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Giurisprudenza
n. 3-2003 - © copyright.

TAR LIGURIA, SEZ. I – Sentenza 21 febbraio 2003 n. 225 - Pres. Vivenzio, Est. Ponte - Taddio ed altri (Avv. Mauceri) c.Comune di Levanto (Avv. Quaglia), Provincia di La Spezia (Avv.ti Barbieri e Maccione), Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Avv.ra Stato), Società Multiprogress S.r.l. (Avv.ti Gerbi, Giannini e Damonte) e con l’intervento ad adiuvandum di Associazione italiana per il World wide fund for nature e Legambiente (Avv. Casano) - (accoglie).

1. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Impugnazione - Legittimazione - Va riconosciuta ai proprietari dei terreni vicini.

2. Giustizia amministrativa - Acquiescenza - Nozione - Individuazione - Adesione con riserva ad un proposta in sede di conferenza di servizi - Non comporta acquiescenza.

3. Ambiente - Boschi e foreste - Divieto di attribuire un destinazione diversa per 15 anni ai boschi ed ai pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco - Ex art. 10 L. 353 del 2000 - Prevalenza di tale disposizione sulle difformi previsioni delle leggi regionali - Sussiste anche dopo la modifica del Titolo V della Costituzione - Fattispecie.

4. Regioni - Leggi regionali - Compatibilità costituzionale delle leggi statali con le leggi regionali - A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione - Va verificata con riferimento alla data di adozione della legge regionale.

5. Ambiente - Generalità - Non costituisce una vera e propria materia - Divieto di attribuire un destinazione diversa per 15 anni ai boschi ed ai pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco - Ex art. 10 L. 353 del 2000 - Costituisce un principio generale non derogabile in sede regionale.

6. Ambiente - Boschi e foreste - Divieto di attribuire un destinazione diversa per 15 anni ai boschi ed ai pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco - Ex art. 10 L. 353 del 2000 - Appare costituzionalmente legittimo.

7. Giustizia amministrativa - Tutela cautelare - Costituisce una forma di reintegrazione dell’interesse giuridico violato - Effetti prodotti - Sono anche quelli di impedire il prodursi del danno.

8. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante da lesione di interessi legittimi - Nel caso di concessione della tutela cautelare - Prova del danno ulteriore o pregresso - Necessità - Mancanza - Inaccoglibilità della domanda di risarcimento.

1. La legittimazione ad impugnare una concessione edilizia va riconosciuta in capo a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, qual è quello della osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione (1).

2. Non preclude l'impugnativa né implica acquiescenza la circostanza che, in sede di conferenza dei servizi ex art. 14, l. 7 agosto 1990 n. 241, l’interessato abbia convenuto sulla conclusione del procedimento mediante il rilascio della concessione edilizia per un solo fabbricato, con riserva, peraltro, di verificare e rivendicare ulteriori diritti edificatori sul terreno interessato, dal momento che l’acquiescenza deve derivare da un atto non equivoco, tale cioè da non lasciare dubbi sulla volontà dell'interessato di disporre della propria posizione giuridica soggettiva; a maggior ragione va esclusa qualsiasi acquiescenza nel caso in cui, prima di impugnare una concessione edilizia, non sia stato impugnato un atto di pianificazione generale ormai superato (2).

3. L’art. 10 della legge 353 del 2000 (il quale, tra l’altro prevede che "le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni"), deve prevalere sulle eventuali contrarie disposizioni di livello regionale, essendo diretta a disciplinare ambiti ed a perseguire interessi attribuiti alla sfera di cognizione principale dello Stato; deve pertanto ritenere che sussiste il divieto previsto dalla citata legge anche a seguito dell’approvazione del Titolo V della Costituzione ed anche in assenza del piano regionale contro gli incendi boschivi (3).

4. La valutazione della compatibilità costituzionale di una norma deve essere scrutinata alla luce delle disposizioni costituzionali sulla competenza vigenti nel momento in cui l’atto in questione è stato adottato, non rilevando di norma il successivo mutamento del parametro conseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione (4).

5. La tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una materia, essendo l’ambiente da considerarsi un valore costituzionalmente protetto che riguarda altresì campi di azione amministrativa connessi ma distinti, quali ad esempio il governo del territorio e la tutela della salute; di conseguenza, le suddette finalità ambientali possono riguardare anche provvedimenti su "materie" distinte ma pur sempre legate alla tutela di un valore di tale rilievo (5). Da ciò discende che, comunque, il valore ambiente protetto con l’art. 10 della legge 353 del 2000, dettata dalla discrezionalità del legislatore, ed i relativi principi non possono che investire anche gli ambiti eventualmente rimessi alla potestà normativa regionale: quest’ultima, pertanto, non può derogare alle indicazioni fondamentali connesse alla tutela del valore suddetto.

6. La legge 353 del 2000 appare conforme ai parametri costituzionali di ragionevolezza sia in quanto generalmente diretta a tutelare principi fondamentali dell’ordinamento, sia in quanto le singole prescrizioni in essa contenute appaiono sostanzialmente rientranti nella discrezionalità del legislatore: non c’è alcune palese illogicità, atteso che una volta conferita preminenza alla tutela dei beni collettivi suddetti costituzionalmente rilevanti, l’imposizione di un limite alle attività edificatorie svolte nell’interesse strettamente privatistico appare razionale, possibile e comunque rientrante nell’ambito di discrezionalità riservato al legislatore.

7. Le misure cautelari nel processo amministrativo - le quali vengono ricondotte da un orientamento giurisprudenziale alla categoria del risarcimento in forma specifica, quale modalità riparatoria particolarmente efficace, in funzione preventiva, della lesione di interessi legittimi - più che un vero e proprio risarcimento in forma specifica, costituiscono una forma di reintegrazione dell’interesse giuridico violato, la quale ha l’effetto specifico di impedire il prodursi del danno; le misure cautelari operano infatti per il futuro in funzione preventiva-inibitoria, risultando quindi inidonee a restaurare le conseguenze pregiudizievoli già maturate nella sfera giuridico-patrimoniale del danneggiato a seguito del fatto illecito storicamente accaduto.

8. Anche se non può escludersi che la misura cautelare con funzione reintegratoria sia sufficiente a riparare il danno verificatosi nei confronti del ricorrente, in ogni caso grava quindi su quest’ultimo la prova, oltre che del (consueto) nesso di causalità fra il comportamento dell’amministrazione e il danno sofferto, della stessa esistenza dello specifico danno che residua dopo l’esecuzione della misura cautelare (alla stregua del principio il T.A.R. Liguria, ritenuto che era stata concessa la sospensione interinale dell’efficacia dei provvedimenti impugnati la quale appariva elidere, quantomeno in astratto, il danno lamentato e che la parte ricorrente non aveva fornito alcun elemento in ordine alla sussistenza di un danno residuo, ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni genericamente avanzata con il ricorso introduttivo e non approfondita nell’ambito delle memorie conclusive).

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(1) Cfr. da ult. Cons. Stato, sez. V, 30 gennaio 2003 n. 469, in questa Rivista n. 2-2003 ed ivi ulteriori riferimenti.

Alla stregua del principio nella specie è stata riconosciuta la legittimazione dei ricorrenti, atteso che questi risultavano proprietari di immobili contigui al terreno per il quale era stata rilasciata la impugnata concessione edilizia (riguardante un grande complesso ricettivo alberghiero); i ricorrenti stessi,m secondo quanto rilevato dal T.A.R. Liguria, verrebbero ad essere interessati dall’intervento edilizio anche in merito all’utilizzo delle strade nonché delle ulteriori strutture di rilievo urbanistico ed edilizio valutabili in termini di aumento del peso insediativo.

(2) Cfr. T.A.R. Lazio - Latina, 17 dicembre 1999, n. 1020, in Foro amm. 2000, p. 1145, secondo cui la circostanza che in sede di conferenza dei servizi ex art. 14, l. 7 agosto 1990 n. 241, il richiedente abbia convenuto sulla conclusione del procedimento mediante il rilascio della concessione edilizia per un solo fabbricato, con riserva, peraltro, di verificare e rivendicare ulteriori diritti edificatori sul terreno interessato, non preclude l'impugnativa né implica acquiescenza, dal momento che questa deve derivare da un atto non equivoco, tale cioè da non lasciare dubbi sulla volontà dell'interessato di disporre la propria posizione giuridica soggettiva".

(3) Alla stregua del principio è stato ritenuto che l’art. 10 della legge 353 del 2000 prevaleva sull’art. 46 l. reg. Liguria n. 4/1999, secondo cui "tutte le zone boscate distrutte o danneggiate dal fuoco non possono avere per almeno quindici anni una disciplina urbanistica che introduca uno sfruttamento edificatorio delle relative aree ovvero una loro maggiore potenzialità edificatoria rispetto a quella vigente al momento dell'incendio, fatta eccezione per i mutamenti di destinazione d'uso che si rendano necessari ai fini della realizzazione di: a) opere pubbliche o spazi pubblici; b) opere volte all'antincendio boschivo; c) impianti tecnologici, in condotta o in cavo, compresi quelli aerei, anche se realizzati da soggetti privati."

Secondo il T.A.R.Liguria, in particolare, "la potestà legislativa concorrente sussiste per varie materie, fra le quali alcune in ipotesi possono ricomprendere una parte dell’ambito tutelato dalla disposizione in oggetto: urbanistica, agricoltura e foreste. Peraltro, tale potestà legislativa deve sempre essere esercitata ed inquadrata nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato: orbene, questi ultimi nel caso di specie risultano espressi dalla legge 353, non solo per la previsione specifica e letterale di cui all’art. 1 comma 1 (a tenore della quale appunto le disposizioni della presente legge sono finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita e costituiscono principi fondamentali dell'ordinamento ai sensi dell'art. 117 della Costituzione), ma anche alla luce della natura delle disposizioni stesse, costituenti diretta applicazione di principi superiori dell’ordinamento previsti e tutelati dagli artt. 2, 9 e 32 Cost.: ciò giustifica altresì la richiamata previsione dell’intervento sanzionatorio di livello penale".

(4) Cfr. Corte Cost., sent. 30 gennaio 2003 n. 13, in questa Rivista n. 1-2003; v. anche la sent.  4 dicembre 2002 n. 507.

(5) Cfr. Corte Cost., sentenza 26 luglio 2002 n. 407 e sent. 20 dicembre 2002 n. 536, entrambe pubblicate in questa Rivista nn. 7/8-2002 e 12-2002.

 

 

(omissis)

per l'annullamento

della concessione edilizia n. 29 del 31/7/2002 rilasciata dal Capo Settore III LL.PP/Edil. Pubbl. e Privata del Comune di Levanto alla Società Multiprogress S.r.l. "ai sensi dell’art. 1 della L. 28 gennaio 1977, n. 10 ed ai fini e per gli effetti delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali di cui all’art. 151 del D.Lgs 490/1999" in relazione al "P.P. di iniziativa pubblica relativo alla zona turistico alberghiera D3 in località Vallesanta in variante connessa al PRG vigente, adottato dal Comune di Levanto con deliberazione consiliare. 91 dell’11/12/2001", approvato con decreto del Presidente della Provincia della Spezia n. 17992/8586 in data 25 marzo 2002; nonchè per l’annullamento di ogni atto o provvedimento comunque collegato, connesso, preparatorio, presupposto, antecedente o conseguente, nessuno escluso od eccettuato ed in particolare del verbale della "Conferenza dei Servizi, ex p.to 3.2.2 dell’accordo fra le amministrazioni per l’attuazione del contratto d’area della Provincia della Spezia in sede deliberante", tenutasi presso il Comune di Levanto in data 31 luglio 2002, recante l’approvazione del progetto di nuova edificazione di "residenza turistico alberghiera a quattro stelle in Loc. Vallesanta"; della delibera della Giunta Regionale n. 633 in data 21 giugno 2002, con cui la Regione Liguria "si è pronunciata nel senso che" il progetto de quo "non debba essere assoggettato a procedura di via ai sensi della L.R. 38/98"; nonchè occorrendo di tutti gli atti e provvedimenti di adozione ed approvazione dello S.U.A. relativo alla Zona D3 Vallesanta già fatti oggetto di impugnativa; del decreto del Presidente della Provincia datato 25/3/2002 di cui sopra; della delibera consiliare n. 91 dell’11/12/2001 di adozione dello S.U.A., del voto cTU della Provinciali La Spezia n. 264 del 21/3/2002, delle delibere consiliari nn. 3/2002, 28/2002 aventi ad oggetto adeguamenti e controdeduzioni sulle osservazioni allo stesso S.U.A., 4/2001 e 42/2001 relative allo stesso strumento; del p.U.C. adottato dal Comune di Levanto con delibera n. 63 del 27/7/2001 nella parte in cui colloca l’intervento de quo nell’ambito della riqualificazione contratti d’area;

per l’accertamento

e la conseguente condanna delle intimate amministrazioni al risarcimento dei danni subiti da parte dei ricorrenti in conseguenza dell’illegittimità degli atti impugnati;

(omissis)

FATTO

Con il gravame introduttivo del giudizio gli odierni ricorrenti, nella qualità di proprietari di immobili siti in territorio del Comune di Levanto nel complesso denominato Club Cala Cristina, esponevano di aver appreso che in data 26/1/2001 il consiglio comunale aveva adottato il piano particolareggiato di iniziativa pubblica relativo alla zona D3 – Vallesanta, contigua agli immobili suddetti, concernente la costruzione di un grande complesso ricettivo alberghiero.

La zona Vallesanta, interessata da un vasto incendio nell’estate del 1999, risultava di interesse regionale ex art. 24 l. 47/85 e vincolata a fini paesistici ex art. 139 d.lgs. 490/99. Il piano suddetto, anche sulla scorta degli impegni di cui al contratto d’area della Provincia intimata stipulato in data 22/6/99, ampliava il perimetro della zona D3 come individuato dalla pianificazione generale vigente (PRG del 1977 con variante generale del 1997), comprendendo un’area originariamente ricadente in zona F2 – parchi territoriali.

In seguito alle osservazioni della commissione edilizia integrata e del comitato tecnico urbanistico della Provincia odierna resistente, l’amministrazione comunale procedeva a rielaborare il piano, che veniva approvato con decreto del Presidente della Giunta provinciale del 25/3/2002 in variante al PRG, con riserva di osservazioni e prescrizioni del medesimo comitato tecnico. Con delibera n. 28 del 2/4/2002 il Comune recepiva le osservazioni allo strumento attuativo.

Proposto il ricorso introduttivo avverso gli atti predetti di approvazione, la società Multiprogress otteneva la concessione edilizia n. 29 del 31/7/2002 sulla base della quale iniziava i lavori di realizzazione del complesso suddetto; ciò in seguito all’esito positivo della Conferenza di servizi tenutasi in pari data presso il comune di Levanto, nell’ambito della quale veniva approvato in via definitiva il progetto dell’insediamento alberghiero suddetto.

Agli atti impugnati si muovevano pertanto le seguenti censure:

- violazione della legge quadro in materia di incendi boschivi n. 353/2000, eccesso di potere per difetto di istruttoria, presupposto e motivazione, alla luce del divieto di edificare per dieci anni su aree interessate dal fuoco;

- violazione del contratto d’area della Spezia del 22/6/99, eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria e presupposto per mancata acquisizione del nulla osta della Soprintendenza;

- violazione della l.r. 9/93 e del DPR 238/99, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione per illegittima copertura di corsi d’acqua pubblici;

- violazione degli artt. 6 n.t.a PP e 9 n.t.a. PRG, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, per erroneo conteggio geometrico e non urbanistico dei volumi oggetto di demolizione e ricostruzione;

- violazione del DM 2/4/68, dell’art. 2 l.r. 36/97 e del principio di proporzionalità, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, illogicità, per errato calcolo degli standards;

- violazione del DM 2/4/68, dell’art. 2 l.r. 36/97, della l.r. 24/87, del principio di proporzionalità e dei principi di pianificazione, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, illogicità, per errata progettazione urbanistica del verde pubblico;

- violazione del PTC paesistico, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;

- violazione dell’art. 4 comma 3 DM 2/4/68, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, illogicità e contraddittorietà, per violazione degli standards in tema di parcheggi;

- violazione degli artt. 8 e 9 l.r. 24/87, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, sviamento per illegittimo ampliamento del perimetro del piano;

- violazione degli artt. 8 l.r. 24/87 e 2 l.r. 2/97, del principio di proporzionalità, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, illogicità, per difetto di adeguata illustrazione quale variante al PRG;

- violazione del PTCP regionale ed incompatibilità del progetto planovolumetrico, della l.r. 36/97 art. 2 e della l.r. 11/82, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà, per illegittima previsione di due soli organismi edilizi;

- illegittimità derivata dalla approvazione provinciale, per violazione degli artt. 3 l. 241/90, 4 l. 24/87 e l.r. 36/97, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e motivazione, sviamento, in quanto il progetto era sostanzialmente analogo a quello in precedenza non approvato, nonché per genericità delle prescrizioni date in sede di autorizzazione di massima;

- quali motivi aggiunti, illegittimità derivata nei confronti della concessione edilizia, del verbale di conferenza di servizi, nonché illegittimità della delibera regionale n. 633/2002 che ha escluso la necessità di VIA per violazione dell’art. 10 l.r. 38/98, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto, contraddittorietà ed illogicità.

Le amministrazioni intimate e la società controinteressata, costituitisi in giudizio, chiedevano la declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse in capo ai ricorrenti ed il rigetto del gravame per infondatezza nel merito.

Con ordinanza cautelare n. 608/2002 questo Tribunale amministrativo regionale disponeva la sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.

Alla pubblica udienza del 9/1/2003, in vista della quale le parti depositavano articolate memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

La complessa vicenda oggetto del presente giudizio concerne l’intervento assentito in via definitiva, al termine di un lungo iter procedimentale, con il rilascio della concessione edilizia n. 29 del 31/7/2002, relativo alla realizzazione di un progetto di nuova edificazione di una residenza turistico alberghiera in località Vallesanta, in attuazione di uno strumento attuativo approvato con provvedimenti del pari oggetto di impugnazione in questa sede.

In via preliminare, occorre procedere ad esaminare le eccezioni formulate dalle difese delle odierne parti resistenti in termini di inammissibilità del gravame. In particolare, viene sollevata la questione relativa alla carenza di interesse al ricorso in capo agli odierni ricorrenti in ordine all’impugnazione dei titoli edilizi sulla base dei quali si realizza l’intervento in questione; al riguardo, viene richiamata la giurisprudenza di questo Tribunale espressa in specie attraverso la sentenza n. 397 del 2002.

La necessità di dissipare i dubbi che paiono emergere dall’impreciso riferimento ad una diversa fattispecie, impone di riportare testualmente i passaggi richiamati di tale pronuncia: "la giurisprudenza, anche di questo stesso T.A.R., ha più volte riconosciuto l’interesse ad impugnare una licenza edilizia rilasciata a terzi da parte del proprietario di aree vicine a quelle ove devono realizzarsi le opere, in ragione dello stabile collegamento con la zona oggetto di intervento, senza necessità della prova di ulteriori specifici danni.

A ben vedere, però, il presupposto assunto a base di tale enunciazione di principio, è rinvenibile nella circostanza per cui il contestato intervento venga ad incidere in modo apprezzabile sugli assetti edilizi, urbanistici od ambientali relativi all’intera zona considerata, e quindi implicitamente anche sugli interessi dei soggetti a questa collegati in modo stabile e concreto.

Ed è in questo senso che la richiamata giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione del terzo "radicato nella zona", ad impugnare una concessione edilizia che consentisse una nuova edificazione oggettivamente in grado di incidere sull’assetto urbanistico-edilizio della zona stessa, ovvero che limitasse un’area destinata a verde, o che intervenisse sui parametri urbanistici garantiti dalle prescrizioni del P.R.G., o che interessasse i particolari valori architettonici ed ambientali esistenti, e che quindi determinasse una apprezzabile modifica dell’assetto territoriale preesistente nel senso considerato.

In altri termini, a giudizio del Collegio, l’assunto per cui in materia urbanistica si deve riconoscere la legittimazione attiva ai soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della concessione edilizia, non può comunque prescindere dalla verifica della sussistenza in concreto di un loro interesse differenziato, alla stregua del generale principio che regola l’accesso alla tutela giurisdizionale amministrativa avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione."

Il chiaro senso delle affermazioni di principio appena riportate non può essere forzato oltre il senso logico delle parole stesse; inoltre, la fattispecie oggetto della pronuncia richiamata riguardava un intervento di recupero di un manufatto esistente e oggetto di precedente sanatoria, la realizzazione del quale non avrebbe comportato alcun sostanziale peggioramento del carico urbanistico né di aumento in termini di traffico, atteso che la struttura era già in precedenza operante ed esistente, pur se in condizioni di fatiscenza, ed utilizzata a parcheggio.

Diversamente, nel caso di specie oggetto dell’impugnazione sono gli atti sulla base dei quali si viene a realizzare un nuovo e rilevante intervento edilizio nelle immediate vicinanze (per uno dei due corpi si può ragionare in termini di metri) degli immobili di proprietà degli odierni ricorrenti; in senso contrario, cioè estendendo in maniera impropria e suggestiva il chiaro principio di cui alle massime tratte dalla costante giurisprudenza di questo Tribunale (cfr. ad es. sentenza n. 855 del 2002), si verrebbe a rendere sostanzialmente inoperante una norma fondamentale, quale appare in materia quella di cui all’art. 31 comma 9 l. 17 agosto 1942 n. 1150, come novellato dalla l. 6 agosto 1967 n. 765 - che consente a "chiunque" di impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime.

Al riguardo, le preoccupazioni sottese alla natura del giudizio amministrativo risultano già poste a fondamento della prevalente opinione giurisprudenziale che ha escluso in materia la qualificazione in termini di azione popolare (cfr. ad es. Consiglio Stato sez. V, 13 luglio 2000, n. 3904); quindi, a fronte del dettato normativo e dei principi generali in tema di interesse concreto ed attuale al ricorso, ulteriori limitazioni devono essere oggetto di specifiche considerazioni, derivanti dall’insussistenza di qualsiasi possibile pregiudizio nella singola fattispecie.

In tal senso, l’eccessiva contrazione dei presupposti per l’impugnativa in materia, oltre a porsi in evidente contrasto con la chiara disposizione normativa, viene a stridere con i principi di cui agli artt. 24, 103, 111 e 113 della Costituzione, sulla scorta dei quali occorre assicurare una adeguata tutela delle situazioni giuridiche soggettive, fra le quali non possono che essere ricompresi gli interessi dei proprietari di immobili al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio della zona.

Va pertanto ribadito che a seguito del rilascio di un titolo concessorio di natura edilizia la posizione legittimante alla impugnativa sussiste in capo a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello della osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione (cfr. ad es. sentenza n. 588 del 2002 di questo Tribunale e Consiglio di Stato sez. V 30 gennaio 2003 n. 469). Ciò sussiste nel caso di specie alla luce della proprietà di immobili contigui in capo agli odierni ricorrenti, i quali verrebbero ad essere interessati dall’intervento anche in merito all’utilizzo delle strade nonché delle ulteriori strutture di rilievo urbanistico ed edilizio valutabili in termini di aumento del peso insediativo.

Del pari infondata appare l’eccezione preliminare di inammissibilità per intervenuta acquiescenza, in quanto non sarebbero state impugnate le previsioni di cui alla variante generale al PRG del 1997 ed ai successivi indirizzi pianificatori, immediatamente lesive e delle quali gli atti impugnati costituirebbero mera esecuzione.

Tale prospettazione appare prima facie destituita di fondamento, sia in considerazione delle rilevanti modifiche che hanno interessato nel tempo la pianificazione attuativa oggetto di impugnazione, sia alla luce della natura stessa dello strumento di attuazione rispetto alla pianificazione generale. Al riguardo, sarebbe oltretutto sufficiente richiamare il contenuto dello strumento approvato con il decreto impugnato attraverso il ricorso originario, tanto è vero che la rielaborazione del piano in esame è stata approvata anche in termini di variante alla vigente pianificazione come disciplinata dal 1997.

Da ciò ne consegue l’assoluta inconsistenza nel caso di specie della presunta acquiescenza: a tale proposito, in materia è stato correttamente affermato in giurisprudenza come neppure la circostanza che in sede di conferenza dei servizi ex art. 14, l. 7 agosto 1990 n. 241, l’interessato abbia convenuto sulla conclusione del procedimento mediante il rilascio della concessione edilizia per un solo fabbricato, con riserva, peraltro, di verificare e rivendicare ulteriori diritti edificatori sul terreno interessato, non precluda l'impugnativa né implichi acquiescenza, dal momento che questa deve derivare da un atto non equivoco, tale cioè da non lasciare dubbi sulla volontà dell'interessato di disporre della propria posizione giuridica soggettiva (cfr. ad es. T.A.R. Lazio sez. Latina, 17 dicembre 1999, n. 1020). A maggior ragione va esclusa qualsiasi acquiescenza nel caso de quo dove, a fronte dell’approvazione di uno strumento attuativo e del successivo rilascio di una connessa concessione, in variante rispetto alla vigente pianificazione generale, da nessun atto o comportamento può trasparire qualsiasi presunto assenso degli odierni ricorrenti a causa del silenzio mantenuto avverso una pianificazione generale ormai superata.

Deve pertanto procedersi all’esame del merito delle censure dedotte. Con il primo motivo di gravame, ribadito in termini di motivo aggiunto avverso la concessione edilizia rilasciata successivamente all’impugnazione dell’approvazione dello strumento attuativo a monte, parte ricorrente lamenta la violazione della legge n. 353 del 2000 in materia di incendi boschivi, nonché diversi profili di eccesso di potere, in quanto i titoli edilizi sarebbero stati rilasciati nonostante la vigenza del divieto di edificare per dieci anni trattandosi di aree interessate dal fuoco.

Le parti resistenti eccepiscono da un lato l’irrilevanza della norma statale richiamata, specie a fronte della normativa regionale che assumerebbe rilievo preminente in quanto legge speciale in materia di competenza regionale, dall’altro lato la necessità di fornire un’interpretazione ragionevole, pena l’incostituzionalità, della norma citata da parte ricorrente, tale quindi da circoscrivere gli effetti della stessa; viene altresì eccepito, nell’ambito delle memorie conclusive, l’insussistenza nel caso di specie di un’area boscata.

Prima di procedere ad esaminare la normativa di cui alla legge quadro n. 353 del 2000 ed il rapporto con la legislazione regionale, occorre compiere alcuni accertamenti in linea di fatto.

Innanzitutto, appare pacifico, in quanto non contestato oltre che desumibile dagli accertamenti svolti dagli organi comunali, provinciali e dal corpo forestale dello Stato, che la zona in questione è stata interessata e percorsa dagli incendi del luglio 1999 (a titolo di esempio è sufficiente richiamare la nota 31/5/2002 del dirigente del settore comunale competente, allegata al verbale della conferenza di servizi di pari data).

In secondo luogo, la natura di area boscata emerge da una serie di elementi: in via di fatto, assumono rilievo le circostanze desumibili dai verbali e dall’attività di accertamento svolta dal Corpo forestale dello Stato (cfr. ad es. verbale del sopralluogo del 18/10/2002) nonché le risultanze fotografiche prodotte da tutte le parti; in linea di diritto, emerge pacificamente che l’area in questione risulta sottoposta a vincolo paesistico ambientale, per effetto dei decreti ministeriali 3/8/59 e 24/4/85, a norma della legge 1497/39 (attualmente corrispondente all’art. 139 d.lgs. 490/99). Più in generale, la natura della zona emerge altresì dall’analisi dello studio organico d’insieme (documenti 43 e ss. di parte ricorrente), dove si da atto, nella relazione illustrativa, che la parte superiore è caratterizzato dalla presenza di macchia mediterranea nonché di alberi di pino; inoltre, dall’analisi delle tavole 3 e 3 bis, denominate uso del suolo (doc. n. 46 di parte ricorrente), emerge lo stato anteriore e successivo al passaggio del fuoco. Al riguardo, premessa la conferma nelle predette tavole del passaggio del fuoco nella quasi totalità della zona interessata dall’intervento (parte indicata dalle linee oblique), la presenza della macchia mediterranea e degli alberi, in gran parte pini, risulta caratterizzare gran parte della medesima area: se ciò assume rilievo con particolare riferimento allo stato ante incendio, stante le finalità della normativa in questione, trova peraltro conferma nella situazione successiva, caratterizzata dal riformarsi di analoghe caratteristiche ambientali.

La destinazione già in origine prevista per la zona non esclude di per sé la possibilità di qualificare la stessa in termini di area boscata e di pregio ambientale, come confermato ad esempio dalle prescrizioni del piano territoriale di coordinamento paesistico dove lo sviluppo degli insediamenti deve essere confacente sotto il medesimo profilo paesistico ambientale, anche attraverso il mantenimento e la tutela del paesaggio caratterizzato dalla vegetazione totalmente o anche parzialmente boscata (cfr. ad es. artt. 69 e 74 n.t.a. del p.t.c.p.).

Tanto premesso, occorre procedere ad esaminare la normativa richiamata da parte ricorrente e l’applicabilità della stessa alla presente fattispecie; a quest’ultimo riguardo, l’analisi della copiosa documentazione agli atti evidenzia come le amministrazioni odierne resistenti si siano poste il relativo problema nel corso dell’iter procedimentale, giungendo ad un esito negativo non sulla scorta dell’assenza dei necessari elementi presupposti in linea di fatto nella zona in questione, quanto piuttosto sotto un profilo strettamente normativo, sulla scorta di una ritenuta prevalenza delle disposizioni di livello regionale (cfr. documenti 8, 9 e 10 prodotti dalla società controinteressata, relative alle note rese sul punto dalle amministrazioni comunale, provinciale e regionale odierne resistenti).

Il corretto inquadramento della normativa di cui alla legge n. 353 del 2000 impone di richiamare, in via preliminare, il testo dell’art. 1, a tenore del quale "le disposizioni della presente legge sono finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita e costituiscono princìpi fondamentali dell'ordinamento ai sensi dell'art. 117 della Costituzione". Tale previsione assume rilievo sia al fine di individuare gli interessi pubblici sottesi ai divieti ed ai limiti dettati successivamente, sia in ordine al rapporto con le eventuali disposizioni regionali.

La norma in concreto rilevante nella presente fattispecie risulta essere l’art. 10 comma 1 della legge 353 cit., che pertanto appare opportuno richiamare per esteso: "1. Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia".

Il successivo comma 2 statuisce che: "i comuni provvedono, entro novanta giorni dalla data di approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell'art. 3, a censire, tramite apposito catasto, i soprassuoli già percorsi dal fuoco nell'ultimo quinquennio, avvalendosi anche dei rilievi effettuati dal Corpo forestale dello Stato".

Sulla base di tale ultima disposizione, le amministrazioni resistenti ritengono allo stato non operativi i limiti ed i divieti precedenti in quanto le amministrazioni non avrebbero ancora ottemperato ai suddetti obblighi amministrativi di accertamento.

Tuttavia, tale prospettazione appare prima facie viziata da illogicità; infatti, non appare conforme allo spirito della norma, ai principi generali dell’ordinamento ed al corretto perseguimento degli interessi pubblici connessi e desumibili altresì dall’art. 1 della medesima legge 353, ritenere che l’operatività dei divieti e, più in generale delle prescrizioni fondamentali della norma, oltretutto caratterizzati dalla sanzione penale in caso di violazione (dettata dal successivo comma 4), possa essere subordinata all’effettivo adempimento di un’attività amministrativa di mera certificazione ed elencazione, quindi dichiarativa e non costitutiva. Così ragionando, il perseguimento di principi fondamentali dello Stato sarebbe subordinato, sine die, alla volontà di organi amministrativi locali operanti non nell’ambito delle proprie indefettibili prerogative di perseguimento del pubblico interesse per le rispettive comunità locali ma in sede di mera attività di certificazione delegata da una legge fondamentale dello Stato.

Le considerazioni appena svolte evidenziano la necessità di richiamare altresì il successivo comma 4: "nel caso di trasgressioni al divieto di realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive su soprassuoli percorsi dal fuoco ai sensi del comma 1, si applica l'articolo 20, primo comma, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone la demolizione dell'opera e il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile."

La previsione della sanzione penale per la violazione del divieto di cui al comma 1 da un lato costituisce conferma della rilevanza dei principi sottesi alla prescrizione in esame, dall’altro trova la propria giustificazione proprio in considerazione della necessità di tutelare interessi considerati preminenti dall’ordinamento.

Il richiamo della norma penale impone di prendere in esame uno degli argomenti utilizzati, in sede di discussione, dalla difesa della società controinteressata al fine di escludere la rilevanza e l’applicabilità della norma alla presente fattispecie: si sostiene infatti che il richiamo all’art. 20 lett c) l. 47/85 limiterebbe l’operatività della norma alle ipotesi dalla stessa indicate, cioè la lottizzazione abusiva e gli interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza della concessione.

Tale prospettazione, pur se brillantemente esposta, appare suggestiva ed infondata.

Invero, il rinvio operato dalla norma di cui al comma 4 art. 10 l. 353 all’art. 20 lett. c) l. 47 cit. è evidentemente quoad poenam, cioè solo al fine di individuare la sanzione da applicare: ciò emerge dal fatto che la norma detta autonomamente ed in termini esaustivi il comportamento oggetto di sanzione, limitandosi a non indicare la pena per la quale appunto richiama altra ipotesi connotata da elementi di analogia sotto il profilo generale degli interessi pubblici ambientali tutelati; inoltre, la natura del rinvio emerge altresì dalla successiva indicazione autonoma delle sanzioni accessorie, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 20 suddetto in quanto limitato ai limiti edittali di pena. Infine, nel caso di specie la zona interessata risulta comunque sottoposta a vincolo paesistico ambientale (come indicato nella stessa concessione edilizia impugnata), cosicché anche sotto tale profilo l’argomento di parte controinteressata appare inconferente.

Proseguendo nell’esame dell’art. 10 comma 1 l. 353 cit., l’applicabilità alla presente fattispecie emerge, in primo luogo, dalla individuata natura di area boscata della zona in questione; al riguardo, oltre agli elementi desumibili dalle considerazioni sopra svolte in ordine alle risultanze delle relazioni descrittive della macchia mediterranea e degli alberi di pregio esistente, assumono rilievo l’apposizione del vincolo ambientale e la necessità di adottare un’interpretazione non restrittiva nella determinazione della nozione di area boscata (cfr. ad es. in tal senso, ai diversi ma connessi fini penali dove oltretutto una tale direzione ermeneutica si percorre solo sulla base di adeguate cautele, Cassazione penale sez. I, 30 aprile 2001, n. 25935).

In secondo luogo, la normativa in esame deve prevalere sulle eventuali contrarie disposizioni di livello regionale: al riguardo, le parti resistenti richiamano l’art. 46 l.r. 4/99 il quale prevede che "tutte le zone boscate distrutte o danneggiate dal fuoco non possono avere per almeno quindici anni una disciplina urbanistica che introduca uno sfruttamento edificatorio delle relative aree ovvero una loro maggiore potenzialità edificatoria rispetto a quella vigente al momento dell'incendio, fatta eccezione per i mutamenti di destinazione d'uso che si rendano necessari ai fini della realizzazione di: a) opere pubbliche o spazi pubblici; b) opere volte all'antincendio boschivo; c) impianti tecnologici, in condotta o in cavo, compresi quelli aerei, anche se realizzati da soggetti privati."

Peraltro, se la norma regionale nulla dispone in ordine alla possibilità concreta di edificare, a tale proposito appare comunque prevalere la prescrizione statale in oggetto, quale disposizione di legge successiva, nonché quale norma diretta a disciplinare ambiti ed a perseguire interessi attribuiti alla sfera di cognizione principale dello Stato.

Come ha già più volte ribadito di recente il Giudice delle leggi, la valutazione della compatibilità costituzionale di una norma deve essere scrutinata alla luce delle disposizioni costituzionali sulla competenza vigenti nel momento in cui l’atto in questione è stato adottato, non rilevando di norma il successivo mutamento del parametro conseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione (cfr. ad es. Corte Cost. 30 gennaio 2003 n. 13 e 4 dicembre 2002 n. 507).

Secondo il testo dell’art. 117 Cost. ante riforma del Titolo V, la potestà legislativa concorrente sussiste per varie materie, fra le quali alcune in ipotesi possono ricomprendere una parte dell’ambito tutelato dalla disposizione in oggetto: urbanistica, agricoltura e foreste.

Peraltro, tale potestà legislativa deve sempre essere esercitata ed inquadrata nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato: orbene, questi ultimi nel caso di specie risultano espressi dalla legge 353, non solo per la previsione specifica e letterale di cui all’art. 1 comma 1 (a tenore della quale appunto le disposizioni della presente legge sono finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita e costituiscono princìpi fondamentali dell'ordinamento ai sensi dell'art. 117 della Costituzione), ma anche alla luce della natura delle disposizioni stesse, costituenti diretta applicazione di principi superiori dell’ordinamento previsti e tutelati dagli artt. 2, 9 e 32 Cost.: ciò giustifica altresì la richiamata previsione dell’intervento sanzionatorio di livello penale.

Inoltre, è pur vero che lo stesso orientamento sopra richiamato della Corte costituzionale lascia aperta ("di norma") la possibilità, quantomeno in termini di opportunità per un’applicazione orientata secondo il superiore criterio della ragionevolezza, di verificare la congruità della disciplina anche alla luce del rinnovato assetto istituzionale. Anche in tale ottica, peraltro, la norma statale in esame appare costituire, da un lato, materia esclusiva ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. s), dall’altro p rincipio fondamentale ex art. 117 comma 3 per gli ambiti di competenza residuali facenti capo alla sfera di cognizione delle regioni (ad esempio governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali e culturali). Infatti la norma in esame, osserva il Collegio, appare diretta in via primaria alla tutela dell’ambiente leso, rappresentato in particolare dal patrimonio boschivo nazionale.

La Corte costituzionale (cfr. ad es. sentenze 26 luglio 2002 n. 407 e 20 dicembre 2002 n. 536) ha avuto modo recentemente di precisare che la tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una materia, essendo l’ambiente da considerarsi un valore costituzionalmente protetto che riguarda altresì campi di azione amministrativa connessi ma distinti, quali ad esempio il governo del territorio e la tutela della salute; di conseguenza, le suddette finalità ambientali possono riguardare anche provvedimenti su "materie" distinte ma pur sempre legate alla tutela di un valore di tale rilievo.

Da ciò ne discende che, comunque, il valore ambiente protetto con la presente disposizione, dettata dalla discrezionalità del legislatore, ed i relativi principi non possono che investire anche gli ambiti eventualmente rimessi alla potestà normativa regionale: quest’ultima pertanto non può evidentemente derogare alle indicazioni fondamentali connesse alla tutela del valore suddetto.

Le considerazioni sin qui svolte e l’analisi della documentazione prodotta evidenziano la sussistenza degli elementi necessari al fine di ritenere applicabile nella specie il divieto di cui all’art. 10 comma 1: infatti, accertato il passaggio del fuoco nel luglio del 1999 e la natura boscata dell’area, risulta del pari per tabulas che, pur a fronte della astratta edificabilità nei termini (invero ristretti e rispettosi delle peculiarità ambientali del sito) di cui alla pianificazione preesistente, all’epoca dell’incendio non era stata rilasciata alcuna concessione edilizia né risultava proposto ovvero comunque in itinere un piano attuativo, necessario preliminarmente per la realizzazione di qualsiasi intervento di tale natura in zona.

Il chiaro tenore letterale della norma ("è inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione") rende di per sé inconsistenti le diverse opzioni interpretative proposte dalle difese resistenti.

Del pari manifestamente infondate appaiono le conseguenti eccezioni di presunta incostituzionalità della disposizione.

A tale proposito, premesso quanto sopra argomentato in ordine al riparto di competenze con la normativa regionale, la norma contestata appare consona ai parametri costituzionali di ragionevolezza sia in quanto generalmente diretta a tutelare principi fondamentali dell’ordinamento, sia in quanto le singole prescrizioni appaiono sostanzialmente rientranti nella discrezionalità del legislatore: non c’è alcune palese illogicità, atteso che una volta conferita preminenza alla tutela dei beni collettivi suddetti costituzionalmente rilevanti, l’imposizione di un limite alle attività edificatorie svolte nell’interesse strettamente privatistico appare razionale, possibile, e comunque rientrante nel richiamato ambito di discrezionalità.

Tanto premesso, appare conseguentemente fondata la censura dedotta in violazione dell’art. 10 più volte citato, con il primo motivo del ricorso principale nonché, con particolare riferimento alla delibera della conferenza di servizi ed alla conseguente concessione edilizia, attraverso il primo, in via derivata, ed il secondo, in via diretta, dei motivi aggiunti.

L’accoglimento del gravame sotto i profili sin qui evidenziati potrebbe in astratto comportare l’assorbimento delle ulteriori censure, a fronte del divieto di edificazione dettato ex lege; tuttavia, ragioni di completezza impongono l’esame degli ulteriori rilievi concernenti più in particolare la legittimità del contenuto dello strumento approvato e della connessa concessione edilizia, anche al fine di fornire indicazioni eventualmente utili alle parti in futuro per il prosieguo dell’attività amministrativa.

Va premesso che gran parte delle censure seguono i rilievi a monte formulati dal comitato tecnico urbanistico provinciale, ai quali gli atti successivamente adottati ed oggi impugnati, secondo la prospettazione ricorrente, non si sarebbero compiutamente adeguati.

Con il secondo motivo del ricorso principale, parte ricorrente contesta la violazione del contratto d’area della Spezia del 22/6/99, nonché diversi profili di eccesso di potere, per mancata acquisizione del nulla osta della Soprintendenza.

La censura è infondata: al riguardo appaiono pertinenti i rilievi svolti dalle difese delle odierne parti resistenti, relativamente: all’intervenuta approvazione espressa dello strumento in epigrafe ai sensi dell’art. 7 l.r. 24/87 (cfr. punto 2 del decreto provinciale del 25/3/2002), a tenore del quale l’approvazione, a norma dell'articolo 6, degli strumenti urbanistici attuativi ricadenti negli ambiti vincolati, è comprensiva dell'autorizzazione di massima di cui al primo comma dello stesso art. 7, prevista fra l’altro dall'articolo 16 del regolamento di esecuzione della legge 1497/39, approvato con r.d. 3 giugno 1940, n. 1357; all’intervenuto decorso del termine di cui all’art. 151 d.lgs. 490/99 senza che gli organi statali abbiano fatto ricorso al relativo potere di annullamento.

La terza censura di ricorso lamenta l’illegittimità degli atti nella parte in cui comportano la copertura di corsi d’acqua pubblici.

Il vizio dedotto appare in parte infondato ed in parte inammissibile: nel primo senso, effettivamente la competente area della Provincia risulta aver approvato la necessaria deroga per la realizzazione del ponte sul rio in questione; nel secondo senso, la deroga stessa è condizionata allo svolgimento di alcuni interventi previsti dagli stessi atti oggetto di impugnazione, i cui effetti, in considerazione della pendenza del ricorso e dell’accoglimento della tutela cautelare richiesta di cui all’ordinanza del 3/10/2002, non possono ancora venire in rilievo per impossibilità allo stato di dar corso ai lavori stessi.

Con il quarto motivo di gravame parte ricorrente lamenta l’erroneo conteggio geometrico e non urbanistico dei volumi oggetto di demolizione e ricostruzione. Effettivamente, la documentazione che ha accompagnato l’approvazione degli atti impugnati risulta carente sotto i profili desumibili dal combinato disposto dell’art. 6 n.t.a dello stesso strumento attuativo, il quale non può che essere interpretato ed applicato alla luce dei criteri dettati dall’art. 9 n.t.a. della pianificazione generale vigente. L’assenza di adeguate relazioni tecniche esplicative, nonostante i rilievi a suo tempo formulati dal comitato tecnico urbanistico provinciale, integrano il lamentato difetto di presupposto; né al riguardo possono richiamarsi le relazioni peritali private prodotte in causa, in quanto se la tradizionale opinione giurisprudenziale esclude la possibilità di integrare la motivazione e gli atti in generale da parte dell’amministrazione, ciò non può che valere a maggior ragione per le parti private e con riferimento a documentazione proveniente da tecnici di parte sempre privata. Pertanto, anche sotto tale profilo il ricorso appare fondato, risultando carente il calcolo dei volumi da demolire e ricostruire, anche in considerazione della rilevanza primaria di tali elementi, in quanto diretti a determinare la reale dimensione dell’intervento, alla luce delle vigenti norme di piano sul punto. A nulla rileva il tentativo di inversione di onere della prova desumibile dalle difese sul punto della Multiprogress, in quanto in sede di procedimento amministrativo relativo all’approvazione di un intervento di tale rilevanza, l’amministrazione deve farsi carico di verificare il compiuto espletamento di tutti i necessari accertamenti, sulla scorta e nel rispetto delle norme di piano vigenti, pena l’illegittimità dell’attività stessa e dei provvedimenti conseguenti.

Con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione del DM 2/4/68, dell’art. 2 l.r. 36/97 e del principio di proporzionalità, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presupposto e motivazione, illogicità, per errato calcolo degli standards che non sarebbe avvenuto sulla base della corretta categoria commerciale, trattandosi di struttura comunque avente natura alberghiera. Le parti resistenti eccepiscono preliminarmente la correttezza del calcolo degli standards fondato sulla prevalente destinazione residenziale.

Invero, osserva il Collegio, appare illogica la determinazione degli standards di cui alla normativa richiamata attraverso il mero riferimento alle dotazioni previste per gli edifici residenziali tout court; in tale ottica, la natura delle residenze turistico alberghiere, l’attività in esse esercitata, di rilievo evidentemente anche commerciale, rende necessario non applicare acriticamente standards dettati in ordine ad una diversa attività. Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo più volte di considerare in termini analoghi le residenze turistico alberghiere agli alberghi, e se ciò è avvenuto in senso favorevole (cfr. ad es. T.A.R. Campania sez. III, Napoli, 6 agosto 1991 n. 247, in tema di normativa meno restrittiva per la ristrutturazione di immobili destinati a semplice residenza: cfr. altresì in termini analoghi Consiglio Stato sez. V, 14 ottobre 1992, n. 1005), non vi sono ragioni per adottare distinti criteri nel senso opposto, laddove le conseguenze siano meno favorevoli. Il logico e comprensibile favor per il mantenimento di strutture non meramente residenziali in zone a vocazione turistica perderebbe senso dinanzi all’applicazione della disciplina dettata per l’avversata vocazione meramente residenziale; ciò a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, siano previste altresì localizzazioni di natura e rilievo strettamente commerciale, caratterizzate quindi dal passaggio di soggetti non residenti in loco.

Con il sesto motivo di gravame si contesta la errata progettazione urbanistica del verde pubblico.

E’ pacifico in giurisprudenza che il "verde pubblico" rappresenta uno dei cd. standards urbanistici che, nella pianificazione generale, attengono ai rapporti massimi tra spazi edificabili e spazi riservati all'utilizzazione per scopi pubblici e sociali: standards che, dovendo essere previsti in un limite minimo inderogabile dal d.m. 2 aprile 1968, assolvono ad una funzione di equilibrio dell'assetto territoriale e di salvaguardia dell'ambiente e della qualità della vita (cfr. ad es. T.A.R. Abruzzo sez. L'Aquila, 20 novembre 2001, n. 679).

Nel caso di specie la contestazione muove dall’assunto che, mentre ai sensi dell’art. 3 comma 2 lett. c) dal calcolo per le aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti, vanno escluse le fasce verdi lungo le strade, le aree di tale natura previste dall’intervento in esame avrebbero tenuto presente anche zone situate a diversi livelli, e quindi inutilizzabili, e intorno ai tornanti della strada a servizio del comprensorio.

Tali assunti appaiono sostanzialmente confermati dall’analisi della progettazione approvata; né in senso contrario può meramente richiamarsi la particolare natura del terreno. A quest’ultimo riguardo, infatti, se da un lato non è prevista dalla norma alcuna possibilità di deroga, dall’altro lato la natura della zona avrebbe dovuto spingere alla ricerca di soluzioni alternative, suscettibili di rendere l’intervento in oggetto conforme alle caratteristiche del suolo ed all’attività che ivi si intende svolgere in futuro. Sarebbe diversamente illogico ritenere sempre superabili gli standards dettati dalla normativa vigente al fine di adeguarsi non solo alle caratteristiche della zona ma addirittura al progetto che i privati ritengono maggiormente fruttuoso.

Alla luce delle considerazioni appena svolte, quindi, il ricorso appare fondato altresì in ordine ai profili dedotti relativamente al necessario rispetto dei parametri e dei rapporti di cui alla normativa richiamata di cui al D.M. 2/4/68.

Quanto sopra impone di ritenere assorbita la successiva censura, per violazione delle disposizioni del p.t.c.p.: infatti, una volta che si ritiene illegittima l’approvazione degli strumenti in epigrafe per carenza delle necessarie determinazioni in ordine agli standards, anche relativi al verde pubblico, a fronte della futura necessità di rideterminazione sul punto appare superato il rilievo di cui al settimo motivo di ricorso, nell’ambito del quale l’unico aspetto non viziato da genericità della censura risulta ancorato al trattamento riservato al verde pubblico. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche in ordine all’ottavo, al nono ed al decimo motivo di gravame, del pari assorbiti dall’accoglimento delle censure suddette.

Per quanto concerne i profili dedotti in ordine all’illegittimità dell’approvazione da parte del comitato tecnico urbanistico di un piano sostanzialmente identico al precedente respinto, le censure appaiono in parte genericamente dedotte, omettendo di specificare le singole osservazioni non accolte o comunque non prese in nuova considerazione; per la restante parte le stesse sono state oggetto di specifica considerazione in sede di esame dei motivi precedenti. In generale, peraltro, occorre ribadire come l’approvazione degli strumenti in epigrafe, anche alla luce della natura e della rilevanza degli interventi realizzandi in rapporto alle caratteristiche della zona, avrebbero dovuto essere accompagnate da una maggiore attenzione a tutti i profili evidenziati in prima battuta dalle stesse singole amministrazioni odierne resistenti.

Per ciò che concerne il quattordicesimo motivo di gravame, parte ricorrente lamenta l’eccessiva apertura delle prescrizioni dettate in sede di autorizzazione ex art. 7 l.r. 24/87. Invero, tale censura appare da un lato genericamente formulata, non indicando profili particolari distinti rispetto a quelli sollevati con i motivi precedenti, in parte infondata in quanto diretta a contestare le valutazioni di merito svolte dall’amministrazione, insindacabili nella presente sede in assenza di specifici profili di illogicità o travisamento dei fatti.

Relativamente ai restanti motivi aggiunti, vanno richiamate in via derivata le considerazioni svolte in ordine ai connessi profili dedotti avverso gli atti a monte in sede di ricorso principale.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte il ricorso appare fondato sotto i profili evidenziati; conseguentemente, deve essere disposto l'annullamento degli atti impugnati.

L’accoglimento del gravame impone l’analisi della ulteriore domanda proposta da parte ricorrente, avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da parte dei ricorrenti in conseguenza dell’illegittimità degli atti impugnati.

Pur dinanzi all’accoglimento di alcuni dei motivi di illegittimità dedotti, nel caso di specie la domanda di risarcimento proposta non appare accompagnata da adeguati elementi di prova in merito agli elementi necessari in materia. In particolare, l’assenza di qualsiasi indicazione specifica di quale danno i ricorrenti abbiano sino ad ora patito esclude la necessità di verificare la sussistenza degli ulteriori presupposti, quali la colpa ed il nesso di causalità.

Inoltre, nella presente fattispecie assume rilievo preminente l’intervenuta sospensione dell’efficacia dei provvedimenti impugnati, e della conseguente possibilità di proseguire nei lavori, disposta con ordinanza cautelare n. 608 del 3/10/2002.

A tale proposito, la giurisprudenza di questo Tribunale (cfr. ad es. sentenza n. 1122 del 2002) ha già avuto modo di evidenziare che in generale la misura cautelare nel processo amministrativo viene ricondotta da un orientamento giurisprudenziale alla categoria del risarcimento in forma specifica, quale modalità riparatoria particolarmente efficace - in funzione preventiva - della lesione di interessi legittimi.

Invero, più che un vero e proprio risarcimento in forma specifica si è in presenza di una forma di reintegrazione dell’interesse giuridico violato, la quale ha l’effetto specifico di impedire il prodursi del danno; la misura cautelare opera infatti per il futuro in funzione preventiva-inibitoria, risultando quindi inidonea a restaurare le conseguenze pregiudizievoli già maturate nella sfera giuridico-patrimoniale del danneggiato a seguito del fatto illecito storicamente accaduto.

Non può pertanto escludersi che, oltre la lesione (intesa come trasgressione) della posizione giuridica soggettiva, residui il danno quale conseguenza pregiudizievole di natura patrimoniale scaturente dalla lesione; cosicché è ben possibile che la misura cautelare con funzione reintegratoria, riferita all’illecito in sé, e non alle conseguenze patrimoniali, sia inidonea a riparare il danno già verificatosi. In tali ipotesi grava quindi sul ricorrente la prova, oltre che del (consueto) nesso di causalità fra il comportamento dell’amministrazione e il danno sofferto, della stessa esistenza dello specifico danno che residua dopo l’esecuzione della misura cautelare.

Orbene, nella presente fattispecie la sospensione interinale dell’efficacia dei provvedimenti impugnati pare elidere, quantomeno in astratto, il danno lamentato; né parte ricorrente ha fornito alcun elemento in ordine alla sussistenza di un danno residuo; tanto è vero che la domanda di risarcimento risulta genericamente proposta in sede di epigrafe del ricorso introduttivo e non approfondita nell’ambito delle memorie conclusive.

Conseguentemente, la suddetta domanda di risarcimento danni deve essere respinta.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. int. I, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso di cui in epigrafe e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Respinge la domanda di risarcimento danni formulata da parte ricorrente.

Condanna le parti resistenti in solido alla rifusione di spese ed onorari di giudizio in favore di parte ricorrente e di parte interveniente, rispettivamente liquidate in complessivi euro 7.500,00 (settemilacinquecento/00) ed euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova, nella Camera di Consiglio del 9 gennaio 2003.

L’Estensore Il Presidente

(D. Ponte) (R. Vivenzio)

Depositata in segreteria in data 21 febbraio 2003.

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