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n. 5-2003 - © copyright.

TAR LIGURIA, SEZ. I - Sentenza 13 maggio 2003 n. 627 - Pres. Vivenzio, Est. Ponte - Sestito e Altana (Avv.Guelfi) c. Comune di Genova (Avv.ti Odone e De Paoli) - (accoglie il ricorso e respinge la domanda di risarcimento del danno).

1. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Per la realizzazione di una veranda su terrazzo esterno di esercizio commerciale - Diniego - Per asserito asservimento dell’area a servitù pubblica - Carenza di indicazione dei presupposti fondanti la servitù - Illegittimità - Fattispecie.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Domanda - Nel caso di annullamento in s.g. di diniego di concessione edilizia - Potere discrezionale della P.A. di riesaminare l’istanza - Incertezza del rilascio successivo del provvedimento autorizzatorio - Inammissibilità.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Nei casi in cui, pur a seguito dell’annullamento dell’atto, la P.A. possa discrezionalmente riesercitare il proprio potere - Attribuzione da parte del G.A. di autonomo rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento della P.A., indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse finale dell’istante - Impossibilità - Necessità di attendere il nuovo esercizio del potere e di verificare la spettanza del bene di vita - Sussiste.

1. E’ illegittimo, per erroneità dei presupposti e per difetto di motivazione, il diniego di concessione edilizia opposto dalla P.A. per la ritenuta esistenza sull’area interessata dall’interevento edilizio, di un vincolo di asservimento a servitù pubblica, nel caso in cui il provvedimento negativo risulti affetto da assoluta carenza di indicazione dei presupposti fondanti la servitù medesima (alla stregua del principio è stata ritenuto illegittimo l’opposto diniego di concessione edilizia, sul rilievo che la circostanza dell’asservimento a servitù pubblica dell’area interessata dalla costruzione di una veranda su di un terrazzo esterno ad un bar, si fondava su di un atto di impegno non seguito dall’approvazione della convenzione edilizia, e quindi, non risultava dimostrata la sussistenza di diritti legittimamente opponibili al richiedente il titolo edificatorio).

2. Annullato in sede giurisdizionale l’illegittimo diniego opposto al rilascio di un titolo edilizio, non è ammissibile la domanda di risarcimento del danno contestualmente avanzata dal ricorrente, nel caso in cui residui in capo all’Amministrazione il potere di riesaminare l’istanza per il rilascio dell’atto di assenso edificatorio e non via sia certezza che il provvedimento autorizzatorio debba essere successivamente rilasciato in favore dell’istante. Né l’esistenza dell’obbligo del rilascio della concessione edilizia può essere dichiarata dal giudice amministrativo, anche in considerazione del fatto che la sua giurisdizione esclusiva in materia non si estende al merito amministrativo (1).

3. Nei casi in cui, pur a seguito dell’annullamento dell’atto illegittimo, persistano in capo all’Amministrazione spazi di discrezionalità amministrativa di riesame della questione controversa, il g.a. non può attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse finale, e il risarcimento può essere riconosciuto solo dopo e a condizione che l’Amministrazione, riesercitato il proprio potere, abbia effettuato ogni valutazione – a seconda che il soddisfacimento della pretesa sia correlato ad attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura - circa la spettanza dell’utilità finale cui aspira la parte istante, e abbia riconosciuto all’istante medesimo il bene della vita (2).

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(1) T.A.R. Marche, 9 maggio 2002 n. 363.

(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2003 n. 204, in questa Rivista n. 1-2003 e Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2003 n. 1945, in questa Rivista n. 4-2003.

(omissis)

per l'annullamento

del provvedimento prot. N. 91 del 29\1\2002, comunicata in data 13\2\2002, con il quale il dirigente del settore comunicava il parere negativo della sottocommissione edilizia in ordine alla domanda intesa alla realizzazione di una veranda esterna al bar dei ricorrenti; del parere negativo dell’ufficio centro storico datato 29\5\2001; dell’atto 29\8\2002 di rigetto dell’istanza suddetta; di ogni altro atto connesso;

(omissis)

FATTO

Con il gravame introduttivo del giudizio gli odierni ricorrenti, nella rispettiva qualità di proprietario e gestore del bar situato in Genova nei locali di via Balbi n. 112-114-116 r, esponevano che di aver formulato nell’anno 2000 istanza diretta alla realizzazione di una veranda sul terrazzo esterno al bar. In data 13\2\2002 gli esponenti ricevevano la comunicazione datata 29\1\2002 con cui il diniego opposto si fondava sulla circostanza che la veranda gravitava su di un sedime da sottoporre a servitù pubblica.

Avverso tale atto si muovevano pertanto le seguenti censure:

- violazione dell’art. 2644 c.c., eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneità e falsità dei presupposti, difetto di motivazione;

- violazione dell’art. 2 l. 241\90, eccesso di potere sotto i profili del difetto di motivazione e dell’uso distorto di funzioni pubbliche.

Il Comune di Genova, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto del gravame.

Con ordinanza cautelare n. 275\2002 questo Tribunale amministrativo regionale disponeva la sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato al fine di un riesame da parte dell’amministrazione.

In data 21\9\2002 i medesimi esponenti ricevevano un nuovo diniego fondato su diverse argomentazioni, fra cui in specie la limitazione alle visuali pubbliche ed il disordine derivante dal manufatto proposto e dalle sue caratteristiche.

Avverso tale atto si muovevano pertanto le seguenti censure:

- violazione dell’art. 39 n.a. del p.u.c., eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione e contraddittorietà;

- violazione dei principi in tema di consumazione dei motivi di diniego di autorizzazione edilizia, eccesso di potere per abuso, contraddittorietà e difetto di motivazione, erroneità dei presupposti.

Il Comune di Genova ribadiva le medesime conclusioni proposte avverso i motivi originari di ricorso.

Alla pubblica udienza del 3\4\2003, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

D I R I T T O

In via preliminare, deve verificarsi la permanenza dell’interesse al ricorso in ordine alle censure dedotte avverso il primo atto di diniego: al riguardo, a fronte di un nuovo provvedimento negativo fondato su circostanze ulteriori, la difesa dell’amministrazione intimata ha evidenziato come gli uffici comunali abbiano di fatto superato il profilo relativo al contestato asservimento ad uso pubblico.

Invero, l’analisi degli atti e le stesse argomentazioni esposte paiono deporre nel senso della permanenza dell’interesse alla decisione anche in relazione al primo atto: innanzitutto, l’amministrazione non pare aver inciso in autotutela sul primo provvedimento impugnato, i cui effetti risultano sospesi interinalmente unicamente sulla scorta dell’ordinanza adottata da questo tribunale in sede cautelare, i cui effetti pertanto cessano con la decisione di merito; in secondo luogo, l’opposizione di nuovi motivi di diniego è stata adottata sulla scorta di quanto indicato nella stessa ordinanza (cfr. il secondo diniego, nel quale il nuovo esame prende le mosse dalla presa d’atto della ordinanza sospensiva); in terzo luogo, dinanzi alla situazione giuridica dei ricorrenti appare irrilevante che gli uffici abbiano superato di fatto la prima obiezione, non risultando ciò confermato da alcun elemento se non la mera affermazione difensiva, peraltro priva di elementi di riscontro; infine, lo stesso parere dell’ufficio centro storico (datato 16\7\2002) reso in ordine al riesame e quindi al secondo diniego, richiama ancora la necessità di risolvere il problema della servitù pubblica dell’area, dimostrando così come la questione sia tutt’altro che superata per gli uffici comunali.

Passando all’analisi del merito della controversia, per ciò che concerne il primo atto di diniego vanno ribadite le considerazioni poste a fondamento della decisione cautelare. Al riguardo, se l’unico motivo opposto alla originaria istanza derivava dal presunto asservimento a servitù pubblica, appare fondato, anche in termini assorbenti, il vizio dedotto con la prima censura, stante l’assoluta carenza di indicazione dei presupposti fondanti tale servitù. All’opposto, lo stesso parere negativo, fatto proprio dal dirigente del settore con la prima comunicazione negativa, appare dubitativa sul punto, dando rilievo attuale ad una futura eventuale sottoposizione a servitù pubblica; quest’ultima circostanza si fondava su di un atto impegno non seguito, come emerge dallo stesso parere, dall’approvazione della necessaria convenzione, cosicché nulla al riguardo può essere opposto agli acquirenti del bene interessato, in specie laddove, come nel caso di specie, non risulti dimostrata la sussistenza di diritti legittimamente opponibili.

In assenza dell’indicazione di elementi atti a dimostrare l’esistenza del vincolo opposto, nella presente sede di legittimità ciò è sufficiente a ritenere il primo diniego viziato sotto i profili dedotti, con specifico riferimento all’erroneità dei presupposti ed al connesso difetto di motivazione

Avverso il secondo diniego, opposto dall’amministrazione con atto datato 29\8\2002 sulla scorta del parere contrario reso dalla commissione edilizia nonché degli obiettivi di riqualificazione urbana del p.u.c., parte ricorrente lamenta analoghi profili di eccesso di potere e la violazione della normativa di attuazione del piano stesso.

L’atto negativo si fonda su due diversi pareri, resi rispettivamente dall’ufficio centro storico e dalla commissione edilizia

Invero, dall’analisi degli atti acquisiti in via istruttoria, emerge come il primo apporto consultivo, a parte il riferimento ormai irrilevante alla servitù già oggetto dell’accoglimento della censura dedotta avverso l’originario diniego e le considerazioni connesse, sia sostanzialmente favorevole all’istanza, salvo la necessità di adeguamento a singole specifiche prescrizioni, peraltro non contestate da parte ricorrente.

In tale ambito, pertanto, non appare ostativo all’istanza il riferimento al p.u.c. contenuto nel provvedimento definitivo di diniego, sia in quanto privo di espressa indicazione di rigetto sulla scorta degli elementi indicati, sia in quanto, essendo lo stesso riferibile alle considerazioni acquisite in via endoprocedimentale dall’ufficio competente, appare sostanzialmente positivo, risultando unicamente necessario per gli odierni ricorrenti modificare in termini di adeguamento il progetto presentato.

Occorre pertanto concentrare l’analisi sul parere reso dalla commissione edilizia, costituene sostanzialmente l’unico motivo residuo (salvo la necessità di adeguamento alle prescrizioni non contestate), a tenore del quale: in primo luogo, la veranda progettata determina ingombro e limitazione alle visuali pubbliche; in secondo luogo il manufatto proposto, per conformazione e materiali, introduce disordine in una sistemazione esterna omogenea con cui viene pertanto a stridere.

Anche avverso tale diniego appare fondato il dedotto difetto di motivazione: innanzitutto, non viene in alcun modo specificato quale sia l’ingombro contestato, l’estensione dello stesso ed in relazione a quali elementi ovvero a quale contesto il progetto sia valutato ingombrante (al riguardo, non risulta costruito neppure un legame con le prescrizioni dedotte dall’ufficio centro storico); inoltre, non viene specificato quali siano le visuali pubbliche limitate e, conseguentemente, quali siano gli interessi tutelati in tale ambito, quali, ad esempio, esigenze connesse alla circolazione o al paesaggio; infine, appare generico il mero riferimento alla conformazione ed ai materiali, senza indicazione di quali sarebbero quelli concernenti la progettazione omogenea, anche in considerazione della sussistenza in zona di elementi analoghi a quelli proposti.

Il provvedimento impugnato si è limitato a riportare le generiche conclusioni rese dall’organo consultivo, senza svolgere la necessaria integrazione con l’indicazione degli elementi concreti posti a fondamento della valutazione negativa, né operando la dovuta integrazione fra i diversi apporti endoprocedimentali acquisiti. Nel caso di specie, la genericità delle deduzioni riportate nel diniego rende impossibile l’individuazione delle ragioni di diritto e di fatto ostative al progetto, necessarie anche al fine di porre in condizione il privato istante di conoscere gli elementi opposti al fine di presentare una futura istanza. A quest’ultimo riguardo, infatti, i motivi opposti non appaiono ostativi avverso qualsiasi intervento, riferendosi, pur genericamente, alle caratteristiche dimensionali ed ai materiali adottati. L’onere del clare loqui nel caso di specie avrebbe consentito quel dialogo trasparente fra amministrazione e privati auspicato dai principi di cui all’art. 3 l. 241\90.

A diverse conclusioni occorre giungere relativamente al secondo motivo aggiunto, in ordine alla presunta consumazione del potere di diniego, atteso che l’amministrazione è in generale titolare del potere non solo di eseguire le decisioni giurisprudenziali ma altresì di riesercizio dell’azione amministrativa.

E’ pur vero che, in generale, a fronte della richiamata esigenza di effettività della tutela giurisdizionale, il punto di equilibrio tra il diritto del cittadino alla rapida definizione dell'affare dopo un giudicato d'accoglimento e la giustificata aspettativa del potere pubblico di esercitare la propria discrezionalità anche sugli aspetti del rapporto controverso prima non esaminati, comporta che allorquando, dopo un annullamento giurisdizionale, l'autorità amministrativa debba riesaminare la vicenda, essa è tenuta a far ciò con un’attenzione particolare, evitando di esporre i privati alla prospettiva di una pluralità d'altri giudizi ulteriori (cfr. ad es. Tar Liguria sez. I, ord.za n. 164 del 2002).

Nel caso di specie, peraltro, il riesame si è fondato unicamente sulla scorta di una pronuncia cautelare, strumentale alla presente decisione: di conseguenza, si è dinanzi alla prima pronuncia di annullamento di un diniego opposto all’interesse pretensivo della parte ricorrente per cui i principi richiamati attengono al potere dovere facente capo all’amministrazione di esecuzione della sentenza e di conseguente riesame della questione. Invero, va altresì evidenziato come nel caso de quo in sede procedimentale siano state suggerite alcune prescrizioni in ordine all’adeguamento del progetto, non contestate da parte ricorrente, cosicché l’ulteriore riesame dell’istanza presuppone in sede procedimentale la verifica delle stesse.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte il ricorso appare fondato sotto i profili di cui al primo motivo ricorso originale ed al difetto di motivazione di cui al primo motivo aggiunto; conseguentemente va disposto l'annullamento degli atti impugnati.

L’accoglimento del gravame, ed il conseguente pregiudiziale annullamento dei dinieghi, impone l’analisi della ulteriore domanda proposta da parte ricorrente, avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da parte dei ricorrenti in conseguenza dell’illegittimità degli atti impugnati.

In generale, va ribadito che la domanda di risarcimento del danno per illegittimità del diniego opposto al rilascio di titolo edilizio non è ammissibile nel caso in cui non si abbia la certezza che il provvedimento autorizzatorio debba essere rilasciato; ciò vale in particolare nel caso di specie, dato che il diniego viene annullato a causa di un difetto di motivazione, per cui sussiste il già richiamato obbligo per le amministrazioni interessate di riesaminare la relativa domanda con salvezza degli ulteriori provvedimenti; di conseguenza non è ancora possibile affermare che la richiesta autorizzazione edilizia debba essere effettivamente rilasciata, nè l'esistenza di un siffatto obbligo può essere dichiarata dal giudice amministrativo, anche in considerazione del fatto che la sua giurisdizione esclusiva in materia non si estende al merito amministrativo (cfr. ad es. T.A.R. Marche 9 maggio 2002, n. 363).

Nel caso di specie, inoltre, l’impossibilità di valutare nel merito la fondatezza dell’istanza emerge altresì dalla presenza delle richiamate prescrizioni, suggerite in sede consultiva e non contestate in sede giurisdizionale.

Peraltro, l’infondatezza della domanda di risarcimento danni emerge allo stato anche alla luce della sua formulazione. Come agevolmente desumibile dagli elementi forniti in termini probatori e dall’entità del danno asseritamente patito (quantificato in circa 125.000 euro), la parte ricorrente si ritiene lesa per non aver potuto esercitare un’attività imprenditoriale a seguito del mancato rilascio di un’autorizzazione, ritenuta, invece, dovuta, attività relativa allo sfruttamento della terrazza esterno al bar, nella quale si ipotizza il collocamento di altrettanti tavolini rispetto a quelli posti all’interno del bar.

Non è stato chiesto, quindi, il mero danno che potrebbe ricollegarsi per effetto di una illegittimità procedimentale sintomatica di una modalità comportamentale non improntata alla regola della correttezza, ma l’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita, costituito dalla richiesta autorizzazione. Il Collegio, quindi, non può nel caso di specie attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse finale, nei termini recentemente paventati dalla Corte di Cassazione (cfr. sentenza sez. I 20 gennaio 2003 n. 204).

Invero, se al riguardo nulla è stato indicato dalla ricorrente in merito alle possibili voci di un eventuale danno emergente, quali per esempio le spese sostenute per la predisposizione dell'istanza di autorizzazione, quanto invece al danno effettivamente richiesto, rapportato al mancato conseguimento del bene finale, l’accoglimento della domanda presuppone, come rilevato, la valutazione circa la spettanza dell’utilità finale cui aspira nel caso di specie la parte istante. Si tratta, come è noto, di compito particolarmente delicato nel cui espletamento appare di ineludibile rilievo distinguere a seconda della tipologia dell’attività amministrativa dal cui concreto esercizio dipende il conseguimento del bene della vita: in concreto, il giudizio prognostico pone problemi diversi e si atteggia in modo differenziato a seconda che il soddisfacimento della pretesa sia correlato ad attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 15 aprile 2003 n. 1945). Il rischio che il giudice abbia a sostituirsi all’amministrazione, sia pure in modo virtuale e nella sola prospettiva risarcitoria, diventa tanto più consistente quanto più sono intensi i margini di valutazione rimessi alla seconda nel riconoscere al privato, asseritamente leso, il bene della vita.

Ciò vale a maggior ragione nell’ipotesi di specie, dove l’amministrazione sarà chiamata al riesame dell’istanza con i margini valutativi propri dell’attività discrezionale, salvo il vincolo derivante dai vizi accertati avverso il precedente diniego, anche a fronte della necessità di rivalutare le prescrizioni imposte (non contestate nella presente sede) ed il relativo adeguamento da parte istante.

Sulla base di quanto sopra va conseguentemente respinta la domanda di risarcimento dei danni asseritamente patiti da parte ricorrente a causa del diniego opposto.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. int. I, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso di cui in epigrafe e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Condanna la parte resistente alla rifusione di spese ed onorari di giudizio in favore di parte ricorrente, liquidate in complessivi euro 2.500,00 (duemilacinquecento\00 ), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova, nella Camera di Consiglio del 3 aprile 2003.

L’Estensore Il Presidente

(D. Ponte) (Renato Vivenzio)

Depositata in segreteria il 13 maggio 2003.

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