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n. 7/8-2002 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 26 luglio 2002 n. 407Pres. RUPERTO, Red. CAPOTOSTI – (giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 23 gennaio 2002, depositato in Cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2002).

1. Regioni – Regione Lombardia – Competenza legislativa – Disciplina delle attività a rischio di incidenti rilevanti – Contenuta nella L. Reg. Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 – Questione di legittimità costituzionale – Sollevata in riferimento all’art. 117 Cost. (testo novellato dalla L. cost. n. 3/2001) – Infondatezza.

2. Regioni – Competenza legislativa – A seguito della riforma dell'art. 117 Cost, nel testo modificato dalla  L. cost. n. 3/2001 - Competenze attribuite alle Regioni - Non sempre riguardano intere materie - Materia della "tutela dell'ambiente" - Investe aspetti che in parte rientrano nelle competenze dello Stato ed, in altra parte, in quelle delle Regioni.

1. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all'art. 117 della Costituzione - degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), sotto il profilo che la disciplina delle attività a rischio di incidenti rilevanti sarebbe riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in quanto riconducibile alle materie «sicurezza» e «tutela dell’ambiente».

Le disposizioni legislative in questione non possono infatti rientrare nell'ambito materiale riservato alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera h) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione. La disciplina in esame ha un'incidenza su una pluralità di interessi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche di competenza concorrente delle regioni, i quali appunto legittimano una serie di interventi regionali nell'ambito, ovviamente, dei principi fondamentali della legislazione statale in materia (1).

2. Non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. Corte cost., sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, Corte cost., sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).

 

(1) Commento di

NICOLA LAIS

Il "valore ambiente" e la competenza delle Regioni

Con la sentenza in rassegna la Corte Costituzionale ha dichiarato non ammissibile un ricorso del Presidente del Consiglio relativo alla presunta incostituzionalità di una norma della Regione Lombardia in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti.

Il giudizio aveva ad oggetto una norma della Regione Lombardia (più precisamente gli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge 23 novembre 2001, n. 19) sulle attività a rischio di incidenti rilevanti, ed era stato promosso da un ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri che lamentava un contrasto della stessa con l’art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, nonché una violazione degli artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), ed dell’art. 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

Ad avviso del Governo la materia delle attività a rischio di incidenti rilevanti sarebbe riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in quanto sarebbe riconducibile alle materie "sicurezza" e "tutela dell’ambiente".

La Regione Lombardia invece, con la legge regionale impugnata, introducendo degli adempimenti differenziati (più onerosi) circa l’obbligo del rapporto preliminare di sicurezza rispetto a quelli previsti dalla normativa nazionale, avrebbe violato la competenza esclusiva dello Stato in questo settore provocando delle possibili alterazioni sotto il profilo della concorrenza tra le imprese di settore.

La Corte, dopo aver fatto un rapido excursus sulla disciplina delle attività a rischio di incidenti rilevanti, ha da una parte escluso che la fattispecie in esame rientri nella materia della "sicurezza", in quanto questa materia è riferibile, nella carta costituzionale, alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico, e dall’altra ha invece ritenuto che la stessa possa essere ricondotta alla tutela dell'ambiente prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

I giudici costituzionali hanno però poi precisato che più che di "materia tutela dell’ambiente" si deve parlare, nel nostro sistema, di ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, valore questo che interferisce trasversalmente in varie competenze, anche regionali.

Allo Stato, quindi, secondo la Corte Costituzionale, spetterebbe, in forza della lettera s) dell’art. 117 Cost., la potestà di fissare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, il che però non vieterebbe alle singole regioni "la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali".

La disciplina sulle attività a rischio rilevante ha una forte incidenza su una pluralità di interessi e di oggetti sia di competenza esclusiva dello Stato che di competenza concorrente delle regioni (governo del territorio, tutela della salute) e sarebbero proprio questi interessi, secondo la Corte Costituzionale, a legittimare un intervento regionale più restrittivo (sia pure nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale).

Analogamente si era espressa, sia pure prima della riforma del Titolo V della Costituzione, la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 382 del 7 ottobre 1999 (in Le Regioni, 2000, 163, con nota di S. Mangiameli, Materia ambientale e competenze regionali, con la salvaguardia dei poteri di intervento statale).

In questa sentenza, la Corte, trovandosi ad esaminare la legge della Regione Veneto riapprovata nella seduta del Consiglio regionale del 29 luglio 1997, che fissa, in materia di elettrodotti limiti più severi rispetto a quelli introdotti dal D.P.C.M. 23 aprile 1992, affermava che la nozione di urbanistica, che delimita la competenza delle Regioni, deve ritenersi estesa oltre che alle operazioni di salvaguardia e di trasformazione del territorio anche alla protezione dell’ambiente.

Da ciò, e dal fatto che alle Regioni spetta anche l’assistenza sanitaria, la Corte traeva l’ulteriore conclusione che la Regione è "titolare anche del potere di verifica della compatibilità degli interventi che, attuati dai vari soggetti, comportino effetti sul territorio", e che pertanto rimane nell’ambito delle competenze regionali "l’imposizione di distanze superiori a quelle richieste per il rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato" soprattutto se la norma regionale, fissando "limiti più severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica … in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest’ultimo perseguiti".

La Regione Lombardia, quindi, secondo la Corte Costituzionale, "può ragionevolmente adottare, nell'ambito delle proprie competenze concorrenti, una disciplina che sia maggiormente rigorosa, per le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati".

La Corte, quindi, dopo questo premesse, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio, in quanto - sebbene il controllo sugli impianti e sulle industrie a rischio di incidenti rilevanti riguardi la "tutela dell’ambiente" - gli artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 ed il d.m. 9 maggio 2001 dimostrerebbero che questo controllo interferisce con le materie "governo del territorio", "tutela della salute" e "protezione civile", attribuite alla competenza legislativa di tipo concorrente della Regione.

Il decisum della Corte è da segnalare perché riafferma, anche dopo la riforma della carta costituzionale, che le Regioni possono tutelare l’ambiente esercitando le loro competenze (in particolare quelle relative al governo del territorio) nel rispetto dei principi (o standards) fissati dallo Stato che però possono essere derogati qualora vi sia una giustificata esigenza di introdurre dei limiti più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla legislazione statale.

Per ulteriori riferimenti si fa rinvio alla pagina di approfondimento dedicata alla riforma del Titolo V della Costituzione.

 

SENTENZA N. 407

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Riccardo CHIEPPA Giudice

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Romano VACCARELLA "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 23 gennaio 2002, depositato in Cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2002.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Ferrari e Massimo Luciani per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1. Il Presidente del Consiglio dei ministri solleva, con ricorso notificato il 23 gennaio 2002, depositato il successivo 31 gennaio, questione di legittimità costituzionale in via principale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti) - pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia del 27 novembre 2001, supplemento ordinario n. 48 - in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, nonché agli artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), ed all'art. 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).

2. Il ricorrente premette che la disciplina delle attività a rischio di incidenti rilevanti sarebbe riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in quanto riconducibile alle materie «sicurezza» e «tutela dell’ambiente».

L’art. 18 del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334, ai sensi dell’art. 72 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha attribuito alle regioni il potere di regolamentare il procedimento di istruttoria tecnica, le autorità titolari delle competenze conseguenti, il raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale, le modalità di coordinamento dei soggetti che svolgono l’istruttoria tecnica, le procedure per gli interventi di salvaguardia dell’ambiente e del territorio. Le regioni potrebbero, quindi, disciplinare esclusivamente gli interventi strumentali, nel rispetto della disciplina stabilita dalla legge statale, che sarebbe invece violata dalle disposizioni impugnate.

2.1. Il ricorrente deduce che l’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 334 del 1999 stabilisce che, «affinché sorga l’obbligo del rapporto preliminare di sicurezza», le sostanze pericolose presenti in determinati stabilimenti «debbono essere in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’allegato I, parti 1 e 2, colonna 3 (v. richiamo all’art. 8.1)».

L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 19 del 2001 dispone, invece, che il rapporto preliminare debba essere presentato dal gestore di nuovi stabilimenti, qualora negli stessi siano presenti sostanze pericolose in quantità uguale o superiore a quella indicata nell’allegato I, parte 1, colonna 2 e parte 2, colonna 2 del d.lgs. n. 334 del 1999. Dunque, secondo la difesa erariale, «le quantità indicate nella norma statale sono più elevate di quelle richieste dalla norma regionale che in questo modo ha ampliato la sfera normativa della legge statale», non limitandosi a disciplinare le materie indicate nell’art. 18 del d.lgs. n. 334 del 1999, né ad esercitare le funzioni amministrative conferite dall’art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998.

2.2. ― L’art. 28 del d.lgs. n. 334 del 1999 ha disposto che, sino alla emanazione del decreto di cui all’art. 10, sono applicabili i criteri fissati nel decreto del Ministro dell’ambiente del 13 maggio 1996.

L’art. 4, comma 2, della legge regionale in esame, in via transitoria e fino al termine fissato dalla legge statale, ad avviso dell’Avvocatura, avrebbe invece illegittimamente stabilito che sono obbligatori gli elementi previsti dal suo allegato 2, i quali non coincidono con quelli richiesti dalle norme dello Stato.

2.3. L’art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 334 del 1999 dispone che per le modifiche di impianti e di depositi, di processi industriali, della natura o dei quantitativi di sostanze pericolose individuate con il decreto di cui all'articolo 10, ossia per quelle che potrebbero costituire aggravio del preesistente livello di rischio, deve essere avviata l'istruttoria per la valutazione del rapporto di sicurezza.

L’art. 5, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata, in contrasto con la norma statale, dispone invece che, anche qualora le modifiche «non comportano aggravio di rischio», debba essere redatta una scheda valutativa tecnica, la quale, ovviamente, presuppone un’attività preparatoria.

Secondo l’Avvocatura, le norme impugnate realizzerebbero effetti innovativi e sarebbero costituzionalmente illegittime, dato che il livello di sicurezza, salvo che non sussistano situazioni ambientali differenti - ciò che non accade nel caso in esame -, dovrebbe essere identico sull’intero territorio nazionale. La fissazione di adempimenti differenziati realizzerebbe «alterazioni sotto il profilo della concorrenza in danno di quelle imprese che si trovano ad operare in regioni la cui disciplina più gravosa costringe ad affrontare costi maggiori».

Infine, conclude il ricorrente, la circostanza che l’art. 10 della legge regionale rinvia la sua entrata in vigore alla data della stipulazione dell’accordo di programma Stato-Regione ex art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998, non inciderebbe sull’interesse all’impugnazione poiché, una volta concluso detto accordo, le norme censurate diverrebbero immediatamente efficaci.

2.4. La difesa erariale, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ribadendo le argomentazioni svolte nel ricorso.

3. Nel giudizio si è costituita la Regione Lombardia, chiedendo che la Corte dichiari il ricorso manifestamente inammissibile e, in linea gradata, manifestamente infondato.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, la resistente deduce che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione, poiché l’efficacia delle norme censurate è condizionata alla stipulazione di un accordo di programma tra Regione e Stato, il quale, rifiutando il proprio assenso alla stipula di siffatto accordo, può impedire che la legge impugnata produca effetti.

Nel merito, la Regione Lombardia sostiene che, sebbene il controllo sugli impianti e sulle industrie a rischio di incidenti rilevanti riguardi sia la materia "sicurezza", sia la materia "tutela dell’ambiente", gli artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 dimostrerebbero che questo controllo interferisce con le materie "governo del territorio", "tutela della salute" e "protezione civile", attribuite alla competenza legislativa di tipo concorrente della Regione. Inoltre, il d.m. 9 maggio 2001, disponendo che «le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e dal presente decreto», nonché «il coordinamento tra i criteri e le modalità stabiliti per l'acquisizione e la valutazione delle informazioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativi alla pianificazione territoriale e urbanistica» (art. 2, commi 1 e 3), conforterebbero che la prevenzione ed il controllo sui rischi di incidenti rilevanti è riconducibile anche a materie attribuite alla competenza legislativa regionale di tipo concorrente.

Dunque, secondo la resistente, nell’esercizio della propria competenza in materia di governo del territorio e di tutela della salute dei cittadini, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge statale, essa legittimamente avrebbe stabilito una disciplina più rigorosa, estendendo l’obbligo di redigere il rapporto di sicurezza e la scheda di valutazione dei rischi (artt. 3 e 5 della legge regionale n. 19 del 2001). Inoltre, a suo avviso, per numerose materie elencate nell’art. 117 della Costituzione sarebbe difficile stabilire i confini tra competenza statale e regionale e, proprio per questo, occorrerebbe applicare il criterio teleologico e, comunque, riconoscere, come nel caso della protezione ambientale, che la Regione è titolare di competenza legislativa in riferimento ai profili che interessano anche materie di sua competenza, potendo in ogni caso emanare quelle norme che garantiscono una maggiore tutela del bene della salute.

Infine, conclude la resistente, le norme, sotto il profilo della concorrenza, non pregiudicano le imprese che svolgono attività nella Regione Lombardia e, ragionevolmente, allo scopo di garantire la tutela del territorio e della salute umana, pongono rimedio ad una «disciplina statale palesemente lacunosa».

4. ― Le parti, all’udienza pubblica, hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. ― Il giudizio in via principale promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe, nei confronti della Regione Lombardia ha ad oggetto gli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge regionale 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, nonché agli artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo n. 334 del 1999 ed all'art. 72 del decreto legislativo n. 112 del 1998.

Premesso che la disciplina delle attività a rischio di incidente rilevante è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, il ricorrente sottolinea che questo tipo di riserva, innanzi tutto, esclude, per definizione, che i livelli di sicurezza per attività egualmente pericolose possano essere diversi da regione a regione ed in secondo luogo esclude conseguentemente che possano essere previsti adempimenti diversificati per le varie imprese, con possibile alterazione anche delle regole della concorrenza. Le disposizioni regionali impugnate sarebbero pertanto, ad avviso del ricorrente, costituzionalmente illegittime, in quanto invadono la competenza esclusiva dello Stato in materia di "sicurezza" ed "ambiente", avendo altresì un contenuto che, sotto vari profili, è difforme e contrastante rispetto ad una serie di norme "fondamentali" della disciplina statale.

2. ― In linea preliminare va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, sollevata dalla difesa della Regione Lombardia, in base all'argomento che l'art. 10 della legge impugnata subordina l'efficacia della legge stessa alla "stipulazione dell'accordo di programma tra Stato e regione, di cui all'art. 72 del d. lgs. n. 112/98". Va infatti osservato che l'impugnativa da parte dello Stato delle leggi regionali è sottoposta, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, ad un termine tassativo riferito alla pubblicazione e non anche all'efficacia della legge stessa e, d'altra parte, la pubblicazione di una legge regionale, in asserita violazione del riparto costituzionale di competenze, è di per sè stessa lesiva della competenza statale, indipendentemente dalla produzione degli effetti concreti e dalla realizzazione delle conseguenze pratiche (cfr. sentenza n. 332 del 1998).

3. ― Nel merito, il ricorso è infondato.

La disciplina specifica delle attività a rischio di incidenti rilevanti si è sviluppata soprattutto in ambito comunitario, a decorrere dalla direttiva 82/501 CEE del 24 giugno 1982 -c.d. "direttiva Seveso"- la quale introdusse prescrizioni dirette alla prevenzione dei rischi industriali, coinvolgendo specialmente il responsabile dell'attività a rischio. Il decreto di attuazione -d.P.R. 17 maggio 1988, n. 175- stabilì infatti una serie di obblighi a carico dei fabbricanti, prevedendo altresì un complesso procedimento di controllo, con l'intervento di una pluralità di soggetti pubblici, nel cui ambito le regioni, in particolare, furono chiamate a svolgere compiti di vigilanza sugli impianti a minore pericolosità, soggetti alla c.d. "dichiarazione", nonché sul rispetto delle misure di sicurezza.

Il predetto atto comunitario è stato modificato dalla direttiva 96/82 CE del 9 dicembre 1996, che ha accentuato il profilo del controllo tecnico-ispettivo, anche prevedendo forme di pianificazione urbanistica ed ambientale del territorio esterno agli stabilimenti. In attesa dell'attuazione di questa direttiva, l'art. 72 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha innovato il quadro organizzativo precedente, conferendo alle regioni, sia pure previa adozione di una specifica normativa, anche le competenze amministrative concernenti gli impianti a maggiore pericolosità, soggetti alla c.d. "notifica", e mantenendo allo Stato essenzialmente compiti di indirizzo e coordinamento.

Successivamente il decreto di recepimento -d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334- ha ulteriormente ampliato le precedenti competenze delle regioni attribuendo ad esse anche la disciplina dell'attività procedimentale connessa all'istruttoria tecnica, nonché l'individuazione delle procedure più idonee per l'adozione degli interventi di salvaguardia dell'ambiente e del territorio di insediamento degli stabilimenti.

3.1. ― Lo scrutinio di costituzionalità delle disposizioni regionali censurate va pertanto condotto sulla base del quadro di riparto delle competenze tra Stato e regioni, sul quale ora incide la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che reca "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione".

A questo scopo, il primo problema da risolvere, ai fini della determinazione della competenza ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, riguarda l'individuazione della "materia" alla quale ricondurre la legge regionale in esame; materia che, secondo il ricorrente, è da identificare nei disposti delle lettere h) e s) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione.

In proposito, appare improprio, nella fattispecie in esame, il riferimento alla materia "sicurezza", di cui alla lettera h) del citato art. 117. Non sembra infatti necessario a questo scopo accertare, in una prospettiva generale, se nella legislazione e nella giurisprudenza costituzionale la nozione di "sicurezza pubblica" assuma un significato restrittivo, in quanto usata in endiadi con quella di "ordine pubblico", o invece assuma una portata estensiva, in quanto distinta dall'ordine pubblico, o collegata con la tutela della salute, dell'ambiente, del lavoro e così via. E' sufficiente infatti constatare che il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 -che riproduce pressoché integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l), della legge n. 59 del 1997- induce, in ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" e dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale", nonché in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, è da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico (sentenza n. 290 del 2001).

Alla luce di queste considerazioni, le disposizioni legislative in questione non possono rientrare nell'ambito materiale riservato alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera h) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione.

3.2. ― La disciplina in esame è invece riconducibile al disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, relativo alla tutela dell'ambiente.

A questo riguardo va però precisato che non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).

I lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato.

Anche nella fattispecie in esame, del resto, emerge dalle norme comunitarie e statali, che disciplinano il settore, una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con quelli inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente. A questo proposito occorre, innanzi tutto, ricordare che nei "considerando" della citata direttiva 96/82/CE si afferma, tra l'altro, che la prevenzione di incidenti rilevanti è necessaria per limitare le loro "conseguenze per l'uomo e per l'ambiente", al fine di "tutelare la salute umana", anche attraverso l'adozione di particolari politiche in tema di destinazione e utilizzazione dei suoli. Più specificamente, il citato decreto legislativo di recepimento n. 334 del 1999, dopo avere, all'art. 1, premesso che il decreto stesso contiene disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a "limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente", all'art. 3, comma 1, lettera f), definisce "incidente rilevante" l'evento che "dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l'ambiente". E gli stessi concetti vengono sostanzialmente ribaditi anche negli artt. 7, comma 1, e 8, commi 2 e 10, cosicché si può fondatamente ritenere, in riferimento alle norme citate, che il decreto in esame attenga, oltre che all'ambiente, anche alla materia "tutela della salute", la quale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, rientra nella competenza concorrente delle regioni.

Così pure rientra nella competenza concorrente regionale la cura degli interessi relativi alla materia "governo del territorio", cui fanno riferimento, in particolare, gli artt. 6, commi 1 e 2, 8, comma 3, 12 e 14 dello stesso decreto, i quali prescrivono i vari adempimenti connessi all'edificazione e alla localizzazione degli stabilimenti, nonché diverse forme di "controllo sull'urbanizzazione". Anche le competenze relative alla materia della "protezione civile" possono essere individuate in alcune norme del citato decreto, come, ad esempio, l'art. 11, l'art. 12, l'art. 13, comma 1 lettera c), comma 2 lettere c) e d), l'art. 20 e l'art. 24, le quali prevedono essenzialmente la disciplina dei vari piani di emergenza nei casi di pericolo "all'interno o all'esterno dello stabilimento". Infine, alcune norme, come, in particolare, i citati artt. 5, commi 1 e 2, ed 11 dello stesso decreto, sono riconducibili anche alla materia "tutela e sicurezza del lavoro", egualmente compresa nella legislazione concorrente.

In definitiva quindi il predetto decreto n. 334 del 1999 riconosce che le regioni sono titolari, in questo campo disciplinare, di una serie di competenze concorrenti, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente.

4. ― Così definito il quadro degli interessi sottostanti alla vigente disciplina sulle attività a rischio rilevante, ne deriva che essa ha un'incidenza su una pluralità di interessi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche -come si è visto- di competenza concorrente delle regioni, i quali appunto legittimano una serie di interventi regionali nell'ambito, ovviamente, dei principi fondamentali della legislazione statale in materia, la cui violazione peraltro prospetta il ricorrente, anche se in via subordinata.

Alla luce di queste considerazioni è da respingere il motivo principale di ricorso, secondo cui, nel caso di specie, la materia de qua dovrebbe ritenersi di competenza legislativa statale esclusiva, afferendo essa sia alla tutela dell'ambiente che alla sicurezza pubblica. Ma è altrettanto da respingere il motivo prospettato in via subordinata, secondo cui "ove volesse considerarsi tale legge regionale alla stregua di atto regolamentare di competenza regionale", alcune norme di essa sarebbero illegittime sotto il profilo del mancato rispetto dei limiti fissati dal citato decreto legislativo n. 334 del 1999.

In proposito è da osservare, indipendentemente dalla inammissibile "degradazione" della legge regionale a regolamento regionale, che i ricordati artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 stabiliscono che le regioni provvedono a disciplinare la materia con specifiche normative ai fini, in particolare, di "garantire la sicurezza del territorio e della popolazione". In questa ottica vanno appunto respinte le prospettate censure incentrate sull'asserito superamento dei limiti prestabiliti dal citato decreto legislativo n. 334 del 1999, dal momento che la Regione Lombardia può ragionevolmente adottare, nell'ambito delle proprie competenze concorrenti, una disciplina che sia maggiormente rigorosa, per le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati.

In questo senso, d'altronde, si è già espressa questa Corte, quando in una vicenda analoga, a proposito dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico, ha ritenuto non incostituzionale una disciplina regionale "specie a considerare che essa se, da un canto, implica limiti più severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti" (sentenza n. 382 del 1999).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2002.

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