cfr. Corte cost., sent. 26 giugno 2002 n. 282, in www.giustamm.it n. 6-2002), investita della legittimità costituzionale di una legge regionale in tema di trattamenti sanitari, ha al contempo affermato due dati essenziali, tali, ad avviso del T.A.R. Lazio , da metter finalmente in moto, secondo una modalità virtuosa, la novella ex l.cost. 3/2001.

Da un lato, la Corte ha affermato la spettanza allo Stato della fissazione dei LEA sanitari, quale competenza non già relativa ad una materia in senso stretto, bensì idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale è tenuto a fissare norme per assicurare a tutti il godimento di prestazioni garantite, senza che il legislatore regionale possa limitarle o condizionarle, a pena dell’intervento sostitutivo ex art. 120 Cost. Dall’altro, è ribadita l’impossibilità dello Stato d’adottare una normazione di dettaglio, pur se cedevole, nelle materie della legislazione concorrente regionale.

La competenza in materia di LEA mette il legislatore statale in condizione di modulare variamente il proprio rapporto con il legislatore regionale, consentendogli sia d’indirizzarne, mercè la fissazione di principi o direttive) la competenza, sia di "scacciarla", scorporandone quegli elementi che altrimenti vi sarebbero inclusi.

In questa seconda ipotesi, il legislatore regionale non può che abbandonare il campo alla decisione assunta dallo Stato, senza, dunque, che la competenza concorrente conservi alcun rilievo o possa condizionare il contenuto o le modalità d’effusione della competenza statale.

 

Commento di

LUCIANO ANCORA
(Avvocato)

Con la sentenza in rassegna la Sezione III-ter del TAR Lazio (Pres. A. Corsaro, Est. S.M. Russo) ha definitivamente respinto i ricorsi proposti da alcune strutture private operanti nella branca di medicina fisica e riabilitativa nei confronti del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29.11.2001 e della delibera n. 310/’02 della Giunta regionale pugliese con cui sono stati stabiliti i cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza) in materia sanitaria, e con cui sono state pertanto escluse dalla erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale talune prestazioni di fisiokinesiterapia.

1.- Superando talune perplessità che avevano indotto il Consiglio di Stato ad invitare lo stesso TAR Lazio ad una approfondita riflessione sul merito della questione, i giudici di prime cure hanno anzitutto ribadito che dopo la recente riforma costituzionale del Titolo V non vi è necessità di una legge dello Stato che disciplini questa materia in ogni suo aspetto, ma è sufficiente che la fonte di rango primario definisca le linee generali dell’intervento, rimesso – per il resto – anche ad accordi in sede di Conferenza Stato - Regioni.

Il TAR Lazio, infatti, ha sottolineato che alla determinazione dei LEA si è addivenuti all’esito di un serrato confronto – condotto con criteri sostanzialmente paritari – fra Governo centrale e Regioni, le quali si sono confrontate attorno ad un Tavolo tecnico al fine di imprimere «un assetto più equo e razionale e meno nocivamente assistenzialistico all’intero Servizio sanitario nazionale e su tutto il territorio della Repubblica», così da contemperare «la tutela della salute con l’ammontare effettivo delle risorse pubbliche disponibili, oltreché con l’efficacia, la sicurezza e l’appropriatezza, alla luce delle conoscenze scientifiche mediche, delle prestazioni erogabili».

2.- La rilevanza della decisione in commento appare anche da un altro angolo visuale, ancorché connesso col precedente.

Occorre muovere dal recente orientamento della Corte costituzionale (cfr. sent. 26 giugno 2002 n. 282, in www.giustamm.it n. 6-2002), con cui la Consulta ha stabilito che l’ambito individuato dall’art. 117, lett. m) non identifica una materia in senso stretto, ma «una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie».

Di qui, la posizione della dottrina, la quale ha, in generale, affermato che «con questa sentenza, il cammino della riforma del titolo V registra un decisivo passo in avanti. Potrebbe addirittura dirsi che, grazie ad essa, la novella costituzionale che l’ha realizzata entri finalmente in vigore: emancipandosi dalla virtualità cui molti comportamenti degli attori chiamati ad attuarla sembravano averla condannata» (cfr. A. D’Atena, La Consulta parla … e la riforma del Titolo V entra in vigore, in www.associazionedeicostituzionalisti.it).

Con specifico riferimento alla questione, la dottrina in esame ha affermato che attraverso siffatta previsione l’ordinamento non delinea una materia rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato, ma un tertium genus di competenza, strutturalmente differente dai due tipizzati nell’atto di riforma, cioè quella esclusiva e quella concorrente.

Si tratterebbe, dunque, di un modello di competenza non dissimile dalla «konkurrierende Gesetzgebung della tradizione federale mitteleuropea. La quale mette il legislatore centrale in condizione di modulare variamente il proprio rapporto con i legislatori locali, consentendogli sia di indirizzarne (attraverso la fissazione di principi o direttive) la competenza, sia di "scacciarla" (per riprendere un’espressione corrente nella dottrina tedesca), scorporandone oggetti in essa altrimenti inclusi».

In altri termini, laddove lo Stato, nell’esercizio della competenza in questione, ritenga di esercitare la seconda delle opzioni, quest’ultimo si trova a dover, sic et simpliciter, «abbandonare il campo».

Venendo alla sentenza in esame, si deve rilevare che essa mostra di condividere siffatta impostazione, avendo affermando che mediante questa competenza il legislatore statale può articolare il sistema di relazioni con il legislatore regionale, permettendogli sia di conformarne la competenza, sia di escluderla affatto (sottraendone quegli ambiti che altrimenti vi sarebbero inclusi), e precisando che in questa seconda ipotesi il legislatore regionale non può che rimettersi alla scelta compiuta dallo Stato: e ciò – chiarisce opportunamente il TAR Lazio – «senza, dunque, che la competenza concorrente conservi alcun rilievo o possa condizionare il contenuto o le modalità d’effusione della competenza statale».

3.- Il TAR Lazio ha preso poi posizione su di un’altra questione, assolutamente centrale nel nostro contesto istituzionale.

Infatti, il TAR Lazio ha affermato a chiare lettere che dopo la riforma costituzionale spetta immediatamente alla Giunta regionale, e non più al Consiglio regionale, il potere di emanare i regolamenti, senza necessità di apportare apposite modifiche allo Statuto regionale.

I giudici romani hanno risolutamente soggiunto che un nuovo Statuto «non può riallocare giammai in capo al Consiglio la competenza regolamentare», essendo preclusa allo Statuto medesimo la possibilità di «aggirare i criteri di distribuzione del potere regionale già direttamente apprezzati dalla Costituzione»: la potestà regolamentare, pertanto, secondo il TAR centrale «non può più esser sottratta all’Esecutivo regionale».

 

 

(omissis)

per l’annullamento

A) – della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 310 dell’8 aprile 2002; B) – della nota dell’Assessorato regionale alla sanità prot. n. 24/0020/SP del 28 febbraio 2002; C) – del DPCM 29 novembre 2001 e del presupposto Accordo Stato-Regioni e Province autonome;

(omissis)

FATTO

La MEDICA SUD s.r.l. e consorti assumono d’essere strutture sanitarie in regime d’accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nella Regine Puglia, per le prestazioni rientranti nella branca di medicina fisica e riabilitazione.

Dette Società dichiarano altresì d’aver effettuato tali prestazioni specialistiche ambulatoriali, finora a totale carico del SSN, come individuate dalla Regione nel rispetto dei livelli essenziali ed uniformi d’assistenza – LEA, di cui al DM 22 luglio 1996. In virtù dell’art. 6 del DL 18 settembre 2001 n. 347 (convertito, con modificazioni, dalla l. 16 novembre 2001 n. 405, è stato demandato ad un DPCM, da adottare entro il 30 novembre 2001, la definizione dei LEA ex art. 1 del Dlg 30 dicembre 1992 n. 502. Con il DPCM 29 novembre 2001, adottato in esecuzione dell’Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, il Governo della Repubblica ha emanato detti LEA, interessanti pure la branca di fisiokinesiterapia.

In particolare il DPCM in ciò confermato nella Regione Puglia dai provvedimenti regionali indicati in premessa, ha espunto 17 prestazioni di fisiocinesiterapia dal novero di quelle a totale carico del SSN, a causa della loto inappropriatezza.

Avverso tutti questi atti insorgono allora innanzi a questo Giudice, le predette Società con i ricorsi in epigrafe. Al riguardo, le ricorrenti deducono essenzialmente:

A) – l’illegittimità costituzionale, con riguardo ai nuovi artt. 117 e 118 Cost., dell’art. 6 del DL 347/2001 e dell’art. 13 del Dlg 502/1992, la carenza assoluta di motivazione, l’eccesso di potere per irrazionalità e violazione dell’art. 97 Cost.; B) – l’incompetenza della Giunta regionale e la violazione della normativa di settore e del medesimo DPCM 29 novembre 2001 e la carenza assoluta d’istruttoria e di motivazione; E) – la violazione dei principi generali in tema d’affidamento e della retroattività degli atti; F) – l’incompetenza della Giunta regionale a dettare le tariffe di dette prestazioni, rese in regime libero-profesisonale. Resistono in giudizio le Amministrazioni statali intimate e la Regione Puglia, che eccepiscono la manifesta infondatezza della pretesa attorea. Alla stessa conclusione pervengono pure la Regione Emilia-Romagna e l’ASL BA/4 di Bari, interventrici ad opponendum. Viceversa , le altre ASL, pur se ritualmente intimate, non si sono costituite nel presente giudizio.

All’udienza pubblica del 20 febbraio 2003, su conforme richiesta delle parti presenti, i ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. – La MEDICA SUD s.r.l. e consorti, strutture sanitarie private in regime d’accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nella Regione Puglia per la branca di fisiokinesiterapia, impugnano innanzi a questo Giudice, con i ricorsi in epigrafe, la fissazione dei livelli essenziali d’assistenza – LEA sanitari, fissati dal Governo della Repubblica. In particolare, l’impugnazione attorea s’incentra sui LEA – laddove espungono 17 prestazioni di detta branca dell’onere a carico del SSN, ritenute ormai ad alto rischio d’inappropriatezza -, nonché sui provvedimenti regionali che ne han fatto applicazione in Puglia.

Tutti i ricorsi in epigrafe, stante la loro connessione soggettiva passiva e la sostanziale identità della res controversa, possono esser riuniti e contestualmente decisi con la presente sentenza.

3. – Con il primo mezzo di gravame, assumono in sostanza le ricorrenti anzitutto che il DPCM 29 novembre 2001 (recante la fissazione di detti LEA) si basa sull’art. 6, c. 1 del DL 18 settembre 2001 n. 347 (convertito, con modificazioni, dalla l. 16 novembre 2001 n. 405), che, a sua volta, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. e che in ogni caso, i LEA, intercettano la competenza concorrente delle Regioni, devono essere fissati con fonte primaria.

Ai fini d’una miglior comprensione della vicenda presupposta agli atti regionali impugnati, da cui essi traggono legittimazione, giova rammentare che, con l’accordo stipulato nella Conferenza Stato-Regioni e Province autonome dell’8 agosto 2001, fu convenuto tra l’altro che "… con successivo accordo, da sancirsi in questa Conferenza, saranno definiti i livelli essenziali di assistenza prima che gli stessi vengano adottati dal Governo con un provvedimento formale entro il 30 novembre 2001, d’intesa con questa Conferenza, a stralcio delle procedure di approvazione del Piano sanitario nazionale previste dalle norme vigenti in materia…".

Del documento di base, da sottoporre all’esame della Conferenza Stato-Regioni per la definizione dei LEA, fu investito il c.d. Tavolo di lavoro, a sua volta costituito con accordo del 22 marzo 2001, che riferì alla Conferenza per la seduta del 25 ottobre 2001. Mentre, in quella sede la Conferenza approvò detta relazione, da servire da base per il successivo accordo sul tema, fu emanato il DL 347/2001, in materia di controllo sulla spesa sanitaria e farmaceutica, il cui procedimento di conversione s’intrecciò con l’entrata in vigore della l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3 (in G.U. n. 248 del 24 ottobre 2001), recante la riforma del Titolo V della Costituzione. La l. 405/2001, nel convertire il DL 347/2001, inserì un periodo all’art. 6, c. 1, disponendo che "…Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri… d’intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome… sono definiti i livelli essenziali di assistenza ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502…". Nella seduta del 22 novembre 2001, la Conferenza Stato-Regioni pervenne all’accordo sui LEA, che così costituì il presupposto del DPCM 29 novembre 2001, pubblicato in G.U. s.o. n. 28 dell’8 febbraio 2002.

Al riguardo, già la Sezione ha avuto modo d’osservare, in altro, seppur simile contesto, come l’art. 6, c. 1 del DL 347/2001 costituisca l’architrave normativo, in coerenza con il riparto di competenze fissato dalla l.c. 3/2001, della strategia di governo del SSN, coinvolgente in modo sostanzialmente paritario Governo e Regioni e solo prima facie mossa da mere esigenze di finanza pubblica, in realtà rivolta a fornire un assetto più equo e razionale e meno nocivamente assistenzialistico all’intero SSN e su tutto il territorio della Repubblica. La regola ex art. 6, c. 1 muove dall’esigenza di garantire che la spesa sanitaria complessiva, pur nella distinzione dei ruoli istituzionali dei vari livelli di governo coinvolti secondo il riparto di competenze da ultimo delineato dall’art. 117, commi II e III, Cost., non solo sia governabile e non superi i limiti concordati nel relativo patto di stabilità finanziaria interna, ma soprattutto contemperi la tutela della salute con l’ammontare effettivo delle risorse pubbliche disponibili, oltrechè con l’efficacia, la sicurezza e l’appropriatezza, alla luce delle conoscenze scientifiche mediche, delle prestazioni erogabili. Ogni richiamo al diritto alla salute ex art, 32 Cost, s’appalesa enfatico, se non è accompagnato sia dall’esatta indicazione delle risorse finanziarie pubbliche da riservare ai vari settori della sanità pubblica, sia da un complesso di stringenti regole che non controllino ed ottimizzino la spesa, sfrondandola quanto più è possibile da sprechi ed irrazionalità e liberando così ulteriori risorse per i settori sensibili e meno provveduti.

4. – Così chiarito per sommi capi il quadro fattuale di riferimento, reputa il Collegio la manifesta infondatezza della pretesa attorea, nella parte in cui pretende che il nuovo assetto costituzionale imponga l’uso della fonte primaria per la determinazione dei LEA, o perché questi ultimi, pur se previsti dall’art. 117, II c. lett. m), Cost., non riguarderebbero la materia della "tutela della salute" di cui al successivo III c., rientrante nella competenza legislativa regionale concorrente, oppure perché la competenza statale de qua, intersecando quella concorrente delle Regioni, dovrebbe esplicarsi solo con legge e limitarsi a fissare solo principi generali.

Per un verso, è attualmente ben vera l’esistenza di quel rapporto d’intersezione tra le due competenze, adombrata dalle ricorrenti, ma in un senso tutt’affatto diverso da quello cui si riferiscono. La l. c. 3/2001 ha determinato un evidente cambiamento dei poteri rispetto al previdente assetto costituzionale, laddove espressamente riconosce alle Regioni, oltre a quella concorrente nelle materie di cui al III c., anche una competenza legislativa propria generale nei casi ex IV c., lasciando allo Stato la competenza esclusiva soltanto per le materie elencate nel II c. Tra queste ultime, a’ sensi dell’art. 117, III c., lett. m), è compresa la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale". Che tale competenza riguardi pure i LEA sanitari non è revocabile in dubbio, ancorché ciò possa toccare e conformare eventuali competenze concorrenti regionali. Invero, la l.c. 3/2001 ha usato, in genere, il criterio di distribuzione concorrente, tra Stato e Regioni, delle materie per blocchi unitari e verticali, tranne quando ha ritenuto di dover garantire l’uniformità delle disciplina a livello nazionale – assicurando un trattamento uguale per tutti i consociati, aldilà d’ogni differenza o specificità locale o territoriale -, nel qual caso, pur regolandone la potestà legislativa esclusiva alla stessa stregua di quella afferente a materie propriamente dette, ha individuato non vere e proprie materie, bensì clausole generali, o categorie logico-giuridiche orizzontali, che incidono trasversalmente sulle singole materie, siano esse o no anche di competenza regionale. L’esercizio concreto della potestà legislativa statale, che può esser pleno o lasciare aspetti tecnici o minuziosi alla normazione secondaria, non solo dà significato alla clausola generale, ma, se si rivolge ad oggetti rientranti nelle materie regionali, allora ne conforma ed indirizza il contenuto, si da prevalere su ogni diversa scelta delle Regioni, mercè la regolazione omogenea e comune di tal oggetto.

Anzi, ad una lettura più precisa ed ancorata al dato testuale dell’art. 117 Cost., non v’è alcuna contraddizione, né tampoco conflitto tra la competenza statale sui LEA sanitari e quella regionale in tema di tutela della salute.

Infatti, la fissazione dei LEA da parte dello Stato anzitutto non fa recedere il potere regionale sull’approntamento discrezionale, negli ovvi limiti dei principi fondamentali previsti dalla legislazione statale, dei mezzi organizzativi necessari e acconci per rendere concreta ed efficace detta tutela. La clausola generale ex art. 117, III c. lett. m) opera su un piano logico diverso di detti principi generali, nel senso che serve a rammentare alle Regioni, se del caso indirizzandone la potestà regionale, il limite fondamentale di un interesse nazionale non generico o mutevolmente ancorato ad una maggioranza politica pro tempore, bensì espressivo di valori o bisogni sociali comuni di tutta la collettività e, come tali, indivisibili o, meglio, non localizzabili e, proprio per questo, derivanti dalla comune appartenenza di Stato e Regioni (art. 114, 1 c.) alla Repubblica una e indivisibile (art. 5). Nell’attuare i valori racchiusi in queste ultime norme, l’art. 117 prevede in se stesso e risolve la tipologia dei rapporti tra competenza statale e potestà regionale e, quindi, pone i diversi punti d’equilibrio tra eguaglianza e federalismo – la cui esigenza era avvertita e regolata anche nel previdente ordinamento -, a seconda del complesso di valori e bisogni che ciascuno di tali concetti esprime in diritto positivo. Occorre, quindi, leggere il rapporto tra LEA sanitarie potestà regionale in materia sanitaria necessariamente alla luce dell’art. 2 (principio solidaristico, che concerne i rapporti non solo tra gli individui, ma pure tra le diverse parti componenti della Repubblica), dell’art. 3 (principio d’eguaglianza formale e sostanziale, che implica la riduzione e l’eliminazione degli svantaggi sociali), dell’art. 5 (unità ed indivisibilità della Repubblica, per cui il destino di tutte le sue parti è inteso come comune) e dell’art. 32 (diritto alla salute). Pertanto, i LEA, che formano oggetto dell’intervento statale, spettano solo allo Stato e non sono suscettibili di regolazione differenziata a seconda delle esigenze d’autonomia sottese all’attribuzione della competenza legislativa a ciascuna Regione e, quindi, non possono esser confusi con i principi generali ex art. 117, II c., ult. per., potendo avere un contenuto anche ben più approfondito e stringente.

A tal conclusione è pervenuta pure la Corte costituzionale (cfr. C. cost., 26 giugno 2002 n. 282), invertita della legittimità costituzionale di una legge regionale in tema di trattamenti sanitari, ha al contempo affermato due dati essenziali, tali, ad avviso del Collegio, da metter finalmente in moto, secondo una modalità virtuosa, la novella ex l.c. 3/2001. Da un lato, la Corte ha affermato la spettanza allo Stato della fissazione dei LEA sanitari, quale competenza non già relativa ad una materia in senso stretto, bensì idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale è tenuto a fissare norme per assicurare a tutti il godimento di prestazioni garantite, senza che il legislatore regionale possa limitarle o condizionarle, a pena dell’intervento sostitutivo ex art. 120 Cost. Dall’altro, è ribadita l’impossibilità dello Stato d’adottare una normazione di dettaglio, pur se cedevole, nelle materie della legislazione concorrente regionale. La competenza in materia di LEA mette il legislatore statale in condizione di modulare variamente il proprio rapporto con il legislatore regionale, consentendogli sia d’indirizzarne, mercè la fissazione di principi o direttive) la competenza, sia di "scacciarla", scorporandone quegli elementi che altrimenti vi sarebbero inclusi. In questa seconda ipotesi, il legislatore regionale non può che abbandonare il campo alla decisione assunta dallo Stato, senza, dunque, che la competenza concorrente conservi alcun rilievo o possa condizionare il contenuto o le modalità d’effusione della competenza statale.

5. – Per altro verso non vale obiettare, come fanno le ricorrenti, quando, pur finalmente concedendo che i LEA sanitari spettino alla competenza esclusiva statale, debbano esser integralmente regolati solo con legge.

A differenza di ciò che opinano le ricorrenti, nessun dato testuale evincibile dalla l.c. 3/2001 induce a ritener che l’esercizio della potestà legislativa statale ex art. 117, l.c., lett. m), qualora intersechi materie di competenza regionale concorrente debba rispettare la previsione di cui al successivo III c., ult. per., che riserva alla legislazione dello Stato la determinazione dei soli principi fondamentali. Anzi, la testè citata sentenza n. 282/2002, nel vietare allo Stato di porre norme di dettaglio nei casi ex art. 117, III c. ult. per. – la previsione di norme statali di rango primario essendo colà prevista solo come principi-cornice della legislazione regionale – esclude l’uso di strumenti dedicati a tal ultimo scopo nei contesti della competenza statale esclusiva e, quindi, la commistione di istituti aventi finalità distinte.

Né tale conclusione è smentita dalla più recente giurisprudenza costituzionale (cfr. C. cost., 27 marzo 2003 n. 88), laddove la Corte ha censurato un decreto del Ministro della salute (nella specie, in materia di tossicodipendenze e di SERT), fondato su una previsione regolamentare contenuta in una disposizione legislativa ormai inutilizzabile dopo l’entrata in vigore della l.c. 3/2001.

Infatti, prevedendo detto DM l’obbligo, per Regioni e Province autonome, d’erogare LEA diversi ed ulteriori rispetto a quelli di cui al DPCM 29 novembre 2001 ex art. 6, c. 1 del DL 347/2001, la Corte l’ha ritenuto sia illegittimo perché adottato in violazione degli obblighi di consultazione con le Regioni stabilito dalle norme di settore e, quindi, del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni stesse, sia una fonte regolamentare incompatibile con il regime ex art. 117 II c. lett. m), Cost., ancorché facesse riferimento al DPCM 29 novembre 2001. Ebbene, la Corte afferma che le scelte operate con la competenza esclusiva statale in tema di LEA sanitari, che attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento d’una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti – pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto -, per la "… conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nella materia assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni…", "…almeno nelle loro linee generali…", devono esser "…operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori…". Nel settore sanitario, se già avevano provveduto l’art. 53 della l. 23 dicembre 1978 n. 833 e, quindi, l’art. 1 del Dlg 30 dicembre 1992 n. 502 ad ancorare l’attività del SSN ai livelli delle prestazioni sanitarie che devono esser comunque garantite a tutti i consociati, dopo l’entrata in vigore della l.c. 3/2001, l’art. 6, c. 1 del 347/2001 ha fatto riferimento proprio al Dlg 502/1992 quale parametro essenziale per l’esercizio della potestà legislativa ex art. 117, II c., lett. m), Cost., secondo i parametri testè evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale. Appunto nel combinato disposto dall’art. 1 del Dlg 502/1192 e dell’art. 6 c. 1 del DL 347/2001, oltrechè nei diversi accordi tra lo Stato e le Regioni prodromici a quello presupposto al DPCM 29 novembre 2001, si rinvengono le linee generali di rango legislativo, le adeguate procedure e le specificazioni opportune, indicate dalla giurisprudenza per fondare la legittimità costituzionale sia della fissazione statale dei LEA, sia del loro recepimento da parte delle singole Regioni.

Non sfugge al Collegio che, in un secondo tempo, l’art. 54 della l. 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria per il 2003) ha confermato per il futuro l’utilizzabilità dei LEA ex art. 1 c. 6 del Dlg 502/1992, affermando che le prestazioni riconducibili a questi ultimi, garantite dal SSN, sono solo quelle di cui al DPCM 29 novembre 2001. Ora, non spetta certo al Collegio valutare le ragioni per cui il legislatore statale, forse a ciò indotto da certe ondivaghe pronunce giudiziarie, pur di fronte a chiarissimi dati normativi, giurisprudenziali e dottrinali che concludevano nel senso fin qui esposto, ha ritenuto d’irrigidire per il futuro un procedimento già perfettamente delineato per la fissazione e l’eventuale modificazione dei LEA. Al Collegio importa in questa sede solo ribadire il suo perfetto adeguamento alla citata sentenza n. 88/2003, laddove afferma che l’art. 54 della l. 289/2002 "…ha previsto esplicitamente (quanto già era implicito nella preesistente disciplina e cioè) che eventuali modificazioni agli allegati del citato d.P.C.m. debbano essere definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Aldilà di ogni valutazione di merito sul procedimento configurato e sulla stessa adeguatezza dei livelli essenziali in tal modo individuati, resta indubbio che in tutto il settore sanitario esiste attualmente una precisa procedura, individuata con fonte legislativa, per la determinazione di quanto previsto nell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e che questa determinazione è intervenuta appunto con il d.P.C.m. 29 novembre 2001…". Va pertanto, respinta non solo la pretesa attorea inerente alla necessità della fissazione dei LEA solo con legge, ma anche quella che adombra nell’art. 54 della l. 289/2002 la natura di legge-provvedimento (e, quindi, la sua illegittimità costituzionale per esser stata emanata per aggirare giudicati sfavorevoli), in quanto non consta al Collegio, né le ricorrenti dimostrano alcunché al riguardo, l’esistenza d’almeno un giudicato favorevole alla loro prospettazione. Tanto non volendo considerare che la procedura ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, che, peraltro, conclude per la natura di riserva relativa di legge per la competenza statale ex art. 117, II c., lett. m), era già sancita dalle norme previgenti alla l. 289/2002.

6.1. – In ordine alla doglianza attorea sulla pretesa incompetenza della Giunta ad adottare i provvedimenti regionali impugnati, osserva il Collegio, in ciò confortato da autorevole dottrina, che le norme sulla competenza di quest’ultima in soggetta materia, sancita dall’art. 121, III c., Cost. e non contraddetta dalle disposizioni transitorie ex art. 5 l. cost. 22 novembre 1999 n. 1, siano immediate ed incondizionata efficacia nell’indicare proprio nella Giunta l’organo esecutivo della Regione, senz’uopo di necessario aggiornamento degli Statuti sul punto.

Invero, poiché l’art. 121 Cost. concerne la distribuzione delle funzioni istituzionali fondamentali tra i vari organi della Regione, senza rinviare a fonti subordinate, è evidente che le regole sulla competenza sono d’immediata applicabilità, indipendentemente dalla modificazione delle norme sostanziali e per l’evidente ragione della necessaria funzionalità del sistema in ossequio alla nuova forma di governo regionale introdotta dalla l.c. 1/1999. A ciò aggiungasi che, a differenza del passato, i regolamenti regionali ora non devono esser più promulgati dal Presidente, né sono più tra i poteri espressamente riservati o conservati al Consiglio, definitivamente qualificati come assemblea legislativa della Regione stessa, mentre, in base all’art. 121, IV c., la Giunta, sotto la direzione del Presidente, è chiamata ad esprimere un proprio indirizzo politico. Non sfugge al Collegio la possibilità di modifiche dello Statuto, ma ciò avrebbe senso, solo se lo Statuto stesso, in ogni caso emanato nelle forme del nuovo art. 123 Cost., intervenga per disporre ind eroga all’assetto generale delle competenze posto dal citato art. 121. Né sfugge la competenza consiliare ad esercitare, oltre alla potestà legislativa, l’esercizio di funzioni conferite dalla Costituzione o dalle leggi, ma il nuovo testo costituzionale non parla di attribuzioni regolamentari e il riferimento alle leggi implica la necessità che queste ultime indichino di volta in volta i casi in cui determinate funzioni siano svolte dai Consigli regionali. Infine, non è possibile inferire dal rango secondario dei regolamenti regionali, nella gerarchia delle fonti, argomenti ai fini dell’esatta individuazione della competenza ad emanare, atteso che la base normativa primaria, necessaria per fondare caso per caso la potestà regolamentare, è cosa tutt’affatto diversa dall’indicazione dell’organo a ciò competente, come stabilito dall’art. 121 Cost.

E’ appena da far presente che l’art. 123, I c., Cost. (nuovo testo) attribuisce si allo Statuto la fissazione, tra l’altro della forma di governo della Regione, ma pur sempre in armonia con la Costituzione, nel senso che lo Statuto non può aggirare i criteri di distribuzione del potere regionale già direttamente apprezzati dalla Costituzione stessa. Del pari, nessun serio argomento può esser desunto dal Collegio dall’invocata giurisprudenza (cfr. TAR Lombardia, 28 febbraio 2002, n. 868), giacchè essa risulta sospesa dal Consiglio di Stato (cfr. IV ord.za 9 aprile 2002 n. 2413). In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale (cfr. C. cost., 3 luglio 2002 n. 304) ha, di recente, voluto accogliere la tesi della dottrina costituzionalista, secondo cui il nuovo art. 123 Cost. non può riallocare giammai in capo al Consiglio la competenza regolamentare, perché lo Statuto è uno speciale atto-fonte primaria a competenza limitata, subordinata alla costituzione. Da ciò discende che, avendo la l.c. 1/1999 devoluto alla Giunta la competenza regolamentare in quanto espressiva della funzione esecutiva ex art. 121, la potestà regolamentare d’esecuzione e d’attuazione delle leggi regionali, nonché quella d’esecuzione d’ogni altra fonte primaria e quella sui regolamenti di delegificazione non può più esser sottratta all’Esecutivo regionale.

6.2. – Quanto al terzo motivo d’impugnazione, la Regione ben può intervenire direttamente nel recepire i LEA di cui al DPCM 29 novembre 2001, anche senza attendere le modifiche al nomenclatore tariffario nazionale – sempre ammesso che ciò sia più necessario -, una volta scaduto il termine (31 marzo 2002) entro cui il Governo v’avrebbe dovuto provvedere, con l’ovvio obbligo della Regione di tornare sul punto in caso di difforme statuizione statale.

Per quanto attiene al quarto motivo di ricorso, i LEA devono esser rispettati da tutte le Regioni, per cui esse sono sprovviste di discrezionalità nella loro attuazione, potendo, al più, evitare l’espunzione di una o più prestazioni solo se rinvengano in via autonoma le risorse occorrenti. Giova rammentare che, fin dalla novella del 1999, il Dlg 502/1992 ha creato una cornice di principi fondamentali per la definizione dei LEA che, seppur generici, circoscrivono indubbiamente l’ambito delle garanzie da assicurare a tutti i consociati. Inoltre, per LEA sanitari si deve intendere ciò che risponde a reali bisogni di salute, appropriato dal punto di vista dell’efficacia clinica e della modalità d’erogazione, che non può essere intaccato e che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale; essenziale, pertanto, non può di certo intendersi sinonimo di "minimo", ma significa ciò che effettivamente serva per rispondere alle esigenze di salute delle persone effettivamente bisognose delle cure stesse e che non possono permettersele. E’ appena da osservare che le prestazioni di laserterapia antalgica, elettroterapia antalgica, ultrasuonoterapia e mesoterapia possono e non devono essere ricomprese tra quella soggette al regime ex All. 2B al DPCM 29 novembre 2001, con l’ovvia conseguenza che occorre motivarne l’inclusione e non la conferma dell’esclusione.

E’irrilevante la denunciata retroattività degli impugnati provvedimenti regionali, perché, perlomeno dall’emanazione della nota assessoriale n. 24/0020/SP, intervenuta assai tempestivamente, i soggetti accreditati con il SSN per la branca della fisiokinesiterapia avrebbero dovuto, secondo l’ordinaria diligenza e la doverosa prudenza dettata da un comportamento di buona fede, esaurire le sole prestazioni iniziate prima della pubblicazione dell’impugnato DPCM e non effettuarne di nuove.

Spetta, infine, alla competenza regionale fissare, afferendo alla legislazione concorrente nelle materie delle professioni e della tutela della salute, le tariffe per le prestazioni espunte dai LEA ed effettuate in regime libero-professionale.

7. – In definitiva, i ricorsi in esame, come sopra riuniti, vanno rigettati, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono di compensare integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, riunisce e respinge i ricorsi in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 22 maggio 2003, in scioglimento della riserva apposta nella Camera di consiglio del 20 febbraio 2003.

Francesco CORSARO, Presidente

Silvestro Maria RUSSO, Estensore

Depositata in segreteria il 26 maggio 2003.

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